Una via per i nuovi cittadini

Maurizio Piseddu

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Responsabilità e inclusione

Francesca Riva

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

 

Fragilità e cooperativa

Adriano Sannino

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Burattini danzanti

Burattini, burattinai, scelte, libertà.
Ragnatele per catturare burattini,
che diventano labirinti in cui si perdono i burattinai.

Danziamo, seguendo ritmi e melodie,
che ci trascinano fino a farci perdere,
mentre cerchiamo armonie di cui sentirci autori.

Ci deve essere un modo, una palestra, una via
per non sciupare la malinconia,
per una speranza che non sia pura follia,
per un gradino che allarghi l’orizzonte,
senza scordare che non c’è vita senza ponte.

Angelo Aparo

La responsabilità dei burattiniNelle mani del burattinaio
Un labirinto dove si è perso Dedalo – Lo scopo del dolore
La nostra palestraLa galleria di Franco Scoccimarro

 

Intervista con Max Rigano

Conversazione con un giornalista libero dalla compulsione
di dover vendere eccitazione a tutti i costi e a basso prezzo

1. Che cos’è il gruppo della trasgressione?
Un laboratorio di ricerca sulle condizioni soggettive e ambientali che portano un ragazzo a negare la propria e altrui fragilità, a diventare sempre più sordo alla voce dell’altro e a inquadrare come obiettivi della propria vita ricchezza e potere invece che conoscenza e nobiltà. Ma il gruppo è anche un laboratorio dove detenuti, studenti universitari e familiari di vittime di reato si sollecitano vicendevolmente a superare la sordità e a recuperare frammenti di coscienza di sé e dell’altro. Quando le cose funzionano, tale attività permette di vivere nuove alleanze e di uscire dalle paludi morali e psicologiche nelle quali a volte si finisce.

2. In che modo questo processo di autocoscienza smuove la psicologia dei detenuti arrivando a cambiarli?
Uno dei processi che avvengono quando si frequenta il gruppo per anni è l’investimento sulla propria curiosità e il piacere di scoprire che si possono utilizzare risorse personali cui prima non si faceva caso. In ognuno di noi ci sono parti della mente che somigliano a un pianoforte di cui non ci siamo mai accorti o sul quale non avevamo mai avuto il coraggio di mettere le mani. Al gruppo della trasgressione le persone (detenuti, studenti, familiari di vittime) prendono confidenza con lo straniero e, gradualmente, sviluppano una lingua e delle procedure che permettono di giocare lo stesso gioco e di prenderci gusto, cioè di vivere il piacere di allargare i confini della coscienza e della conoscenza.

3. Come hai conosciuto Giacinto Siciliano e quando hai capito di poter cominciare questo percorso con i detenuti?
Ci siamo conosciuti nel 2007, poco prima di portare anche a Opera e a Bollate il gruppo della trasgressione, fino a quel momento attivo solo a San Vittore. I detenuti che frequentavano il gruppo a San Vittore (carcere che ospita chi non ha ancora ottenuto la condanna definitiva) chiedevano di poterne far parte anche dopo il trasferimento in altre carceri. Con il provveditore regionale di allora, Luigi Pagano, con il direttore di Opera, Giacinto Siciliano, e con la direttrice di Bollate, Lucia Castellano, abbiamo quindi concordato di far partire il gruppo anche negli istituti di Opera e Bollate.

4. Cosa significa cambiare un uomo? Come avviene il cambiamento?
Il cambiamento suscita sempre delle resistenze. Se poi una persona deve cambiare nella direzione predefinita e dettata da un’altra, allora il cambiamento viene vissuto come una minaccia alla propria identità e la resistenza aumenta. Ciò detto, Il cambiamento meglio accetto, più significativo e duraturo è quello che avviene senza che la persona si accorga di cambiare e, soprattutto, senza che un agente esterno imponga di cambiare. Il cambiamento, dunque, avviene intanto che si gioca, si lavora, si progetta insieme. Quando si hanno obiettivi comuni, ciascuno mette in campo risorse utili al raggiungimento dell’obiettivo. Gli obiettivi che si coltivano al gruppo della trasgressione fanno sì che autori e vittime di reato, studenti e comuni cittadini investano parte delle proprie risorse e delle proprie energie per raggiungere lo stesso scopo: oggi prendere lo straccio e il detersivo per pulire la sede che abbiamo appena aperto, domani andare in una scuola dove detenuti e studenti insieme mettono in scena il mito di Sisifo per poi stimolare gli studenti a riflettere sui tanti possibili percorsi della fragilità, dell’arroganza e della coscienza.

