DENARO FALSO
NATA’LJA IVA’NOVNA
Nell’ultimo incontro nel carcere di Opera su Denaro Falso, con la partecipazione, tra gli altri, degli studenti dell’Istituto tecnico informatico Torricelli di Milano, abbiamo preso in considerazione la figura di Natàlja, moglie di Pjotr Nicolàjevic.
Questo personaggio “secondario” (!?) mi ha sorpreso molto quando sono andato a rileggerne la vicenda. Mi è balenata l’immagine di una canna al vento: la canna come metafora della sua (sue) identità del momento, ed il vento quale indicatore di situazioni diverse e del loro contesto. Mi è sembrata molto indicativa la diversità di posture e sentimenti che Tolstoj ci guida a vedere in questa persona.
Natàlja aveva visto dalla finestra di casa come avevano ammazzato il marito e trascinatone il corpo in un burrone. E naturalmente la prima reazione era stata di orrore e sgomento. Ma quando la serva è andata a trovarla per riferirle i dettagli dell’accaduto, inaspettatamente –e spaventandosene! – il suo sentimento s’è cambiato in gioia e contentezza: finalmente non avrebbe più avuto a che fare con un marito despota e schiavizzante, come in realtà Piotr era stato da sempre, verso di lei, sterile, grassa e per niente bella. Durante i funerali, invece, si scioglie in pianti e dà libero sfogo al suo dolore.
La situazione cambia ancora quando il giudice la interpella per il processo; può vedere in catene i due autori dell’uccisione del marito: nessuna pietà la attraversa, ma solo odio e desiderio di vendetta nei loro confronti.
Nel relativo processo giudiziario i due vengono condannati all’impiccagione e qui la nostra avverte un inizio di pietà che però viene subito rimosso, rinfrancata dalla giustezza burocratica di quel giudizio.
In attesa che il boia designato venga da Mosca, nella piazza del villaggio si prepara la forca e Natàlja si chiude in casa e non vuol saperne niente. Si chiude in se stessa, disinteressandosi del destino dei condannati, dei loro familiari e di quell’avvenimento, per altro verso così socialmente pregnante.
Ed eccoci all’ulteriore cambiamento: lei accoglie con gentilezza il commissario di polizia, che ben conosce, e che è venuto a comunicarle la notizia fuori da ogni logica: il boia designato a quell’esecuzione, a sua volta condannato per omicidio, si rifiuta di farlo.
Cosa è successo? In seguito ad un ripensamento interiore in seguito all’ascolto da altra persona di parole inusitate del Vangelo, si è convinto che non si deve uccidere, neanche legalmente!
E potevano pure costringerlo con la forza, ma mai egli avrebbe dato corso a quell’esecuzione.
A questa notizia, si fa strada in Natàlja un pensiero inaspettato, probabilmente favorito dall’altrettanto inaspettata figura del boia che, motivato da un’improvvisa fede, si rifiuta di fare il suo dovere (e altri per sostituirlo non ve ne sono).
Il pensiero è: non è forse possibile chiedere la grazia per i due malfattori?
E il commissario, alquanto incredulo, risponde che solo lo zar poteva concedere quella grazia. Ma bisognava farne richiesta con tutte le accortezze del caso. Ed ecco la svolta: con decisione e coraggio Natàlja si adopera e si fa aiutare affinchè quella richiesta allo zar venga redatta e spedita.
A quel punto dentro di sé, come scrive Tolstoj, “Natàlja sentì nell’anima una letizia buona”… “perdonava e chiedeva la grazia”, confidando nel fatto che lo zar non l’avrebbe negata, essendo lei la vedova dell’ucciso.
Nel poliedrico comportamento di Natàlja mi sembra di scorgere, compendiata, l’altrettanto poliedrica considerazione tolstojana della vita umana, con le sue luci ed ombre, anche le più sfumate o violente.
E allora mi viene da esplicitare e condividere le seguenti riflessioni.
L’identità di ognuno è un processo, non può essere data una volta per tutte, a meno che non ci si ingabbi in un ruolo –sia esso pure altamente professionale- con il rischio, non infrequente, di limitare le proprie potenzialità e vivere una vita incompleta.
L’illusione di essere sicuri al cento per cento della propria identità è sempre dietro l’angolo, purtroppo. Ma questo può solo favorire scelte spesso irrazionali e inconsapevoli, creando anche danni a se stessi e agli altri.
La consapevolezza delle nostre azioni (e delle motivazioni delle stesse) è anch’esso un processo, una cosa che si impara…
Mi sembra di poter concludere dicendo che solo questa consapevolezza mai raggiunta può aiutare a vivere sempre più autenticamente.
Piero Invidia
Denaro Falso