Un progetto su Vito Cosco

Il Gruppo della Trasgressione e Vito Cosco

Non possiamo fare a meno di chiederci come mai le prime aspirazioni di un bambino finiscano a volte per prendere la forma dei soldi che si ricavano da una rapina, della pace o della inconcludente eccitazione procurata dalle droghe. Se siamo sicuri che chi cerca l’oro e la droga sta sbagliando indirizzo, allora è doveroso chiedersi quali informazioni mancano a chi ha perso la strada. Se sbando mentre cerco me stesso, ho bisogno di qualcuno che non si limiti a punirmi ma che aggiunga un’indicazione utile per rintracciare l’indirizzo giusto (Angelo Aparo)

Vito Cosco, detenuto con la pena dell’ergastolo per l’omicidio di Lea Garofalo, si è presentato al gruppo mercoledì 29 maggio con uno scritto contenente le sue riflessioni sul reato commesso. Nel testo si percepisce l’evoluzione da uno stato precario di delinquenza sino alla individuazione della strada che conduce a una maggiore consapevolezza di sé.

Le sue parole hanno scosso ed emozionato tutto il gruppo e anche i famigliari dei detenuti, presenti il 5 giugno nel teatro di Milano Opera, giorno in cui il testo è stato letto e commentato pubblicamente. Gli stessi famigliari di Vito, compreso il figlio tredicenne, hanno manifestato dolore, gioia e orgoglio in merito alla trasformazione che un padre, marito e detenuto può avere. La giornata è stata piena di emozioni forti, pianti e sentimenti che hanno lasciato un segno tangibile nell’anima dei presenti.

Per via dello scalpore suscitato dallo scritto (non esattamente in sintonia con gli obiettivi e con lo stile del Gruppo della Trasgressione), il dott. Aparo ha deciso di raccogliere le considerazioni che componenti del gruppo ed esterni produrranno sul tema. In questo modo esse potranno divenire materia di riflessione e di dialettica e permettere a chi segue il nostro lavoro di farsi un’idea dell’operato del Gruppo.

Il progetto vuole provare a scuotere un’opinione pubblica ancora troppo ancorata al reato in sé e poco propensa all’idea che sia possibile l’evoluzione anche di chi ha commesso gravi crimini.

L’obiettivo primario è quello di comprendere che cosa la società si aspetta da persone che in seguito a un reato si trovano oggi con l’ergastolo o con lunghe pene da scontare; che cosa la Costituzione e le Istituzioni si aspettano da chi ha commesso errori in passato e quali strumenti offrono loro per farlo. Ci si propone, in definitiva, di cercare strade e alleanze utili a far sì che, a fronte della punizione, l’evoluzione del condannato e l’acquisizione di responsabilità verso l’altro non rimangano pura teoria o iniziativa lasciata esclusivamente a chi tale responsabilità ha dimostrato di aver dimenticato o di non avere mai avuto.

Valentina Marasco

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Il Cinque giugno

Egregio direttore, dott. Silvio Di Gregorio,

noi detenuti del gruppo della trasgressione le scriviamo questa missiva per informarla di quello che abbiamo prodotto in queste ultime settimane, tra cui lo scritto di un componente del gruppo e l’evento con i nostri familiari.

Come Lei sa, i componenti del gruppo producono a volte dei testi che vengono letti e commentati nelle riunioni settimanali e poi pubblicati sul sito del gruppo. In questi scritti ognuno può parlare della propria vita e di tutto quello che gli passa per la mente; ovviamente con la serietà che contraddistingue il Gruppo della Trasgressione.

Mercoledì 29 maggio scorso, uno di noi, Cosco Vito, ha portato uno scritto riguardante la sua storia personale, che è stato poi commentato e apprezzato. Lo scritto ha suscitato in noi molte emozioni per la sua drammaticità. Di conseguenza, molti di noi hanno parlato del triste passato personale e della bellezza di sapere oggi che anche noi possiamo avere quella coscienza che avevamo accantonato.

Nell’evento del cinque giugno scorso siamo stati con le nostre famiglie e le abbiamo messe a conoscenza del nostro lavoro, facendoci scoprire delle persone che sanno ammettere le proprie responsabilità e gli errori del passato.

Abbiamo parlato davanti a loro e abbiamo visto i nostri figli e i nostri genitori emozionarsi con noi. Con il risultato che siamo usciti da questo evento molto più ricchi nell’anima e con la speranza di riuscire a coinvolgere più spesso i nostri cari e tutti quelli che vorranno seguirci in questa bellissima avventura.

