Gioco e Realtà

Corso Croce Rossa, 2° Edizione, 3° giornata
Angelo Aparo

Sembra che Vittorio Fioravanti, Gemma Ristori e Noemi Ottaviani stiano giocando e forse stanno proprio giocando. Il problema serio è che non abbiamo ancora capito se, ed eventualmente come, sia possibile passare dallo status di protagonista di reati e di degrado personale a quello di comprimario di progetti compatibili con la collettività. Forse occorrono delle cellule staminali che possano ricostruire l’intelaiatura morale ed emotiva del soggetto. In ogni caso, a me sembra proprio che bisogna tornare all’età in cui si giocava ad dottore e all’infermiera.

Per questa ragione le proviamo tutte. Donald Winnicott, un autore al quale devo buona parte degli occhiali con cui mi guardo attorno,  non ha mica scritto per niente il suo “Gioco e realtà“!

Un sentitissimo grazie alla Croce Rossa, al dott. Vittorio Fioravanti e a tutto il Rotary Duomo per essersi fatti alleati di questo progetto, in collaborazione col P.R.A.P. della Lombardia e col Gruppo della Trasgressione.

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Caro fratello

Caro fratello
Noemi Ottaviani

ti scrivo perché da un po’ tempo mi sta succedendo una cosa strana: sento il bisogno di condividere la mia vita con la mamma! Tu sai perfettamente quali sono stati in passato i miei sentimenti verso di lei e sai quanto abbia sofferto la sua assenza e la sua distanza.

Spesso ripenso a quando eravamo bambini, all’Orfea, la nostra baby sitter, ricordo che quando tornava nostra madre a casa io, invece di salutarla, correvo ad abbracciare e a dare il bacio della buona notte all’Orfea e, guardandola che se ne andava, mi si riempiva il cuore di tristezza perché io avrei voluto che lei mi rimboccasse le coperte quando era ora di andare a dormire.

Ricordo le ore che passavo da adolescente attaccata alla finestra alle 9 di sera, guardando fuori, nel buio della notte d’inverno e nel profondo della nebbia della pianura, aspettando di vedere la macchina della mamma che tornava da lavoro, qualche volta la vedevo, altre, le più numerose, non la vedevo tornare perché ad un certo punto mi arrendevo e andavo a dormire. Ricordo i tanti pensieri che mi passavano per la testa: perché torna così tardi? Perché non torna a ora di cena per stare con noi? Chissà se la mamma ha un altro uomo! Come mai non è ancora arrivata, avrà avuto un incidente? Ricordo come fosse oggi il vuoto che mi pesava sul petto e quella sensazione che mi faceva sentire così poco importante per una donna che per me avrebbe dovuto essere la Mia Mamma.

Ricordo quando lei e il papà litigavano, urlando da una stanza all’altra per ore, tutte le poche ore che la mamma passava a casa. Il sabato e la domenica erano due giorni di urla e insulti, io più di una volta ho scritto un bigliettino che recitava: “smettetela di litigare per favore!”, e la risposta puntualmente era: “noi non litighiamo, discutiamo. La mamma e il papà si stanno solo confrontando su alcune cose. E’ il nostro modo di parlare”, e allora io, non esattamente convinta della loro risposta, me ne andavo, fiera di averli fatti smettere per cinque minuti e triste per la breve durata di quegli stessi cinque minuti.

Ricordo tante cose poco felici e che mi hanno fatto crescere con un senso di odio nei confronti di quella donna che avrebbe dovuto essere la Mia Mamma, ricordo i suoi tentativi di separazione e la sofferenza che ci ha fatto vivere, potrei andare avanti ore a elencare cose di questo tipo, ma non ti sto scrivendo per questo.

Ti sto scrivendo perché in questi giorni al gruppo abbiamo parlato di cosa dovrebbero fare i figli per diventare adulti pur avendo pessimi rapporti con i propri genitori. Il Dott. Aparo, che per me è come un secondo padre e spesso mi rattristo pensando a te che non hai nella tua vita una persona come lui, ci ha parlato di bonifica dei genitori, cosa vuol dire?

