La paura di perderti

Ho paura di perderti mentre dormo.
Non partire, senza avvertirmi.
Dimmi tu addio, che a me dirlo non riesce.
Morire è facile,
perderti è difficile.
Ho capito cosa sei per me quando ho capito di poterti perdere. Non vorrei mai perderti.
Quindi resta, ti prego resta per sempre.
Non andartene, mamma, senza avvertirmi.

Amin

L’infinito senza stelle

Le belle parole comprano chi costa poco

Un vero uomo sopporto tutto il dolore,
HO PERSO LA LIBERTÀ ma ci sta il mare fuori
Tengo il cuore pieno ma la tasca è vuota

Sono morto prima di vivere
Non hai  visto niente simile
Pensavo fosse impossibile
Ma tra 2 anni sarò invincibile

Paolo

Uno enojado dice muchas cosas
K son Flechas K salen da tu puta boca
Lei lo ******* per unpo’ di coca
Lascia stare quella roba
Tu te matas sola
Andavo da solo
Non con tutti loro
Siamo diversi in ssto gioco
io non mi consolo

Cris

L’infinito senza stelle

 

Infinito senza stelle

Mia mamma se ne andò tipo sette anni la mia testa Dalì feci solo danni sono stato tradito dai miei amici e ci ripenso guardando le cicatrici. A volte niente è interessante come la sera senza stelle
Sono ancora un principiante
Questa vita è amara mica caramelle
Qua non prende anche se ci sono varie antenne

Francesco

La mia vita sembra impazzita e anche infinita con quel male che mi sento mi rilasso con il vento e mi tengo tutto dentro. Avevo un sogno da bambino però ero ancora piccolino. Sono cresciuto senza un padre ma ho l’affetto di mia madre ho aiutato tante persone e mi son preso del fattone di persone false ne conosco tante ma pensare alla passione è l’importante la vita è una sola se non te la godi non si gode da sola!

Giole

Ogni cosa ha il suo costo
Mica casco nel vuoto
Resto a mollo
Mica mollo
La fortuna ci prende in giro
Continuo senza il sorriso!

Kevin

      Infinito-senza-stelle

L’infinito senza stelle

Sto negoziando i prezzi

Sto negoziando i prezzi
Tu scemo non mi vedi
Sto lottando ancora con demoni e tutti i miei pensieri

Fumo un grosso joint per isolarmi ()
Pensando che quasi da 10 anni i
Problemi sono gli stessi
Guardie che fanno l’isolato () pensando che commenterò un altro passo falso (x2)

Passo in stazza con mio compare affianco è tutto un tratto (rumore catene)
Per i soldi la gente cambia e anche io sto cambiando ? (X2)

Sto negoziando i prezzi
Tu scemo non mi vedi
Sto lottando ancora con demoni e tutti i miei pensieri

      Sto-negoziando-i-prezzi

Nicolò

L’infinito senza stelle

Rifiutato dalla famiglia

Ok…

German Quinto… El Chico….…
racconto la mia storia la mia sofferenza, ciò che mi ha cambiato, ciò per cui sono oggi
la mia forza, la vita ti mette in ginocchio come e quando vuole ma devi essere sempre, pronto a reagire, cambiare, lottare. Non farti ferire, se ti arrendi è finita.
Se cadi a terra e resti lì è finita. Rialzati da vero guerriero, senti qua…..

Ricordo il giorno il giorno in cui, io fui nato da mio padre venni solo rifiutato
stavano sempre a litigare da casa son scappato vidi mia madre piangere per mio padre ubriaco
provavo amore per lui, ma era solo un alcolizzato solo dopo che mi ha abbandonato
da lì che son cambiato, mi sentivo diverso solamente un ragazzo accoltellato
persi la testa poi per quei soldi facili ma per farli sai era meglio evitarli  finì nei giornali e nella tv
penso mia madre sola che mi tirava su mio padre invece che mi proteggeva da lassù
poi un giorno ricadetti giù per cambiare poi, 25 anni passarono mentre tutti gli altri urlavano
mi ha aiutato solo la trasgressione, aiutandomi a riprendermi dalla delusione
uscito di galera mi sentivo un coglione niente testa solo voglia di guarigione
giorno dopo giorno penso solo a me
perché chi fa da se fa per tre

