La mia valigia

Sono passati 28 mesi circa. Tutti i giovedì al Gruppo della Trasgressione ho conosciuto volontari e tirocinanti, di cui alcuni sono ancora presenti, e un via vai di detenuti: chi è stato liberato, chi trasferito, chi ha rinunciato a partecipare.

Mi sono confrontato su mille argomenti: i conflitti, la droga, i nostri disagi, i percorsi della devianza, odio, rancore, delitti di mafia, genitori e figli, vita sociale e anche episodi e sentimenti della vita personale.

La valigia, mi ricordo bene il significato di questo argomento affrontato più di un anno fa. In quella valigia ho messo tutto quello che ho raccolto fino ad ora e che mi è servito per crescere.

Dei tanti eventi cui ho partecipato con il gruppo, uno mi ha colpito in particolare: Delitti di mafia. Seduta al mio fianco c’era una signora con la nipote alla quale era stato ucciso il marito. Avevo parlato un po’ con lei. Facevo fatica a guardarla negli occhi, lei era molto dolce. Il reato non mi riguardava, ma me ne sentivo complice per lo stile di vita che ho avuto negli anni passati.

Probabilmente all’età di sessant’anni la stanchezza, l’esperienza, la famiglia mi hanno aiutato ad allontanarmi dalle mie scelte di vita passate. Ma non basta, non è sufficiente. È come guidare una macchina senza prendersene cura: prima o poi la macchina si rompe e di questo sono consapevole.

Ecco a cosa serve questa valigia. La porto con me costantemente. in questi anni di gruppo, ho valutato quanto è importante riconoscere e riconoscersi negli altri.

Si dice che, a smettere di essere curiosi, si invecchia; questi incontri mi hanno incuriosito sempre di più. Ora, non solo partecipo al gruppo, io mi sento parte del Gruppo della Trasgressione dal giorno in cui il dottor Aparo mi consegnò quella lettera dove mi veniva riconosciuto l’impegno costante. E così mi sono guadagnato la sua fiducia, tanto da uscire anche per incontri fuori dall’istituto. Avere delle responsabilità, dare un mio contributo al gruppo dà senso alla mia vita.

Io uomo, io padre. l’incontro che abbiamo avuto sabato 12 aprile con altri genitori che venivano dall’esterno mi ha lasciato un principio ben chiaro: se non si è presenti con i figli, si perde il diritto alla parola del padre.

Io esco per fine pena il 5 maggio prossimo. Sabato, 19 marzo, mia figlia Eleonora, 26 anni, mi viene a prendere all’uscita del Carcere. Ci siamo abbracciati e durante la giornata c’è stato un momento in cui siamo rimasti da soli. Così le ho chiesto che ruolo ho per lei e lei mi risponde: io ti ho sempre rispettato come uomo e padre, so che per me provi amore come per gli altri miei fratelli, ma non basta. Se vuoi fare parte della mia vita, devi essere trasparente. Tutte le volte che hai fatto e ti sei fatto del male, hai fatto del male anche a noi. Io non te lo rinfaccio, ma non è corretto pensare di andare avanti con la stessa vita, sapendo quello che proviamo per te. Noi non ti abbiamo mai dimenticato. Non dimenticarti tu di noi.

Io credo che per essere padre si debba far parte del loro mondo costantemente. Ecco per me l’utilità del nostro Gruppo della Trasgressione.

Antonio Trionfo

Alla ricerca del padre