Ogni volta che vengo al Gruppo della Trasgressione è una evoluzione continua che entra dentro di me. Avevo sentito il nome del pittore Caravaggio e visto i suoi capolavori, ma non sapevo il suo passato e chi era.
Come ho appreso, è stato più volte carcerato e con crimini molto seri, anche l’omicidio. Ha vissuto con tanta sofferenza e una vita piena di problemi ma quell’uomo ha avuto un lato magnifico, sapeva dipingere come se i suoi quadri parlassero.
Per me è un genio che ha lasciato nei suoi dipinti qualcosa che ha a che fare con tutti noi e con la società. Il professor Zuffi ha proiettato tre dipinti di Caravaggio con San Matteo. Dopo una grande e piacevole spiegazione sul dipinto della vocazione di Cristo verso Matteo, un quadro bellissimo con tante spiegazioni diverse, ancora non riesco a credere che dentro quel dipinto c’è la vita nostra e qualcosa che ci lega al nostro passato e presente.
Nel quadro mi colpisce la luce, come se acceca il male. Una luce così forte dichiara la presenza di Dio. E quei sette uomini, cinque seduti e due in piedi, certo che è una chiamata di Gesù verso Matteo! Si capisce da come sono stati sorpresi dall’arrivo di Gesù e Pietro.
Gesù tende la mano con l’indice verso i cinque uomini seduti e solo Matteo risponde come se si aspettasse che quell’invito era per lui. E, in effetti, Gesù lo invitava a seguirlo per un cambiamento, a non rimanere in quel passato e a rendersi disponibile per l’umanità.
Sempre in quell’immagine, a mio parere, Caravaggio ha voluto dirci che esiste il diavolo e che esistono il bene e il male. Nel tavolo ci sono delle monete maneggiante da un uomo al quale non importa chi c’è intorno e che cosa sta succedendo. Per lui contano solo i soldi.
Al mio ritorno in cella mi sono chiesto se proprio nel dipinto c’ero anche io! Quell’uomo che conta le monete rappresenta me stesso in un periodo della mia vita, quando non guardavo i valori che la vita dà, come la famiglia, la libertà, ma volevo avere sempre di più e questo mi ha portato a sbagliare.
Non sentivo e non ascoltavo più chi mi voleva bene. I soldi comprano il diavolo e inizi a non capire più niente. Oggi credo più alla libertà e credo che la vita va rispettata e non buttata e questo non solo per te, ma anche per le persone che ti vogliono bene.
Ecco perché bisogna cercare dove nasce quel male ed evitare che si ripeta. Questo mio crescere e scrivere oggi è solo merito di quello che facciamo al gruppo. La mia coscienza si è svegliata e comincio a capire l’importanza di non fare più male alla società e ai miei figli.
Oggi vorrei un futuro nuovo e voglio guardare verso chi mi aiuta a cambiare, come quella chiamata di Gesù a Matteo, che serve a interrogarsi di più e a essere più responsabili.
Ma quell’invito è solo per chi crede in se stesso e solo così posso avere quello che ho perso e ritornare dai miei figli e nella libertà.
Nel corso dell’esperienza, ho appreso che non esiste una netta distinzione tra vittime carnefici, ma comunanza di sofferenza, sbagli, pentimento e rinascita. Ho compreso appieno l’importanza di conoscere la diversità di vedute e di darsi la possibilità di immedesimarsi ed empatizzare con il diverso.
Rispetto e ascolto di sé e degli altri spero possano essere sempre miei compagni di vita. Mi impegno a mantenere sempre verso chiunque uno sguardo sensibile e consapevole della complessità dell’essere umano, a non lasciarmi trascinare dal pregiudizio e a non negare mai a me e agli altri la possibilità di confronto e quindi l’opportunità di crescita.
Noi stessi possiamo e dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere.
Ho capito che inseguire i falsi miti ci porta a condurre una vita non nostra, fatta soltanto di finzione, per essere una persona che in realtà non si è, costretta imbavagliare e poi a sotterrare del tutto la propria coscienza, per non apparire debole agli occhi di chi ti ha manovrato come un burattino.
Mi impegno a essere me stesso, emozionarmi e piangere di gioia come lo è stato per la nascita dei miei figli. Mi impegno a promuovere altri progetti di questo genere.
Oggi vedere le persone emozionarsi per il racconto del mio passato e per avere raggiunto la consapevolezza degli errori fatti nel passato mi motiva a continuare sulla strada della legalità e del rispetto verso gli altri.