      Rifiutato-dalla-famiglia

Chico e German

L’infinito senza stelle

Gli studenti e i carcerati a Opera il dialogo oltre i muri

di Sara Bernacchia,
da Repubblica 10/05/2023

«Siamo un gruppo che invita a trasgredire per costruire spazi più ampi in cui sentirsi a casa. Facciamo in modo che gli studenti crescano, che i detenuti diventino cittadini e che le vittime elaborino il loro dolore». Angelo Aparo, psicologo che da anni opera nelle carceri milanesi descrive così il Gruppo della Trasgressione (composto da detenuti, universitari e parenti delle vittime), che idealmente si allarga a una quarta componente: gli allievi del liceo artistico di Brera. Lo “sconfinamento” avviene grazie al progetto Brera in Opera, che dal 2015 ha visto circa 750 ragazzi dell’istituto confrontarsi con i detenuti del Gruppo e con gli studenti della sezione carceraria dell’istituto Benini a Opera.

Un progetto nato dall’idea di Pierluigi Cassinari, ormai ex docente del Brera, e della moglie Antonella De Luca, all’epoca responsabile del corso carcerario. L’obiettivo? «Dare attuazione concreta agli articoli 34 e 27 della Costituzione, ovvero ai principi di scuola aperta a tutti e di rieducazione dei condannati, con la consapevolezza dell’importanza del mettersi nei panni degli altri».

I benefici sono evidenti, per tutti. «Sono entrata in contatto con un mondo completamente diverso dal mio, credo sia utile farlo presto – racconta Beatrice Ajani, 17 anni, allieva di quarta -. È stimolante vedere persone che lavorano su se stesse e che riescono a maturare consapevolezza degli errori commessi». E Antonio Tango, che ha trascorso in carcere 27 anni, lo sa benissimo. «Ero un rapinatore e facevo uso di droga perché mi mancava qualcosa, sentivo un malessere che non sapevo definire». Poi, con il lavoro fatto in carcere, ha capito: «Mi mancava uno scopo. L’ho trovato anche stando con loro, sentendomi utile e sviluppando senso di responsabilità».

Il progetto è raccontato in tre libri e in un corto, realizzato con il regista Sandro Baldoni: “Il teorema di Pitagora”. Il titolo deriva dalla sfida di Tango (vinta, oggi è libero): quando si è avvicinato al Gruppo Aparo gli chiedeva di fermarsi a ragionare sulle cose di cui non comprendeva l’importanza, come il teorema, perché il passo decisivo è sforzarsi per apprendere e rispettare le regole.

I1 senso del progetto lo sottolineano la preside Emilia Ametrano e il direttore del carcere di Opera, Silvio di Gregorio: «La convivenza pacifica si fonda sul rispetto delle regole. Voi ragazzi sarete la classe dirigente. Dalla vostra attenzione a questi temi dipenderà il benessere del Paese di domani».

Brera in Opera prevede due filoni: il laboratorio di poesia e quello con il Gruppo Trasgressione. «Gli studenti del liceo e i detenuti hanno lavorato in parallelo su temi come la ferita e la cura, la sfida e la rabbia per poi confrontarsi in due incontri, uno a scuola e uno in carcere», spiega Giovanna Stanganello, che ha coordinato il progetto fino a settembre e ricorda con emozione gli incontri in Dad durante il lockdown: «Era come se vivessero una doppia esclusione: non potevano uscire, i detenuti non avevano visite e i ragazzi hanno visto emergere problematiche importanti».

