In ritiro nel disordine

In ritiro nel disordine
Claudio Marotto

Sono figlio di emigranti, i miei genitori lavoravano in Svizzera per poter dare a me e ai miei fratelli un avvenire. Purtroppo mio padre era dedito all’alcol, questione per la quale il compito di educare e di accompagnare i figli era totalmente delegato a mia madre; a scuola e alle manifestazioni sportive era sempre mia madre ad essere presente.

Il rapporto con mio padre, già conflittuale, si complicò ulteriormente a seguito della mia decisione di ritirarmi dagli studi. Iniziai a lavorare come commesso e quasi nel contempo a usare la sostanza. Da lì, una vita sregolata tra feste ed eccessi, con l’inevitabile conclusione dell’arresto per spaccio.

Dopo una lunga trafila di reati arresti e scarcerazioni e sempre vivendo all’insegna del disordine totale, in questo marasma che era la mia vita ho fatto due figli, che adoro e che non vedo da due anni per problemi di compatibilità con la mia ex compagna, che peraltro ha trascorsi con la sostanza come me.

Io penso che la tossicodipendenza sia una malattia di cui ognuno sceglie di ammalarsi, inconsapevole del degrado e del disastro cui si andrà incontro, una malattia che può risolversi solo attraverso un’analisi del proprio vissuto e con l’aiuto di tutti coloro che vogliono aiutare. Non so esattamente cosa bisogna fare, ma so per certo che è necessario provare, provare e ancora provare ed è quello che io sto provando a fare.

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Angeli Ribelli

Angeli ribelli
Andrea Mammana

Angeli ribelli
Calvalcano fulmini
Dalla vita breve

L’oblio non li spaventa
Si nutrono di eccitazione

Con luci colorate
addobbano i ricordi
sul viale della morte

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Bello scherzo

Bello scherzo che m’hai fatto
Gabriele Rossi

Bello scherzo che mi hai fatto…
Vent’anni rubati… o da me regalati
Sprecati a rincorrerti,
 senza mai
avere la pace di saperti mia.

Sono vent’anni ormai…
vent’anni che imbroglio, mento, rubo
che compro e rivendo…

E dove sono i tuoi occhi?
Chi li ha mai visti?

Vorrei sentirti dire che mi liberi,
ma tu non parli,  non dici…
però
sei lì in ogni cosa che dico …
e cambi il senso di ogni cosa che ascolto.

Ora spero che il vento ti spazzi via
ora bado che non ti porti troppo lontano…
e io non ho la forza
nemmeno di quel soffio che mi libererebbe…

Bello scherzo che mi hai fatto.
Mi sento svuotato della forza
che la vita mi aveva dato,
della volontà e della capacità
di dire sì o dire no.

Non mi hai cercato tu, ma sapevi
che la mia presunzione ti avrebbe sfidato…

Ti fa onore alleviare il dolore dei malati
ma non di rapire la vita dei giovani sfrontati.

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Conversando su autorità e limiti

Roberto Cannavò: La realtà della finitezza è la nostra realtà. C’è chi lo riconosce, e chi invece non lo riconosce e si ritrova con l’ergastolo. Se non mi avessero arrestato, io non avrei mai capito i miei limiti. Fuori dal carcere, non ho mai riconosciuto le mie finitezze.

Gemma Ristori: (riferendosi ai grandi personaggi citati che hanno fatto la storia dell’arte, della letteratura e della scienza) Lavoro e fatica hanno fatto sì che le loro scoperte rimanessero nel tempo e che noi oggi ce ne possiamo servire per il nostro benessere quotidiano, come la lampadina. Altre mire invece, aumentano solo il senso d’eccitazione, che se fine a se stessa, non è utile alle generazioni future, ma solo a se stessi.

Voler superare i limiti non è necessariamente qualcosa di negativo, ma solo se viene accompagnato dal lavoro e dalla dedizione. Il detenuto e lo studente vogliono arrivare lontano, ma lo studente lo fa lavorando duramente, il delinquente fa come Icaro: punta al sole direttamente. Vi è nel delinquente il desiderio di arrivare in fretta, dimenticandosi che l’unico modo per arrivare da qualche parte è studiare.

