Al liceo artistico di Brera

Incontro studenti e detenuti Liceo Artistico di Brera (Via Camillo Hajech, Milano, MI) di Mercoledì 30.03.2022

Durante l’incontro di Mercoledì 30 Marzo è stato affrontato il delicato tema della prevenzione della devianza giovanile. A tale scopo è stato organizzato un incontro tra detenuti (in gran parte provenienti dal carcere di Opera) e due classi di studenti liceali.

L’incontro è partito con una metafora: il detenuto come un astronauta, per il quale il viaggio verso Marte rappresenta la via della delinquenza, mentre il ritorno sul pianeta Terra la riabilitazione e la reintegrazione all’interno della società civile.

Tra le diverse testimonianze di vita dei detenuti, un elemento è stato più volte identificato come una delle principali cause che portano sulla strada della devianza: il contesto familiare e socioculturale.

Il progetto genitoriale, così come l’ambiente culturale, sono, infatti, fondamentali per lo sviluppo emotivo, sociale e affettivo del giovane e, in presenza di relazioni sociali problematiche e traballanti, aumentano di molto le probabilità di diventare un delinquente.

Tutto ciò porta il giovane ad assumere modelli di riferimento non rispettabili, che, attraverso la seducente promessa di una vita facile (senza necessità di lavorare e faticare), piena di denaro, macchine e altri beni di consumo, lo conducono alla pratica delinquenziale.

Queste esperienze di vita, a loro volta, si riverberano anche nei rapporti tra i detenuti e i loro figli. Questo è sicuramente uno degli aspetti più complessi e pregnanti dell’incontro di mercoledì, poiché il padre, che si trova in carcere, da un lato ha paura che il figlio ripercorra le sue stesse orme (ad esempio spendendo il suo nome per ottenere rispetto e indebiti vantaggi) e dall’altro prova imbarazzo e pudore a raccontare al figlio cosa ha fatto, il perché della sua condanna e il carcere.

Per interrompere questo circolo vizioso e per scongiurare la possibilità che il figlio segua lo stesso percorso del padre-detenuto, è necessario che quest’ultimo si assuma le sue responsabilità e cerchi di dare al figlio ciò che lui, in molti casi, non ha mai avuto: un modello rispettabile.

Durante l’incontro è emersa la riflessione che, per diventare un modello rispettabile, il padre, in primo luogo, deve comprendere cosa ha fatto, poi deve spiegarlo al figlio e, infine, chiedere scusa (del fatto che la sua condotta lo ha portato alla reclusione e quindi all’interruzione del rapporto).

Fra le tante, la testimonianza più struggente è stata quella di Nuccio, che ci ha raccontato dell’improvvisa decisione di sua figlia di interrompere il rapporto con lui, cosa che poi lo ha spinto a diventare un poeta. Questo elemento emerge chiaramente nella lettura della sua splendida poesia intitolata “Perché scrivo poesie” e in particolar modo nelle ultime due terzine: “Perché voglio diventare poeta? Forse perché solo l’animo di un poeta è degno di riconquistare il tuo cuore”.

L’incontro al liceo Brera è stato molto istruttivo anche se si è volto con tempi molto stretti. Spero che quello del prossimo 7 aprile, anche per il tempo più ampio di cui disporremo, possa avere una partecipazione più attiva e corale da parte degli studenti.

Leonardo Esposti

Marte, andata e ritorno

Tra palco e realtà

Ho avuto il piacere di partecipare all’incontro al liceo artistico Brera con il Gruppo della Trasgressione. Inevitabilmente ogni volta sono portata a guardarmi dentro, ma non è facile per me perché mi rendo conto di quanta strada ho ancora da fare per raggiungere quella consapevolezza e presa di coscienza che Adriano e gli altri detenuti ed ex detenuti hanno acquisito.

Nel percorso di andata su Marte per questi uomini è chiaro che, in qualsiasi modo si venga contattati, è importante il ruolo della guida, per noi sbagliata, ma che in quel momento in un ambiente giovanile, adolescenziale fatto di degrado, di abbandono scolastico, di nessuna prospettiva futura, l’offerta da parte della guida di soldi facili, moto, auto e donne, si presenta particolarmente allettante. La strada si spiana e il carattere del singolo prende il sopravvento fino a illuderlo facendolo diventare un leader negativo col suo sentimento di onnipotenza e delirio.