È proprio durante un incontro sul tema “la ferita e la cura” che Angelica Maffi, 18 anni, ha voluto parlare di sé. «Per la prima volta ho parlato del mio problema con l’autolesionismo, che combatto ancora – racconta la ragazza, che appare anche nel corto -. Mi sono sentita incoraggiata e capita. Tanti mi hanno scritto dicendo che le mie parole li hanno aiutati». La chiave è sempre il confronto. Lo ribadisce anche Paolo Setti Carraro, fratello di Emanuela, uccisa con il marito, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: «In carcere la libertà si conquista uscendo dagli schemi che ti hanno portato a delinquere. È questo il passaggio determinante e per compierlo la contaminazione tra chi è dentro e chi è fuori è fondamentale». Lo testimonia l’esperienza di Adriano Sannino, libero da due settimane dopo 30 anni di reclusione per omicidio. «Moralmente non potrò mai pagare per quello che ho fatto – esordisce -. Confrontandomi con voi, però, ho potuto configurare i miei disvalori. Oggi sono libero fisicamente, mentalmente lo sono da quando ho conosciuto Aparo».

Incontri e prevenzione nelle scuole

Una mappa per la pena

In relazione al prossimo convegno su “Una mappa per la pena” voglio provare a riassumere  quanto ho acquisito nei miei dieci anni di volontariato col Gruppo della Trasgressione.

Tutte le settimane ho ascoltato per ore i detenuti parlare di sé, dei propri sentimenti, desideri, emozioni, frustrazioni e per ore ho ascoltato le risposte dello psicoterapeuta dottor Aparo e dei vari componenti esterni del gruppo. Per ore ho ascoltato il dialogo cui anch’io ho dato il mio contributo e ho imparato molto.

Ho imparato che l’arresto, la condanna e qualche volta la carcerazione sono necessari per fermare l’abuso. Ho sentito gli stessi detenuti dire: “Per fortuna mi hanno fermato… se non mi avessero fermato avrei continuato a delinquere

Ho imparato anche che la carcerazione, pur tante volte necessaria, non è sufficiente per adempiere pienamente al dettato costituzionale, dove si afferma che la pena non deve avere solo valore afflittivo ma rieducativo.

Alle Istituzioni, per far sì che i detenuti diventino cittadini pienamente partecipi della società che hanno offeso, chiederei di prevedere, già dal primo periodo della condanna definitiva, un progetto e percorso di evoluzione.

Gli obiettivi dovrebbero essere l’acquisizione di una coscienza e la conseguente capacità di assumersi le proprie responsabilità.

Per arrivare alla coscienza, sulla base dell’esperienza acquisita in questi anni di partecipazione attiva alle dialettiche serrate del gruppo della trasgressione, credo siano indispensabili alcuni passi:

  • indagare con metodo sull’abuso commesso, sulle modalità e sulle ragioni, aiutando l’abusante a portare alla luce sentimenti, attitudini e pensieri al momento del reato. Ciò farebbe acquisire consapevolezza di sé e della realtà;
  • esplicitare con chiarezza che l’obiettivo da raggiungere è l’esercizio della responsabilità, che è tratto tipico del cittadino adulto;
  • creare occasioni di contatto con il mondo esterno che tolgano il detenuto da un isolamento che, pur spiacevole, può diventare una comfort zone difficile da abbandonare;
  • creare occasioni in cui i detenuti riescano a individuare una funzione da svolgere e si sentano utili alla società che in precedenza hanno offeso, irrobustendo così la parte migliore di sé.

Infine, in relazione al formarsi di una coscienza, credo  importante:

  • che l’abusante arrivi a conoscere personalmente le conseguenze del gesto compiuto (materiali e morali, difficoltà, dolore, ansia), se non della sua vittima diretta, almeno di una vittima che ha subito lo stesso tipo di abuso;
  • che il percorso di evoluzione preveda la possibilità di verificare in situazioni concrete la reale acquisizione di capacità nell’esercizio e nel… piacere della responsabilità.

