Sentirsi in credito

Il primo giovedì di febbraio 2024, tra le 14:30 e le 17:30, fra le mura della Casa di reclusione di Bollate, durante il primo incontro del progetto “Essere oggi Ivan, Aleksej, Dmitrij e Smerdjakov. I conflitti della famiglia Karamazov al carcere di Bollate”, sotto lo sguardo artistico di Andrea Spinelli (primo illustratore giudiziario italiano), muovendo dalla descrizione di Dmitrij Fёdorovic e del suo rapporto col padre, alcuni detenuti, Marisa Fiorani e Paolo Setti Carraro (famigliari di vittime inno- centi della criminalità organizzata, rispettivamente, madre di Marcella di Levrano e fratello di Emanuela Setti Carraro), una sessantina di miei colleghi studenti universitari, altri membri della società civile ed io, guidati da Angelo Aparo (psicoterapeuta, fondatore del Gruppo della Trasgressione) e Francesco Cajani (Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano), abbiamo dato vita ad una discussione sul “sentirsi in credito”.

Le ore trascorse all’interno dell’istituto penitenziario sono state “animate” prevalentemente dalle narrazioni dei detenuti Fabio, Salvatore, Giuseppe e Stefano, che hanno condiviso col resto del gruppo verso chi e per quale motivo si sono “sentiti in credito” nel corso delle loro vite.

Il primo a prendere la parola è stato Fabio, che ha affermato di “essersi sentito in credito” verso la sua famiglia, in particolare verso il padre. Infatti, a partire da quando aveva all’incirca quattro anni, Fabio iniziò a sentirsi «accantonato» dai suoi genitori, poiché questi, dopo aver scoperto che il loro secondo figlio era affetto da Talassemia, iniziarono a riservare sempre meno attenzioni nei confronti di Fabio; dunque, questi iniziò a ricercare altrove qualcuno che fosse in grado di dargli il riconoscimento che pretendeva. Quel qualcuno Fabio lo ritrovò nel suo gruppo di amici, che, purtroppo, era formato da persone poco raccomandabili. Questo, unito al fatto che era «casinista dalla nascita», che voleva «fare un dispetto» al padre e desiderava affermarsi nell’ambito della sua nuova “famiglia”, composta da «idoli, perché rispettati e potenti», portò Fabio a commettere i primi crimini.

Successivamente è stato il turno di Salvatore, che, in breve, ha detto di aver iniziato a “sentirsi in credito” verso il padre dopo che quest’ultimo aveva deciso di abbandonare la famiglia, nonché di aver inflitto alle sue vittime il dolore che avrebbe voluto far patire al padre. Giuseppe, a sua volta, ha sostenuto di “essersi sentito in credito” per via della sua infanzia difficile, durante la quale la sua “famiglia naturale”, non in grado di soddisfare i suoi bisogni e desideri materiali, è stata surrogata da quella composta dai suoi amici criminali; il che lo ha portato a delinquere per prendersi ciò che non ha potuto avere da bambino.

Infine, Stefano, dubbioso tra “essersi sentito in credito” ed “essersi sentito in debito” nei confronti della vita, fra le altre cose, ha raccontato che il padre, gran lavoratore ma pessimo genitore in quanto assente e violento, gli mise la prima pistola in mano.

Dalle parole dei detenuti sembra emergere che, tra le possibili cause che hanno indotto gli stessi a perpetrare condotte criminose, vi siano la legittimazione derivante dal “sentirsi in credito” (in termini di assistenza sia morale che materiale) nei confronti dei propri genitori e la frequentazione di ambienti devianti.

Ora, come si può evitare che un soggetto arrivi a “sentirsi in credito”? Qualora non si raggiunga questo prima obiettivo, quali correttivi posson essere messi in campo?