Per il Gruppo della Trasgressione
Pasquale Trubia e Angelo Aparo

Pasquale Trubia

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La montagna sgretolata

Prima che mi arrestassero avevo già cominciato a sentire la montagna sgretolarsi. Ho iniziato a frequentare questo gruppo con qualche dubbio, che poi col passare delle settimane è andato sciogliendosi e mi sono convinto che mi avrebbe fatto bene. Per questo voglio chiamare la mia esperienza col Gruppo della Trasgressione “la montagna sgretolata”.

Avevamo organizzato per mercoledì 5 giugno questo incontro con i nostri familiari nel carcere di Opera dove siamo detenuti. Lì Vito Cosco ha condiviso con i suoi figli e anche con i nostri parenti quello che aveva detto la settimana prima durante la riunione interna del mercoledì. Ha parlato davanti a tutti della sua bruttissima azione contro la vittima (Lea Garofalo). Ci sono stati molti interventi di noi detenuti e anche dei suoi figli e a un certo punto mi sono girato e ho visto mia moglie e molti dei nostri parenti con le lacrime agli occhi.

Ho ripensato a quel giorno e mi sono detto che con questo gruppo ognuno di noi sta sgretolando quella famosa montagna. E allora le persone interessate devono trovare il sistema per farlo. Molti dei nostri familiari hanno questo interesse e, passo dopo passo, spero che anche altri credano in questo progetto.

Paolo De Luca e Angelo Aparo

Paolo De Luca

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Sul pulsante rosso

“…dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fiori

Lo scorso 5 Giugno noi componenti del Gruppo della Trasgressione, assieme ai nostri famigliari, ci siamo incontrati presso il teatro della C.R. di Opera, come facciamo da tempo una volta l’anno. L’incontro è stato coordianto come al solito dal dr. Angelo Aparo. La giornata, che ha colpito profondamente noi e i nostri famigliari, è partita con una lettera scritta al gruppo da Vito Cosco, detenuto da circa 10 anni in regime di alta sicurezza presso il carcere di Opera.

Il testo della lettera ha suscitato in noi una grande emozione. Nel corso di questi anni di reclusione il percorso di Vito è stato molto travagliato, ma da circa un anno ha cominciato a dialogare con la propria coscienza, intraprendendo un cammino che ai nostri occhi, ma credo anche a quelli degli altri componenti del gruppo, appare sincero e profondo.

Non sappiamo come Vito sia arrivato a commettere un crimine così grave. La portata del delitto è tale che nessuna analisi riesce a spiegare la cosa. E però sembra che oggi la sua coscienza abbia finalmente preso una svolta significativa.

L’obiettivo del carcere dovrebbe essere quello di rieducare la persona che ha sbagliato e che, giustamente, è stata privata della libertà. È importantissimo che la Legge dia alla persona condannata, oltre alla punizione, una speranza e non un “Fine pena mai”. Chiunque, pur essendo detenuto, rimane un essere umano e, in quanto tale, deve potere avere la possibilità di evolversi. Diversamente, a cosa servirebbe la pena?

Vito vorrebbe pigiare quel “pulsante rosso” per poter tornare indietro, ma nessuno ha il potere di cambiare il passato. Certamente da questa lezione ha imparato e abbiamo imparato anche noi quanto sia importante poter dare una carezza a un figlio e qualche volta riceverla. In questo modo diventa più facile acquisire man mano la consapevolezza del male fatto e dei tanti ostacoli da superare per potere raggiungere la pace con se stessi e con il mondo, dopo il dolore inflitto a entrambi.

Vincenzo Solli, Sebastiano Giglia e Angelo Aparo

Vincenzo Solli, Sebastiano Giglia

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Restituzioni

Mi chiamo Giovan Battista Della Chiave, faccio parte del Gruppo della Trasgressione.

Mercoledì 05/06/2019 al teatro della C. R. di Milano Opera, il Gruppo della Trasgressione si è riunito con i familiari dei detenuti. Si tratta di una sorta di festa che viene fatta una volta all’anno per dare la possibilità alle famiglie di capire cosa avviene all’interno del gruppo negli incontri settimanali.

Come al solito, ad aprire la giornata è stato il Dott. Angelo Aparo, psicologo e moderatore del gruppo. L’incontro in teatro è partito con la lettura di uno scritto che Vito Cosco (da circa nove anni in carcere e da quasi un anno componente del Gruppo della Trasgressione) aveva presentato alla nostra riunione del mercoledì la settimana prima dell’incontro con i familiari.

