L’abuso e i suoi protagonisti

 

Pubblicato da Angelo Aparo su Domenica 15 ottobre 2017

 

Le domande di questi sabati alla bancarella di Frutta & Cultura in Piazza Sant’Agostino sono: Cosa prova chi commette un abuso ai danni di qualcuno e cosa prova la vittima? Come si evolve nel tempo ciò che sentono i due protagonisti dell’evento? Cosa ne favorisce l’evoluzione?

Ovviamente esistono molte risposte e tutte parziali, ma se espresse in modo curioso e collaborativo, tutte utili alla evoluzione di entrambi i personaggi. Gli interventi sul forum sono aperti…

In questa fase, preferiamo non parlare dell’abuso contro se stessi (alcol, droga, gioco d’azzardo) e dell’abuso sessuale. Chi avesse piacere di farlo può comunque segnalare sulle aree espressamente dedicate le proprie osservazioni.

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Il sapore delle ciliegie acerbe

Il sapore delle ciliegie acerbe
Carmelo Impusino

Quando ero bambino, vicino a casa mia, a un centinaio di metri dall’ortomercato, c’era un distributore di benzina all’interno di un’autorimessa con due entrate su due vie ad angolo. Per me e per alcuni miei amici era un punto di riferimento e un appuntamento quasi settimanale. Quello che ci attraeva di quel posto erano due alberi, un ciliegio e uno di fichi verdi, a ridosso del muro della rimessa, staccati alcuni metri l’uno dall’altro.

Durante la settimana non potevamo avvicinarci per via del benzinaio che lavorava a pieno regime, specie con i camion di transito per l’ortomercato; lui ci impediva di salire sugli alberi, non tanto perché non voleva che ne prendessimo i frutti, che alla fine nessuno coglieva, ma più che altro perché aveva timore che potessimo farci male cadendo giù. Ma la domenica le pompe di benzina erano chiuse e gli alberi erano incustoditi, tutti per noi. Sembrava fossero loro stessi a invitarci a coglierne i frutti, che altrimenti sarebbero andati persi a terra. E così, dopo pranzo, armati di sacchetti, dal basso dei nostri sguardi di bambini, ci ritrovavamo lì a scrutarli ancor prima di arrampicarci, alla ricerca dei punti più invitanti. Ricordo ancora come lo sguardo e il pensiero però andavano anche a tutti quei frutti sprecati che nessuno aveva potuto o voluto cogliere e che ormai giacevano a terra in via di decomposizione. E questo mi faceva arrabbiare.

Gli alberi erano alti entrambi una decina di metri e per noi diventava un vero piacere scalarli ramo dopo ramo fino ad arrivare nei punti alti e ai frutti più maturi. Quelli acerbi provavamo a lasciarli maturare rispettosamente…  a dire il vero, non sempre! A volte, presi dalla golosità o da chissà cosa, mangiavamo anche quelli. Non sapevamo aspettare… da un albero all’altro coglievamo fichi e ciliegie, e nonostante l’intesa di mangiarli a fine raccolta, spesso non riuscivamo a resistere alla tentazione di mangiarli ancora seduti sui rami.

Il nostro luogo per la pausa era il tetto della rimessa stessa, lungo e largo una cinquantina di metri, in catrame e metallo. Alto un po’ meno degli alberi, ci permetteva di mangiarne i frutti seduti comodamente, ma anche di correrci sopra, guardare le strade dall’alto e sentirci in contatto con una dimensione tutta nostra. Dopo qualche ora tornavamo a casa sporchi, stanchi e appagati. Mia madre, nonostante le macchie sui miei panni e il lavoro per lavarli, mi sorrideva… un po’ per quei frutti che avevo portato, un po’ perché quei frutti le davano la certezza che quel giorno non avevo fatto danni o creato problemi.

Oggi, pensando a quei giorni e a quegli alberi che abbracciavo e scalavo, che mi divertivano, sporcavano e nutrivano, non posso non pensare a loro come agli amici, genuini, silenziosi e accondiscendenti che hanno fatto parte della mia infanzia. Non avrei immaginato di poterli pensare un giorno con questa visione amichevole, ma la realtà è che, solo ora che li ho ritrovati nei miei ricordi, ne riconosco il loro valore. Mi auguro che ci siano ancora e che possano aver dato e diano tuttora anche ad altri le stesse emozioni che hanno dato a me. Anche quei frutti che giacevano a terra sono oggi per me spunti di riflessione; forse avrei voluto anch’io essere un buon frutto a beneficio di qualcuno, mentre invece un po’ mi accosto a quei frutti sprecati che giacevano a terra.

Nel profondo del mio cuore avrei voglia di scalarli e sporcarmi ancora con loro, abbracciandoli e salutandoli come accade con gli amici che non si incontrano da tanti anni. E proprio come si trattasse di vecchi amici, mi piacerebbe ringraziarli per avermi nutrito un po’ il cuore, per quei genuini sorrisi che assieme abbiamo regalato a mia madre, per quell’indimenticabile sapore delle ciliegie acerbe, pieno di significato, che nessun fruttivendolo potrà mai darmi.

