L’arroganza nel mito di Sisifo

L’arroganza di Asopo, di un padre che, invece di essere d’esempio, pretende dalla figlia un comportamento che lui per primo non pratica. Lo studio, l’aiuto in casa, le frequentazioni che esige da Egina in nome del senso di responsabilità sono per lui l’ultima delle preoccupazioni. Non ascolta la figlia, in realtà non la conosce. Non conosce il suo mondo, i suoi sogni, le sue aspettative nei confronti della vita, le sue insicurezze, i suoi desideri e la tratta con cieca e sorda protervia, inducendola così a ribellarsi e a spingere la ribellione a un confine estremo.

Arrabbiata e insoddisfatta, Egina sarà facile preda della seduzione di chi, con false promesse, la attira nel mondo dorato del potere, i cui protagonisti sono protervi quanto suo padre Asopo, ma abili nel nascondere la loro corruzione dietro un velo di rispettabilità.

L’arroganza della figlia che, comprensibilmente arrabbiata con un padre che non la sa guidare, si ribella e, sbagliando, si sente grande a sufficienza per sapere che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, rinunciando a un’analisi delle situazioni che con la sua intelligenza avrebbe potuto controllare, ma che con lo stato d’animo inquinato dalla rabbia vengono invece travisate e piegate alle sue voglie di rivalsa, travolgendola.

L’arroganza di Giove che, in cima alla piramide del potere, non è mai pago. Si aggira per la foresta e l’incontro con un’adolescente turbata, invece di spingerlo ad aiutarla, subito lo stuzzica inducendolo ad approfittare della di lei debolezza. La circuisce, la adula, tesse intorno a lei una vischiosa ragnatela d’abuso che la perderà. L’abitudine al potere gli permette di abusarne senza porsi alcun freno. Nessuna esitazione in lui, nessuno scrupolo. Ma al potere non dovrebbe stare chi lo merita? Chi per intelligenza, saggezza, competenza, rigore, integrità può essere d’aiuto e fare da guida al consesso degli uomini?

L’arroganza di Sisifo, Re di Corinto, sagace e attento ai bisogni del suo popolo e alle loro richieste. Agricoltori e militari, mercanti e sacerdoti, uomini di pace e di guerra e madri preoccupate trovano udienza presso di lui, vengono ascoltati, accolti con l’attenzione di chi è realmente motivato a fare spazio ai bisogni dell’altro. Turbato per la gravità del problema che affligge il suo regno, vaga per la foresta, riflettendo sulle possibili soluzioni. Il caso gli fa incontrare Giove e gli permette, non visto, di assistere alla seduzione di Egina. Subito comprende che ciò di cui è stato testimone potrà diventare una preziosa moneta di scambio, che prontamente spende quando, di lì a poco, incontra Asopo.

A questo punto, due diverse disperazioni si toccano: quella di un padre indegno, che cerca la figlia scomparsa e che è in fondo consapevole di essere stato lui stesso a farla fuggire, e quella di un re che, mentre carestia e degrado dilagano a Corinto, si è caricato di rancore verso tutte le divinità dell’Olimpo, sorde alle preghiere del suo popolo e capaci di ridurre il re di Corinto all’impotenza.

Sisifo, abilmente, in cambio delle informazioni in suo possesso, strappa ad Asopo, semidio preposto alle acque, la promessa che darà a Corinto tutta l’acqua che serve.

Due autorità con un problema da risolvere si accordano e lo risolvono, apparentemente senza violare nobili principi. Ma non è proprio così.

Asopo avrebbe dovuto fornire comunque l’acqua cui era preposto, perché era suo dovere, gli competeva per ruolo, ben sapeva che la siccità stava mietendo vittime e, soprattutto, non avrebbe dovuto sprecare l’acqua in opere di abbellimento e di intrattenimento, togliendola alle necessità del popolo. Asopo fa ciò che sarebbe stato suo dovere fare, solo perché costretto dalle circostanze.

Sisifo, per parte sua, risolve con successo il problema che affligge Corinto ma non resiste alla tentazione di umiliare Asopo, costringendolo a prostrarsi davanti a lui e utilizzando la temporanea debolezza del padre in una ghiotta occasione di rivalsa, di gratuito esercizio del potere in un frangente in cui i rapporti di forza sono ribaltati.

Torna all’indice della sezione

Un’avventura mai vissuta

Un’avventura mai vissuta
Pasquale Trubia

Non voglio tentare di giustificare il mio passato, ma mi chiedo come sono potuto arrivare a fare quello che oggi non potrei più fare. Non so proprio rispondere. Credo di essermi trovato in una situazione difficile senza gli strumenti per affrontarla e senza riferimenti per non perdermi. Ho cominciato a trasgredire e sono entrato in un tunnel di follia. Ho risposto al male col male, lasciandomi risucchiare in un vortice dove ho perso ogni misura.

Ho anche messo al mondo un figlio che, con me in carcere, è cresciuto da solo, come se non fosse stato già abbastanza avere reso orfani figli di altri padri. Me ne sono disinteressato, non l’ho visto nascere, crescere, diventare uomo.

Genitori e figli. Avrei avuto l’occasione per immergermi in questa meravigliosa avventura, ma per egoismo, superficialità, follia, ho perso la strada. Adesso ho imbroccato quella giusta, ma non ho più le condizioni per fare il padre.

Spero solo che, anche se non sono stato un genitore, oggi mi si possa dare l’opportunità di essere almeno amico di un figlio oramai uomo. Forse un giorno, quando tutto finirà, potrò avere l’esperienza di crescere un nipote e riservare a lui quello che avrei dovuto fare con mio figlio.

Torna all’indice della sezione