La droga e l’altalena

La droga e l’altalena, Claudio Palumbo

Sinceramente questa è una domanda che non mi sono mai fatto, credo perché quando ho iniziato era solo uno sfizio e un gioco. Non potevo accettare di essere un tossicodipendente, perché i tossici erano gli altri, quelli deboli. Usando “solo” (si fa per dire) cocaina, non volevo riconoscermi nella veste del tossico, cioè di una persona che non ha il controllo di sé: inaccettabile, guardarsi allo specchio fa male!

Sono entrato e uscito dal carcere molte volte e, a causa della cocaina che assumevo, ho vissuto come su un’altalena tra un burattino e un burattinaio.

Ho sempre creduto di riuscire a separare, illudendomi, lo sballo dalla famiglia. Sicuro di non tradire mai nessuno, mi accorgo adesso che già solo per il fatto di essere in carcere, ho tradito la mia famiglia. Mi sono illuso di essere un buon padre e un buon marito. Oggi mi rendo conto di quello che sono e di quello che potevo essere. Forse l’unica fortuna di questa situazione è potersi togliersi la maschera e chiedere aiuto a chi sarà disponibile ad aiutarmi.

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Una scelta che diventa malattia

Una scelta che diventa malattia, Maurizio Chianese

Negli ultimi incontri del Gruppo della Trasgressione, si è discusso sulla tossicodipendenza. Tutto è partito da una domanda che il dott. Aparo ci ha posto «la dipendenza, è una scelta o una malattia?»

Tutti noi abbiamo risposto, generalmente, in modo affermativo; qualcuno non la riconosce come malattia, ma più come un problema che può essere risolto trovando qualcosa di positivo, che possa in qualche modo sostituire la sostanza. Massimiliano diceva che in questo periodo lui si sente molto appagato dal suo percorso, che lo ha portato ad avere degli incontri con adolescenti, con i quali riesce a fare prevenzione grazie alla sua esperienza passata di tossicodipendente. In queste occasioni Massimiliano è contento di essere utile, si sente riconosciuto dai ragazzi e da questo ricava un appagamento che lo tiene lontano da ciò che lui ora riconosce come qualcosa di molto brutto e pericoloso.

Io credo che tutto inizi da una nostra scelta, i motivi sono vari: appartenere ad un certo gruppo di persone; il fascino che si prova a vedere persone più grandi con un certo stile di vita (divertimento, soldi, donne); la mancanza di affetto; il fatto che in famiglia la sostanza è di casa. Comunque sia, la scelta è stata presa da me, e il consumo nel tempo ha fatto sì che la sostanza diventasse parte integrante della mia vita, una malattia che senza accorgermi mi stava portando alla rovina.

Come me, molti la riconoscono come malattia, e come tale va curata. Ma come? Sicuramente con l’aiuto di operatori, psicologi che conoscono questa malattia. Il percorso per me sarà molto lungo, ma ho delle vere motivazioni che mi aiuteranno. Questo percorso col tempo mi porterà a vedere in modo molto diverso la realtà della mia vita.

Vorrei tanto ringraziare Veronica, perché raccontando la sua esperienza negativa, oltre ad avermi trasmesso molta tenerezza e tristezza, mi ha fatto notare, che ci sono molti punti in comune con la mia tossicodipendenza, infatti anch’io come lei, cercavo con varie scuse di andare nei posti dove ero sicuro di trovare la sostanza, dicendomi, e mentendo a me stesso, che avrei avuto la forza di farne a meno e di potermi controllare. Cosa che poi si è rivelata falsa.

Il dott. Aparo, l’ultima volta, ci ha suggerito di riflettere sulla nostra esperienza del conflitto. Credo che un vero conflitto l’ho avuto dopo un periodo di astinenza, dovuto alla mia carcerazione. In quel periodo, ricordo di avere fatto promesse alla mia compagna che una volta libero, non avrei più usato sostanze. Sono uscito dal carcere in affidamento, che grazie agli obblighi sono riuscito a portare a termine; in più per sette mesi, sono riuscito a non farne uso.

Poi, un giorno sono andato a trovare mio padre a casa sua, luogo in cui la cocaina si trova alla porta accanto. In quel momento sì è accesa la lampadina. Sono stato un’ora da mio padre, e in quel breve tempo sono riuscito a pensare «Ora vado di là e mi faccio un pippotto! Anzi no, perché ho promesso! Ma sì, solo uno che vuoi che faccia? No, mi conosco, è meglio evitare! No, ma solo uno non mi fa niente, poi torno a casa e nessuno sa niente!»

Alla fine quel pippotto l’ho fatto, e al contrario di quello che avevo pensato quel giorno, ho rotto un patto, e mi sono infognato di nuovo nella sostanza. Risultato: mi sono ritrovato fuori di casa, sono ritornato da mio padre e ho ricominciato a fare serate, e nel giro di poco, nuovamente in galera.