Grazie alla Croce Rossa Italiana

Tre mesi fa il Rotary Club Milano Duomo mi ha invitato a scrivere una relazione sull’andamento del corso per “Operatore sociale generico” tenuto dalla Croce Rossa Italiana a beneficio di una ventina di volontari della Croce Rossa e di 8 detenuti, tutti selezionati (per scelta ragionata e strettamente connessa a come l’iniziativa è nata e si è sviluppata) fra i componenti del Gruppo della Trasgressione.

Avevo trovato l’invito, rivolto tanto a me quanto alla presidenza della Croce Rossa, del tutto naturale, visto che il Rotary Club Milano-Duomo e il Gruppo della Trasgressione erano stati gli ideatori dell’iniziativa e visto che il Rotary Club Milano-Duomo aveva versato alla Croce Rossa e all’associazione Trasgressione.net un contributo economico per le spese.

A seguito di un paio di riunioni nella sede milanese di Via Tucci della Croce Rossa fra il dott. Luigi Maraghini e la dott.ssa Raffaella Menini (presidente e vicepresidente della Croce Rossa Italiana), la dott.ssa Paola Granelli e la dott.ssa Antonietta Ferrigno (responsabili dell’iniziativa per il Rotary Club Milano Duomo) e il sottoscritto (coordinatore del Gruppo della Trasgressione), era stato infatti deciso che il corso, aperto in passato solo a volontari della Croce Rossa, quest’anno avrebbe accolto fra i suoi allievi alcuni detenuti del Gruppo della Trasgressione che negli anni precedenti avevano già ottenuto l’attestato relativo al corso di “Primo soccorso”, tenuto dal dott. Vittorio Fioravanti (a sua volta socio del Rotary, nonché volontario della Croce Rossa Italiana).

Conclusa la mia relazione sul corso, mi sono stupito quando, leggendo quella della Croce Rossa, non ho trovato alcun riferimento al Gruppo della Trasgressione né a come si era giunti al corso di quest’anno. Francamente dispiaciuto per l’omissione, mi sono chiesto a cosa potesse essere dovuta. Più in generale, mi sono chiesto come sia possibile che il mondo, a conti fatti, sia sempre più evoluto, nonostante si possa constatare ovunque una certa “disattenzione” nei confronti di chi contribuisce alla sua evoluzione.

L’omissione, a maggior ragione se vista dalla parte di chi ha avuto l’idea e si è speso, in esplicito accordo con gli altri partner, per accudirla nei suoi primi due anni di vita, lascia la bocca amara! Interrogarsi con i detenuti del Gruppo della Trasgressione sul valore della gratitudine per favorire l’emancipazione del condannato e assistere alle omissioni dei vertici che vigilano sul benessere dei liberi cittadini causa un certo turbamento.

Ma è così! A conti fatti, sembra che le idee di valore, una volta partite, acquistino una vita quasi autonoma. L’iniziativa che ha portato alla collaborazione fra il PRAP e la Croce Rossa è evidentemente buona, visto che da qui in avanti essa si rinnoverà a prescindere da chi l’ha concepita: i ponti ben progettati permettono agli uomini di incontrarsi e migliorare la realtà al di là di chi li ha progettati. In fondo, non è successo nulla di diverso da quello che accade di norma: gli uomini muoiono, ma le loro invenzioni, se sono valide, si servono dell’energia di altri uomini per proseguire la loro strada e migliorarsi.

Il concetto va perfettamente d’accordo con quel che Darwin insegna a proposito della evoluzione della specie e, simpaticamente, concorda con la constatazione che un bambino di pochi mesi ha il potere di motivare gli adulti che incontra ad accudirlo a prescindere da chi lo ha messo al mondo.

Se da un lato rimane l’amarezza del mancato riconoscimento, dall’altro sono grato a chi mi ha dato modo di seminare qualcosa che è anche mio e che, grazie alle istituzioni che sopravvivono agli uomini, andrà oltre il mio nome e quello del Gruppo della Trasgressione.

 


 

La mia relazione per il Rotary sul corso per “Operatore sociale generico”

Sul Corso della Croce Rossa

Milano, 8 giugno 2017

Al “Corso per operatore sociale generico” si giunge in base all’intesa formalizzata nel 2015 fra la Croce Rossa Italiana, il Rotary club Milano Duomo, il PRAP “Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria” e il “Gruppo della Trasgressione”. Nel 2015 e 2016 circa 36 componenti del “Gruppo Trsg” avevano frequentato il corso di primo soccorso e ottenuto il relativo attestato; in entrambe le occasioni tutte le lezioni si erano svolte in presenza degli agenti della scorta di polizia penitenziaria e, anche per questo, il corso era stato destinato solo ai componenti del gruppo (studenti universitari e detenuti delle carceri di Opera e di Bollate).