Un ruolo fondamentale in dette questioni dovrebbe essere giocato dalle istituzioni, in particolare, da scuola e carcere, e, quindi, rispettivamente, da educazione e rieducazione, che, ahimè, non risultano essere temi di particolare tendenza. La stessa Costituzione, rispettivamente, al secondo comma dell’articolo 31 e al secondo comma dell’articolo 27, afferma che «[la Repubblica] protegge […] la gioventù» e «le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato». Quindi, lo Stato dovrebbe guidare ogni consociato, libero o condannato in via definitiva, in quello che Angelo Aparo, durante l’esperienza “Essere Raskol’nikov oggi. Delitto e castigo al carcere di Opera”, ha definito “viaggio alla ricerca della coscienza”, offrendo sempre delle valide alternative alla devianza. In particolare, gli istituti scolastici e penitenziari, ossia i luoghi dove, rispettivamente, giovani e detenuti trascorrono gran parte del loro tempo, dovrebbero, per mezzo di collaboratori credibili e realtà come il Gruppo della Trasgressione, ricordare quotidianamente ai menzionati soggetti che la strada della criminalità, oltre ad essere un vicolo cieco, non è la sola percorribile.

Inoltre, è vero che (il richiamo va al primo comma dell’articolo 27 della Costituzione, il quale afferma che «la responsabilità penale è personale» e alle finalità della sanzione penale) la commissione di un reato deve far sorgere in capo a colui che lo commette l’obbligo, corrispondente al c.d. “debito con la giustizia”, di ripagare il torto subito dalla collettività, dalla persona offesa e dai famigliari di quest’ultima (senza dimenticare che anche le famiglie dei condannati possono patire sofferenze non indifferenti); ma è altrettanto vero che, in virtù di quanto sin qui detto, si possa concludere che la società, in quanto largamente disinteressata all’educazione e, soprattutto, alla rieducazione (elemento che mette in luce come il nostro paese sembri sostanzialmente ignorare il fatto che, ad un certo punto, i detenuti smettono di essere tali), oltreché verso quest’ultimi, è sicuramente debitrice verso sé stessa.

Credo che ognuno di noi dovrebbe pretendere qualcosa di meglio rispetto ad uno stato che, per dirlo con le parole di Fabrizio de André, «si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità».

G. R.

I Conflitti della famiglia Karamazov

Qualcosa capisco, dove non capisco…

Alla domanda “qual è l’obiettivo che io mi pongo in questa ricerca”, dopo alcuni giorni di riflessione per cercare di trovare il mio vero motivo, scavando più a fondo, ho capito di voler provare a guardare oltre le sbarre, di ferro, del cuore e della mente, per scoprire cosa c’è dietro, ma soprattutto cosa c’è dentro.

Ho sempre amato andare oltre le apparenze e l’immagine, cercando di non cogliere solo il bianco o il nero, il bene o il male, il giusto o lo sbagliato, ma provando a lasciarmi stupire da tutte le sfumature che stanno nel mezzo e che sono il collegamento tra estremità di qualsiasi genere, il ponte che unisce, superando un concetto di dualità.

Ci sono alcuni punti che più di altri mi hanno colpito e che mi sono rimasti dentro. E forse questo è un altro dei motivi per cui ho scelto di essere qui: assorbire il più possibile, come una spugna, non soltanto ciò che viene detto, ma soprattutto ciò che viene trasmesso da sguardi, gesti, sorrisi, pianti e tutto ciò che le parole non sempre possono esprimere.

Il primo riferimento che vorrei fare è alla speranza, che dal mio punto di vista è strettamente connessa alla forza e al coraggio. Questa capacità è ciò che permette di andare avanti, lottare e vedere con gli occhi del cuore e della mente qualcosa che ancora non c’è. È crederci prima di chiunque altro o al di là di chiunque altro e avere fede, in se stessi, negli altri, nella vita.

L’ho ritrovata nella lettera di Stefano indirizzata a se stesso, così come ho percepito un grande impegno nel cercare di perdonarsi e di perdonare.
Anche nel caso del perdono penso che tutto parta dalla propria persona, dal fatto di riuscire a perdonarsi prima di poter perdonare qualcun altro. Mi chiedo infatti come sarebbe possibile riuscire a perdonare qualcuno senza essere prima riusciti a perdonare se stessi e se ci siano casi in cui questo sia invece accaduto.