Mentre Vito leggeva il suo scritto pubblicamente, erano presenti anche i suoi familiari: la moglie, il figlio di tredici anni e la figlia di venti. Lo scritto è molto forte, Vito ha cercato di mettersi a nudo e lo ha fatto davanti ai suoi figli, uno dei quali, stando a quanto diceva la madre, non sapeva nulla circa il motivo per il quale il padre si trova in carcere.

Conclusa la lettura, il Dott. Aparo ha chiamato molti dei detenuti e anche i familiari a commentare lo scritto e a esprimere le proprie impressioni. Ne è nato un bel dibattito al quale tutti hanno partecipato con interesse. Subito dopo il dott. Aparo ha chiamato il figlio tredicenne di Vito, chiedendogli di leggere un commento di Elisabetta Cipolloni. Il ragazzo con difficoltà ha letto il commento, ma l’emozione era alle stelle, tanto che alla domanda che gli è stata fatta: “ma tu sei orgoglioso oggi di tuo padre?” è scoppiato a piangere. Un pianto, credo, liberatorio del piccolo che certamente sapeva, ma che finalmente aveva udito dalla voce del padre il motivo per il quale lui si trova in carcere.

Ecco, la giornata è stata piena di emozioni rare, emozioni che fanno crollare tutte le barriere che molti di noi si costruiscono, una giornata dove Vito si è confrontato con molte persone a lui estranee e dove anche altri detenuti si sono sforzati di entrare nei panni di Vito.

Ecco cosa avviene quando la persona detenuta, anche se in regime di ostatività, trova il coraggio, la capacità, gli strumenti per mettersi in gioco. Nel nostro caso, lo strumento è un gruppo che, come dice il dott. Aparo, ha come principale obiettivo l’evoluzione dell’uomo. Vito, come tanti altri che frequentano il gruppo, è riuscito a tirare fuori, o meglio, a riportare alla luce delle diapositive archiviate e segregate in una parte remota del suo e del nostro cervello. Con il lavoro di gruppo al servizio dell’introspezione dentro ognuno di noi si possono ottenere risultati significativi e restituire alla società persone migliori.

Ecco, credo che Vito, dopo tanti anni, stia cercando proprio questo: sta cercando qualcuno che lo ascolti; lui con il suo scritto non sta chiedendo la grazia, ma sta cercando di rianimare l’uomo che è in lui. È chiaro che per crescere non si può e non si deve dimenticare il passato.

L’immenso lavoro che svolgono alcune persone volontarie nel fare evolvere l’uomo non è altro che quello che dice l’art. 27 O.P. *, ma che purtroppo viene realizzato solo in pochissimi penitenziari italiani. Quindi credo che in quel giorno 05/06/2019 sia stato fatto un enorme passo avanti da parte di Vito e che sia stato restituito un padre a un figlio.

° Art.27
Attività culturali, ricreative e sportive
Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo. Una commissione composta dal direttore dell’istituto, dagli educatori e dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di cui al precedente comma, anche mantenendo contatti con il mondo esterno utili al reinserimento sociale.

Giovan Battista Della Chiave e Angelo Aparo


Giovan Battista Della Chiave

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Un fardello con cui lavorare

Un fardello con cui lavorare
Roberto Canavò

 
Mi sono sentito veramente colpevole
quando ho trovato chi mi ha fatto capire
che anche io ero stato vittima

Pasquetta 2019, Piazza del Duomo Milano,
Lidia Brischetto al clarinetto: Only you

Ognuno di noi possiede una sorgente di purezza dal valore inestimabile. Quando, per varie ragioni, tra cui l’ignoranza, l’insicurezza e la mancanza di una guida, non riesci ad attingervi, cadi nell’oscurità, poiché la mente ti inganna, lasciando terreno fertile alla profondità del male.

Nel mio caso, quando commettevo atti indegni e irreparabili, avvertivo prima, durante e dopo, quel campanellino d’allarme di cui è dotata la coscienza, ma nello stesso tempo, cercavo di attutirne il suono attraverso la pseudo gratificazione che mi trasmetteva il mio gruppo di appartenenza. Spesso, guardandomi allo specchio, non mi riconoscevo nell’immagine che vedevo, eppure ero io a commettere i reati che portavo a termine con la massima determinazione. Dopo avere a lungo riflettuto sul mio passato, credo semplicemente che, quando commettevo reati, non concedevo alla mia coscienza l’opportunità di consigliarmi.