Tante sono le competenze che questo approccio richiede, ma sono consistenti anche i vantaggi e i risultati ottenuti nei 25 anni che il gruppo compie quest’anno. I tanti detenuti che alla distanza ne confermano l’efficacia suggeriscono che questa possa essere una giusta modalità operativa o, quanto meno, una direzione che merita di essere studiata per valutarne la portata, i pregi e i limiti.

Nuccia Pessina                              Una mappa per la pena

Due poesie a confronto

Per chi scrivo: due poesie a confronto
con la cronaca di un auto-apprendimento

di Giovanna Stanganello

 Gli incontri tra studenti e detenuti sono pratiche di cittadinanza e spazio di conoscenza; costituiscono occasione che fa della pena strumento educativo per il recupero alla società di chi ha commesso gravi crimini; sono momento di riflessione sui nostri destini e possibilità di scampare ad essi, scartando da una storia che sembrava scritta, senza scampo.

Non è tutto scritto, si può cambiare.

La forma promossa dal gruppo della trasgressione diventa comunicazione intima, radicale che ci interroga in quanto esseri umani, non c’è discorso obliquo né giustificazione, c’è recupero di un senso dopo l’annegamento, un possibile risveglio dal sonno della coscienza.

Cosa abbiamo tratto dagli ultimi incontri del nostro pluriennale rapporto con il Gruppo della Trasgressione? Quello che il presidente del gruppo chiama viaggio di andata e ritorno: dalla terra al pianeta in cui, marziani della loro esistenza, si sono persi a truffare e assassinare: pianeta ricco di potere, denaro, macchine, donne da possedere, pianeta arido da cui raramente si torna.

E quelli che tornano? Erano lì, con i ragazzi del liceo di Brera che li hanno conosciuti in due incontri a scuola, dopo tanta distanza e reclusione nella reclusione della pandemia. Erano lì, senza fronzoli, il dott. Aparo non dà scampo, non lascia scantonare di lato, se sei tornato dal pianeta del male parli in modo diretto, non ti racconti la realtà parallela delle giustificazioni o del diritto di calpestare diritti altrui. Sei lì, inerme davanti ad una verità ripescata a fatica uscendo dall’azzeramento del non sentire l’altro. L’animo è nudo.

Mi ha colpito particolarmente una parte del lavoro che nel gruppo della trasgressione viene sviluppato: la relazione tra genitori e figli. Figli trascurati, ricoperti di denaro e diseducazione, figli male  adorati che nutrono un rapporto amore-odio verso genitori “sbagliati”. I destini sono diversi: qualcuno con il sudore ha recuperato la relazione, qualcun altro è stato rifiutato nonostante sia oggi una persone differente da quella che i figli piccoli hanno conosciuto.

Tante emozioni. Ne riporto alcune:

Adriano ha una compagna che si è innamorata di lui, marziano ritornato ad essere uomo. C’è una ragione in questo amore: quello che ha davanti è una persona che si alza alle 4,30 per lavorare in una cooperativa di ortofrutta, che assiste durante la pandemia gli anziani che non possono uscire e li rifornisce di quanto hanno bisogno; è un uomo quello che gioca con i suoi bambini, delicato di una delicatezza inedita.

Pino ha una figlia, è lì: qual è il momento in cui è iniziato il viaggio di ritorno? Quello in cui, a casa in permesso, chiede alla sua ragazza adolescente: “dove vai?” e lei. “T’interessa dove vado? Ma tu non lo hai mai saputo, cosa t’importa adesso?”. Quando rievoca questo momento davanti a lei, gli si spezza la voce. Un dettaglio apparentemente secondario è stato la leva per tornare ad essere uomo. Potrai mai dimenticare? No, ma capire, nel tempo, questo sì.