L’idea che mi sono fatto dalla lettura del romanzo è che il giovane studente Raskol’nikov ha via via fatto crescere in sé l’idea di uccidere una vecchia usuraia, pensando che così avrebbe liberato la società da una persona cattiva. Ma, secondo me, non c’è nulla di più sbagliato in questo ed è dagli incontri che ho avuto con tutti voi che piano piano mi ha preso il pensiero che, in fondo, Raskol’nikov aveva soltanto l’inconscio bisogno di eliminare un vuoto esistenziale e una insoddisfazione frutto di una vita sofferta e dolorosa.
Non credo sia sbagliato pensare di diventare un eroe, non si tratta di ideali sbagliati ma di scelte errate e alla fine il rimorso lo ha consumato e la sua coscienza ha prevalso.
Oggi desidero costruire una vita nuova per me e i miei figli e frequentare questi incontri, così utili per noi i carcerati. Cercherò di dare voce anche ai miei compagni detenuti perché si può sempre iniziare a cambiare e a recuperare i nostri sbagli per ritornare uomini onesti per la società e la famiglia.
Prima di tutto vorrei ringraziarvi. Ho sempre colto nel mondo tanta indifferenza verso un tema che mi sta a cuore da sempre e che mi ha mandato in crisi quando mi toccava scegliere tra giurisprudenza e psicologia, salvo poi prendere una strada che adesso si sta rivelando giusta per me, ma nella volontà di un doppio titolo, ché la vita è lunga.
Nel corso degli incontri ho visto un approccio schietto, dinamico, senza formalismi. Tutte le volte che assistevo ad un dialogo con uno dei ragazzi, era come se anche la mia, di coscienza, mi suggerisse quanto la strada appena iniziata nel gruppo della trasgressione fosse perfetta per me e i miei ideali. Avrei tanto da dire, tanto da dare e mi sono affezionata al gruppo, alle sue modalità e vorrei che davvero questa idea trovasse sbocco in ogni ramo della società.
Dottor Cajani. Io non ho fatto gli scout, ma sono sempre stata bene imbottita di fumetti di supereroi. Ci ho sempre creduto, negli eroi. Quando si cresce ci si rende conto che bene e male non sono sempre netti, che legge e giustizia non sempre coincidono, che l’uomo può essere imperfetto. Ma anche che chiunque può essere un eroe, e avere nella legge un valido alleato. Lo scopo? La giustizia. Per tutti e con ogni sfumatura.
Ed eroe non è chi si crede Dio, ma chi fa il suo nel migliorare il mondo. L’eroe è profondamente umano. Il suo approccio come pubblico ministero, così come l’approccio di Juri come psicoterapeuta sono per me eroici. Per me, eroe, è semplicemente chi fa la cosa giusta e chi invita altri a seguirla, per quanto difficile possa sembrare.
E’ vero, sono cresciuta. Sono al quarto anno di giurisprudenza, non leggo più la realtà come quando ero ragazzina, ma negli eroi ci credo ancora. Credo fermamente che l’approccio del gruppo della trasgressione sia la chiave di volta per far recuperare alle persone la propria coscienza con tutte le conseguenze positive del caso a livello sociale: dall’educazione alla legalità per chi ha conosciuto illegalità per tutta la sua esistenza prima di finire il carcere fino all’aiuto fornito ai detenuti e alle vittime di reato per cambiare la propria vita.
Credo, ancora più fermamente, che ogni ciclo dell’abuso vada rotto affinché il mondo possa dirsi vivo e libero, che vada rotto fin dal principio. E questo, come dice Juri, si fa attraverso la civiltà. E la civiltà siamo noi. La civiltà è un divenire. Ho colto da vicino cosa comporta un reato, i segni che lascia e i danni che ne sono conseguenza. L’ho colto nelle storie di Paolo e Marisa e di tutti i ragazzi.
Nell’attesa anche di sapere come tornare attivamente a lavorare con il gruppo, un saluto.
P.S. Mi piacerebbe tanto parlare del Gruppo della Trasgressione all’Università. Quando ne abbiamo parlato con Giacomo, ho visto altri giovani giuristi entusiasti.
Fino a qualche mese fa non avrei mai immaginato di poter entrare in un carcere come studentessa di Giurisprudenza perché pensavo fosse una cosa che avrei sperimentato una volta avviata la mia carriera da magistrato, e invece ho avuto la fortuna di poter partecipare al progetto ‘Delitto e Castigo’.