Poi l’atterraggio,  la resa dei conti con la giustizia,  la permanenza in carcere, la presa di coscienza che ciò che si è fatto è stato un errore, un sentimento come il rimorso che inizia a serpeggiare e nessuna via di fuga dalle proprie responsabilità. Quando ad un tratto la speranza si incarna in una nuova guida che propone una via d’uscita da quell’inferno di dolore e sofferenza e porta l’uomo a credere che ci siano alternative di vita migliore, allora si incomincia a prendere coscienza.

Adriano ci crede e questo percorso non facile lo fa suo e la pena diventa un purgatorio di espiazione delle proprie colpe, studia, si prepara fino ad essere pronto ad affrontare gli altri affinando capacità comunicative, diventando di fatto un leader positivo e fa della comunicazione il suo scopo di vita.

Adriano con la sua simpatia napoletana mi ha conquistata e mi ha portata ad ascoltarlo. Abbiamo parlato tanto e le nostre storie si sono incrociate fino a prendere forma in un progetto di famiglia. Così piano piano è arrivato il momento di farlo conoscere ai miei figli che avevo preparato dicendo loro la sua storia di uomo cambiato.

È  stata magica l’empatia che si è creata tra di loro e a chi mi chiede come ho potuto accettare l’idea che un ex assassino possa tenere tra le braccia la mia bambina, giocare e parlare con i miei due grandi, posso dire che probabilmente i miei figli hanno per prima avvertito l’accettazione da parte mia e quindi è venuto naturale anche a loro, ma questo grazie all’ umiltà, alla disponibilità e alla collaborazione di Adriano.

Certamente non è sempre facile, soprattutto per mio figlio grande, nel pieno dell’adolescenza, ma piano piano il progetto di famiglia sta prendendo forma.

Francesca Zani

Perché scrivo poesie          Marte, andata e ritorno

Perché scrivo poesie

Picchì scrivu puisii?
Fossi picchì no nti sappi
teneri nde razza?

O fossi,
picchì no gnucai
mai cu tia?

O picchì
no ndi sappi rari
u megghiu ri mia?

Macari ka c’era,
Era iù ka no vireva.
Passai troppu anni o scuru,

Era accussì scuru
ka no mireva
Mangu chiddi chiù vicinu.

Picchì vogghiu
addivindari pueta?
Fossi picchì sulu l’animu

di mpueta è degnu
di riqunguistari
u to cori.

Perché scrivo poesie?
forse perché non ti ho saputo
tenere in braccio

O forse
perché non ho giocato
mai con te

O perché
non ti ho saputo dare
il meglio di me

Anche se c’era,
ero io che non ti vedevo
ho passato troppi anni al buio

Era così buio
che non vedevo
neanche quelli più vicini

Perché voglio
diventare poeta?
forse perché solo l’animo

di un poeta è degno
di riconquistare
il tuo cuore

Nuccio Di Mauro

Marte, andata e ritorno         Officina creativa

Il piacere della responsabilità

Fino a ieri, il numero dei posti della sala Alessi era drasticamente ridotto (55 su 150). Oggi la sala torna ad avere tutti suoi posti disponibili e si riaprono le prenotazioni.

Gli avvocati possono prenotarsi scrivendo all’indirizzo riportato sulla locandina; le persone del gruppo della trasgressione scrivano a Elisabetta Vanzini: e.vanzini@campus.unimib.it

 

Spara, Juri, spara

Il guerriero, il ricercatore, l’esploratore, l’archimandrita, l’anacoreta.

Spara, Juri, spara. Spara le tue parole, spara i tuoi discorsi, manda la maschera in pezzi e rivela l’uomo.

Proiettili le tue parole, armi i tuoi discorsi. E’ una strana guerra la tua, una guerra di ricerca, una guerra di ascolto.

Da sempre sei alla ricerca dell’uomo in coloro che incontri. Interroghi, indaghi e ascolti. Ascolti le voci di Freud, Lacan, Winnicott… e le voci da dentro. Le voci si intrecciano, si sommano, si accordano, stridono. Diventano storia. Ascolti la storia e spari i tuoi colpi. La ascolti di nuovo e poi ancora ed ancora. La storia è la stessa ma è anche diversa. Cogli nodi ed intoppi, sbrogli matasse intricate, arruffate da lapsus e mascherate da raptus. Metti in fila gli eventi, metti ordine nelle emozioni e nei sentimenti. E ancora e ancora. Interpreti le voci e spieghi la storia a chi, raccontandola, credeva di averla capita. Ti fermi quando l’aderenza tra forma e sostanza ti sembra raggiunta. Ti fermi quando la storia coincide con l’uomo. Ma poi ricominci.