Nuccio: infanzia arrabbiata nelle pieghe della Sicilia infiltrata dalla mafia. I più svegli e vivaci vengono notati dai signori della criminalità organizzata e “allevati”da essa, dunque sono “spediti” su  Marte. Ed ora, scontata una lunghissima pena, i figli sono inarrivabili. Una malattia si è portata via il suo ragazzo con cui aveva ripreso ad avere una relazione significativa e che gli aveva detto un giorno in cui Nuccio, mortificatissimo, era arrivato in ritardo: “non m’importa se è tardi, m’importa che tu ci sei”. Ricordando quel momento si commuove, fa silenzio. La figlia non vuole vederlo, lui tenta e ritenta, resta a guardarla da lontano, dove lei lavora, dall’esterno dell’Esselunga.

Roberto ci ha messo tanto tempo per tornare ad essere credibile, le figlie sono diverse e diversamente si relazionano. Racconta così quello che chiama: “il mio slittamento verso la devianza”:

il mio paesaggio ha subito una desertificazione,
la mia anima ha albergato in una pozzanghera
”.

Nuccio, Rosario, Mario, Adriano, Roberto, Sergio, Mohamed, Antonio…

scorrono le storie davanti allo sguardo dei ragazzi: attentissimi. Che cosa ne hanno ricavato lo diranno gli studenti stessi nei testi che invieranno.

Io ho fatto della letteratura una ragione, non solo perché la insegno, ma perché credo che l’arte abbia il potere di svelare e questo potere lo ritrovo negli incontri così intensi tra gli studenti e i detenuti. Quando il cosa si dice e il come lo si dice si corrispondono, scatta la scintilla dell’arte, che sta nella capacità che hanno gli umani di incantarsi a vicenda con le storie narrate quando queste parlano davvero di noi. Se accade quella scintilla possiamo dire che la letteratura si fa vita. Due volte ho conosciuto questo potere: tra i marziani tornati dal pianeta della devianza e nel Brasile degli ultimi.

Riporto il primo esempio a riguardo:

Nuccio legge le poesie che mai avrebbe pensato di comporre nella sua vita precedente, le legge  con intensità struggente; i suoi testi sono inscindibili dal modo in cui li interpreta, nella lingua madre siciliana, senza recitare, con la commozione che li spezza.

Se a vita fussi scrittu ‘nda fogghiu i catta
unni pi cangiari i cosi
bastassi na gomma
lassassi sulu tanticchia
da me vita
Quali?
Quannu era picciriddu
u restu u scancillassi […]

Mi ha fatto venire in mente Tolstoj in Morte di Ivan Il’ic. Il protagonista è perso nelle apparenze borghesi, nella vacuità di una non esistenza priva di senso profondo, senza quel nocciolo che ha avvertito  unicamente  nell’infanzia e nella prima giovinezza. In fondo anche lui ha abitato il pianeta del vuoto e torna alla vita vera paradossalmente quando, per una grave malattia, la sta perdendo e ne ricostruisce il senso in estremo:

Tutto ciò di cui vivesti e vivi non è che menzogna,
inganno che ti nasconde la vita e la morte.

E Nuccio non sta parlando, forse, di questo significato profondo tornato in superficie, quando dice: l’adrenalina, l’eccitazione mi venivano solo dal potere e dalla sopraffazione, ma oggi, quando tremo e sento gli studenti emozionarsi perché ho letto una mia poesia, mi dico che ero cieco, che cosa conta il resto al confronto di questo gusto di oggi, nuovo, di questo sentire pieno?

Il secondo esempio di letteratura come vita viene dal Brasile, lo riporto in comparazione con un’altra poesia di Nuccio: il cui titolo è assai simile a quello scelto da Denise, menina de rua; ciascuno di essi si chiede, in fondo: Per chi scrivo? e ciascuno muove dalla sua esperienza per dare un senso al proprio atto di comunicazione: Nuccio lo fa per riconquistare il cuore di sua figlia. Denise (a cui vengono attribuiti i diritti d’autore per le sue poesie e che, tornata sulla strada, vi scompare) scrive per i ragazzi della strada, per i mendicanti, gli accattoni e i drogati,  che mai arriveranno a leggerla e che faranno del suo libro un appoggio per la loro testa durante il sonno.