Confesso che il primo giorno è stato un turbinio di emozioni, sin dal mio risveglio, perché non sapevo a cosa sarei andata incontro, né tantomeno conoscevo le persone con le quali avrei condiviso questa esperienza, dato che ho voluto intraprendere questo cammino da sola. Ogni mercoledì, nonostante avessi la sveglia molto presto, mi svegliavo volenterosa di arrivare a Opera e ascoltare ciò che i detenuti e gli altri membri del progetto avevano da dire; mi sono sentita come una spugna, ho assorbito tutto ciò che potevo.
Ho deciso di aderire al progetto con la ferma convinzione e fede nella rieducazione dei detenuti, operata all’interno delle carceri, che permette agli stessi di ritrovare la propria coscienza, protagonista indiscussa dei nostri incontri, perché credo che solo in questo modo si possa finalmente cambiare e migliorare se stessi. Per quanto riguarda la coscienza, invece, mi sento di affermare che ciascuno di noi la possiede sin dalla nascita, ma in alcuni casi viene fatta tacere perché prevale la volontà di sentirsi, come diceva uno dei detenuti, un ‘Superuomo’ che si crede, appunto, superiore agli altri e crede di aver il diritto di poter decidere sulla vita altrui. In altri casi invece la coscienza viene ascoltata, assecondata e ciò permette di condurre una vita alla ricerca del bene, di ciò che è ‘giusto’. La coscienza può diventare uno strumento della libertà.
Molti detenuti hanno sottolineato, durante gli incontri, il loro sentimento di emarginazione dalla società la quale li ha esclusi non permettendogli di distinguere il bene dal male. Penso che il carcere debba, con i mezzi di cui dispone, aiutare gli stessi detenuti a comprendere quale sia la distinzione tra bene e male e, attraverso il processo di rieducazione, garantire un futuro migliore e non più dedito al crimine.
Nessuno, a mio parere, deve sentirsi ‘pidocchio’ perché ogni essere umano ha valore, bisogna solo imparare a individuarlo. Io purtroppo questo mio valore l’ho scoperto tardi, o forse non ancora del tutto, infatti delle volte mi domando a che punto della mia carriera sarei se avessi dato ascolto alle parole della mia professoressa delle medie, la quale cercava sempre di denigrare il mio lavoro, ma per fortuna i miei familiari hanno sempre visto in me quel valore che io ho individuato solo dopo.
In queste settimane di incontri ho capito cosa voglia dire fare la scelta giusta. Combattere e credere in quello che si fa. Credere nelle persone con le quali si lavora. Credere in se stessi, perché solo così si può avere la forza di continuare. Credere e combattere con tutte le proprie forze per raggiungere i propri obiettivi. Credere nelle parole di chi ha più esperienza e che ci può aiutare.
In queste settimane ho capito chi siano i miei veri mentori: il Dottor Alberto Nobili e lo stesso Dottor Francesco Cajani perché se non li avessi incontrati non avrei mai potuto comprendere di aver scelto la strada giusta. Loro, pur essendo dalla parte della legge, hanno dimostrato di essere padroni di una grandissima umanità e di un grandissimo rispetto anche nei confronti di chi ha commesso reati e ha sbagliato. Un altro mentore che posso dire di avere è sicuramente il Dottor Juri Aparo perché è grazie a lui che ho imparato a credere in quello che faccio, a essere diretta e condividere le emozioni; egli dà l’opportunità alle persone detenute di potersi riscattare e di ‘rinascere’.
In queste settimane ho compreso cosa significhi avere un’opinione completamente diversa dagli altri, avere un pensiero completamente opposto da un altro e rispettarlo comunque anche se non si condivide.
In conclusione, cos’ho appreso da questa esperienza?
Ho imparato prima di tutto a mettermi in gioco. Per me significa entrare in carcere il mercoledì mattina con l’entusiasmo e la voglia di ascoltare le parole dei detenuti in merito al loro percorso di ‘rinascita’, in merito alle loro vite ed esperienze. Per me significa aprire la mente a situazioni che possono, in qualche modo, spaventare perché molto distanti dal nostro quotidiano. Per me significa tornare a casa e condividere con la famiglia le mie emozioni, che in ore di intensi incontri si sono scatenate.
Ho imparato ad ascoltare e a capire le persone che, pur avendo vissuto una realtà completamente differente dalla mia, non sono il loro reato, ma sono uomini quando ritrovano se stessi e comprendono i propri errori.