5. Essere uno psicologo ti mette a confronto anche con le tue parti più profonde, con la tua affettività o con la tua aggressività: come le gestisci quando vengono sollecitate nel lavoro di gruppo?
Mi sono allenato negli anni a far diventare la mia aggressività un gioco, un esercizio per riformulare i termini della relazione fra lo psicologo e il detenuto. Negli anni, l’affetto che cresce col tempo fra me e i detenuti e la mia stessa aggressività sono diventate risorse per riformulare i criteri delle gerarchie e rendere tangibile che il potere più duraturo e gratificante viene dalla capacità di aiutare l’altro a crescere e a migliorarsi. Quando ho bisogno di affermare la mia forza e il mio legame con loro mi metto a parlare di cose complicate e un po’ disorientanti. Per esempio, li rimbambisco sostenendo che il delinquente è una persona che ha bisogno di ripristinare una giustizia violata, ma non avendo strumenti adatti per farlo, si serve della pistola. In questo modo, spesso riesco a convincerli che loro hanno bisogno di me per capire meglio quale giustizia cercavano quando usavano la pistola o la cocaina.

6. Ho fatto la stessa domanda a Giacinto Siciliano: che significa essere un uomo?
Cercare, evolversi, contribuire all’evoluzione della specie e della realtà in generale. La velocità con cui la specie umana è cambiata e ha prodotto cambiamenti nell’ambiente non ha paragoni con quello che possono fare gli altri animali. Essere uomo per me vuol dire coltivare il piacere di conoscere e di evolversi, utilizzando i percorsi degli altri uomini per migliorare il proprio e viceversa.

7. Rifaresti tutto quello che hai fatto?
Nei fatti sto continuando a farlo. Saranno poi gli altri a decifrare se l’ho fatto perché ostinato come un mulo o perché ne valeva la pena. Dopo tanti anni di impegno, oggi vedo crescere il numero e la portata delle iniziative e delle collaborazioni fra il gruppo della trasgressione e la realtà istituzionale e questo mi fa pensare di poter fare ancora strada verso l’obiettivo con cui sono partito quando ho aperto il gruppo 23 anni fa, cioè contribuire a una cultura della pena che abbia come unico scopo l’evoluzione della persona condannata e delle istituzioni che se ne occupano. Non ci sono infatti pene afflittive, retributive o riparative che, di per sé e senza un progetto oltre la pena, permettano alla collettività di ottenere gli stessi vantaggi che vengono raggiunti con l’evoluzione psichica e morale di chi ha abusato del proprio potere sull’altro. Evolversi è una necessità per l’uomo e un dovere per ogni cittadino e per ogni collettività. La pena, dal mio punto di vista, deve consistere solo nel costringere la persona ad evolversi, ricordando che la sola evoluzione possibile avviene quando non ci si sente costretti a cambiare.

Interviste: Giacinto SicilianoAngelo Aparo

Max Rigano su Facebook – Torna all’indice della sezione

L’arma migliore contro il degrado

L’istituzione era mia grande nemica in passato. Quando mi arrestarono presi questa punizione con tanta arroganza che non mi importava nulla delle conseguenze che potevo creare a me stesso e agli altri. Non ho reati di sangue, ma questo non significa che il mio spaccio di droga sia meno grave, anzi con la mia incoscienza alimentavo come uno stormo di uccelli il degrado della collettività oltre a danneggiare me stesso.

Quando ero molto giovane ero ammaliato da personaggi che nel mio quartiere sembravano i padroni di tutto e tutti. Io li imitavo e li seguivo fino al punto che, se avevo dei problemi, loro c’erano, mi aiutavano. Più il tempo passava più forte diventava la mia corazza, con la nebbia negli occhi la rabbia cresceva e anche la mia incoscienza, a tal punto che non ero più io a chiedere aiuto ma erano loro a rivolgersi a me quando avevano un problema da risolvere. Ero diventato un pilastro importante di quella organizzazione.

Oggi riesco a capire che sì, ero un pilastro solido e importante, ma del degrado, tanto è vero che sono qua rinchiuso. Accetto questa punizione con molta più serenità perché so che con le mie azioni ho contribuito ad aumentare il degrado nella società e non ho più bisogno di un giudice che mi punisca per capire quello che è giusto o sbagliato.

Sono contento di avere ritrovato me stesso e di essere finalmente pulito con la mia famiglia e questo mi fa sentire libero, anche se è strano sentirsi liberi quando la coscienza ti dice che hai sbagliato. Credo che questo è il risultato del percorso fatto col gruppo della trasgressione, anche se so che dovrò lavorare ancora e che devo imparare a confrontarmi. Punizione e regole ci devono essere, ma noi dobbiamo capire le nostre responsabilità e l’istituzione non deve dimenticarsi di noi.