Il secondo riferimento riguarda l’empatia. Tra le varie domande ci è stato chiesto quali, secondo noi, potrebbero essere degli strumenti utili ed efficaci per mettere in atto una vera e propria trasformazione. La mia risposta a questa domanda ha a che fare con programmi di educazione/rieducazione emotiva, all’empatia, alla comprensione degli stati d’animo altrui. Mostrare in modo concreto quali possono essere le conseguenze delle proprie azioni, cercando di vestire i panni di chi si ha di fronte, sia concretamente (laddove possibile) sia usando il grande potere che hanno gli esercizi immaginativi.

Penso che anche empatizzare sia qualcosa che si possa imparare a fare, con l’aiuto di una guida, tanta pratica e una corretta psicoeducazione sull’argomento. Il tutto affiancato a programmi di regolazione delle emozioni, per imparare a gestirle ed esprimerle nel modo più adatto ed efficace a sé, ma senza ledere qualcun altro.

Ci sono infine due frasi che mi piacerebbe condividere e che mi è capitato di sentire nel corso degli anni, dal momento che sono state di grande aiuto per me nei momenti di difficoltà. La prima è questa: “Pensa ai tuoi genitori e a come avresti voluto che fossero stati con te, come avresti voluto che si fossero comportarti con te, le parole che avresti voluto sentirti dire, i gesti che avresti voluto ricevere e poi diventa quel genitore. Prima per te stesso e, dopo, per tutti gli altri”.

La seconda, invece, è questa: “Qualcosa capisco. Dove non capisco, arrivo con l’amore”.

Ognuno può scegliere di usarle e adattarle a sé, di interpretarle come meglio crede e di lasciarsi trasportare dal loro significato in totale libertà. Sono doni che mi sono stati fatti e che oggi vorrei donare a voi.

Ruben Corbellini

I Conflitti della famiglia Karamazov

I Violini del mare contro l’indifferenza

Concerto Trsg.Band – 18/11/2023
Teatro della casa di reclusione di Milano-Opera

Come un’onda che risveglia le coscienze

Dal carcere di Milano-Opera e poi in giro per l’Italia, una serie di concerti che partono dalle parole di Don Luigi Ciotti (l’indifferenza nei confronti del male lo alimenta) e che, attraverso le canzoni di Fabrizio De André e gli interventi dei detenuti del Gruppo della Trasgressione, danno voce alla fragilità negata e all’importanza di riconoscerla come tratto che accomuna tutti gli uomini.

Le canzoni di Fabrizio De André vengono eseguite con gli arrangiamenti della Trsg.band e con alcuni degli strumenti ad arco che la liuteria de La Casa dello Spirito e delle Arti ha ricavato dal legno dei barconi dei migranti.

Ingresso gratuito; prenotazione obbligatoria entro il 10/11/2023.
Per prenotarsi, inviare fotocopia del proprio documento di identità a coord.liberamilano@gmail.com e ad associazione@trasgressione.net

I minorenni possono entrare solo se accompagnati da uno dei genitori o autorizzati  con una dichiarazione firmata da uno dei due.

Presentarsi all’ingresso del carcere di Opera alle 18:45. Per sveltire le operazioni di ingresso è meglio non avere con sé cellulari e oggetti elettronici.

Nei giorni immediatamente precedenti il concerto verrà pubblicata su questa stessa pagina la lista delle persone autorizzate.

GIUSTIZIA E CARCERE

In ricordo di Rosario Curcio

Sono dispiaciuto per ciò che è capitato, per la famiglia di Rosario, e per Rosario che ho conosciuto. Non ci sono parole per poter consolarsi o consolare  dopo un fatto così grave, e neanche incolpare le istituzioni e chiedere perché è  successo, perché non si sono accorti, non ci sono educatori, psicologi e figure che possano “prevenire” queste tragicità. Quando scatta quella molla nella testa si è imprevedibili ed è  difficile farsi aiutare.