Ognuno di noi nasce figlio di genitori incompleti e imperfetti e questo può far si che la vita dei loro figli venga segnata profondamente da queste loro imperfezioni. Per questo motivo ogni figlio ha il compito di bonificare il ruolo dei propri genitori perché è un’illusione che le persone di 30 o 40 anni possano diventare uomini veri senza un padre e una madre interiorizzati. Per diventare un adulto capace abbiamo bisogno di interiorizzare una figura che sia credibile, dobbiamo riuscire a far diventare l’immagine dei nostri genitori un’immagine positiva. Fino a quando conserviamo rabbia e rancore nei loro confronti non possiamo diventare persone adulte e quindi dobbiamo bonificare la loro figura. Dobbiamo rintracciare quello che di buono hanno fatto per usare questi ricordi come piccoli semi per far crescere dentro di noi un’immagine sufficientemente positiva di mamma e papà. Diversamente siamo condannati a replicare l’immagine distruttiva che abbiamo interiorizzato.

Io credo di essere sulla buona strada, perché, oltre ai ricordi di cui ti ho scritto sopra, sempre più spesso ricordo di quando la mamma nel periodo natalizio mi portava in tutte le chiese della città a vedere i presepi, insieme vivevamo quella magica atmosfera del Natale e dopo un intero pomeriggio di camminate mi portava a fare merenda in un bar dove bevevamo un thè caldo e mangiavamo un toast. Che buono quel toast in quel bar! Non sono mai più riuscita a ritrovare il gusto di quelle semplici fette di pane tostate da nessuna parte.

Ricordo di quando ci portava a comprare le scarpe e dopo ci comprava il gelato in Piazza Garibaldi, al Master Cream, la gelateria migliore di tutta Mantova, e poi ci sedevamo sulle panchine del parco contenti delle nuove scarpe e ancora di più, del fantastico gelato che avevamo tra le mani.

Ricordo di quando la domenica mattina prima di andare a pranzo dalla nonna mi faceva la doccia e con una rara dolcezza, o forse una dolcezza da me immaginata, mi metteva lo shampoo nel capelli e mi diceva di guardare gli uccellini sul soffitto in modo che non mi andasse il sapone negli occhi.

Ricordo quando passavamo le serate a fare assieme i puzzle di 5000 pezzi facendo a gara a chi riusciva ad incastrarne di più.

Ricordo quando la domenica mattina ascoltava le canzoni di De Andrè e di Gaber mentre preparava da mangiare e noi insieme sul divano giocavamo e puntualmente finivamo col picchiarci, ma va beh… noi eravamo bambini!

Da un po’ di tempo dedico i miei pensieri a questi ricordi e da un po’ di tempo ho voglia di telefonarle per raccontarle le cose belle o meno belle che mi stanno succedendo!

Con affetto,
tua sorella.

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La scala dentro

La scala dentro
Sofia Lorefice

Un luogo dove scappare e ritrovarsi questo era per noi quella casa. Ha detto Carmelo al telefono.

E ora come facciamo? gli chiedo io. Ce la portiamo dentro. risponde mio fratello.

Sì ma non è facile, non lo è per noi, figurati per lui che se la è costruita e che lì dentro ha costruito la sua vita.

Mio padre è un architetto e sa costruire. Quella casa se l’è costruita per davvero. Non solo nella fantasia ma anche nei disegni, nei calcoli, nei mattoni, nelle piastrelle che mia madre gli ha fatto cambiare 16 volte per via delle fughe che a lei sembravano storte. Se l’è costruita con le finestre grandi, le pareti un po’ tonde e un po’ squadrate che escono dal volume delle stanze. Se l’è costruita con le terrazze, con il camino affusolato e con la scala a chiocciola dentro al centro della casa.

Quella scala era la parte più resistente sulla quale si reggeva tutto il resto. Bambini in caso di terremoto andate sotto alla scala, ogni tanto ce lo ricordava: Sotto la casa c’è l’argilla ma quella scala non crollerà né ora né mai, la ho fatta io.

