L’insulto – male e realtà

L’INSULTO – male e realtà
Tiziana Pozzetti

Siamo a Beirut e due uomini, Toni, Libanese, e Yasser, rifugiato Palestinese, entrano in conflitto per un incidente apparentemente banale: un tubo che si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato. Il diverbio potrebbe risolversi velocemente, ma ad un certo punto arriva l’insulto. Yasser guarda Toni e, puntandogli il dito contro, con disprezzo dice: “Sei un cane”.

Ora, la mia domanda è: siamo sicuri che Yasser stia veramente insultando Toni? E quando Toni denuncia, sta denunciando Yasser?

Con lo scorrere del film diventa sempre più evidente la cecità dei personaggi: Toni e Yasser non vedono l’altro per ciò che egli è veramente, ma per ciò che l’altro rappresenta per loro. La realtà di oggi viene interpretata, quindi, non per quello che è, ma sulla base del male subito nel passato: un insulto ancora vivo, che ha il potere di cambiare il modo in cui i due uomini vedono le cose, di far scivolare progressivamente le loro azioni verso un’orizzonte sempre più ristretto.

Se all’inizio del film si tratta di un banale incidente, che tutto sommato lascia loro la libertà di scegliere quale direzione prendere, alla fine diventa una questione di stato talmente grande che sfugge dalle mani dei protagonisti, i quali non possono nemmeno più scegliere di tirarsi indietro.

A quel punto, infatti, ogni scelta è gravida di conseguenze: porti avanti il processo? Distruggerai una famiglia. Rinunci? Sarai uno sporco traditore della patria.

Ma mentre le piccole scelte che i personaggi compiono ogni giorno li portano piano piano, e quasi senza rendersene conto, attraverso un imbuto sempre più stretto che si incunea progressivamente nell’oscurità del loro rancore, Toni improvvisamente sceglie di fermarsi. Scende dalla propria macchina e aiuta Yasser a rimettere in funzione la sua. Una piccola scelta, apparentemente banale, ma che in qualche modo orienterà il futuro di entrambi.

Il film sembra dirci qualcosa: al timone delle piccole scelte di ogni giorno, ci siamo noi. Dunque possiamo scegliere se usare le nostre competenze da meccanico per manomettere la macchina dell’avversario, oppure per aiutarlo a restare in gioco. Toni sceglie, e si percepisce che in quel momento del film accade qualcosa di diverso, di importante. Quel gesto all’improvviso squarcia l’oscurità che progressivamente stava avvolgendo i personaggi e riporta la luce, permettendo a Toni, forse per la prima volta, di vedere Yasser per ciò che realmente è: un uomo, non un nemico.

Perché è questa la verità: per tutta la parte iniziale del film Toni guardando Yasser vede il persecutore della sua famiglia. E quando Yasser di notte va fuori dalla sua officina e lo provoca fino a farsi dare un pugno, gli sta facendo un importante regalo: la possibilità di chiudere i conti con il passato.

Infatti, a chi ha dato quel pugno Toni? A Yasser veramente? O al nemico che tanti anni prima ha perseguitato la sua famiglia? O ancora a quella parte di sé che oggi rappresenta quel nemico? Perché se ad un certo punto inizi a vedere nemici dappertutto, anche in chi stava solo cercando di aggiustarti un tubo, allora forse quel nemico non è lì sotto al tuo balcone, ma è dentro di te, indissolubilmente legato a ciò che sei diventato, tanto da determinare le tue scelte e azioni.

Se questo è vero, Toni sferrando un pugno a Yasser non colpisce solo un uomo o un palestinese, ma sferra finalmente un pugno al passato che lo perseguita. Un passato che lo ha maltrattato, umiliato, privato dei suoi affetti, cacciandolo dalla propria casa come un “cane”. È quel passato che lo ha insultato, e non gli ha mai chiesto scusa.

Yasser però, dopo aver incassato il pugno, non risponde nello stesso modo in cui il passato di Toni ha sempre risposto. Risponde in un modo nuovo: gli chiede scusa. Chi guarda il film, in questo frangente ha la netta percezione che un conto in sospeso sia stato finalmente regolato. Tra i due personaggi certo ma, ancora più importante, tra ciascun uomo e il proprio passato.

Questo è il paradosso della coazione a ripetere: facciamo di tutto per rivivere esattamente quel passato che ci ha umiliato, eppur tuttavia speriamo che la storia abbia un epilogo differente questa volta. In pratica torniamo al male nella speranza di poterne estrarre il bene. Raramente però le persone a cui abbiamo dato un pugno hanno voglia di invitarci a cena, o di chiederci scusa.