Credo che le istituzioni devono e possono fare molto di più con strutture e personale qualificato per facilitare il recupero dei detenuti. Oggi l’istituzione si deve rendere conto che, se vuoi contrastare il degrado, le persone con caratteri difficili non vanno abbandonate ma aiutate.

Nella vita ho indossato molte maschere cambiandole come un camaleonte in base alle situazioni, ma la migliore che mi dà più soddisfazione è quella che indosso ora con un terzo occhio che mi fa vedere oltre il muro che avevo alzato molto tempo fa.

Fino a poco tempo fa non avevo detto la verità ai miei figli; dicevo, come la maggior parte di tutti i genitori detenuti, che lavoravo e con questo cercavo di proteggerli o, per lo meno, così pensavo. Il dott. Aparo ci ha spiegato e fatto capire che è sbagliato mentire, ed ecco che grazie a quella maschera con il terzo occhio che io chiamo l’occhio della coscienza, ho avuto il coraggio e la serenità di comunicare ai miei figli la verità… che sono in galera e che le istituzioni non sono i nostri nemici ma l’arroganza e l’incoscienza che il loro papà aveva quando era giovane.

Ora capisco che se avessi continuato a tradire i miei figli, un giorno loro si sarebbero sentiti altrettanto in diritto di tradire e questo sarebbe grave per il loro equilibrio. Spero che nel tempo questo nuovo modo di parlare con i figli arrivi anche ai miei compagni detenuti che non hanno la possibilità di frequentare questo gruppo, ai cittadini che sono fuori liberi e alle persone che ancora si fanno travolgere dall’idea di diventare importanti in fretta. La coscienza è l’arma migliore per difendersi.

Paolo De Luca

Genitori e FigliArroganza e Coscienza

 

Il nemico comune

Mi chiamo Francesco Castriotta. Sono nato nella zona di Quarto Oggiaro quando il degrado regnava in ogni angolo del quartiere. All’età di 16 anni entrai a far parte di una grossa organizzazione criminale, dove i capi erano persone, o forse diavoli, che con la loro arroganza e il loro potere comandavano e decidevano su chi doveva vivere e chi doveva morire.

Era una delle più grandi piazze di eroina di tutta Italia e lì ho fatto strada! Da allora sono passati più di 30 anni e ancora oggi in molti quartieri di periferia le istituzioni combattono contro degrado, bullismo, arroganza, potere, mafia e narcotraffico.

A volte mi capita di seguire fiction, serie TV, film basati sulla delinquenza e mi domando se per i ragazzi siano un bene o un male. Io ricordo che da ragazzino, di fronte a film e serie TV come il Padrino, Scarface ecc.., provavo un fascino inspiegabile…  volevo essere come loro, arrogante, prepotente e onnipotente.

Oggi, frequentando gli incontri del Gruppo della Trasgressione, ho l’impressione di riuscire a guardare le cose meglio, mi sembra di sapere ascoltare di più la mia coscienza e di dare meno spazio a quei falsi miti in cui ho creduto per anni.  Oggi, quando mi capita vedere uno di quei film con gli occhi che ho adesso, riesco a vedere il marcio che il film denuncia, ma quando si è giovani questo non si capisce!

Allora io chiedo, se possibile, di intervenire prima che si finisca in galera, anche perché non mi sembra che in tutte le carceri d’Italia ci sia un Gruppo della Trasgressione che ti spinge a metterti sotto sopra.

L’arroganza, che in alcuni quartieri nasce e cresce tanto facilmente, è diventata la principale nemica della mia vita, dopo aver contribuito per mano mia alla distruzione della vita di chissà quante persone. E’ quello il nemico che le istituzioni devono combattere!

Per nostra fortuna, qui a Opera ce ne occupiamo al nostro tavolo e con i nostri convegni, ma perché solo adesso e perché solo in carcere?

Francesco Castriotta

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Cibo a domicilio…

Cibo a domicilio per famiglie in difficoltà,
i “fattorini” sono detenuti in semilibertà

Il Gruppo della Trasgressione fondato 22 anni fa nelle carceri
ottiene l’incarico e una sede in via Sant’Abbondio

IL GIORNO – Andrea Gianni

Milano, 1 giugno 2020 – Dopo una frenata, c’è una ripartenza. In momenti di crisi, quando tutto sembra immobile, nascono occasioni di crescita. Detenuti delle carceri milanesi in regime di semilibertà o ex detenuti in libertà condizionale hanno ottenuto l’incarico di distribuire cibo a famiglie disagiate a Rozzano e Peschiera Borromeo, riuscendo a garantirsi uno stipendio minimo nei mesi dell’emergenza sanitaria. Un’occasione di incontro tra persone che stanno cercando di ricostruirsi una vita fuori dal carcere e famiglie fragili, che rischiano di finire ai margini.