I due testi sono attraversati da una grande potenza per la loro verità e per uno stile diretto, efficace e toccante. Non so perché, ma mi hanno riportato alla mente una bella storia con cui voglio terminare: è la cronaca di un autoapprendimento. Eccola: un povero del Brasile, non alfabetizzato, che non rivela la sua deprivazione culturale per vergogna ed orgoglio, matura caparbiamente una tecnica di associazione delle lettere a partire dal suo nome sulla carta d’identità, dai cartelloni che vede per strada, dai nomi delle vie e da stralci di giornale… in cui riconosce i segni delle parole che ricorrono. Dopo mesi e mesi di sforzi per tentativi ed errori, la scrittura gli si palesa, come una specie di rivelazione: “e alla fine fu come un soprassalto: stavo leggendo tutto, tutto!” Un ‘intelligenza acuta volta a un’intenzione al cambiamento.

Le energie più vivaci possono essere sfruttate per le ragioni più abiette dalla criminalità organizzata, uscirne è impresa ma se, con uno scarto individuale o con un gruppo di appoggio ti dai una possibilità, allora “nel fermarti la mente riprende a respirare, allora ti  vengono i pensieri e riesci a farti delle domande”: così conclude Antonio Tango (detenuto e omonimo del protagonista brasiliano di questa  cronaca di un autoapprendimento) parlando del teorema di Pitagora che si è messo a studiare. Da questa riflessione sull’importanza dell’interrogarsi sulle cose prendendosi il tempo per farlo è nato il film Il teorema di Pitagora realizzato nella collaborazione tra il liceo e il  laboratorio della trasgressione.

 

Picchì scrivu puisii?

Picchì scrivu puisii?
Fossi picchì no nti sappi
teneri nde razza?

O fossi,
picchì no gnucai
mai cu tia?

O picchì
no ndi sappi rari
u megghiu ri mia?

Macari ka c’era,
Era iù ka no vireva.
Passai troppu anni o scuru,

Era accussì scuru
ka no mireva
Mangu chiddi chiù vicinu.

Picchì vogghiu
addivindari pueta?
Fossi picchì sulu l’animu

di mpueta è degnu
di riqunguistari
u to cori.

Perché scrivo poesie?

Perché scrivo poesie?
forse perché non ti ho saputo
tenere in braccio

O forse
perché non ho giocato
mai con te

O perché
non ti ho saputo dare
il meglio di me

Anche se c’era,
ero io che non ti vedevo
ho passato troppi anni al buio

Era così buio
che non vedevo
neanche quelli più vicini

Perché voglio
diventare poeta?
forse perché solo l’animo

di un poeta è degno
di riconquistare
il tuo cuore

Nuccio di Mauro, Opera, 26 ottobre 2016

 

Para quem escrevo

Hoje perguntara-me
para quem esu escrevo.
Tentaram-me interrogar com a questão:
para quem escrevo os meus pensamentos.
Com um olhar distante e um jeito um tanto tímido
respondi…
escrevo para os que nunca chegarão a ler;
escrevo para os que nunca frequentarão uma escola,
escrevo para não tem um tostão
nem ao menos para comprar um pão
ou um livro de poemas,
escrevo para os mendigos, pedintes,
drogados ou viciados
que um dia encontrerão em meu livro
um apoio para suas cabeças durante o sono.
Escrevo para os que come eu
são ou já foram meninos de rua,
escrevo para você, e para você,
para que o mundo conheça nossas alegrias
e sofrimentos.

Per chi scrivo

Oggi mi hanno chiesto
per chi scrivo.
Mi hanno interrogato con la domanda:
per chi scrivo i miei pensieri.
Con uno sguardo distante e un fare un po’ timido
ho risposto…
scrivo per quelli che non arriveranno mai a leggermi;
scrivo per quelli che non frequenteranno mai una scuola,
scrivo per chi non ha un soldo
nemmeno per comprare un pane
o un libro di poesie,
scrivo per i mendicanti, gli accattoni,
i drogati o i viziati
che un giorno troveranno nel mio libro
un appoggio per le loro teste durante il sonno.
Scrivo per quelli che come me
sono o già furono ragazzi di strada,
scrivo per te, e per te,
perché il mondo conosca le nostre allegrie
e sofferenze.