Il mio arresto, che poi è stato il male minore, visto che altrimenti sarei stato ucciso, mi ha condotto, dopo un decennio di tentennamenti, ad ascoltare finalmente la mia coscienza, che altro non è che quella fonte di purezza insita in ognuno di noi. Dal profondo ho fatto emergere pian piano la mia vera identità, quella che oggi mi sta permettendo di trasformare l’uomo che ero (libero col corpo, ma prigioniero di mente) in un uomo diversamente libero; oggi posso dire di aver conquistato la libertà mentale, pur essendo prigioniero o, come è più corretto dire, detenuto.

Il mio cammino è stato favorito anche dalla Direzione dell’Istituto di Opera (MI), che mi ha dato l’opportunità di partecipare al Progetto Sicomoro, una esperienza forte basata su incontri settimanali tra parenti delle vittime di mafia e i loro carnefici. Durante gli incontri ho avuto più volte la sensazione di non essere all’altezza di quei confronti, di non essere stato attento quanto avrei dovuto con le vittime. Tuttavia, dopo il primo incontro, il più importante, il più emozionante, non conoscendo l’effetto di ciò che avrebbe sortito psicologicamente in ognuno di noi, vittime e carnefici, ho iniziato, pian piano, a prendere contatto con realtà che mai avrei pensato di poter capire o di vivere così positivamente. In quella realtà ho sentito il bisogno di esternare cose molto riservate che difficilmente avrei detto in un contesto diverso. Ho sentito e vissuto, attimo dopo attimo durante gli incontri, i dolori, le paure, la rabbia, la voglia di giustizia, ma soprattutto la necessità delle vittime di capire le ragioni e le “motivazioni” per le quali “gente” come me aveva potuto commettere fatti gravissimi come uccidere. Attraverso i loro racconti, le loro fragilità emotive, mi sono reso conto di quanto dolore ho provocato ai familiari, agli amici, ai passanti, all’intera società e a me stesso, e di quanta fragilità avevo io, nascosta da scelte scellerate, dominante dal delirio di onnipotenza.

Sì, sono colpevole d’avere sgretolato il vero senso della vita, sono altresì consapevole, una volta riemerso dalle macerie causate dalle mie nefandezze, che la mia vita ha ancora ragione di esistere e di essere messa al servizio di azioni giuste. Oggi, grazie alle possibilità che mi ha concesso l’Istituto di Opera, ho l’onore di andare nelle scuole dove porto la mia negativa esperienza di vita affinché i giovani comprendano il più possibile come si può giungere al punto dove sono arrivato io e i danni che ne derivano per tutti. Faccio questo nella consapevolezza che nessuno può cancellare il mio passato, un fardello che, insieme al mio gruppo, cerco di trasformare giorno per giorno in strumento utile alla prevenzione della devianza in generale.

Purtroppo le scelte che si fanno quando si è adolescenti sono figlie di altre scelte, il cui senso rimane difficile comprendere fino a quando non si instaura un rapporto d’ascolto con il nostro Io. Le scelte sono sempre dettate dagli stati d’animo e gli stati d’animo sono, senza che ce ne rendiamo conto, il terreno in cui si definisce la direzione della nostra vita. Una volta presa consapevolezza di ciò, si può superare quella piattaforma costruita da stati d’animo fragili per cominciare a costruirne una più solida, basata su scelte maturate attraverso lo scambio con gli altri e il contatto con noi stessi. Per questo credo oggi che l’ascolto, il dialogo, soprattutto tra genitori e figli, sono importantissimi, sono la base per un continuato d’identità e per una buona relazione con la società. Le giustificazioni, gli alibi, per andare contro le leggi e la morale, sono solo delle scorciatoie che arrecano dolore a se stessi e agli altri.

Queste cose mi sono state impresse nella mente da persone degne di valore e da veri rappresentanti della legalità. Oggi, con orgoglio, le faccio mie perché ne sono intimamente convinto. Contribuire alla rinascita e alla evoluzione di chi ha deviato è, dal mio punto di vista, un valore inestimabile. L’essere stato riconosciuto dalla società mi ha permesso di acquisire quell’autostima necessaria per mantenermi in equilibrio nei consensi e nei dissensi e per comunicare con gli altri.