Un risultato del Gruppo della Trasgressione, iniziativa creata 22 anni fa dallo psicologo Angelo Aparo per il recupero di detenuti attraverso l’auto-percezione delle proprie responsabilità, attiva nelle carceri di Opera, Bollate e San Vittore. Oltre all’aggiudicazione dei bandi per la distribuzione di cibo nei due Comuni dell’hinterland milanese, il Gruppo ha ottenuto una nuova sede a Milano grazie al bando di Palazzo Marino “Valori in gioco“. Si tratta di un appartamento in via Sant’Abbondio, zona Chiesa Rossa, che diventerà una base per le iniziative anti-degrado nel quartiere.

“Dopo decenni di sudore, paradossalmente, in un periodo terribile per tutti, il nostro gruppo raccoglie frutti sui quali avevamo quasi perso le speranze”, spiega Angelo Aparo, fondatore del progetto che all’epoca contò tra i primi partecipanti il manager Sergio Cusani, in cella per la maxi-tangente Enimont, e ha offerto un percorso di recupero anche a persone condannate per omicidi e associazione mafiosa. Percorsi fatti anche di incontri con le vittime di reati e di lavoro in aziende partner e nella cooperativa sociale Trasgressione.net, che vende e distribuisce frutta e verdura.
“Con l’emergenza coronavirus il lavoro della cooperativa si è fermato – spiega Aparo – e per fortuna abbiamo ottenuto gli incarichi a Rozzano e Peschiera che ci permettono di sostenerci anche economicamente. In questo periodo non possiamo più lavorare nelle carceri: abbiamo avviato iniziative alternative online come un cineforum sulla “banalità del male“ che coinvolge detenuti, magistrati, studenti e vittime di reati, in attesa di riprendere i percorsi”.

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Un amico contro corrente

Premessa

Nel reparto penale della Casa Circondariale di Milano San Vittore è presente da diversi anni una sezione dedicata ai “giovani adulti”, detenuti in età tra i 18 e i 25 anni.

La situazione che vivono i detenuti in attesa di giudizio e/o con pene brevi, di solito, porta loro a coltivare in carcere relazioni insane quanto quelle con cui si sono avviati sulla strada della devianza. Questo vale ancora di più per i giovani ai loro primi arresti, i quali, quando arrivano al carcere per adulti, fantasticano di trovare all’interno delle mura dei delinquenti già “affermati” che possano confermare e rilanciare il loro status di giovani promesse della criminalità organizzata.

 

Il progetto

Con il presente progetto, attivo dal giugno 2018, tentiamo di rispondere alle suddette aspirazioni con un intervento frontale, che metta i giovani adulti oggi ristretti a San Vittore di fronte all’esperienza e alla maturità di alcuni detenuti, tutti componenti del Gruppo della Trasgressione delle carceri di Opera e Bollate e tutti caratterizzati da un percorso di anni e da risultati documentati dall’equipe istituzionale.

Nello specifico, è stato aperto un gruppo della trasgressione a San Vittore (durata 2 ore e mezza), nel quale detenuti giovani adulti (8-12) e anziani del gruppo (2-4), insieme con i nostri studenti tirocinanti (3-5), si dedicano ai tradizionali argomenti del gruppo (la sfida, le micro-scelte, il bullismo, la fragilità, il progetto), fino alla produzione di scritti e di progetti in linea col percorso effettuato.

 

Contenuti degli incontri e iniziative connesse

Accanto a questo, proviamo, come nella tradizione del gruppo, a mettere in piedi delle iniziative grazie alle quali i destinatari del progetto possano rappresentare i loro sentimenti e le loro contradizioni (Il mito di Sisifo, Una serata per bulli, Una slot machine per chiedere chi sono).

 

Obiettivi e procedure

L’obiettivo è, dunque, permettere ai giovani detenuti di incontrare e confrontarsi con i loro miti, i quali, però, sono diventati nel frattempo persone che si riconoscono nei valori della legalità e, soprattutto, persone capaci di intercettare nei bulli di oggi le stesse fantasie e turbolenze con le quali essi stessi erano giunti al reato e, non di meno, persone capaci di motivare i loro ammiratori a confrontarsi con le proprie fragilità e ad aprire nuove finestre sulle proprie aspirazioni più intime.