Noi siamo cresciuti sostenendoci a quella scala. Ci abbiamo ballato intorno la sera quando rientravamo a casa con lui. E mamma non c’era. E lui accendeva la musica a palla e ballava per scacciare la nostalgia. Abbiamo sempre saputo che sotto c’era l’argilla ma sapevamo anche che quella scala teneva tutto e non sarebbe crollata. Perché? Perché la aveva costruita lui!

Dentro di me e di mio fratello e forse anche dentro a quella Nica c’è una scala a chiocciola costruita sull’argilla. È una scala che porta la firma di mio padre: la sua risata, la sua fatica, la sua forza, i suoi pensieri, la sua fantasia e l’allegria.

È una scala di marmo senza spigoli e con i buchi sul muro all’altezza di ogni scalino per non smettere di guardare il mare neanche mentre si sta salendo. È una scala dalle pareti bianche, più volte imbiancate perché tutti e tre noi figli, ciascuno a suo tempo, non ci siamo risparmiati la soddisfazione di disegnarci sopra con le matite colorate.

Dentro alla casa, nel suo cuore, ci sta quella scala che mio padre ha costruito perché sostenesse tutto il resto. L’ha fatta a prova di terremoto e di qualsiasi altra scossa. Fino ad ora aveva retto ed è difficile pensare che da una settimana esatta quella scala non sia più lì per noi. È faticoso convincersi di poterne fare a meno. E ora come facciamo? Proveremo a portarcela dentro.

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Purgatorio

Una pena per chi è punito, un dolore per chi la commina
Nuccia Pessina

Giovedì scorso, nel corso dell’incontro fra il Gruppo della Trasgressione e l’Istituto Verri di Busto Arsizio,  ho sentito Jin Lai paragonare il carcere a un luogo di transito che può dare l’opportunità sia all’individuo sia alla società di riflettere sulle proprie imperfezioni e di giungere a una mediazione che possa costituire per entrambi una crescita. E allora non ho potuto fare a meno di pensare che anche nella Commedia dantesca esiste un luogo di transito in cui provare pena e riflettere per arrivare all’emancipazione: il Purgatorio. Il percorso è faticoso: prevede la scalata di una montagna; è lungo: ogni balza conquistata testimonia il superamento di un comportamento fallace, di una convinzione sbagliata, di un’inclinazione discutibile. La meta è il Paradiso: la felicità assoluta.

Le parole di un cinese sono a loro modo espressione dello stesso convincimento della religione cattolica, di cui la Commedia è un potente riflesso. Come è possibile? Forse, se questo accade, è perché in ogni parte del globo, qualsiasi sia la cultura, l’essere umano percepisce la sua esistenza come un transito e vede come meta la felicità.

Tale transito, diversamente dal carcere, è obbligatorio per tutti. Ma questa non è l’unica differenza: chi è in carcere ha una meta macroscopicamente riconoscibile, un riferimento certo, la fine della detenzione; chi vive da libero il riferimento lo deve cercare, individuare, costruire e, prima ancora, deve avvertirne la necessità in sé e per sé. Ma forse questa meta, non è solo una necessità e non solo un dovere, forse si tratta di un privilegio al quale per varie ragioni non tutti giungono.

Da ciò che ho sentito dire, molti detenuti non ci sono riusciti. Poiché le imperfezioni degli esseri viventi e delle relazioni da questi poste in atto sono molteplici e variegate e assumono le forme più diverse e spesso non sono né prevedibili né controllabili, le spinte regressive hanno avuto il sopravvento e si sono generati comportamenti deleteri.

Dunque è mancato qualcosa. O si sono imposte presenze non sopportabili. Quali le mancanze all’origine del percorso deviante? Sicuramente la mancanza di una guida autorevole. Un genitore, un insegnante, un allenatore, un prete, qualcuno che si accorge che esisti e che sei tu, proprio tu, diverso dagli altri; qualcuno che presta attenzione a te, proprio a te; qualcuno che dimostra di conoscerti e che ti dà il consiglio giusto, adatto a te. Altre mancanze poi possono segnare la strada: la mancanza d’amore, la mancanza di senso.