Ascolti le voci, ascolti la storia, cominci a esplorare le scelte e i percorsi, i paesaggi e le mete.

Le scelte sbagliate, le mete fasulle, la realtà delirante di paesaggi inesistenti con una bussola nuova riacquistano senso, te ne servi per costruire mappe chiarissime.

Da bravo pastore non dimentichi pecore, pur riottose, se ti seguono attente. Sulla strada ritrovata avanzano lente, si nutrono delle tue parole e dei tuoi discorsi, strada facendo si scoprono un vello folto e lucente, vanto insperato e molto ammirato.

Ogni tanto il ricercatore ha un dubbio di troppo, l’esploratore si trova smarrito, il pastore perde una pecora. Ma è un attimo, poi si riprende. Riprende il cammino. E’ un po’ solo, a volte si chiede chi sbroglierà la sua matassa arruffata, chi spiegherà a lui quel pezzo della sua storia che non riesce a capire, chi gli rivelerà il percorso migliore per la bellezza, perché sa che la bellezza è una forza potente, cui nessuno resiste.

Nuccia Pessina

Le storie

 

Storia di Camilla

Sono agitatissima. tesa come una corda di violino. E’ la prima volta che nello spettacolo di fine anno ho una parte così importante: la protagonista!

Ma non mento a me stessa. La tensione non dipende solo da questo. Sono tesa perché vengono a vedermi mamma e papà insieme. E’ la prima volta.

Adele sta finalmente meglio. Sono così contenta che ce l’abbia fatta. Voglio molto bene a mia sorella Adele ma ogni tanto vorrei non avere una sorella o averne una normale. Lei è bella, intelligente, sensibile ma ha dentro di sé un dolore senza causa, secondo me, che la lacera, la corrode, la risucchia verso gesti insensati. E’ la seconda volta che tenta il suicidio. Per fortuna siamo arrivati in tempo. L’abbiamo portata al Pronto Soccorso più in fretta che potevamo, abitiamo molto vicini, se avessimo chiamato l’ambulanza ci avrebbe messo di più. Lavanda gastrica immediata e ce l’ha fatta. Questa sera l’abbiamo lasciata con una parente cui è molto affezionata, così io mamma e papà per una volta saremo una famiglia. Andremo a mangiare una pizza dopo il saggio e chiacchiereremo come non capita da tempo. Eccoli, sono arrivati, tra pochi minuti si comincia.

Sento gli applausi che scrosciano. Siamo stati bravi. Sono stata brava. Ho retto la parte con maestria. Ero dentro il personaggio. Sono mesi che ci lavoro. Ho quasi perso la mia identità per calarmi nel mio personaggio. A volte mi trovo a comportarmi come lei, a reagire come lei, a pensare come lei. E, francamente, a volte era un autentico sollievo. Essere lei era meglio che essere me stessa, mi acquietava, perché i suoi travagli erano finti, dunque sopportabili, il solo sforzo che dovevo fare era comprenderli. I miei travagli, invece, sono intollerabili ormai perché non sono miei davvero.

Gli applausi non smettono, è la quarta volta che ci chiamano sul palcoscenico. E’ bellissimo. Ma sono anche tanto stanca. Le luci di scena abbagliano e non mi fanno vedere chi c’è in sala. Chissà come sono contenti i miei. Contenti e orgogliosi che la loro piccolina sia stata così brava. Oh, ecco le luci anche in sala. Non li vedo.  Dove sono?

Sono al ristorante con tutti gli attori. Siamo contenti e sfiniti. C’è un vino molto buono. Va giù che è una meraviglia. Poi fa così caldo fuori e così freddo dentro! Bevo come se non avessi mai fatto altro. Poi una bella scorribanda notturna, tutti insieme. E’ una bella serata. E’ una bella serata?

Mi ritrovo a passeggiare con Andrea, amico del protagonista. Mi mette un braccio sulle spalle e mi stringe a sé. Lo lascio fare. La sensazione è piacevole. Camminiamo a lungo. L’effetto del vino pian piano si attenua. La testa ora è lucida. Troppo lucida. Andrea mi offre un tiro di fumo. Che buon aroma. Tiro un’altra boccata e un’altra ancora. Tutto mi sembra bello, il cielo è più terso, le stelle più lucenti, le gambe mi fanno volare, le persone sorridono amichevoli, parlo senza sforzo, tutti mi ascoltano, mi capiscono. Sono in sintonia con l’universo. Soprattutto il mio corpo è in sintonia con il mio cervello e il macigno sul mio sterno se ne è andato.