Pino Amato

 

Mi ricordo ancora la sensazione di quando gli ho stretto la mano

Davide Leonardo

 

Sono sconvolta per questa notizia… Ricordo molto bene Rosario… E l’immensa fatica che ha fatto per iniziare ad aprirsi nel gruppo … un ragazzo speciale… o almeno a me lasciato uno splendido fragile ricordo… Quanto dolore dentro quei silenzi… Sono davvero molto, molto  turbata… E poi i media ci mettono sempre il loro inutile e pesantissimo carico… Pazzesco. Un abbraccio infinito a tutti i miei amici e a lei prof ❤️

Marina Varisco

 

Sono tantissimo dispiaciuto per la scomparsa del nostro amico rosario. Un forte abbraccio alla famiglia. colgo l’occasione per mandare un saluto a tutto il gruppo. Ciao Prof.

 Rocco Ferrara

 

Io mi sento in colpa perché Giuseppe D’Aloja mi aveva detto che stava male e io non l’ho chiamato. Sono 5 giorni che la cosa non mi lascia.

Angelo Aparo

 

Purtroppo prof non si può essere ovunque sempre e comunque. Spiace molto anche a me, ci penso molto da  quando ho saputo di questa triste vicenda, che lascia sgomenti e ammaccati, ma questa è la cruda realtà, siamo persone e in quanto tali limitati dai tempi, dallo spazio fisico e dalle mille faccende che invadono le nostre affollate giornate. Un abbraccio forte a tutti.

Antonietta Ferrigno

 

Buongiorno Prof. Volevo dirle che il più grande insegnamento che mi ha lasciato è quello di stare sempre dalla parte degli ultimi, di coloro che tutti ripudiano e respingono. Rosario vista la sua storia, rientrava sicuramente in questa categoria. Lei lo ha accolto e l’ha fatto sentire parte di qualcosa, nonostante il malcontento di alcuni. Queste cose le sa molto meglio di me, ma sentirsele dire, sinceramente, alle volte aiuta.

Un abbraccio, Davide Leonardo

 

Prof… Vorrei stringerla forte ora.  Io ho proprio ben chiaro Rosario davanti a me, ho ben chiara la storia…. Ho forte in mente la fatica di quell’uomo nell’aprirsi, i lunghi silenzi.. poi i sorrisi, il voler esser seduto a quel tavolo, la forza messa nell’iniziare a raccontarsi… Fino ad un certo punto però, c’era sempre un limite oltre cui non gli era concesso andare, c’erano state anche le lacrime… Io torno indietro di 3 anni, può essere successo il mondo dopo, questo io non lo so… Ma sono certa che lei ha portato forza e stupore nella vita di Rosario, lo ha riconosciuto… Non so se avrebbe potuto fare altro… Ma io l’ho vista fare ed essere tantissimo per lui e sicuramente anche lui ❤️

Marina Varisco

 

È facile vedere, difficile e impossibile prevedere. Ricordo con affetto Rosario, spero possa trovare la sua pace. 🌹

Kety Romeo

 

Ciao, purtroppo non sempre si riesce a fare tutto quello che si vorrebbe e a volte il cuore delle persone nel profondo nasconde malesseri insanabili.

Lina Aparo

 

Ieri ho letto su internet il suicidio di Curcio. Sono molto dispiaciuto e senza sgravare la responsabilità, anche se per lui circoscritta quasi ad una sudditanza, ritengo doveva essere più attenzionato. Quasi sempre le nostre verità, sono figlie della nostra conoscenza ma mi chiedo se la conoscenza umana corrisponde alla verità.  Il circolo di questi vari flussi è veramente complesso e l’uomo- con i suoi stati d’animo- coagula nel percorso.

Roberto Cannavò

 

Partecipo anche io al corale cordoglio ma certamente non si può  e non sempre si riesce ad arrivare a tutto e tutti.

Raffaella Repetto

 

Anche se non ho conosciuto Rosario, lo porto nel cuore assieme ai suoi familiari e condivido il dolore del prof Aparo e di tutto il gruppo Trsg. Di fronte a questo dramma rimango in silenzio perché misteriosa e sacra è ogni persona… a volte si vorrebbe esserci per ogni persona che ci sta a cuore in ogni istante per sollevarla dalla solitudine e oscurità che certi momenti o periodi ci assalgono… Sono certa che anche in ciascuna di queste morti dove sempre prevale -per Grazia- l’impotenza umana, il Signore invece arriva e se la carica sulle spalle per portarsela a casa Sua. Amen!