Denise Christine Fernandes, S. Paulo, 16 giugno 1994

                               Marte, andata e ritorno

Tirocinio in Psicologia Sociale

Micol Sini, Matricola: 8786772
Tirocinio professionalizzante post lauream 500 ore
Periodo: dal         15/10/2021        al          14/04/2022

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Il Gruppo della Trasgressione è un progetto ideato dal Dott. Angelo Aparo alla fine degli anni ‘90, che ha come obiettivo principale la costruzione e il mantenimento di un ambiente nel quale detenuti, ex detenuti, studenti, famigliari delle vittime e liberi cittadini possano riflettere insieme sul rapporto individuo-società, dando ognuno il proprio contributo.

Dal Gruppo sono state successivamente create un’associazione e una cooperativa che si occupano di diverse iniziative, grazie alle quali si cerca un’interazione diretta con le istituzioni e con altri gruppi/associazioni, con lo scopo di aiutare i detenuti a raggiungere un percorso di emancipazione e integrazione durante la propria detenzione o nel periodo dell’applicazione di misure alternative, ma anche nell’immediato “dopo pena”.

L’idea di fondo è che una reale inclusione e il superamento della sensazione di marginalità e di estraneità alle regole possa avere luogo solamente se si partecipa attivamente ad attività e a esperienze concrete, in modo tale che il singolo e la società crescano e si rinnovino.

Durante gli incontri settimanali con i detenuti, gli ex detenuti, i famigliari delle vittime di reato, gli studenti e i cittadini, si affrontano diverse tematiche, come il rapporto con l’istituzione carceraria, il delirio di onnipotenza, la relazione tra detenuto e figli/famiglia, l’abuso, la libertà, la responsabilità, la prevenzione alla devianza e al bullismo.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Gli incontri del Gruppo della Trasgressione si tengono presso la sede di Via Sant’Abbondio o tramite piattaforma online. Durante queste giornate ho avuto l’opportunità di conoscere diverse persone, partendo dai detenuti e dagli ex detenuti, arrivando a liberi cittadini, tra i quali spesso partecipavano anche parenti delle vittime di reato.

Durante il mio percorso ho avuto modo di ascoltare diverse storie, soprattutto di detenuti ed ex detenuti appartenenti al mondo della Mafia (ma non solo). Attraverso i racconti ciascun componente del gruppo cercava di analizzare la propria vita, le scelte del passato, le fragilità che lo hanno portato sulla strada della devianza. Ad ogni incontro c’era sempre qualcuno che riusciva a “mettersi a nudo” e uno degli obiettivi principali del gruppo è aiutare i propri componenti a raggiungere consapevolezza dei propri errori e riconoscere, di conseguenza, le proprie fragilità, scavando dentro sé stessi per riuscire a ritrovare quella libertà persa ormai da tempo. Libertà non solo fisica ma soprattutto dell’anima.

Quindi, in quanto tirocinante di psicologia, ho avuto modo e piacere di poter osservare da vicino come le fragilità e i vissuti passati dei detenuti vengono affrontati e analizzati dagli stessi; come certi avvenimenti, come esperienze di abuso o di abbandono, li hanno portati alla scelta di perseguire una strada piuttosto che un’altra; come l’assenza di un genitore possa creare in un bambino, o in un adolescente, incertezze riguardo la propria identità e al proprio ruolo nel mondo. Ma, allo stesso tempo, ho potuto ammirare l’acquisizione di coscienza dei detenuti, la loro voglia di rinascere e di costruire una vita nuova per sé stessi e per i propri cari, la consapevolezza della propria libertà, di quella altrui e della responsabilità che ne consegue.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Ho sempre partecipato agli incontri settimanali del Gruppo, per la maggior parte delle volte tramite piattaforma Zoom, insieme agli altri tirocinanti e ai vari componenti del gruppo, tra i quali i detenuti ed ex detenuti che fanno parte del Gruppo ormai da anni.

