Dove sta la ragione?

Riflettendo su Denaro Falso di Tolstoj, ho subito notato un particolare che racchiude perfettamente il dibattito di oggi. Il libro inizia con questo ragazzo che si trova in debito con un suo amico, e dopo che la sua famiglia gli nega un prestito, lui falsifica una cedola (ne aumenta la cifra) e la consegna a una proprietaria di un negozio di fotografia, che non rendendosi conto della falsificazione l’accetta.

Questo comportamento è come se avesse annaffiato un seme che è sempre stato sottoterra, ma non ha mai ricevuto nutrimento: il seme del crimine. In effetti, penso sia un qualcosa di connaturato all’animo umano. Io credo che pian piano ogni piccolo comportamento scorretto abbia fatto in modo che questo seme germogliasse, fino a diventare un albero tanto possente da non poter più essere sradicato. Una piccola ingiustizia, come un furto di pochi rubli, ha dato avvio a un effetto farfalla tale che, alla fine, chi ha  pagato per il crimine aveva come unica colpa la mancanza di istruzione.

È meraviglioso rendersi conto, pian piano che si progredisce nella lettura del libro, di come ogni personaggio -anche quelli che hanno ideali giusti e nobili- pian piano viene corrotto dal male. Il passaggio più evidente è quello di un contadino che ha provato a pagare con questa cedola in un’osteria. Così è stato arrestato e giudicato colpevole semplicemente perché il sistema giudiziario era corrotto. Chi osserva questa scena è Vasilij, un portiere che è stato pagato per mentire e dare la colpa al contadino. Dopo aver visto il processo, si è reso conto che le leggi non venivano applicate in maniera corretta o addirittura che proprio non esistessero. Così dice a se stesso che non vale la pena d’essere corretto perché, in ogni caso, la ragione viene data a colui che è in grado di pagare la somma maggiore di denaro.

Tornando alla similitudine dell’albero, quando parliamo di crimine mi sembra che spesso si usi la retorica dell’ “ormai è troppo tardi”. Apparentemente è sensato, ma coloro che oggi si lamentano del fatto che la pianta è troppo cresciuta trascurano che quando essa era ancora solo un germoglio, ne procrastinavano l’estirpazione, nutrendolo indirettamente. E chi è più colpevole nella società è colui che trova un nemico comune per potersene lavare le mani.

Un altro episodio, sempre nel libro, è quello di un proprietario terriero che ha sempre trattato i propri contadini in maniera corretta. Una notte però avviene un furto di bestiame, così inizia questa caccia alle streghe, che porta quest’ultimo a segregarsi nella sua mansione e a trattare ingiustamente tutta la servitù. Leggendo di questa vicenda e per i mesi successivi, mi sono sempre chiesta chi avesse la ragione. Da un lato l’uomo è stato vittima di un’ingiustizia, dall’altro questo non rende lecito trattare i contadini insensibilmente. Mi rendo anche conto che in un momento dove ti trovi derubato di tutto, è difficile pensare razionalmente e agire con bontà. Quindi, per quanto, a livello ideale, io sia contrariaal modo in cui ha gestito la situazione, non mi sento in diritto di giudicarlo o fargli la morale.

Vorrei riflettere brevemente sulla seguente domanda: È necessaria la punizione, o è sufficiente la redenzione? Purtroppo, non posso credere, per quanto vorrei, che l’angoscia personale sia una pena sufficiente. Se idealmente penso che il cambiamento avvenga da dentro e che, se una persona non vuole cambiare, nulla potrà cambiarla, credo che lo Stato debba incitare e, laddove necessario, obbligare al cambiamento, non con la violenza, ma mostrando che c’è un’altra strada. E come hanno affermato Socrate prima e Rousseau poi, credo che l’essere umano per natura voglia il bene e non so come mai, ma sembra corrompersi durante la crescita. Per cui il dovere dello Stato è quello di far che i detenuti reimparino cosa è bene.

Tolstoj pensava che punire fosse scorretto e che in un futuro non così lontano i popoli del mondo sarebbero stati in grado di correggere le ingiustizie. Mi piange il cuore constatare che questo cambiamento non è avvenuto, e per come stiamo affrontando la problematica, non avverrà.