Suor Anna Donelli

 

Non sappiamo perché sia accaduto, ma è terribile quello che è accaduto, è terribile ma non incomprensibile. Rosario aveva commesso con altri un delitto orrendo e la sua cattura prima, la sua presa  di coscienza, il suo dichiararsi colpevole, l’aver ammesso il reato, l’aver cercato il perdono e la redenzione non sono bastati.

Il peso della colpa, il senso di colpa, la ricerca di un  qualche senso nella continuazione della vita, da ergastolano, la famiglia ed il figlio, non sono bastati, non sono stati sufficienti. Troppo il peso, troppo il passato, troppo il presente con la lontananza dai cari, con la colpa sempre sulle spalle; che la terra gli sia lieve.

E questo a cosa servirà e questo a noi servirà?

Luigi Negrini

Come fa a chiamarmi papà? di Rosario Curcio

Gli altri raccontano di sé e io capisco me stesso

L’impatto che ho avuto la prima volta con il carcere credo di averlo già un po’ scritto, ma sarò più dettagliato. La prima emozione è stata di paura, non sapevo cosa mi sarebbe successo, se essere picchiato dagli agenti stessi o dai detenuti per il reato commesso. Durante il tragitto per arrivare al carcere capii subito che era un posto isolato, ai margini della società.

Credo che il carcere sia il posto peggiore dove stare se si vuole stare soli. Appena arrivati, all’interno del carcere notai subito il cancello chiudersi e la realtà divisa in due pezzi: da una parte la felicità, come una foto di una spiaggia paradisiaca; dalla parte, dove ero io, non era una spiaggia ma una struttura cupa, piena di povertà e tristezza.

Entrato, dopo le pratiche di burocrazia, fui controllato, spogliato e dovetti fare persino dei piegamenti come se avessi qualcosa da nascondere, pur se la mia situazione era nota. In pratica, sin dall’inizio ti tolgono dignità e se chiedi spiegazioni la risposta è sempre la stessa, in primis dicono che è la normativa.

Una volta conclusa questa fase, fui spostato nel reparto di osservazione, furono giorni di desolazione con un logoramento interiore. In quei giorni mi frullava in testa un unico chiodo fisso cioè l’unica via di fuga per il mio pentimento; pur perso nella desolazione, escogitai, se così si può definire, un piano per il raggiungimento del mio scopo, il suicidio. Non sapendo neppure cosa fossero gli psicofarmaci, me li feci prescrivere in modo da averli per poi prenderli tutti; aspettai il giorno decisivo.

Quella sera, aspettai che le guardie facessero il giro e cercai di sfuggire agli sguardi del mio compagno di cella, Quando si spensero le luci mi rifugiai in bagno, iniziai a versare lacrime di disperazione e allo stesso tempo anche di liberazione: finalmente sarebbe finito tutto, tutto il dolore che avevo causato. Presi coraggio mandando giù le pillole e feci una corda, ma si spezzò. Subito dopo giunse l’appuntato che si accorse di tutto, anche delle lettere di addio che avevo scritto prima.

Sfortunatamente per me, il destino, la fortuna o qualcuno dall’alto, aveva deciso che non era il mio momento. Dopo quel fatto, qualche giorno dopo l’isolamento, fui trasferito a San Vittore. Ormai non prendevo in considerazione la possibilità di un riscatto positivo, tanto che anche qui, all’inizio, non pensavo ad altro che a tagliarmi le vene con una lametta da barba. Continuai a passare le notti in lacrime ma stranamente non avevo più il coraggio di suicidarmi.

Nel nuovo carcere trovai una serenità, era strano per me concepire di apparire un “detenuto modello” dopo quello che avevo causato, credo che abbia giocato a mio favore il fatto di essere sincero con me stesso e con gli altri.

A questo punto vengo a contatto con volontari, educatori e psicologi che ogni volta che guardavano i miei documenti, la mia storia, intravvedevo nei loro occhi dello sconcerto, mi guardavano come se si chiedessero “ma davvero ha fatto questo” e, anche se non era verbalizzato dentro di me, scavavo una buca ancora più profonda.