A tale scopo, tre detenuti selezionati fra i migliori del gruppo di Opera e di Bollate sono stati autorizzati ad accedere alla sezione dei giovani adulti, insieme con me e con alcuni degli studenti del gruppo (alcuni dei detenuti appena citati, peraltro, sono già al lavoro nel carcere di Opera con il progetto per la prevenzione ai comportamenti autolesivi).

Si auspica che, non appena possibile, vengano effettuati dei controlli, magari coinvolgendo le università milanesi, per verificare se e in che misura l’iniziativa sia stata utile agli obiettivi sopra enunciati.

 

Soggetti beneficiari

A beneficiare dell’iniziativa sono

  • innanzitutto e manifestamente i detenuti giovani adulti del reparto;
  • i detenuti anziani del Gruppo della Trasgressione, che diventano corresponsabili della propria rieducazione mentre si impegnano su un progetto che li vede alleati dell’istituzione;
  • gli studenti universitari che fanno tirocinio col gruppo e i neo laureati che in questo modo maturano professionalità.

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La banalità e la complessità del male

Una porta aperta per il campione

Una porta aperta per il campione di MMA
Vincenzo Solli

Mentre mi chiedo come cominciare questa lettera, il pensiero mi porta indietro nel tempo, che percepisco fermo come un orologio che non funziona più.

Solo la fantasia può aiutarmi nell’immaginare che oggi potresti, chissà, presentarti a me con un volto che non conosco. Ho visto il tuo viso solo su alcuni ritagli di fotografie che le mie sorelle mi hanno spedito dopo averle prese da Facebook. So che sei diventato un campione internazionale di MMA, grazie alle tue zie posso imprimere nella mia mente come sei cresciuto e come sei ora; prima di quelle foto il mio ricordo era fermo all’età dei tuoi dieci anni.

Caro bambino mio, la vita ci ha separati quando avevi solo dieci anni per vari motivi che vorrei spiegarti guardandoti negli occhi. Ricordo, eri bellissimo e mi divertivo tantissimo giocando insieme, facendoti disegni e andando al parco giochi. Ricordo molto bene l’emozione che ho provato quando Dio ti ha concesso di vedere per la prima volta la luce, io ero presente quando sei nato e dopo nel confortare la mamma; ti guardavo incredulo mentre piangevi e non avevo il coraggio di prenderti tra le mani per il timore di farti male; solo in seguito ho trovato la forza di accarezzarti, e con tutta la dolcezza del mondo mi sono avvicinato al tuo minuscolo faccino dandoti un bacio sulla fronte, mentre sentivo dentro me sciogliersi tutta la tensione causata da quella lunga attesa.

Dopo aver vissuto intensamente la gioia della tua nascita, ho fatto rientro a casa, ad affrontare la prima notte in solitudine, perso nei miei pensieri. Tra una sigaretta e l’altra fumata sul balcone, mettevo in ordine il tuo lettino nuovo, guardando che non ci fosse nessuna piega fuori posto, che tutto fosse in ordine pronto ad accoglierti. Ho riposato solo un paio d’ore e al mio risveglio sono corso da te e dalla mamma.

Così è cominciato il nostro cammino di vita, io padre e tu figlio. Tutti i giorni ti penso e non perdo occasione per parlare di te con qualche compagno che, bene o male, si trova nella mia stessa situazione. Mi rendo conto, però, che il mio ricordo è fermo al tempo in cui eri il mio bambino, mentre ora sei un uomo a cui non devo fare più i disegni che ti facevo quando eri piccolo. Adesso immagino che potremmo parlare dei tuoi progetti futuri, di donne, auto, ma soprattutto dei tuoi impegni sportivi, perché ora sei uno sportivo internazionale.

Dimmi, figlio mio, come sei ora? Hai la barba e i capelli sono lunghi come i miei, sei fidanzato? Caro Nicolò, non voglio credere che tutto il nostro rapporto si concluda nell’emozionante ricordo dei tuoi primi anni di vita. Il mio unico desiderio è poterti riabbracciare e vedere l’uomo che nel frattempo sei diventato, anche se non nego che gli anni di detenzione che dovrò fare sono ancora molti. Il mio unico dolore è che, se un giorno il nostro rapporto riprenderà, io sarò diventato vecchio lontano da te; e nel frattempo lotto per andare avanti, lascio aperta la porta della speranza affinché ci possiamo nuovamente incontrare in un tempo non molto lontano.

Il tuo papy, come mi chiamavi tu, che ti vuole un mondo di bene.

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