Continuerò a credere nel processo di rieducazione dei detenuti perché solo così possono riprendere coscienza del loro essere e possono finalmente migliorarsi.
Mi sento di essere cambiata anche io, do molto più valore alle piccole cose, che molte volte possono essere scontate, sento di essere cresciuta. Questa esperienza mi ha fatto crescere!
Avendo partecipato al progetto “Delitto e Castigo” presso il Carcere di Opera, ho avuto la possibilità di toccare con mano da vicino la vita dei detenuti nel carcere e ho percepito ciò che provano e che hanno provato in passato, tramite i loro racconti e le loro storie di vita.
Credo che questa esperienza mi abbia davvero dato risposte a tante domande. Primo tra tutti, ho capito quanto sia importante aiutare questi detenuti, spronarli al cambiamento, al dialogo, all’assunzione di consapevolezza e alla speranza di non ricommettere ciò che hanno commesso in passato.
Credo che la vita in carcere debba servire proprio a questo: rinchiudere una persona in carcere e abbandonarla a se stessa porta all’effetto opposto al cambiamento che si vorrebbe avvenisse; invece, il confronto e incontri come questo possono far capire ai detenuti che non esistono due mondi separati, il carcere e la realtà esterna, bensì uno solo, basato su una reciproca collaborazione, al fine di creare una società in cui tutti possano sentirsi al sicuro ed essere in pace con la propria coscienza, e che è possibile anche sentirsi liberi, seppur detenuti.
Mi impegnerò quindi a custodire con grande cura tutto ciò che ho appreso nel corso di questi incontri.
Grazie quindi a tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto e che hanno partecipato durante gli incontri raccontando la propria esperienza di vita, perché sicuramente è servito molto per ampliare ancora di più il mio bagaglio di conoscenze.
L’insegnamento più importante che porterò sempre con me è guardare a questi detenuti come persone, con un’anima, con interessi, con opinioni, e che trattarli in quanto tali non solo aiuta loro a sentirsi persone migliori, ma sicuramente anche noi.
Ilaria Pinto – Relazione di tirocinio Università Milano Bicocca – Facoltà di Psicologia
Ho svolto il mio tirocinio universitario con il Gruppo della Trasgressione e oggi sono molto contenta di farne parte.
Ricordo molto bene il mio primo ingresso nel carcere di Opera. Lì, trovandomi di fronte a circa trenta detenuti, di cui la maggior parte condannata per omicidio, provai paura. Non avevo mai incontrato di persona, almeno in modo consapevole, qualcuno che avesse commesso dei crimini. Quella volta mi colpì che il disagio non durò molto. Ho cominciato ad ascoltare, a cercare di capire chi parlava, così che, a un certo punto, mi ero dimenticata che la persona che avevo davanti era un “criminale”. Erano persone esattamente come me, come tutti noi, esseri umani!
A chi non capita, quando ascoltiamo alla televisione o leggiamo sul giornale che una persona ha ucciso, di provare rabbia e paura? Spesso mi sono chiesta se anch’io un giorno avrei potuto mai commettere un reato o uccidere e io credo di sì.
Mi sono sempre chiesta come possa funzionare la mente di un uomo che commette certi crimini, ma la domanda su cui è più opportuno ragionare è piuttosto: in una situazione di frustrazione, che tutti noi abbiamo provato nella nostra vita, quali sono le variabili che incidono e fanno in modo che la risposta a tale frustrazione sia scegliere la strada sbagliata, credendo sia quella giusta?
Contesto, mancanza di figura di riferimento credibile, rabbia, fragilità, insicurezza, mancanza di obiettivi, voglia di riscatto nei confronti della vita per dimostrare di essere qualcuno, arroganza, potere: sono questi i concetti chiave su cui ci siamo soffermati al gruppo per cercare di fornire una risposta.
A tal proposito, la maggior parte di coloro che si sono raccontati sostiene di aver vissuto durante l’adolescenza una fase di delirio di onnipotenza in cui è loro mancata una figura credibile e rispettabile.
Siamo esseri umani e, in quanto tali, incompleti. Il potere è forse la dipendenza più pericolosa da cui possiamo essere affetti, proprio perché ci fa sentire qualcuno, rispettati, importanti, come magari nessuno fino a quel momento ci aveva fatto sentire, ma non è la realtà.