Roberto Cannavò:  Se avessi avuto un papà non avrei sconfinato i miei limiti, perché lui mi avrebbe indirizzato verso la scelta giusta. L’ignoranza mi ha portato a essere l’opposto della normalità per la gente comune. Ero spregiudicato in questo, superavo tutti i miei limiti. Da ragazzino non avevo nessun recinto e nessun limite. Oggi a pensare a ciò che sono stato, beh ho paura di quel ragazzino.

Massimiliano De Andreis: Da giovane non vedevo una continuità in quello che facevo; quindi arrivavo alla cresta e pensavo: che senso ha tornare indietro? Io ero arbitro della mia vita, le regole le mettevo io e proprio per questo le istituzioni erano escluse dalla mia vita.

Ivano Moccia: Il ruolo dei genitori è molto importante. La mia barca era carica di odio e alla fine ho ridotto a pezzi tutta la barca e sono affondato. I genitori ti consegnano la conoscenza che dovrai dare poi ai tuoi figli.

Mario Buda: Io non avevo nessuno che mi desse una carezza. La prima rapina che ho fatto è stata a 16 anni, avevamo paura. Ma dopo la prima rapina in banca ci abbiamo preso gusto e ho provato il delirio di onnipotenza. Mi sono bruciato la vita, mi sono costruito la mia gabbia. Voi ragazzi mi state aiutando tantissimo a crescere. La mia disperazione è che mio figlio faccia i miei stessi errori, e faccia delle scelte sbagliate.

Massimiliano Rambaldini: per me qualsiasi regola mi fosse imposta era un limite. Anche i segnali stradali. Tutto. E quindi bisognava combatterla.

Massimiliano De Andreis: Io superavo i limiti per raggiungere i miei obbiettivi, ma non ne ho raggiunto nemmeno uno. Mio padre si faceva di cocaina, picchiava mia madre, spacciava.. potevo scegliere se seguire la strada di mio padre o non farlo. Ho scelto di seguire la sua stessa strada perché il mio obiettivo era essere riconosciuto in famiglia; ma non ci sono riuscito. Oggi i limiti mi fanno crescere. L’autorità però deve essere credibile, per me oggi l’autorità credibile è importante.

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L’autorità: le nostre domande

Buccinasco: le domande dei ragazzi sul tema dell’autorità

  • Quali richieste legittime può farmi un’autorità?
  • Quando il limite imposto è un argine necessario?
  • Quando è uno sbarramento alle mie possibilità di crescita?
  • Quando è necessaria una punizione?
  • Cosa distingue una punizione da una vendetta?
  • Quanto è importante essere imitabile per una guida che vuole essere credibile?
  • Quanto una guida deve essere vicina a colui che vuole guidare?
  • Quale importanza positiva e negativa può avere il complesso di inferiorità rispetto alla guida?
  • Che ruolo ha l’affettività nel rapporto con una guida?
  • Chi limita l’autorità?
  • Qual è il rapporto tra l’autorità e il limite?
  • La trasgressione è un atto di accusa contro l’autorità?
  • Come faccio a diventare adulto e guida credibile se non ho avuto una guida che mi mostrasse il percorso da seguire?
  • La mancanza o incapacità dell’autorità può giustificare la trasgressione?
  • Qual è il confine tra la responsabilità del singolo e di ciò che gli sta intorno?

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Il rapporto con l’autorità, elaborati

Buccinasco: 2017 – Gli elaborati degli allievi dell’Istituto “Via Aldo Moro”
relativi agli incontri sul tema della Trasgressione

Gli allievi della 3° C

 

Gli allievi della 3°

 

Gli allievi della 3°

 

Gli allievi della 3°

 

Gli allievi della 3° G

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Il convegno sulla tossicodipendenza

Cari compagni di ricerca sulla tossicodipendenza,
le difficoltà che incontriamo nell’individuare i confini del campo, i collegamenti che andiamo scoprendo con esperienze e patologie diverse dalla tossicodipendenza mi motivano ogni giorno di più verso l’avventura che abbiamo iniziato. Le aree del convegno sulla tossicodipendenza, come abbiamo detto, verranno definite strada facendo; gli obiettivi dell’iniziativa già partita e che, se tutto va bene, dovrebbe concludersi col convegno di giugno, mi sono chiari da tempo:

