I vestiti di Amy

Il film racconta la storia di molte donne attraverso gli occhi di Amy, una ragazzina di 11 anni cresciuta tra due culture diverse: quella francese in cui vive e quella senegalese delle sue origini familiari.

Amy vive in casa con il fratello minore, la madre ed una zia, nell’attesa del ritorno del padre che è andato in Senegal a prendere la sua futura seconda moglie per riportarla in Francia e sposarla ufficialmente.

La famiglia di Amy è una famiglia legata a severe tradizioni religiose ed Amy è una bambina incastrata tra la tristezza della madre, che dovrà suo malgrado condividere il marito con un’altra donna, e i divieti e gli obblighi della tradizione imposti dalla zia.

Tutto questo genera in Amy una sorta di ribellione che la rende sempre più affascinata e incuriosita da un gruppo di ragazze della sua scuola che si stanno preparando per una gara di ballo. Lei riesce a farsi accettare da queste ragazze e la danza diventa così un’ossessione in cui incanalare tutta l’energia e la frustrazione.

 

MA CHI È AMY?

Amy è una ragazzina di 11 anni che cerca di costruirsi la sua identità perché anche i bambini, come gli adolescenti, sono in cerca della propria identità e le figure che osservano come primi referenti sono i genitori, i fratelli, gli zii e i nonni e, a seguire, i loro compagni di gioco.

Ma quando i nostri referenti mancano, per distrazione, assenza o per qualsiasi altro motivo, che risposte trovano i bambini? Chi li guiderà nel loro cammino verso la vita, verso le prime esperienze e verso quella fase importantissima per una donna che è la scoperta della propria femminilità?

Quando manca l’attenzione genitoriale, questi bambini, così come ha fatto Amy, si ritrovano a cercare le soluzioni alle loro domande esistenziali, da soli, interfacciandosi direttamente e senza filtri con la cultura iper-sessualizzata in cui siamo immersi ogni giorno.

Mancano quindi quelle guide che possano, attraverso il dialogo e l’insegnamento della comunicazione emotiva, accompagnare i bambini verso il loro cammino di crescita, ascoltando le loro esigenze, i loro bisogni e le loro paure, aiutandoli così a comprendere le proprie fragilità.

Ciò che invece viene fatto da parte della madre e della zia è immergere Amy nelle loro tradizioni religiose, sperando e illudendosi che queste siano sufficienti a tenerla lontana dai guai e a trasformarla in una donna rispettabile.

Amy è quindi una ragazzina che non ha dei riferimenti in questa fase difficile, che inizia a sentirsi in contrasto con la cultura familiare castrante, ancorata a tradizioni e modi di pensare che negli anni in cui viviamo non sono più utili a una bambina di undici anni che sta affrontando una fase delicata della sua crescita.

L’unica certezza che ha Amy è di essere contemporaneamente molto attratta da un gruppo di compagne di scuola ribelli e vistose, da cui vorrebbe sentirsi accettata e attraverso cui vorrebbe entrare in contatto con una serie di cose: dal look al linguaggio, alle normali curiosità per l’altro sesso che si hanno fin dall’infanzia, che per lei sono proibite senza però comprenderne il motivo.

“Mignonnes” sono undicenni abbandonate a loro stesse che ripetono gesti e pose senza comprenderle davvero. Nei loro sguardi, che dovrebbero essere sensuali, si legge solo lo smarrimento di chi non ha né l’età per comprendere certe cose, né una struttura familiare di supporto che le guidi e le orienti. Si ispirano ai modelli che vedono in giro, sui social, nelle pubblicità e sui siti per adulti e il corpo diviene l’unico mezzo per accedere a ciò che desiderano: l’ammirazione degli altri, l’autostima di sé e quel bisogno di essere accettate all’interno del gruppo dei pari.

Nella parte finale del film, la verità e il vissuto di Amy vengono finalmente fuori; la bambina si ritrova faccia a faccia con la madre, una donna che, nel panico davanti a ciò che scopre, trova in sé stessa il coraggio di non punire la figlia ma di ascoltarla, spezzando anche le imposizioni della tradizione. Ed è proprio da questo momento che Amy ritrova finalmente i suoi anni, rifiuta di indossare l’abito che i parenti si aspettano che lei indossi e rifiuta anche di indossare gli abiti scollati del ballo, anche se li ha amati entrambi ed entrambi le sono serviti per arrivare a scegliere consapevolmente di indossare quelli che considera i “propri vestiti”, che diventano la sua “idea di sé”.

Katia Mazzotta

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