Detenuto: “…non avevo obiettivi, anzi uno sì, quello di fare soldi, ed era sbagliato. Ho inseguito la strada più facile, questo mi faceva sentire più intelligente e più potente. La verità è che ho solo causato sofferenza alla mia famiglia. Sono stato vittima di me stesso e così ho perso tutto”.
Ci illudiamo di essere liberi, ma non è così. Siamo esseri influenzabili, mutevoli. La nostra identità, a seconda delle situazioni che incontriamo, assume sfaccettature diverse, ma siamo noi a creare la nostra storia e per questo, fino al giorno in cui moriremo, quest’ultima potrà essere cambiata. Non si nasce delinquenti, lo si diventa, ma proprio come lo si diventa si può smettere di esserlo.
Ci chiediamo se sia effettivamente possibile cambiare, una volta superati i nostri limiti, ad oggi so per certo che ciò è possibile. È necessario affrontare un lungo e faticoso viaggio, ma è con la fatica e con l’impegno che si ottengono risultati. Per questo dobbiamo sempre ambire al cambiamento e alla crescita. Nulla ci viene regalato.
Spesso mi capita di lamentarmi e di non sentirmi abbastanza orgogliosa di me stessa e, in parte, mi sento un’egoista.
Ho avuto la possibilità di osservare uomini e ragazzi raccontarsi e sentire il bambino che c’è in loro, quel bambino che chiede aiuto, che ha bisogno di essere capito, amato e visto per ciò che è realmente. Ho capito quanto sia importante avere un punto di riferimento nella vita, qualcuno che, soprattutto nei primi anni di crescita, creda in noi, ci apprezzi e ci insegni che cosa è l’amore, qualcuno che ci offra i mezzi per poter affrontare le difficoltà della vita. Qualcuno che quando sbagliamo ci faccia vedere un’altra parte della realtà, perché non ne esiste solo una e non è tutto una merda. La vita è un dono e dobbiamo sfruttarla al meglio.
Sono così fortunata che nemmeno me ne rendo conto, io tutto questo l’ho avuto e ho tutte le motivazioni per essere felice. Mi rattrista che molti di loro non possano dire la stessa cosa.
Ad oggi ho deciso di farmi un regalo, ossia prendermi l’impegno di far parte del gruppo della Trasgressione. Per me non è stato un semplice tirocinio, ma un’esperienza di vita travolgente ed è, a tal proposito, anche un’importante occasione per aprirsi completamente all’altro, in quanto esseri umani. Il gruppo è un tavolo ove si riflette, in cui ci si guarda dentro e si cresce insieme.
Sin da bambina mi sentivo inferiore rispetto agli altri e credo che in parte questo fosse dettato dal fatto che a scuola non mi sono stata mai sentita compresa fino in fondo. Mi impegnavo tanto, ma piano piano ho cominciato a sentirmi come se fossi un voto: io ero il sei, gli altri erano l’otto e il nove, ma anche il dieci. Tutto ciò mi portò ad accumulare varie insicurezze riguardo la mia intelligenza, ad aver paura di dire ciò che pensavo perché credevo fosse sempre sbagliato.
Nel gruppo è richiesta una partecipazione attiva con interazione. Devo dire che all’inizio ho fatto fatica, divenendo rossa come un peperone ogni volta che mi veniva chiesto di esprimere la mia idea, ma ad oggi posso dire che sono riuscita ad aprirmi molto con il gruppo, fino ad arrivare a piangere davanti a tutti e a spogliarmi di ogni mia maschera o quasi.
Quindi, sì ad oggi posso dire che, fra le mie tante soddisfazioni personali, il gruppo della Trasgressione è un regalo della vita che non mi posso permettere di rifiutare.
Un GRAZIE a tutte le bellissime persone che ho avuto l’occasione di conoscere. Ognuno mi ha lasciato qualcosa.
Camilla Bruno, Relazione finale di tirocinio Master di I livello in Devianza, Sistemi della Giustizia e Servizi Sociali presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca
Ai fini della partecipazione al Master di I livello in Devianza, Sistemi della Giustizia e Servizi Sociali presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca, ho svolto un tirocinio curriculare insieme al Gruppo della Trasgressione.