Le mancanze sono anelli che si congiungono e formano una catena che imprigiona la libertà morale dell’individuo, soprattutto se tra di essi manca l’anello della punizione. Non una punizione qualsiasi e a qualunque costo. La punizione giusta, adeguata allo sbaglio, comminata al momento giusto e da una persona amata. Una punizione che sia pena, che porti dentro di sé il concetto del risarcimento e del dolore provato da chi la subisce ma anche da chi la commina.

Solo da una punizione così scaturisce il senso morale, il concetto di giusto e sbagliato, il maggior avvicinamento possibile tra legge e giustizia, insomma l’introiezione della giustificazione della pena a garanzia del rispetto del diritto. Se questo non accade la sofferenza dilaga e nella percezione del soggetto diventa legittimazione ai suoi abusi e quasi viatico per il suo percorso deviante.

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L’autorità: le nostre domande

Buccinasco: le domande dei ragazzi sul tema dell’autorità

  • Quali richieste legittime può farmi un’autorità?
  • Quando il limite imposto è un argine necessario?
  • Quando è uno sbarramento alle mie possibilità di crescita?
  • Quando è necessaria una punizione?
  • Cosa distingue una punizione da una vendetta?
  • Quanto è importante essere imitabile per una guida che vuole essere credibile?
  • Quanto una guida deve essere vicina a colui che vuole guidare?
  • Quale importanza positiva e negativa può avere il complesso di inferiorità rispetto alla guida?
  • Che ruolo ha l’affettività nel rapporto con una guida?
  • Chi limita l’autorità?
  • Qual è il rapporto tra l’autorità e il limite?
  • La trasgressione è un atto di accusa contro l’autorità?
  • Come faccio a diventare adulto e guida credibile se non ho avuto una guida che mi mostrasse il percorso da seguire?
  • La mancanza o incapacità dell’autorità può giustificare la trasgressione?
  • Qual è il confine tra la responsabilità del singolo e di ciò che gli sta intorno?

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Il rapporto con l’autorità, elaborati

Buccinasco: 2017 – Gli elaborati degli allievi dell’Istituto “Via Aldo Moro”
relativi agli incontri sul tema della Trasgressione

Gli allievi della 3° C

 

Gli allievi della 3°

 

Gli allievi della 3°

 

Gli allievi della 3°

 

Gli allievi della 3° G

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Le parole sono pietre o fiori

Al Gruppo della Trasgressione ognuno può parlare. Le parole a volte sono pietre, altre fiori, comunque producono un effetto e bisogna tenerne conto. A volte vengono dette parole emblematiche, vengono pronunciati interventi paradigmatici, vengono proposte testimonianze di un’interiorità che si svela e che non vuole essere profanata.

Chi riceve una fragilità di solito la protegge. Proteggere dà una bella sensazione, dà forza, gratifica. Ogni volta che questo accade si crea un legame fra chi rivela se stesso e chi ascolta. Ma tutto ciò non mette al riparo da possibili fraintendimenti; non è detto che tale legame non venga vissuto come un giogo e non è detto che in tutti sia presente la capacità e la voglia di comprendere e accudire ciò che gli altri dicono.

Le parole non hanno sempre la stessa valenza per chi ascolta, molto dipende da chi le pronuncia e dal ruolo che ha. Un insegnante, per esempio, non si può permettere leggerezze; ciò che dice sedimenta nelle coscienze degli allievi e diviene potenzialmente lievito. E’ così anche nel rapporto fra genitori e figli.

Di certo una guida quando parla deve scegliere con cura le parole perché le parole di una guida hanno un peso diverso; in generale le parole hanno un peso maggiore quando chi ascolta è in una condizione di bisogno. Alle volte ci si sente incompresi, poco accuditi, traditi. La condizione di bisogno rende vulnerabili.