Ma la spinta determinante a intraprendere un percorso è nata dalla mia partecipazione a moltissime attività, con l’ascolto di tante persone diverse e con la voglia di riempire il mio bagaglio, di acquisire termini, concetti, ragionamenti e argomenti su cui poi riflettere. Non solo la mia conoscenza si sarebbe ampliata ma anche le mie relazioni ne avrebbero avuto un giovamento.

È stato il confronto con il gruppo “a farmi capire” che per andare davvero fino in fondo non sarei potuto sfuggire dal fare i conti con me stesso. Ancora non ne ero consapevole, ma quello è stato l‘inizio del percorso di cambiamento di me stesso. Ogni volta che nel gruppo si racconta di qualcosa di Sé, prendo più coraggio e capisco qualcosa in più sul mio passato.

Hamadi El Makkaui

Reparto La CHIAMATA

Indifferenza e metamorfosi

Il giorno 13 giugno, presso il teatro del carcere di Opera di Milano, il gruppo della Trasgressione con la collaborazione della direzione del carcere, della Fondazione Casa delle Arti e dello Spirito, dell’associazione Libera, della Fondazione Fabrizio De André e del progetto “Lo strappo. Quattro chiacchiere sul crimine” ha tenuto un incontro intitolato “I violini del mare contro l’indifferenza“.

Due sono i concetti che hanno tracciato il filo rosso dell’intera serata: l’indifferenza e la metamorfosi.

L’indifferenza è neutralità, ostentata assenza di partecipazione ed interesse. L’indifferenza è oggi tra gli atteggiamenti preferiti della maggior parte dei consociati, soprattutto nei confronti del male. E così come c’è stata e ancora oggi persiste indifferenza verso migliaia di vittime dei naufragi, verso coloro che hanno perso la vita, ma non la speranza; così anche c’è e continua ad esserci indifferenza nei confronti del carcere, più precisamente, nei confronti dei ristretti, che lo popolano.

Proprio come i migranti, non hanno avuto la possibilità di scegliere dove nascere, così anche, molti detenuti hanno scelto la strada della criminalità, non avendo avuto la possibilità di sviluppare un pensiero e strategie d’azione diverse da quelle che purtroppo hanno tenuto. Eppure, dalle ceneri è sempre possibile risorgere. Anche i fatti irreversibili, come la morte, sia essa derivata da un naufragio o da un assassinio, possono conoscere sviluppi positivi.

Il maestro liutaio Enrico Allorto ci ha infatti insegnato che a volte “l’impossibile è possibile”. Nessuno credeva nella possibilità di recuperare il vecchio e inzuppato legno dei barconi, eppure, grazie alla speranza e dedizione di chi ci ha creduto, la stessa è stata lavorata e trasformata in strumenti musicali.

Questi strumenti oggi, non sono più mezzo di distruzione, ma di creazione. Creazione di unità e sintonia tra tutti coloro, che ascoltano i suoni emessi dal delicato tocco di chi li sa suonare.

In molti negano la possibilità di un cambiamento da parte dell’essere umano: “un uomo che ha ucciso, non potrà mai essere una persona normale”. E invece “l’impossibile è possibile”. Numerose sono le testimonianze di ex criminali, tra cui assassini e affiliati ad organizzazioni criminali a dimostrare che il cambiamento non è un’utopia, bensì realtà. Sono sufficienti gli stimoli, i luoghi, le parole e gli incontri con le persone giuste, affinché tutto ciò si realizzi.

L’obiettivo è quello di demistificare le narrazioni diffuse sulla realtà carceraria, narrazioni che provengono da parte degli indifferenti, da parte di chi il piede in carcere probabilmente non lo ha mai messo, lo sguardo verso un detenuto non l’ha mai rivolto, privandosi così della possibilità di scorgere dietro a quel “mostro”, un essere umano che ha sbagliato. Un essere umano che ha scelto il male, ma che è ancora in grado di scegliere il bene.