Viola Baselice
I
st. prof. per Sanità e Ass. Sociale
Istituto B. Melzi, Legnano

DENARO FALSO

In ogni azione il nostro futuro

L’esperienza vissuta al carcere di Opera è stata per me un momento di grande crescita personale e di profonda riflessione. Entrare in quell’aula, trovandomi di fronte a persone che hanno commesso reati anche molto gravi, è stato all’inizio destabilizzante. C’era timore, un senso di distanza, e soprattutto tante domande che mi giravano per la testa: come ci si comporta in questi casi? Cosa si può dire?

Ma poi, ascoltando le loro storie, quel muro invisibile ha iniziato a crollare. Quello che più mi ha colpito è stato proprio il contrasto tra l’apparenza e la realtà: i detenuti sembravano persone comuni, come chiunque di noi. E invece dietro quegli sguardi si nascondevano vicende durissime, storie di droga, violenza, solitudine e mancanza di amore. Mi sarebbe piaciuto avere più tempo per conoscere tutti, perché ogni persona aveva qualcosa di importante da raccontare. Alcuni volti mi sono rimasti impressi, e mi sono chiesto che tipo di vita avessero vissuto per arrivare fino a lì.

In tante storie si parlava di tossicodipendenza, di furti che sembravano insignificanti ma che poi, con il tempo, si trasformano in reati sempre più gravi. Questo mi ha fatto riflettere molto: ogni scelta ha un peso, e spesso basta poco per trovarsi dall’altra parte di quel muro.

Ho compreso quanto sia importante intervenire prima, lavorare sulla prevenzione, sulla scuola, sull’educazione e sul sostegno a chi vive in contesti difficili. Ma allo stesso tempo ho capito anche quanto sia fondamentale offrire una possibilità di riscatto a chi ha sbagliato. Il carcere non dovrebbe essere solo punizione, ma soprattutto occasione di rinascita. Molti detenuti ci hanno raccontato del loro percorso di cambiamento, della voglia di fare qualcosa di buono, anche solo per restituire un po’ di ciò che hanno tolto.

Infine, riflettendo anche sul libro “Denaro falso”, ho cercato di immedesimarmi in chi vive vite molto diverse dalla mia, ma non per questo meno umane o meno degne di essere ascoltate. Mi sono reso conto che la libertà è un dono prezioso, e che ogni nostra azione contribuisce a costruire il nostro futuro.

In conclusione, credo che questa visita non sia stata solo un’esperienza scolastica, ma un momento fondamentale per la nostra formazione. Ci ha insegnato a guardare oltre i pregiudizi, a capire che dietro ogni errore c’è una persona, e che la giustizia, per essere davvero tale, deve sempre lasciare spazio alla possibilità di cambiare.

Petra Zubiani
III liceo socio economico,
Istituto B. Melzi Legnano

DENARO FALSO

Un’occasione per riflettere

L’esperienza al carcere di Opera è stata unica. Non pensavo che sarebbe stato così interessante. Partecipare all’incontro dentro il carcere mi ha messa di fronte a storie difficili, vere, raccontate da chi ha commesso errori gravi, ma ha anche deciso di affrontarli con coraggio.

Nel Gruppo della trasgressione ci sono detenuti, studenti, volontari e professionisti. Insieme abbiamo parlato di legalità, responsabilità, libertà e cambiamento. Nessuno giudica, ma ognuno è chiamato a guardarsi dentro. All’inizio mi sentivo un po’ fuori posto, poi ho capito che ascoltare e parlare con sincerità era l’unico modo per crescere e ambientarsi davvero.

Un momento che mi ha colpita molto è stato quando uno dei detenuti ha raccontato come, nel tempo, è riuscito a vedere il male che aveva fatto e a provare davvero a cambiare. Non è stato facile per lui, e non lo è neanche per noi. Ma in quel cerchio di persone così diverse, ho sentito nascere un senso di umanità e rispetto profondo.

Questa esperienza mi ha insegnato che il carcere non deve essere solo punizione, ma anche occasione per riflettere e migliorarsi. Ne sono uscita diversa, più consapevole, più attenta a quello che faccio e a come guardo gli altri.