Per la guida, quando parla e quando ascolta, l’onestà è necessaria. La guida può sbagliare ma non può essere in malafede, deve essere sincera, pur se non sempre è in grado di trovare risposte alle domande. E comunque ci sono domande che forse sono destinate a rimanere senza risposta.

Trasgressioni e conquiste

Trasgressioni e conquiste, Buccinasco 02-02-2016, Gemma Ristori

L’incontro di martedì 1° Marzo nella scuola media di Buccinasco ha un antefatto. Ore 8:40, casa del dott. Aparo, tre ragazze ancora assonnate, subito dopo il buongiorno, vengono colte di sorpresa da domande del tipo:
Prof: quando è stata scoperta l’America?
Noi: 1492
Prof: e.. quando è stato scritto l’infinito?
Noi: Ah, boh!
Prof: Beh, cercatelo!

E così, passando dal salotto di casa Aparo al viaggio in macchina, cominciamo a prendere appunti su alcuni passi cruciali della storia dell’uomo. Arrivati a scuola, ci viene svelato il piano: lo scopo della giornata è effettuare una ricerca sul rapporto con il limite di studenti e detenuti. Come per ogni ricerca che si rispetti vengono dichiarate le fasi e le modalità che la caratterizzano:

  1. Esposizione di alcuni passaggi significativi nella storia dell’uomo;
  2. Collaborazione attiva fra studenti della scuola che ci ospita e detenuti e studenti universitari del gruppo;
  3. Esplorazione dei sentimenti verso la trasgressione, la conquista, lo sconfinamento nella mitologia e nella letteratura;
  4. Confronto fra le emozioni più comuni fra studenti e detenuti;
  5. Eventuali correlazioni tra atteggiamenti verso il limite e stile del rapporto con l’autorità.

Inizia l’incontro e il dott. Aparo fa accomodare sul palco studenti e detenuti del Gruppo della Trasgressione insieme ad alcuni studenti della scuola. Siamo nella prima fase e la domanda che apre le danze è: “Cosa vi viene in mente in relazione al superamento del limite nella storia o nella mitologia?”, poi richiama, a mo’ di esempio, la mela di Adamo ed Eva e chiede cosa suggerisce.

A questa sollecitazione risponde Matteo, un metro e 50 di curiosità e dolcezza condita da un pizzico di timidezza; il suo intervento è integrato da quello di Roberto Cannavò, che sottolinea come Adamo ed Eva caddero in tentazione perché ottenebrati dal desiderio di diventare come Dio.

Il dott. Aparo si rivolge nuovamente ai piccoli e ai meno piccoli presenti sul palco, chiedendo altri esempi di superamento del limite. E’ ancora Matteo a intervenire citando il viaggio di Ulisse oltre le colonne di Ercole, limite estremo del mondo conosciuto. Il prof., dopo aver sottolineato la pertinenza dell’esempio, ricorda che anche Dante Alighieri nella Divina Commedia cita il viaggio di Ulisse in relazione al desiderio insaziabile di conoscenza, ma condanna l’eroe in relazione all’arroganza con cui amministra tale desiderio.

E così, la ricerca condotta da studenti e Gruppo della Trasgressione assume sempre più le forme di un viaggio spinto dal vento della curiosità, un itinerario che coinvolge mitologia, letteratura, arte, scienza e storia, la cui mappa viene tracciata grazie al contributo di persone con età e vissuti molto distanti tra loro.

Viene citato dal Dott. Aparo il mito di Prometeo, che rubò il fuoco (strumento di conoscenza ed emancipazione) a Zeus per permettere agli uomini di avere la luce; Manuela, un metro e trenta di tenerezza e curiosità, ricorda come tappa importante nel cammino dell’umanità i primi voli in aereo e illustra, su sollecitazione del Prof, il mito di Icaro. Alberto Marcheselli sottolinea come inizialmente Icaro usi le ali di cera per emanciparsi, per fuggire dal labirinto di Dedalo, ma poi, preso dall’ebbrezza del volo, si spinge sempre più vicino al sole (avvicinarsi a Dio), così che le ali si sciolgono e Icaro precipita.