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Tornai a casa

Tornai a casa
Giovan Battista della Chiave

Tornai a casa,
trovai mio padre.
Il suo sguardo domandava,
io risposi che non era giornata,
di lasciarmi perdere,
ma insisteva,
mi diceva di fare qualcosa.
Io chiudevo la porta alle mie spalle,
non ascoltavo e non mi ascoltavo.
Giravo l’angolo e al primo pusher
comperavo la mia dose.
Lui era anche spiritoso e mi gridava:
la uno, la due o la tre?
Prendevo la prima e scappavo via.

Tornai a casa e
ad aspettarmi c’era mio padre,
mi guardava con la tristezza di un padre.
Il mio sguardo non riusciva a incrociare il suo,
mi allungò una carezza,
per un attimo mi scaldò il cuore
mi lavò la mente,
l’unica cosa che riuscii a chiedere
furono dieci euro.
Poi la fuga, il solito tran tran,
giravo per le vie, i locali,
ma niente, nessuna pace.
Volevo uscire,
scappare dal mio girovagare
non ho trovato la forza.

Tornai a casa
non trovai nessuno ad aspettare
il divano era vuoto e
sul tavolo un biglietto:
siamo in ospedale,
papà sta male.
Con calma mi sedetti al tavolo,
misi la mano nella tasca
e consumai l’ultima busta.
Poi mi recai in ospedale,
ma ormai era tardi
il pendolo aveva battuto la fine.

Tornai a casa e
non c’era più nessuno,
nessuno che mi potesse aspettare.

La lotta con il Leviatano

La lotta con il Leviatano
Alessandro Crisafulli

Non c’è dubbio: l’uomo ha la tendenza al tradimento. Spesso lo attua per negligenza, superficialità o perché assillato da incombenze che gli sottraggono tempo ed energie da destinare, ad esempio, al proprio figlio; altre volte tradisce inconsciamente, adottando un comportamento che ha origine dal tradimento che a sua volta ha subìto. Ma c’è anche chi tradisce colpevolmente, con spirito vendicativo, nella convinzione che è arrivato il momento di far provare agli altri le sofferenze che ha patito. Come dice il dott. Angelo Aparo, “In ogni criminale c’è un bambino tradito che desidera proiettare sugli altri il proprio dolore”.

Poiché quasi sempre il tradimento è stato perpetrato da persone dalle quali ci aspettavamo amore, protezione e considerazione, tornare a fidarsi è un’impresa titanica. Ritengo, infatti, che finché non si instaura un rapporto sempre più intimo e profondo con la propria coscienza, quella sorgente luminosa che in assenza di grossi traumi ci infonde la saggezza per discernere il bene dal male, sia impossibile liberarsi dell’impronta originaria del tradimento. Se si desidera trasformare i tradimenti, bisogna farsi coraggio e aprire le porte che da troppo tempo teniamo sigillate. I traumi dell’infanzia causano cicatrici indelebili che contribuiscono alla creazione di una personalità malata, incapace di affrontare le sfide della vita tenendo conto dei limiti necessari alla convivenza civile.

Non c’è bisogno di una laurea in psicologia per comprendere che tutto ciò che ci ha fatto soffrire e che non siamo stati capaci di elaborare, non è magicamente scomparso solo perché abbiamo fatto finta di nulla; quei dolorosi pezzi di vita violati sono finiti nell’inconscio, quel mondo sotterraneo e pericoloso che sembra abbia vita propria. L’inconscio è come una polveriera, basta un evento per innescare una reazione a catena in grado di provocare danni enormi.

Dopo molti anni di introspezione, ho imparato ad ascoltare il mio dolore; qualche volta, in un atteggiamento quasi masochistico, sono arrivato a crogiolarmi nella sofferenza provocata dai ricordi della mia infanzia, nella convinzione che questa fosse la maniera per depotenziare la carica negativa che è insita in ogni tradimento. Infatti, penso che solo dialogando con il male si possa trovare la chiave per rinnovarsi, ma per farlo occorre uscire dalla spirale distruttiva che il tradimento inevitabilmente porta con sé. Come affrontare, allora, questo Leviatano che ci impedisce di vivere in armonia con noi stessi e che quotidianamente esige che gli sacrifichiamo nuove vittime?

Come dice Jung: “Non ci si illumina immaginando figure di luce ma dialogando con le tenebre”. Tanto per iniziare, occorre divenirne consapevoli. Naturalmente non ci sono formule alle quali rifarci: ognuno deve seguire la strada che gli viene indicata dalla propria voce interiore. Personalmente, dopo aver rovistato per anni in solitaria tra le macerie del mio passato, mi sono reso conto che da solo non ce l’avrei fatta a superare i miei traumi: da soli si muore dentro. Pertanto ho iniziato a cercare alleati con i quali potevo condividere il mio fardello e, contemporaneamente, ascoltare le loro storie, perché è soprattutto grazie alle relazioni con gli altri che si può fare luce su episodi della nostra vita che, a causa della sofferenza che ci hanno procurato, vengono seppelliti nell’inconscio.