Il Gruppo nasce grazie al Dottor Angelo Aparo. Psicologo e psicoterapeuta, operando in carcere, egli sente la necessità di avviare un progetto innovativo e circa venticinque anni fa crea il Gruppo: uno spazio di libertà, fisico e mentale, dove riunire detenuti, ex detenuti, studenti, famigliari di vittime di reato e comuni cittadini. Il dottor Aparo tuttora coordina il Gruppo, i cui incontri avvengono stabilmente con appuntamento fisso ogni settimana, sia all’interno delle carceri milanesi di Opera, Bollate e San Vittore, sia all’esterno.
Nel 2006 nasce poi l’AssociazioneTrasgressione.net Onlus, che si occupa delle attività culturali del gruppo; qualche anno dopo, nel 2012, nasce la Cooperativa Sociale Trasgressione.net, braccio imprenditoriale del gruppo impegnata nel reinserimento sociale dei detenuti ed ex detenuti attraverso opportunità lavorative.
L’obiettivo fondamentale del Gruppo è la conoscenza dell’uomo, la ricerca dell’umanità in ogni uomo, la scoperta dei legami e delle alleanze tra gli uomini, chiunque essi siano e di qualunque tipo siano state le loro esperienze. A partire da questa premessa i detenuti vengono coinvolti in una ricerca e una riflessione su di sé, volta a comprendere meglio le azioni compiute, le possibili ragioni delle scelte fatte, il proprio vissuto, arrivando a una consapevolezza, prima inesistente, di sé e della realtà circostante. Tale consapevolezza è un traguardo faticoso, arduo, per raggiungere il quale è necessario un percorso lungo, a volte molto lungo, non lineare, che può avere temporanei arresti e cambi di direzione. In tale percorso la presenza di solidi punti di riferimento, quali una guida cui rivolgersi, e l’analisi delle emozioni e degli stati d’animo presenti al momento delle scelte fatte, sono basilari per arrivare a maturare un senso di responsabilità, prima sconosciuto o disconosciuto, che è tratto distintivo dell’uomo sociale, del cittadino. L’interazione con il mondo esterno, con i cittadini componenti il Gruppo e con altri che le varie occasioni portano ad incontrare, è determinante perché permette al detenuto di uscire dalla bolla di marginalizzazione che lo rinchiude e di essere ora utile a quella società che in precedenza ha danneggiato.
Ho deciso di iniziare questo mio percorso di tirocinio con il Gruppo della Trasgressione spinta da una grandissima voglia di vedere con i miei occhi e percepire sulla mia pelle quello che le persone vivono, provano, sentono all’interno di quelle mura, senza fermarmi all’immagine collettiva che si ha del carcere e della vita intramuraria suggerita tendenzialmente da film e qualche sporadica testimonianza a volte romanzata.
La problematica della devianza mi ha sempre affascinata. Questo mio interesse e il percorso fatto durante la triennale in Sociologia mi hanno portato all’incontro e alla collaborazione con il Gruppo. Questo tirocinio, dopo poco più di sei mesi dall’inizio, è stato in grado di darmi a livello emotivo e razionale una quantità di informazioni e riflessioni, basate su molteplici esperienze, che non pensavo di potere ricevere in così poco tempo.
Gli incontri settimanali del Gruppo sono così suddivisi:
I gruppi esterni, in orari pomerifdiani (14.30-17.00 circa), hanno luogo il lunedì nella sede del comune di Rozzano (Via degli Oleandri, 39) e il martedì a Milanonella sede dell’associazione Trasgressione.net (Via Sant’Abbondio 53A). In entrambe le occasioni partecipano ex detenuti, detenuti in permesso o in misura alternativa, studenti tirocinanti e non, famigliari di vittime di reato o famigliari di autori di reato e comuni cittadini. Agli incontri ci si puà collegare anche via Zoom.
Mercoledì 9.30-13.00 ha luogo il gruppo interno ad Opera con i detenuti di alta sicurezza; fre le 13.00 e le 15.00 segue quello con i detenuti di media sicurezza.
Giovedì mattina, 9.30-12.30 il Gruppo entra nel carcere di San Vittore con il progetto “Un amico controcorrente” assieme ai detenuti del reparto dedicato ai giovani adulti.
Giovedì pomeriggio, 14.30-17.00, infine, il gruppo si sposta a Bollate, insieme ai detenuti del secondo reparto.
Per quanto riguarda le attività, il Gruppo organizza e prende parte a molte iniziative culturali e di incontro; in particolare:
La Cooperativa si occupa della parte lavorativa: è stata creata una bancarella di Frutta&Cultura che si occupa della vendita di frutta e verdura in loco e della loro consegna a bar, ristoranti, mense e a famiglie bisognose. I dipendenti della Cooperativa, sia detenuti che ex detenuti, si occupano anche di lavori di tinteggiatura, manutenzione e pulizia.