  • promuovere una camera di gestazione capace di attivare riflessioni e ipotesi sulle cause, sugli sviluppi e sulle cure della dipendenza che reggano alle osservazioni di chi questa realtà ha vissuto, ha sofferto, ha costruito con le proprie mani;
  • attivare e consolidare, intanto che i detenuti parlano con gli operatori come stiamo facendo in questo periodo, un rapporto fra paziente e terapeuta tale da favorire una effettiva, duratura e sentita alleanza contro la schiavitù della droga (cosa ben diversa da quanto avviene nella relazione tradizionale fra detenuto e operatore penitenziario);
  • alimentare, fra i componenti del gruppo, intanto che il tossicodipendente diventa protagonista attivo dell’indagine, il piacere e l’orgoglio di far parte di una squadra dove detenuti, studenti e operatori si dedicano insieme allo studio del problema;
  • coltivare un fermento che sia utile alla formazione degli studenti tirocinanti, alla implementazione delle competenze degli operatori e, soprattutto, a stuzzicare, nutrire e fare circolare fra i detenuti ricordi, emozioni, relazioni che li motivino a ribellarsi alla perversa relazione fra “burattino e burattinaio”.

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Le due strade del potere

Le due strade del potere, Claudio Palumbo

Sinceramente, la cocaina non mi ha fatto sentire potente o importante nei confronti delle altre persone. Quando assumevo cocaina mi sentivo ben diverso da un uomo potente e, in particolare, mi isolavo rimanendo chiuso in casa perché mi dava fastidio stare in compagnia di altre persone e non volevo che mi vedesse nessuno per i deliri che la cocaina mi procurava. Mi sentivo in difetto e in imbarazzo, pensando di non portare adeguato rispetto ai miei familiari.

Di certo posso dire che la cocaina cambia l’umore anche dopo aver esaurito i suoi effetti. Quando sta per finire lo sballo, ci si sente più calmi e si rientra in se stessi, ma subentra comunque un’altra personalità che ti porta a essere più aggressivo. Ad esempio, se capita una discussione con qualcuno, la cocaina, ancora in parte in circolo, ti spinge ad arrivare anche alle mani, se non peggio. Insomma, due personalità: ora ti ritrovi solo e in fuga, ora aggressivo e senza freni. Ma non ricordo una sensazione di potere… quando ti credi potente, vi sono solo due possibili strade: quella che ti porta in galera e quella che ti porta al cimitero.

Anch’io vendevo le droghe, attività che portava a conoscere tante persone che mi rispettavano e ritenevo amiche (alcune). Purtroppo non era così. Era solo dovuto al fatto che gli vendevo la droga. Non si trattava di vera amicizia, ma solo falsità e tradimenti personali. In effetti, me ne rendo conto solo ora che mi trovo in galera. Pensavo di avere amici intorno a me, ma mi sono illuso per l’ennesima volta. Accanto a me ho solo la mia famiglia.

La cocaina porta ad avere tanti conflitti con i sentimenti e tanta trascuratezza nei confronti dei propri cari e, prima ancora, nei confronti di se stessi. Non ci si rende conto che la vita che si conduce è diversa dal mondo reale che ci hanno donato la natura e i nostri genitori.

E’ vero, è maledetta la cocaina. Ti porta assolutamente dove vuole lei. Tu vorresti non farlo, ma purtroppo c’è quell’omino dentro di te che noi chiamiamo a modo nostro “la lampadina che si accende”.

Di certo, di tutto ciò non sono fiero, ma non nascondo che quei periodi mi sono comunque serviti come esperienza di vita. Nel momento in cui l’assumevo mi piaceva, senza rendermi conto che faceva a me, e soprattutto ai miei cari, molto male.

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Colmo di solitudine

Colmo di solitudine, Saad Yahya

Non ho esperienza di droga, per mia fortuna sono sempre riuscito a starne lontano e dunque posso parlarne solo in base a discorsi avuti e sentiti con persone che ho conosciuto. Di sicuro ho capito che è un’esperienza molto forte e difficile. Sono molti i motivi per cui le persone cominciano a fare uso di stupefacenti, a volte banali e a volte perché si pensa di riuscire ad allontanare le proprie difficoltà e problemi, ma alla fine qualunque sia stato il motivo, ci si ritrova in un tunnel oscuro e colmo di solitudine.