Eppure Yasser nel film lo fa: viene insultato e denunciato ma torna per restituirgli la possibilità di ricevere finalmente quelle scuse che Toni da tanto, e ormai irragionevolmente, pretendeva di diritto. Perché Yasser si comporta così? È tutto merito delle micro-scelte!

Torniamo un attimo alla scena precedente, alla macchina in panne ferma nel parcheggio, con Yasser fermo lì impotente e chino sopra il cofano, non sapendo dove mettere le mani. L’impotenza è qualcosa che da sempre fa parte della sua vita. Scappato dalla propria casa, rifugiato in un paese dove viene declassato ad un ruolo lavorativo inferiore a quello per cui si era formato e che gli spetta, impossibilitato a trovare un lavoro ufficiale e costretto a dipendere dai favori altrui. Lui la frustrazione e l’impotenza le conosce bene, perché per tutta la vita si è sentito dire “ti lascio a casa perché è troppo rischioso assumerti”.

Quindi, all’inizio del film, quando Yasser dà del “cane” a Toni, cosa vede veramente in lui? Un uomo o un nemico che continua a distruggere i tubi che lui costruisce con sudore e fatica? In verità Toni rappresenta per lui un paese che non riconosce il suo valore e la sua identità. Quindi, quando Toni torna indietro per aiutarlo a far ripartire la sua macchina, sembra che stia facendo un piccolo gesto apparentemente banale, ma ha l’effetto potente di far sentir Yasser visto, riconosciuto, accolto da quel paese da cui aspirava da sempre di essere accettato.

Così, alla fine, scopriamo che i personaggi non stavano combattendo l’uno contro l’altro, ma ciascuno lottava contro i proprie demoni e, dietro ai gesti e alle parole, in un luogo più intimo e profondo, stava avvenendo qualcosa di importante per entrambi: uno scambio simbolico, che ha consentito a ciascuno di chiudere i conti con la propria storia e ricominciare a vedere l’altro per ciò che è realmente e non più come il “nemico” del passato, il cui insulto ci ha procurato una ferita talmente traboccante di rancore da avere il potere di tenere in ostaggio il nostro presente e di tenere in un’incubatrice, in sospeso tra la vita e la morte, il nostro futuro.

Ora, cosa c’entra il film con me, te e tutti noi?
Lo “scambio simbolico” ci riguarda tutti perché nessuno può crescere da solo. Per crescere abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi in modo accogliente e progressivo verso le nostre mete.

Facciamo alcuni esempi. Prendiamo un uomo che ha commesso un reato e mettiamolo in una cella. Potrà crescere? Potrà evolvere stando lì alla sola presenza dei muri, delle sbarre e dei propri fantasmi? Facciamo un altro esempio. Prendiamo un bambino e mettiamolo in una stanza piena di giochi, potrà crescere se lasciato da solo? Per quanto quei giochi siano stati creati per potenziare le sue capacità, non serviranno a niente al nostro bambino se nessun adulto si siederà accanto a lui per fargli vedere come si usano quegli strumenti.

Tutti, a tutte le età, siamo quell’adulto e quel bambino.
Abbiamo il compito di riconoscere le spinte problematiche che si agitano dentro di noi e con cui abbiamo bisogno di imparare a comunicare, per diventare a nostra volta adulti e una guida per gli altri. Un po’ come fanno i detenuti quando portano l’elaborazione dei loro vissuti e delle loro esperienze nelle scuole, nell’ottica della prevenzione al bullismo.
Ma non dobbiamo neanche dimenticarci che tutti noi abbiamo dentro un’identità che ha costantemente bisogno di crescere, di nutrirsi, di arricchirsi, di affinare le proprie capacità, di trovare risposta alle nuove sfide, di accettare i nuovi ruoli che ci chiedono ogni giorno di essere diversi, senza però perdere la nostra essenza, di combattere contro i fantasmi del passato che a volte ci mettono i bastoni tra le ruote. Nessuno può fare tutto questo da solo. Nessuno può crescere da solo.

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PS: Ringrazio davvero per tutti gli spunti e i contributi di ieri. Adriano in particolare per il riassunto iniziale e Roberto perché, non solo non si tira mai indietro quando viene provocato, ma ha fatto davvero un discorso profondo senza perdere di vista i temi centrali che stiamo trattando.  Comunque Roberto, tutto il discorso sul doppio lavoro che stai facendo, devi scriverlo!! non può andare perduto…

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