Oggi sono quattro anni che non uso sostanze, primo perché sono in galera; secondo a questo “giro” mi sono fatto un grande esame di coscienza e sono arrivato alla conclusione di farmi dare un mano, un aiuto molto concretamente. In più, dentro me c’è una grande volontà di cambiare, e ho una grande motivazione che si chiama Sofia. Non so se riuscirò a ricostruire la mia famiglia, ma voglio sicuramente avere la possibilità di essere un padre, giusto, bravo e serio, che possa essere un esempio positivo per la mia “principessa“.

Se oggi sono qui a scrivere queste mie considerazioni, è grazie a voi del gruppo, che con le vostre storie e scritti mi avete invogliato e spinto a proseguire nel mio percorso.

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Nelle mani del burattinaio

Nelle mani del burattinaio, Gaetano Viavattene

In uno degli ultimi incontri al gruppo abbiamo parlato della tossicodipendenza. Quasi tutti ritengono che il tossicodipendente sia una persona malata e, in quanto tale, vada curato. La tossicodipendenza è una malattia riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, un problema mentale che sfocia sempre in una malattia.

La metafora del burattino e del burattinaio è stata veramente molto efficace, perché noi tossicodipendenti al mattino siamo burattinai, alla sera, invece, burattini che si rimettono al volere del burattinaio. Da bravi burattini ci droghiamo col piacere di farlo, sentendo emozioni e brividi irraggiungibili se non con labuso della droga scelta dal burattinaio.

Ma il burattinaio è certo che sia proprio lui a scegliere cosa fare? Forse nemmeno lui si rende conto delle molle che lo spingono a fare ciò che fa con il suo burattino! Forse questo burattinaio non vuole proprio diventare adulto, forse lui crede ancora di essere il ragazzino incompreso che per sfuggire ai propri doveri si rivolge al primo burattinaio che incontra.

Ma se partissimo dall’inizio, da quando eravamo bambini, cosa ci è mancato? Forse i nostri genitori non erano abbastanza presenti e questo ci ha indotto a cercare un gruppo che ci accettasse… ma di solito questi gruppi sono formati da ragazzini con gli stessi problemi o peggiori… e allora… eccoci pronti a tutto pur di farci accettare.

La prima canna, il primo furto e subito dopo le prime giustificazioni: “è colpa loro, non mi hanno dato le attenzioni che meritavo”. Ma sapevamo bene che le mani delle nostre mamme e le schiene dei nostri papà erano spaccate dalla fatica. Ma non volevamo vedere, e allora: “io da grande non sarò come lui“… e vai col branco e cominci a drogarti.

Ora siamo diventati grandi senza paura, anche perché abbiamo già conosciuto la cocaina e l’eroina e allora non basta più la borsetta di mamma e nemmeno il piccolo furterello. Ora servono i soldi, quelli veri, e con la disinibizione della coca o della rabbia si va avanti… siamo grandi, siamo forti e ci diamo dentro di brutto.

Ma le sensazioni cambiano, ora non voglio neanche stare col gruppo, ora sono solo, la dipendenza è arrivata assieme alla paranoia, al chiudersi in casa con le tapparelle abbassate…

Il gruppo dov‘è? Il branco è lì pronto quando c’è da sfruttarsi a vicenda per fare soldi, per drogarsi e circondarsi di prostitute, alcool, belle macchine, bei vestiti… perché non si possono avere rapporti veri, sono costruiti ad arte dal burattinaio che tira le fila del burattino che sei diventato… e arriva, inevitabile, la sosta al “Grand Hotel“, sempre aperto e sempre con un bel posto letto che ti aspetta, caldo caldo.

Ora sono nei guai veri, ora cerco in me stesso le spiegazioni e non le trovo o non le accetto o forse, chissà, io non c’entro, è la vita!

Non accetto che sia stato quel bambino a farmi diventare un burattinaio… che a sua volta mi riduce un burattino nelle ore più buie, dovrei cercare nel mio profondo e questo mi fa paura, dovrei condividere tutto questo con un altro, mi tengo tutto dentro e… quando sarò fuori dal carcere si vedrà.

Ma il giro è breve… e, via via, entri ed esci, entri ed esci, ti sei quasi convinto che sia normale… incontri sempre le stesse persone: chi non accetta quel rompi balle del bambino che lo assilla, chi se la prende con la propria storia sentimentale e chi scarica addosso al sistema tutte le responsabilità, senza accettare che è in se stessi che bisogna guardare per trovare le risposte. Poi, dopo anni, ti svegli e vedi il mondo cambiato, chi si è costruito una famiglia, chi è all’estero e ce l’ha fatta, qualcuno è al cimitero, qualcuno è qui a lavorarci sopra.

Ma il carcere è una strada migliore della comunità? Per tanti sì, oggi le carceri sono popolati al 70% da tossicodipendenti, un rifugio per tutti quelli che non vogliono scontrarsi con la realtà, un buon 50% ora comincia a comprendere e a lavorare sulle proprie responsabilità ed è sempre più frequente la ricerca degli psicologi in gruppi di sostegno orientati al recupero, ma non tutte le strutture carcerarie hanno i mezzi per poter far fronte al problema.

La piaga che ci siamo inflitti è grave, molto più di quello che si possa pensare. Spero che i giovani di oggi possano capire che le droghe non risolvono nulla, anzi aggravano il problema e, poco a poco, ci consegnano nelle mani del burattinaio.

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