In diverse occasioni, al termine degli incontri, il Professore chiedeva a noi tirocinanti di redigere delle relazioni su quanto emerso durante gli incontri. Inoltre, ad ogni tirocinante era richiesto di diventare vero e proprio componente del gruppo, farne parte partecipando in maniera attiva e contribuendo attraverso i propri pensieri e le proprie idee.

In più, in questo semestre di tirocinio, ho avuto l’occasione di poter partecipare a diversi incontri nelle scuole.  Durante questi incontri i detenuti portano in prima persona le proprie esperienze davanti a studenti di 15-18 anni e l’obiettivo è quello di riuscire a fare prevenzione alla devianza ma anche al bullismo, fenomeno che si presenta in svariate forme soprattutto durante gli anni del liceo. Questi incontri sono stati un’esperienza splendida e, a mio avviso, rispecchiano esattamente lo scopo del Gruppo della Trasgressione, ossia rendere partecipe in maniera attiva tutta la collettività, per fare in modo che insieme si possa creare un ambiente all’interno del quale ciascuno possa crescere, imparare, essere libero.

Non da meno, il Gruppo, con l’associazione e la cooperativa, organizzano diversi incontri con le istituzioni (a fine maggio si terrà un importante convegno a Roma davanti alla ministra Cartabia) e collaborazioni con altre realtà. Per esempio, attualmente si sta cercando di creare una trasmissione radiofonica presso una stazione radio del Comune di Rozzano.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Durante tutto il mio percorso presso il Gruppo della Trasgressione, la presenza del Professor Aparo è stata fondamentale. Il coordinatore, nonché fondatore del Gruppo stimola tutti i componenti e i partecipanti a condividere i propri pensieri, le proprie idee e le proprie emozioni in merito alle diverse tematiche che vengono affrontate durante i vari incontri. L’obiettivo del prof è di spronare tutti i tirocinanti a esporsi partecipando in maniera attiva e concreta, pur accettando le fragilità di ciascuno di noi e le diverse personalità.

Ovviamente il Dott. Aparo leggeva e correggeva tutte le relazioni e i verbali redatti da noi tirocinanti.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative) e abilita acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Grazie alla mia permanenza presso il Gruppo della Trasgressione ho avuto la possibilità di conoscere il mondo carcerario e la realtà che vivono i detenuti e gli ex detenuti e di confrontarmi con loro e con gli altri componenti del gruppo riguardo a tematiche importanti; ho sicuramente migliorato e sviluppato la mia capacità di ascolto, anche se il dott. Aparo mi ha criticato per i miei silenzi perché prediligevo l’ascolto rispetto all’intervento durante gli incontri. Ma penso che, come futura psicologa, sia una tra le capacità più importanti da potenziare; inoltre, ho implementato sicuramente le capacità di condivisione e di collaborazione di gruppo; infine, ho imparato l’importanza di riconoscere e accettare le fragilità altrui e, partendo da queste, aiutare chi si trova in difficoltà a ritrovare la propria strada, cosa che penso rispecchi esattamente l’obiettivo del mio futuro lavoro.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Per quanto magari abbia fatto prevalere la mia parte più ascoltatrice, credo comunque di aver imparato ad esporre le mie idee e le mie impressioni, anche grazie alle relazioni che ho redatto, soprattutto nell’ultimo periodo, in seguito agli incontri nelle scuole, i quali hanno sicuramente lasciato un segno importantissimo dentro di me, o agli incontri ordinari del Gruppo.

Ringrazio il Gruppo per avermi dato la possibilità di poter far parte di un mondo che mi sta molto a cuore, di avermi aiutato ad aprire la mente e ampliare la mia visione della realtà, di avermi spronato ad affrontare anche le mie fragilità e le mie timidezze.

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