Ciò che poi si cerca e si desidera è solo l’illusione di vivere al pieno delle proprie forze e lontano dalle proprie paure, senza rendersi conto che ci si sta uccidendo lentamente, rovinando la propria vita e quella delle persone vicine.

Io posso dire di aver vissuto un’esperienza simile con la dipendenza dal gioco, che mi aveva fatto allontanare da tutti. Ci lasciamo trasportare da un mondo irreale, dove la tecnologia ci avvolge con telefoni, computer e cose materiali.

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I racconti degli altri

I racconti degli altri, Maurizio Chianese

Nelle ultime settimane, al gruppo è accaduto che molti racconti di vita personale hanno dato a noi tutti grandi spunti di riflessione. Se Veronica, con il suo racconto, mi ha dato modo di notare quante cose in comune c’erano tra la sua esperienza e la mia tossicodipendenza; il racconto di Matteo mi ha portato a pensare al mio passato e alle mie scelte.

All’inizio Matteo, nel raccontare di sé e della violenza subita per anni, mi ha fatto provare una forte rabbia e non sono stato in grado di dirgli nulla. Tornato in cella, continuavo a pensare a lui, pensavo al coraggio che ha avuto a raccontarci il trauma che ha subito e ho provato ammirazione nel constatare che tutto questo (dolore, rabbia e delusione) non ha preso il sopravvento su di lui e non è riuscito a spingerlo in situazioni pericolose. Anzi, nonostante tutto, è stato in grado di diventare un professore, di fare nella sua vita qualcosa di positivo, di avere una vita normale.

Ho molte domande da fare a Matteo, non sulla sua vita e tanto meno sul suo trauma, ma sugli aiuti e sugli strumenti che lui ha utilizzato per diventare quello che è oggi. Penso che le risposte a queste domande saranno per me molto utili per avere degli spunti costruttivi da utilizzare nel mio percorso.

Poi c’è lo scritto della prof.ssa Nuccia su quanto le parole possano essere dei fiori o delle pietre. Quante volte mi è capitato di sentirmi dire parole che mi hanno ferito, tanto che avrei preferito un pugno per sentire meno dolore; ma ho anche sentito parole da farmi piangere dalla gioia. Grazie al racconto di Nuccia, mi sono anche chiesto perché faccio tanta fatica a parlare al gruppo. Credo che sia dovuto al mio imbarazzo e alla paura di non essere capito. Molte volte sento di voler intervenire nel gruppo e dire la mia, ma non so perché mi blocco, sono sicuro che presto riuscirò a sbloccarmi… comunque ora cerco di scrivere i miei pensieri e poi leggerli al gruppo.

Non ho avuto modo di sentire lo scritto di Massimo, ma dalla discussione che c’è stata ho intuito che il dott. Aparo ha fatto un’altra domanda (cos’è il potere per il tossicodipendente?).

Io penso che per il tossicodipendente il potere è tutto della sostanza; la sostanza mi dominava e mi portava a fare cazzate, quindi io ero il dominato. Per spiegarmi meglio, uso la storia del burattinaio e il burattino: il burattinaio sono io, la sostanza sono i fili (cioè il potere) che fanno muovere il burattino che io divento con l’uso della sostanza. Senza i fili il burattinaio non ha nessun potere sul burattino. Credo che il potere è costringere l’altro a fare qualcosa anche contro la sua volontà, come fa quello che commette rapine.

Anche lo scritto di Diego mi ha emozionato. Siccome non ero arrivato al gruppo in tempo per sentirlo, una sera gli ho chiesto se aveva una copia del suo scritto e lui con molto piacere me lo ha letto. Devo dire che è stato bello sentire come si emozionava a leggerlo anche se eravamo solo io e lui. Sono stato contento che lui, anche se al di fuori del gruppo, ha voluto condividere con me il suo vissuto.

Sono contento di questa esperienza. Ogni volta, grazie ai racconti che si condividono, trovo strumenti utili da utilizzare nel mio percorso.

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