A tal proposito, è doveroso acquisire la consapevolezza che non esistono persone crudeli in assoluto, bensì persone che sbagliano, e che in quanto tali, non sono uno scarto da buttar via. In quest’ottica il carcere potrà essere l’occasione, che la vita non è stata in grado di dare a queste persone: una seconda possibilità, in cui attraverso lo studio, il dialogo e l’apprendimento di una professione nuova possono crearsi il loro spazio nel mondo.

Il carcere non deve mai rappresentare un parcheggio in cui attendere inermi, la soluzione privilegiata per eliminare dalla società il disagio, che non si vuole vedere e nemmeno risolvere.

Ecco, “i violini del mare contro l’indifferenza”, costituisce uno dei tanti progetti, che si inserisce in un percorso più ampio, necessario ad attuare un grande cambiamento, che richiede uno sforzo da parte dell’intera collettività, la quale non può rimanere neutrale, non può rimanere indifferente. Questo grande cambiamento, a cui si ambisce, potrà dirsi pienamente raggiunto, soltanto quando ciascun cittadino prenderà veramente consapevolezza di ciò che vuol dire vivere in un Paese democratico e si impegnerà nel diffondere e promuovere i valori su cui la democrazia si fonda, senza lasciare ai margini nessuno.

Per concludere con le parole del protagonista virtuale (Fabrizio de André) del progetto, bisognerebbe farsi “carico di interpretare il disagio rendendolo qualcosa di utile e di bello”. E’ questa la missione di ciascun uomo che non vuole essere indifferente.

Giulia Varisco

  • Lucilla Andreucci
Da Andrea Spinelli

I violini del mare contro l’indifferenza

I violini del mare contro l’indifferenza

Il 21 marzo scorso, dal palco di piazza Duomo, don Luigi Ciotti, ricordando le vittime del naufragio di Cutro, ha lanciato anche un intenso messaggio contro l’indifferenza al male. Angelo Aparo e Silvio Di Gregorio hanno voluto rilanciare quel messaggio con un progetto che ha coinvolto rapidamente altri partner e che è stato presentato ad Opera il 13 giugno.

Partner del progetto sono:

  • Issei Watanabe con due suite di Bach al violoncello
  • Don Luigi Ciotti, presidente di Libera
  • Dori Ghezzi, presidente della Fondazione Fabrizio De André
  • Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della Casa dello spirito e delle Arti
  • Enrico Allorto, maestro liutaio della liuteria del carcere di Opera
  • Lucilla Andreucci, referente e anima frizzante di Libera Milano
  • Francesco Cajani, co-autore de Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine
  • Cristina Cattaneo, Medico legale, Coordinatrice scientifica del MUSA
  • Paolo Setti Carraro e Marisa Fiorani, entrambi familiari di vittime della criminalità e ponti tra Libera e il Gruppo della Trasgressione
  • Juri Aparo con la Trsg.band e il Gruppo Trsg
  • Le canzoni di Fabrizio De André

Servizio RAI NEWS

E nulla perisce nell’immenso universo, credete a me, ma ogni cosa cambia e assume un aspetto nuovo (Ovidio, Metamorfosi)

La trasformazione è anche l’attività principe del Gruppo della Trasgressione, con i detenuti che avevano fatto del disconoscimento dell’altrui fragilità il proprio mestiere e che oggi, in collaborazione con le istituzioni e con i diversi componenti del gruppo, si impegnano per riconoscerla dentro di sé, nelle scuole e sul territorio.

Venerdì 19 maggio, Trsg per tutti i gusti

Ingresso gratuito fino a esaurimento posti

San Vittore, Reparto La Chiamata

A San Vittore  nasce il ‘Reparto La Chiamata’ per i ragazzi reclusi, mai così tanti

Giovani tra i 18 e i 25 anni hanno presentato nel carcere milanese i frutti del primo mese di un progetto nato nel momento in cui registra “il record assoluto” di presenze dei giovani adulti 

di Manuela D’Alessandro – Da AGI > AGENZIA ITALIA

AGI – Hamadi ha poco più di 20 anni, è alto, indossa una felpa nera e i pantaloni bianchi. E’ qui perché ha ucciso una persona. Ma è qui anche perché è il “capostipite” del reparto ‘La Chiamata’ di San Vittore, un luogo che non c’è ancora fisicamente e non si sa se un giorno sarà davvero ritagliato nei raggi del carcere ma esiste da 10 settimane, ogni giovedì mattina, quando una decina ragazzi tra i 18 e i 25 anni si ritrova per immaginarlo e, di fatto, a costruirlo.