Forse anche noi possiamo andare a dormire. E’ quasi l’alba. Salgo in macchina con Andrea. Mi ritrovo le sue mani dappertutto e poi non solo le sue mani. Va bene così. Anche con questo sono in sintonia. Lo sento dentro di me. Mi penetra come se non avesse mai fatto altro, e un po’ mi fa male e un po’ mi piace, un po’ male e un po’ mi piace, un po’ male e un po’ mi piace, un po’ male e un po’ mi piace. E poi mi piace, mi piace, mi piace, mi piace.

Salgo le scale di casa, frugo nella borsa per cercare le chiavi e vedo il telefono che lampeggia. Messaggio. Adele è in ospedale in fin di vita. Si è affettata numerose parti del corpo, quasi fosse un prosciutto, mi dice mio padre con la voce rotta, ha perso molto sangue, forse troppo.

Vado in camera mia e mi stendo sul letto.

L’effetto del vino è ormai un ricordo, l’effetto del fumo se ne è andato tra le spire, l’effetto della vita, invece, c’è tutto ed è tutto qui appoggiato sul mio sterno. Per fortuna c’è qualcosa che mi può aiutare. Allungo la mano, apro il cassetto, trovo il blister, ingoio.

Buona notte Camilla! Sogni d’oro!
Domani riprende lo spettacolo della mia vita. Devo essere forte, devo stare bene, devo essere sorridente ed empatica, devo andare a trovare Adele in ospedale, devo rallegrarla, devo risollevare il morale dei miei. Non devo pensare, non devo sentire. Cercherò con impegno un altro personaggio cui dare vita, cui prestare corpo e spirito. Spero di trovarlo in fretta. E’ una questione di sopravvivenza.

L’altro giorno ho pianto per ore. E’ stato un pianto liberatorio. E non è un modo di dire. Ero così sfinita che non riuscivo a smettere, avevo perso i contatti con la realtà. A un certo punto, quando ho aperto gli occhi, ho visto la mamma che mi guardava desolata, l’ho sentita avvicinarsi, si è seduta accanto a me sul letto e ha cominciato ad accarezzarmi i capelli, me li ha accarezzati per ore, o così mi è parso e, dopo molto tempo, una sensazione di benessere mi ha pervaso.

Sopravviverò, imparerò a tenere a bada il dolore, ma non dovrò più farlo di nascosto. Condividere il mio dolore lo attutirà e renderà più sopportabile anche agli altri provare il loro.

Storie

Strumenti di libertà

Una delle cose più difficili che mi è toccato fare in queste prime volte che sono uscito dal carcere in permesso, è stato spiegare ad alcune mie vecchie amicizie e anche a mio fratello, ancora adolescente, che cosa mi è successo nella vita che mi ha portato a commettere i reati di cui sto espiando la pena. Ho dovuto riaprire alcune porte che una volta mi facevano paura, che mi facevano fuggire, ho dovuto toccare alcune corde che un tempo mi causavano molto dolore.

Ma quando mi è stato chiesto come è stata fino ad oggi la mia carcerazione, ho risposto che mi considero fortunato perché nel lungo percorso che ho effettuato all’interno degli istituti di reclusione in cui sono stato, ho avuto la fortuna di incontrare figure istituzionali e volontari, molto credibili e affidabili, che con la loro capacità di ascoltare e di saper giungere al fulcro del problema, mi hanno aiutato a lavorare sulle mie fragilità e su ciò che mi ha fatto male, a liberarmi della corazza che mi ero costruito, ma soprattutto a capire quali meccanismi mi avevano portato a farmi sedurre dal male.

Una volta queste figure erano molto lontane da me e oggi capisco che io utilizzavo la loro lontananza come alibi, per giustificare le mie azioni o alcune delle decisioni che prendevo ai tempi. Erano bersaglio del mio odio, disprezzo e arroganza. Preferivo affidare la mia vita ai diversi venditori di maschere che incontravo nel mio cammino. Giorno dopo giorno, questi venditori di maschere hanno contribuito a farmi innalzare un muro di incomunicabilità e a farmi vivere in una bolla in cui la mia immagine andava sbiadendo fino a non essere più riconoscibile.