Giorgia Di Bari
III liceo socio economico,
Istituto B. Melzi Legnano

DENARO FALSO

Denaro falso e il peso delle scelte

La visita al carcere di Opera è stata una delle esperienze più forti e significative che abbia mai vissuto. Appena siamo entrati, ho sentito una strana sensazione: tutto era diverso da ciò che sono abituata a vedere. Le porte pesanti, i controlli, le guardie, le mura, il 41 bis….., sembrava di entrare in un altro mondo. All’inizio eravamo un po’ tesi e silenziosi. Non sapevamo bene cosa aspettarci, ma presto abbiamo avuto modo di ascoltare storie vere, raccontate direttamente da chi vive lì dentro. Alcuni detenuti ci hanno parlato del loro passato, delle scelte sbagliate che li hanno portati in carcere.

È stato difficile immaginare che quelle persone, che ci parlavano con calma e con tono amichevole, avessero commesso reati anche molto gravi, come lo spaccio o addirittura l’omicidio. Una delle cose che mi ha colpito di più è stato sentire i pareri contrastanti su quanto effettivamente lo Stato, la reclusione e la giurisprudenza aiutino o meno i detenuti.

Molti di lorodicevano che la vita all’interno di un carcere li ha aiutati a prendere strade diverse. Per molti altri, invece, la reclusione non serve per cambiare il proprio pensiero e le proprie sorti, una volta usciti dal carcere.

E questi pareri così contrastanti tra loro, provenienti dallo stesso gruppo, mi stupiscono molto. Un altro fatto che mi ha fatto molto pensare è che molti detenuti ci hanno raccontato quanto sia difficile ricominciare. Anche volendo cambiare, fuori dal carcere è complicato trovare lavoro o essere accettati, soprattutto se hai un passato difficile o problemi di dipendenza.

Questa esperienza mi ha fatto capire che dietro ogni errore ci sono delle persone, delle storie, dei dolori. Non si tratta di giustificare ciò che hanno fatto, ma di ascoltare, cercare di capire e riflettere. Mi ha anche fatto sentire fortunata per la mia vita e mi ha ricordato che ogni scelta, anche piccola, può cambiare tutto.

Ginevra Maria Raguso
III liceo socio economico,
istituto B. Melzi Legnano

Denaro Falso

Il giro di boa

Care ragazze e ragazzi della III liceo socio economico dell’istituto Barbara Melzi di Legnano,

la bellezza del racconto “Denaro Falso” di Tolstoj ci ha fatto discutere, sia in termini di propensione alla lettura di quelli che lo hanno letto, sia in termini di gusto personale: qualcuno di voi non si considera un lettore “forte” o assiduo e ha detto in modo sincero che ha fatto fatica a leggere tutto il racconto. Qualcun altro, più interessato alla lettura, ha trovato il racconto non tutto bello, non tutto godibile in modo uniforme: ad alcuni e ad alcune è piaciuta di più la prima parte, quella dell’ascensione verso le vette del crimine, pochi hanno trovato la seconda parte (quella che vira verso il bene) altrettanto bella e interessante.

Al di là dei gusti però o delle preferenze o dell’interesse per la lettura ci siamo trovati d’accordo sul fatto che questo racconto contiene un grande insegnamento, che merita di essere approfondito e ricordato: le cose che ci accadono ogni giorno e gli incontri più routinari possono essere all’origine di azioni che conducono in modo imprevisto e improvviso al dilagare del male e ad una serie di crimini sempre più gravi

La falsificazione della cedola è stata una ragazzata o si muove (come forse avrebbe incalzato il “nostro” pubblico ministero) già in pieno ambito criminale? La riflessione sul racconto mette in questione anche i criteri con cui leggiamo e giudichiamo le cose che accadono. La nostra risposta alla domanda sulla falsificazione della cedola dice qualcosa sul nostro reale grado di responsabilizzazione su ciò che diciamo e facciamo ogni giorno.