“Il record assoluto di ragazzi detenuti”

A consegnare ad Hamadi il ruolo di ‘primo’ è Juri Aparo, lo psicologo inventore del ‘Gruppo della Trasgressione’, un ‘sarto’ visionario che da decenni prova a cucire strappi: quelli tra chi commette reati e chi li subisce e tra i colpevoli per la giustizia e il mondo fuori, a cominciare dalle scuole. I primi frutti della ‘Chiamata’ ancora acerbi ma promettenti sono stati mostrati sul palco della ‘Rotonda’ di San Vittore, la ‘piazza’ da cui si dipanano i raggi della prigione, dove sono arrivati dalle celle Hamadi e i compagni.  Il direttore Giacinto Siciliano spiega: “Ci sono tantissimi giovani adulti a San Vittore, siamo al record assoluto e molti sono alla loro prima esperienza in carcere. Ci siamo chiesti: come possiamo esserci?”.

“Un fiore al posto del dolore”

Ed ecco Francesco Cajani, magistrato che con un sorriso dice di essersi “un po’ stufato di mandare in carcere le persone” che estrae da una borsa gli ‘strumenti’ del giovedì mattina per raccontare cosa succede a metà di ogni settimana di pene lunghe o brevi da scontare. Ci sono un leggio di cartone, “per valorizzare i lavori”, uno “specchio magico” “per guardarsi dentro scavando sempre più in profondità la propria buca” e una candela “per fare luce” in tutta quell’oscurità.

E i ragazzi uno a uno, affiancati dai volontari di ‘Libera’ e degli scout di Milano e dintorni, hanno portato in dote il loro raccolto poetico. Versi come schegge che tagliano l’aria claustrofobica riempiendola di scintille  mentre li declamano. “Me ne fotto del calmante/ e di una vita barcollante/. Non mi basta un’altalena/mano buona sulla schiena. /Vorrei l’alba chiara e un fiore/al posto del dolore/. “Delinquo e quindi sono, non mi servono/catene/. Ho ammesso i miei reati e il carcere non mi appartiene”.

Aparo ha scelto Hamadi come ‘primo’ perché in lui scorge “la mostruosa polarità tra l’intensità della sua intelligenza e quello che ha fatto”. E lui non si tira indietro: “Attraverso un percorso psicologico ho acquisito la conoscenza di me stesso e preso le mie responsabilità. Nel reparto della ‘Chiamata’ il mio compito sarebbe quello di aiutare i giovani detenuti”.

La moneta dei talenti

Ai ragazzi spetta mettere in fila le richieste per il Reparto al direttore Siciliano, al magistrato Cajani, alla comandante della polizia penitenziaria Michela Morello, alla presidente della Sorveglianza Giovanna Di Rosa, al cappello del carcere minorile ‘Beccaria’, don Burgio, che ha vissuto la rivolta di qualche mese fa. Sono tutti in ascolto nella ‘Rotonda. Hamadi lo sa: “Io vorrei che l’offerta culturale non fosse un optional e che si potesse dialogare per conoscersi e farsi conoscere”.

Di Rosa osserva che “il denominatore comune” nei primi incontri “è la ricerca di una guida e poi anche il bisogno di dare un ‘senso’ al reato’”.

Nella borsa dei giovedì c’è anche una moneta: “la moneta dei talenti”, se la gira tra le mani con cura Cajani perché è la carta che può cambiare il destino. Oggi si sono visti brillare tanto da ricevere il ringraziamento dei familiari di tre vittime della mafia che, il giorno prima della giornata in memoria dei caduti, hanno sentito nelle loro giovani voci la speranza, semplice ma enorme, “di un mondo migliore”.

AGI -Agenzia ItaliaL’evento nella registrazione di Radio Radicale

Reparto La Chiamata  – Inverno e PrimaveraLo StrappoLibera