Con l’associazione vengono organizzati – oltre ad i soliti incontri interni ed esterni – convegni, incontri con le scuole superiori per la prevenzione al bullismo, al gioco d’azzardo, alla tossicodipendenza ed in generale alla devianza (sia nelle scuole che nelle carceri), rappresentazioni teatrali e concerti della band.
Durante questi mesi ho potuto partecipare ad alcune di queste attività. In particolare:
incontri con il liceo artistico di Brera (MI) presso il loro istituto e con una scuola superiore di Parabiago nel teatro del carcere di Bollate;
incontri genitori-figli nel carcere di Opera, volti ad offrire un confronto e a favorire un dialogo sincero tra le parti, con possibili interventi di tutti i presenti, detenuti e non;
visione di rappresentazioni teatrali soprattutto nel carcere di Opera, in particolare il Mito di Sisifo, che racchiude in se’ tematiche chiave del Gruppo, quali la devianza, il delirio di onnipotenza, il difficile rapporto genitori-figli dettato dal modello genitoriale padre-padrone e, per concludere, il raggiungimento da parte del detenuto di una nuova consapevolezza del proprio vissuto e delle proprie azioni e di una nuova responsabilità nei confronti dell’altro, delle istituzioni e di se stesso.
Da ultima, ma non per minore importanza, la partecipazione al convegno “Una mappa per la pena” organizzato dal Senatore Mirabelli in collaborazione con il Gruppo, tenutosi al palazzo del Senato della Repubblica a Roma il 25 maggio 2022. Il Gruppo della Trasgressione è potuto entrare in Senato per la prima volta, assieme a detenuti ed ex detenuti davanti alla Ministra della Giustizia Marta Cartabia e al capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Carlo Renoldi. In questa occasione il Dottor Aparo è intervenuto presentando in primis il Gruppo e gli effetti di questo sulle persone, detenute e non, che ne fanno parte, ma soprattutto proponendo il progetto di un Centro-studi all’interno delle carceri di Opera, Bollate e San Vittore, attraverso il quale si possano analizzare non solo i fattori socio-culturali che portano una persona a preferire la strada della devianza e quindi a delinquere, ma anche i fattori psicologici, caratteriali ed emotivi che incidono sulle micro e macro scelte compiute giorno dopo giorno che contribuiscono a creare un’identità caratterizzata in toto dalla devianza.
Giunta alla fine di questo percorso, posso dire di aver costruito anche io una nuova consapevolezza: ho capito che per crescere si deve fare fatica, che non basta starsene lì fermi, in un angolo sicuro a guardare, ma che bisogna essere disposti ad impegnarsi realmente per poi far del bene.
Ho capito che niente arriva alle porte della tua coscienza se non sei tu a portarci qualcosa.
Ho imparato che per occupare un posto nel mondo che abbia un senso per se stessi e per gli altri bisogna tirarsi su le maniche, cercare persone che siano nostre alleate, prendere atto di ciò che siamo stati e di ciò che abbiamo fatto per essere in grado di essere oggi persone responsabili.
Ho conosciuto persone, uomini, anime segnate dal dolore e dalla sofferenza. Persone che ad un certo punto hanno perso tutto, ma che pian piano e con fatica hanno riacquistato l’amore per la vita, mettendosi in gioco giorno dopo giorno, per loro stessi e per i loro cari.
Ho conosciuto persone che per tutta una vita hanno camminato nel buio, ma che oggi risplendono di luce brillante e meravigliosa.
Ho conosciuto persone che per anni hanno fatto del male, ma che oggi spendono ogni minuto della propria giornata per essere d’aiuto al prossimo, mettendoci anima, corpo e soprattutto cuore.
Ho imparato a pensare che non sempre ciò che penso è sbagliato, che non sempre quello che vorrei portare come mio contributo è inutile. Ho imparato che le parole hanno un peso specifico, che possono davvero essere d’aiuto per qualcuno, così come potrebbero anche fare danni.
Ho capito che nella mia vita voglio mettermi in gioco, anche se ancora faccio fatica, ma voglio arrivare a capire che posso farlo anche io.
Ho imparato che posso accogliere l’altro, le sue emozioni, i suoi vissuti, e che io posso a mia volta essere accolta, senza paura.