Avendo deciso di smettere di vivere con superficialità, ho incontrato molte persone disposte a questo salutare scambio. Sono certo, però, che  i primi  risultati  importanti  che ho raggiunto sono stati possibili grazie al profondo supporto che molti anni fa ho ricevuto da due psicologi, la dott.ssa Pasci e il dott. Giacci, i quali mi hanno tenuto per mano in questo necessario percorso a ritroso infondendomi il coraggio che mi ha permesso di rintracciare le origini del tradimento che ho subìto da mio padre, il quale non solo non voleva che nascessi ma è arrivato al punto di non rivolgermi, sostanzialmente, la parola finché non sono diventato un criminale…come voleva lui… Non è un tradimento questo?!

Ho portato questo enorme macigno per una vita; il peso era così reale che sino a una decina di anni fa avevo un blocco al plesso solare. Naturalmente a quei tempi non ne ancora ero consapevole; tale disvelamento, come ho detto, non sarebbe stato possibile senza il lavoro, durato un anno e mezzo, fatto assieme agli psicologi, ai quali sarò per sempre grato. Solo successivamente sono stato in grado di mettere a fuoco anche i molti tradimenti da me commessi ai danni di un’infinità di persone alle quali ho tolto la gioia di vivere.

Ritengo che solo bonificando il tradimento una persona possa reinserirsi, come cittadino, nella società. Tentare di rielaborare il passato cercando di comprendere e, soprattutto, accettare i propri sentimenti e pensieri dell’epoca, è certamente un’impresa ardua, ma il sacrificio ne vale assolutamente la pena poiché in palio c’è la prospettiva di vivere un’esistenza all’insegna della costruzione e del piacere costante che da essa deriva.

Ma la svolta decisiva è certamente avvenuta nove anni fa, quando ho incontrato sulla mia strada quello che definisco il mio gruppo di appartenenza: il Gruppo della Trasgressione, il quale oggi per me rappresenta un’oasi di tranquillità in un deserto di incertezza. In questo gruppo mi sento libero di aprirmi completamente e, grazie al continuo stimolo dei miei compagni e, in particolare, del dott. Aparo, ho rintracciato vicende del mio passato che giacevano nei recessi più bui dell’inconscio. In questo gruppo ho maturato la consapevolezza che la perfezione non fa parte dell’uomo; anzi, è proprio grazie all’imperfezione che abbiamo la possibilità di crescere ed evolverci, perché accettandola ci predisponiamo ad includere nella mente le diversità che rendono ricco e variegato il nostro viaggio esistenziale.

Oggi sono cosciente che l’infanzia mi è stata negata; per sopravvivere a ciò mi sono costruito una prigione nella quale mi sono illuso di essere protetto: in realtà, ho solo seppellito le mie emozioni. Ma da quando ho deciso di riprendermi la mia vita, tutti i sentimenti che ho negato sono tornati in superfice, esigendo l’attenzione che non è stata loro dedicata a suo tempo. Continuare a negare questi bisogni sarebbe folle, perché perderei l’opportunità di continuare il cammino evolutivo che è alla base dell’esistenza e da cui scaturisce quella meravigliosa sensazione che mi fa sentire in armonia con tutto quello che mi circonda.

Io non sono padre, ma ritengo che questo cammino possa aiutare chi lo è a spezzare definitivamente la catena familiare, quella coazione a ripetere che ti zavorra e che inconsciamente ti porta a trasmettere ai figli i tradimenti subìti e i peccati commessi.

Sull’Autorità con gli scout

Incontro sull’Autorità -3 marzo 2018

  1. L’autorità fra potere e funzione
  2. Le attese: cosa ci si attende dall’autorità, cosa l’autorità si attende dalle persone che rappresenta e per le quali è in carica?
  3. Considerazioni e iniziative utili a evidenziare come si combinano potere e funzione nell’esercizio del ruolo.

Link di approfondimento:

Le immagini mi richiamano quello che per me è uno dei tratti centrali dell’Autorità. Grazie a Sofia, dunque, per avermi concesso di servire per qualche minuto la sua Autorità prediletta.