Viene così raggiunta la prima meta del viaggio: ogni volta che l’uomo punta a superare un limite, coesistono in lui due spinte, una miscela fra: da una parte, il desiderio di emancipazione, di crescita, di autonomia; dall’altra, quello di sfidare l’autorità, con la conseguente vertigine data dall’illusione di superare colui che ha posto il limite o addirittura di ucciderlo.

Il tragitto continua… Mohamed cita il nostro mito di Sisifo e il suo disprezzo per le divinità dell’Olimpo; un ragazzino della scuola cita il Simposio di Platone e la divisione dell’uomo in due metà costrette a cercarsi per tentare di recuperare l’antica forza che era stata tolta all’androgino da Zeus per timore che potesse minacciare lo status degli dei; Alessandra cita il ritratto di Dorian Grey e il desiderio dell’eterna gioventù; Gemma parla di Edison e dell’invenzione della lampadina; Alberto parla del delirio del dott. Frankestein di Shelley.

Conclude la carrellata il Dott. Aparo che sottolinea come anche nel progresso scientifico e nello sport ci sia un confine labile tra il desiderio di crescere e migliorarsi e la vertigine di sentirsi in cima al mondo. E cita la voglia di conoscere di Marco Polo e Colombo; il Faust di Goethe che, in nome della conoscenza, stipula un patto col diavolo per riceverla tutta e subito; la tragica spedizione sull’Everest dove, a causa della voglia di esibire e consumare risultati ed emozioni, persero la vita 19 persone; infine ricorda il primo uomo sulla luna, con il senso di trionfo, ma anche con il lavoro e le allenze necessarie per arrivarci.

E siamo alla seconda tappa del nostro viaggio: il desiderio di superare il limite, la spinta verso l’infinito è una caratteristica insita nell’essere umano; ma solo se questa spinta è accompagnata dal progetto, dal lavoro, da alleanze appropriate potrà portare a traguardi costruttivi e duraturi. Edison, Franklin (l’inventore del parafulmine) e molte altre personalità che hanno scolpito la storia, hanno raggiunto traguardi e contribuito all’evoluzione dell’uomo e al nostro benessere odierno; ma cosa permette di raggiungere mete così straordinarie senza farsi vincere dalla vertigine del senso d’onnipotenza?

Il Dott. Aparo suggerisce, a questo proposito, un confronto fra due modi di procedere: uno puntato al miglioramento di sé e/o al perfezionamento dell’oggetto cui ci si dedica; l’altro basato sulla ricerca del potere e/o dell’eccitazione. Nel primo caso, ogni gradino è un’esperienza e un arricchimento; nell’altro, si punta a conquistare trofei, che spesso vengono consumati molto velocemente, senza saziarne la fame.

Questa differenza nel rapportarsi con i limiti non prescinde dall’immagine dell’autorità che ciascuno di noi ha interiorizzato. La relazione emotiva con il limite, infatti, cambia significativamente se il viaggio verso la meta viene effettuato all’insegna del rancore e dell’opposizione o se, invece, viene sostenuto da un’autorità accuditiva.

Come il mito, la letteratura e le storie di molti componenti del gruppo della trasgressione documentano, raggiungere la meta per chi sente dentro di sé che ogni conquista equivale a una battaglia vinta contro un genitore castrante porta con sé la fantasia di distruggere il genitore stesso (e questo induce a rimettere perennemente in scena atti di sopraffazione e di autodistruzione); procedere invece in sintonia con una guida che indichi la strada permette di orientarsi, di crescere e di nutrirsi di quanto si incontra nel cammino e dei propri risultati.

La conclusione del nostro itinerario, partito da Adamo ed Eva e giunto all’allunaggio, viene suggellata dagli interventi del piccolo Matteo e della piccola Manuela che ribadiscono l’importanza della guida per raggiungere mete appaganti.

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