Considerati gli ottimi risultati delle due occasioni precedenti, si è deciso questa volta di aprire il “corso per operatore sociale generico”, destinato tradizionalmente a volontari della Croce Rossa, anche ad alcuni dei detenuti provenienti dalle esperienze di cui sopra. Tutte le lezioni si sono svolte in un’aula dove non si distingueva fra comuni volontari e detenuti e, cosa non trascurabile, anche i risultati dell’esame finale non hanno evidenziato differenze di rilievo fra gli uni e gli altri. Fra tutti gli allievi è cresciuta infatti una eccellente sintonia e sembra che la presenza dei detenuti abbia contribuito a dare vivacità al corso e utili stimoli agli altri studenti.

Degli otto detenuti che avevano iniziato il corso ne sono arrivati in fondo sei, gli stessi che nei mesi successivi hanno anche partecipato all’attività di tirocinio con eccellenti risultati, pur se le necessarie procedure istituzionali hanno richiesto tempi per cui tre dei tirocinanti non hanno ancora completato tutte le ore previste.

Gli obiettivi del corso sono stati ampiamente raggiunti! Fra questi, il principale era accostare l’immagine della Croce Rossa Italiana a quello dell’istituzione penitenzia per rendere più facile per i detenuti del corso (e, in prospettiva, per i detenuti in genere) rinnovare la propria immagine dell’autorità, cioè passare dall’immagine di un’autorità che proibisce e punisce a quella di un’autorità che insegna; passare gradualmente dall’immagine di autorità che marca confini e distanze a quella che accorre dove c’è bisogno. Ovviamente si tratta di un percorso lungo decenni ma è significativo che proprio dai detenuti che hanno frequentato il corso siano state formulate sintesi come “Le sirene di Ulisse per perdersi, quelle della Croce Rossa per ritrovarsi”.

In conseguenza dell’ora tarda in cui di solito veniva concluso il giro di servizio effettuato insieme da detenuti e comuni volontari della Croce Rossa, mi sono trovato più volte, oltre la mezzanotte, ad accompagnare i detenuti in carcere, a raccogliere le impressioni a caldo sulle esperienze della sera e a sentirmi dire frasi come ”In una giungla di incertezze chiamata civiltà, la Croce Rossa Italiana è un bene che si nutre di umiltà, un bene prezioso per la collettività”.

Tutte le riunioni di programmazione si sono svolte nella sede di via Tucci in presenza della vicepresidente della C. R. I., della dott.ssa Paola Granelli, della dott.ssa Antonietta Ferrigno e del sottoscritto.

Associazione Trasgressione.net
Angelo Aparo

Cella parlante

Cella parlante
Gabriele Tricomi

In ogni tempo, quando di tempo pareva non ne avessi, mi rinchiudevano nel mio spazio. Mio l’avevo fatto, insieme ai miei pensieri.

Il bagno mi aspettava per liberarlo da ogni sgradevole odore. il letto mi voleva solo poche ore, la notte, poiché il mio peso infastidiva il suo riposare. Quel pezzo di ferro m’addrizzava la schiena; se provavo a spostarlo qualcuno da sotto mi bussava: non volevano sentire il lamento acuto di quel ferro inumidito.

Eravamo io, il cesso e il letto, a comunicarci disappunto per la nostra solitudine. Di questo trio volevano far parte anche il lavandino e gli armadietti, il loro contributo non volevano fosse taciuto.

L’armadio più grande lamentava la pochezza di indumenti nel suo spazio, si sentiva sprecato; il più piccolo, poggiato su bombolette di gas vuote, non trovava giusto sopportare tutto quel peso di pasta, pelati e altre “ciberie”, appeso come un disabile su stampelle coperte di polvere e martoriate dai colpi di scopa che disturbavano il suo sonno.

Il lavandino soffriva, costretto in ogni stagione al freddo gelido dell’acqua. Tutti in disappunto comunicavano tra di loro e infine con me. Volevano che io trovassi soluzioni a quella solitudine e malinconica compagnia.

Cominciai così a farmeli amici, a rendermi utile a loro. Il letto non lo spostavo più, mi sdraiavo sotto di lui per pulirlo dall’umidità. L’armadio più grande lo riempivo di libri e di lettere, così da farlo sentire finalmente realizzato. Il più piccolo lo usavo per farci il forno, e il lavandino iniziò a conoscere l’acqua calda, resa tale dall’amico mio prediletto, il fornello.

Tutto pareva funzionare bene, nessuno più lamentava solitudine, gli spazi e le cose li usavo senza disturbare nessuno. Ma a volte la prepotenza di qualche “garante del nulla” voleva farci un dispetto, ci separava. A suo dire, quelle suppellettili a me care potevano diventare armi e strumenti per inganni. I miei amici finivano in magazzino, me li portavano via. Rimanevo nuovamente solo, io le mura e i cancelli.

Miei cari compagni di solitudine, branda, fornello, armadi e lavandino, e anche tu, mio fetente cesso, oggi che posso stare in mezzo a tanta gente e a tante cose belle, vorrei portarvi nei miei pensieri per raccontare chi sono stato ieri.