Quando arrivò il momento di pagare il peso delle mie azioni, la condanna per me fu come uno schiaffo e dissi a me stesso che, se dovevo pagare per il peso delle mie azioni, io volevo vedere dove risiedeva la mia responsabilità. Pertanto, quando iniziai la mia carcerazione, cominciai a cercare delle figure che potessero darmi una risposta. Non pensavo che per trovare le risposte ,per prima cosa, avrei dovuto lavorare sulle mie fragilità e bonificare le figure del mio passato che mi avevano fatto sviluppare una conflittualità verso le autorità e il riconoscimento del loro ruolo.

Incomincio pertanto a stringere delle alleanze, giungo al tavolo del Gruppo della Trasgressione, dove un giorno ci domandiamo “che cosa permette a un detenuto di ignorare le responsabilità verso se stesso“.

Le risposte erano state molte, in certi casi in contrasto l’una con l’altra, ma l’essere umano è un mix perfetto di contraddizioni. lo penso che uno dei maggiori input che può alimentare il senso di responsabilità sia la cultura, l’istruzione, che oltre a risvegliare la nostra coscienza, aiuta un detenuto a intraprendere progettualità, a stringere alleanze per il futuro e ad assumere una posizione consapevole nei confronti delle proprie scelte.

Molto importanti per la crescita sono anche i riconoscimenti di chi ti segue nel cammino. La valorizzazione dei risultati che un detenuto ottiene è fondamentale per far sì che non ci si allontani dalle istituzioni e dai buoni alleati. Io credo che tutti i detenuti dovrebbero venire incoraggiati attivamente a intraprendere percorsi di formazione e di acculturazione.

Nella pianificazione del mio futuro, io interpello le diverse figure istituzionali, le rendo partecipi delle mie decisioni e concordiamo insieme il da farsi, lo stesso faccio anche con le figure non istituzionali che nel lungo cammino hanno creduto in me. Oggi piano piano sto riprendendo il controllo della mia vita. Ho sconfitto il mio Minotauro e sono riuscito a costruirmi il mio GPS per potermi muovere in armonia tra regole e paure in questo labirinto della vita, insomma ho trovato un filo d’Arianna 2.0, ma soprattutto sono riuscito a trovare il mio equilibrio grazie a questo filo sottile che seguo per orientarmi fra il mio DELIRIO e la mia RIUSCITA.

Oggi sono felice delle mete che ho raggiunto e sto raggiungendo, ma sono anche consapevole che gran parte del merito dei miei traguardi sono dovuti alla cultura e allo sport, entrambi utili come strumento di emancipazione.

Mi sono purificato nel Lete, e ora potrò volare senza bruciarmi le ali come Icaro, conquistare emozioni e vivere esperienze uniche.

Concludo ringraziando tutti quegli alleati che in questo lungo cammino di cambiamento mi hanno aiutato con i loro strumenti a sorreggere il peso della mia realtà. Alcuni di loro sono diventati oggi colonne portanti nella mia vita e fari per poter ritrovare il porto sicuro nei momenti di tempesta, ma soprattutto grazie per avermi dato gli strumenti per poter diventare faro per altre persone che stanno intraprendendo questo lungo cammino.

Emmanuel Huaranga

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La peggiore sconfitta

La libertà è sacrosanta, è il valore più prezioso che l’uomo ha mai avuto dalla vita. Tutta la terra e i mari con i loro tesori non sono paragonabili al bene della libertà. La peggiore sconfitta per un uomo è perdere la propria libertà per averla disamata.

Spesso, da quando sono qui in carcere, mi sento un idiota perché penso che le persone che conoscerò non vorranno relazionarsi con me perché potranno pensare che, se io non ho saputo amare la mia libertà, non sarò nemmeno capace di amare e rispettare i loro valori.

Adesso che sono qui, bloccato dal mio passato, ho cominciato a chiedermi cosa posso fare per allargare i miei spazi e forzare le mie sbarre mentali, per illuminare altri pezzi della mia vita e scoprire risorse dentro di me. Come posso liberarmi dalle cose negative che mi hanno portato a perdere la mia libertà?

Massimo Strazzullo

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Necessità e libertà

Ogni uomo nasce, ma non decide dove, quando e da chi nascere. Ogni uomo sa di dover morire, ma non sa quando e come.

Una rappresentazione grafica per esprimere queste affermazioni può essere quella di due punti nello spazio e una linea che li congiunge. I due punti, la nascita e la morte, sono espressione di uno stato di necessità; la linea che si snoda tra di essi, l’esistenza, è espressione di una continuità di momenti aperti alla condizione di libertà.