Da LPT Studio
Questo gruppo mi ha dato davvero tanto, sia a livello conoscitivo ai fini della professione, sia a livello emotivo e personale. Mi sono ripromessa di custodire gelosamente e con cura dentro di me un pezzetto di ogni persona che ho conosciuto in questi mesi, perché ognuna di loro è stata in grado di lasciarmi qualcosa di importante.
Ringrazio il prof Aparo per essere stato fonte di grande ispirazione; ringrazio il Gruppo della Trasgressione per avermi dato la possibilità di vivere un’esperienza del genere, che credo cambi la propria visione della realtà.
Ringrazio ogni singola persona che mi ha permesso di entrare nella sua vita e ringrazio chi ha voluto fare lo stesso entrando nella mia.
Spero un giorno di poter essere alla vostra altezza.
Dopo gli incontri incentrati sul progetto Caravaggio in città svolto nel carcere di Opera insieme al professor Zuffi, il prof Aparo ha deciso di portare anche a San Vittore il quadro della Vocazione di San Matteo.
A differenza di ciò che è stato fatto ad Opera, il quadro è stato mostrato ai ragazzi detenuti a San Vittore senza nessun tipo di spiegazione o premessa; è stato chiesto loro di provare a descrivere semplicemente ciò che vedevano raffigurato nel dipinto. Durante questo incontro erano presenti in incognito anche tre future vicedirettrici di carcere, che insieme ai ragazzi hanno descritto il quadro facendo riferimento solo a ciò che stavano guardando e che stavano provando in quel momento.
Il risultato di questa interessante e piacevole interazione è stato un incontro molto toccante. Sono emersi pensieri e sensazioni da entrambe le parti che mi hanno emozionata e che mi hanno fatto pensare.
Dopo che tutti i presenti avevano parlato a lungo del dipinto e di ciò che ognuno riusciva a leggere nelle diverse figure, il professore ha chiesto a tutti i presenti una rilettura del quadro: “Se il quadro fosse una fotografia di quello che tu desideri possa accadere oggi nella tua vita, come descriveresti i diversi personaggi e ciò che stanno facendo?”
Sono emerse diverse risposte, tra le quali sicuramente quella dove le persone desideravano essere chiamate a fare qualcosa di bello, qualcosa di importante per se stessi o per gli altri.
Quando ho provato a darmi una risposta a questa domanda, ho pensato subito anche io alla chiamata: ho pensato al desiderio di essere chiamata, proprio come Gesù chiama San Matteo. Ho pensato al desiderio di essere presa per mano e accompagnata nel mio cammino da una guida in grado di riconoscermi e scegliermi per la persona che sono.
Hamadi non ha risposto con molte parole, ma quello che detto mi è arrivato dritto al cuore: “Vorrei essere capito e visto per ciò che sono davvero”.
In queste parole io ho sentito una forte richiesta di aiuto, e ripensandoci, la mia risposta alla domanda di prima ora cambia. Senza la pretesa di salvare il mondo, in futuro vorrei poter essere quel fascio di luce che illumina San Matteo, quella mano che dolcemente indica alla vita.
Vorrei chiamare, vorrei poter riconoscere e dare la possibilità di dimostrare il proprio essere a tutti gli Hamadi che incontrerò. Vorrei invecchiare, guardarmi indietro e riconoscere di essere fiera di ciò che sono stata, di essere stata magari d’aiuto a qualcuno e di aver forse fatto del bene.
Questo, quindi, è il mio ideale di vita: poter essere chiamata oggi, per potere un domani essere in grado di chiamare a mia volta.
Il Gruppo della Trasgressione riapre nella sede di via Sant'Abbondio
Grazie alla sede di recente acquisizione, avuta in affitto dal comune di Milano e sulla quale stiamo lavorando in questi giorni per renderla operativa, tutti i martedì, dalle 14:00 alle 17:00, a partire da martedì 29 settembre, detenuti, studenti universitari, familiari di vittime di reato e comuni cittadini riprendono i classici incontri del gruppo.
La sede è in Via Sant’Abbondio 53A (MM Piazza Abbiategrasso) e ha le dimensioni necessarie per mantenere senza difficoltà fino alle 20 persone le distanze anti Covid 19. Va da sé che è d’obbligo l’uso della mascherina e che, laddove dovessimo correre il rischio di superare le 12 persone, interverranno prontamente le nostre cantanti per disperdere l’assembramento.