Pensiamo che la parte più importante dell’incontro del 16 aprile vissuto con il Gruppo della Trasgressione sia stata la conversazione sul personaggio del sarto, Čuev, che è iniziata ben prima della presentazione del vostro disegno.

Diversi di voi ragazzi hanno voluto segnalare il fatto che il sarto dà molto da pensare su un aspetto che ci ha sorpreso molto di sentire menzionato in modo spontaneo: voi ragazzi ci avete detto che il racconto fa riflettere sugli effetti e sul senso di ciò che avete chiamato “evangelizzazione”. Alcuni di voi hanno trovato convincente il fatto che l’evangelizzazione in certi contesti sia in grado di mobilitare risorse positive per migliorare la comunità e migliorarci come persone.

Il professor Aparo ha usato l’immagine del “giro di boa”. L’agire del sarto, così come l’agire di Marja, operano come occasioni per un giro di boa anche per il criminale più incallito. Il sarto e Marja si presentano nel racconto come attori o operatori di un richiamo a compiere un giro di boa che non inventano, ma che è nelle cose stesse

Il contributo offerto alla discussione dalla persone detenute è stato importante. Per alcuni il giro di boa è avvenuto con l’avvertire la loro vita criminale come un peso sempre più gravoso che portavano sulle spalle e con il bisogno di liberarsi del peso, in questo la fede è stata un innesco di liberazione e di ripensamento (Salvatore, ma non solo lui anche altri persone detenute che hanno preso la parola).

Altri hanno sottolineato che il giro di boa è avvenuto nel corso della loro vita in carcere quando il rimorso e la voce delle vittime si sono fatti via via più presenti nella loro vita e nella loro mente, come qualcosa a cui si doveva e si poteva rispondere cambiando la propria vita.

La presentazione del vostro disegno del sarto è stata molto interessante. Voi ragazzi avete dimostrato un livello di creatività e approfondimento notevole. Ci ha colpito l’idea di delineare il volto con un filo di gomitolo dando al viso del sarto il senso di un simbolo dell’intero percorso nel labirinto degli incontri della vita. Ci ha colpito che voi abbiate visto nell’idea del filo la compresenza insieme sia del male (inteso come labirinto e come Minotauro) e della via di scampo dal male (il filo di Arianna che segna la strada del ritorno di Teseo dopo la vittoria sul male).

Il disegno del sarto che avete realizzato è in effetti un compendio di ambiguità e di ambivalenza e di contiguità tra la via del male e la via contraria del bene: il busto del sarto presenta degli oggetti e dei colori che possono essere pensati sia nel male (l’oro come danaro, il rosso come sangue) che nel bene (l’oro come colore della luce e del bene, le campane come richiamo, il rosso come colore dell’amore); le gambe e l’addome del sarto, presentati nella forma di un ragno, alludono sia alla tessitura del crimine, sia alla “buona tessitura”, che è operata con decisione dal sarto grazie alla lettura comunitaria del vangelo. La figura del sarto è decisamente per il bene, senza ombre o ambiguità: proprio per la forza del suo operare, il sarto trasmette il bene anche attraverso simboli ambigui.

Nell’incontro abbiamo toccato molti altri argomenti, tutti interessanti e tutti molto ben posti… riportiamo di seguito alcune domande discusse insieme:

  • C’è sempre l’opzione del bene insieme all’opzione del male?
  • Riflettere è utile?
  • E’ più gravosa la pena o il rimorso del male che si è commesso?
  • Si diventa criminali per necessità? Risposta generale, no, c’è sempre un altro modo di affrontare i problemi, solo che i criminali non lo vedono o si sottraggono ad esso…
  • Ma dunque perché si smette di essere criminali e si pensa di “migliorarsi”? Il criminale avverte o non avverte come una “campana”, come un “richiamo” a costruire? È questo richiamo a costruire che “ferma” i criminali e gli fa cambiare modo di vivere?

Non vediamo l’ora di ricontrare voi (e tutte le altre classi partecipanti al nostro progetto di ricerca) il 28 maggio all’Università degli studi di Milano per l’incontro di restituzione pubblica!

Davide (con Chiara, Francesco e Tania)

CONTRIBUTI CRITICI SU DENARO FALSO