Tali momenti danno forma alla linea. Qual è la forma possibile? Quale la sua lunghezza? Entrambe varie La linea può essere retta, spezzata, sinuosa, mista. A determinare in larga parte la forma della vita e la sua lunghezza sono le scelte che si compiono.

Le scelte sono libere? Relativamente! Le scelte dipendono da condizionamenti inevitabili derivanti da indole, ma anche da impulsi, educazione, esperienze, frequentazioni, relazioni personali, casualità, solo in parte frutto di libere scelte. Poi c’è la componente della volontà, una volontà che va allenata se si vuole che compia scelte libere e giuste.

Forse per questo l’esistenza può essere paragonata a un agone dove si confrontano continuamente due avversari tenaci: lo stato di necessità e la condizione di libertà. Poiché non è del tutto stabilita a priori la forza dei due avversari, ognuno deve lottare per togliere campo allo stato di necessità e conquistarlo alla propria libertà.

E’ una lotta continua; può essere estenuante ma anche entusiasmante, dipende da noi. Soprattutto richiede allenamento. E tanta attenzione. Bisogna dare attenzione alle situazioni, alle persone. Bisogna fare attenzione a ciò che si legge, si ascolta, si guarda, a chi si frequenta, a chi si ama, a come ci si diverte, alle persone con le quali si condivide il proprio tempo. Faticoso? Sicuramente ma interessante. Tale allenamento riguarda da vicino ogni essere umano, perché  le scelte che si compiono costruiscono o distruggono l’esistenza. Le scelte hanno, sempre, delle conseguenze e ognuno ne deve rispondere.

Riflettendo al riguardo, ho ricordato come presso i Greci antichi sia andata cambiando la cultura: da una concezione che attribuisce agli Dei la responsabilità di moti dell’animo e conseguenti azioni non in linea con le aspettative morali e sociali, a una concezione in cui tali moti si originano nell’interiorità a seguito di carattere, indole, sensibilità individuale. Anche se in entrambe le fasi non si toglie all’individuo la responsabilità del gesto compiuto, l’azione viene percepita in modo diverso.

Nell’Iliade nessuno accusa Elena per la guerra di Troia, ma la colpa viene attribuita alle dee  (addirittura gli anziani che la incontrano sulle mura non possono non ammirarne la bellezza), mentre ne “Le troiane” di Euripide, Ecuba, madre di Ettore e Paride, rivolgendosi a Elena le dice “Non fare le dee così stolte, per abbellire la tua colpa… Mio figlio era di una bellezza straordinaria e, contemplandolo, il tuo desiderio diventò Cipride!”

Mi chiedo: ai nostri giorni qual è l’atteggiamento prevalente? Soprattutto negli ambiti preposti all’educazione c’è attenzione alla responsabilità che consegue al compimento di un’azione? Tale attenzione è sufficiente, è adeguata?

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Grazie Andrea

Ebbene sì.
Sono passati 11 anni da quel sabato 29 gennaio 2011 che ti ha portato via da noi e dal nostro amore .

Se torno indietro col pensiero non so come abbiamo fatto e dove abbiamo trovato la forza per andare avanti senza di te.
… e come facciamo ancora adesso …

Ed il pensiero che fra qualche anno sarà più il tempo passato senza te di quello che ci è stato concesso di vivere in tua presenza è del tutto insopportabile…

Qui Andrea si va avanti.
In qualche modo.

Non riusciamo più a correre ma camminiamo.
Non riusciamo più a ridere ma ti giuro che ogni tanto ci proviamo.

Quaggiù cerchiamo di vivere con dignità e di fare cose che tu, son certa, avresti fatto.

Ci proviamo a stare sereni.
A volte ci si riesce, a volte è veramente dura.

Che sia un passaggio noi lo sappiamo, ma questo passaggio dovevamo farlo insieme il più a lungo possibile.
Ma non è stato così.
Abbiamo fatto un piccolo pezzetto di strada poi la tua si è interrotta e la nostra sta andando avanti.

In qualche modo.
Nel migliore che sia possibile.

Non te la prendere se un velo di tristezza ci appanna gli occhi.
Non te la prendere se ci sono giorni che si fa veramente fatica.
So bene che non lo vorresti, ma cerca di capire, senza te era ed è inevitabile.

Sei stato un figlio meraviglioso.
Sei e sarai per sempre il nostro amore assoluto.

Noi quaggiù continuiamo questo cammino, amando infinitamente il tuo gemello.

Perché l’amore si moltiplica e moltiplicandosi ci rende sopportabile la tua assenza.

Grazie di tutto Andrea.

Elisabetta CIpollone