Una mattinata come tante

Questa mattina mi sono svegliata, una mattinata come tante altre. Sono uscita in balcone, in mutande, a fumarmi una sigaretta. E di questo, i vicini non possono lamentarsi, neanche i più piccini. Del resto è solo un bel vedere!

Mi sono poi vestita e preparata per andare al lavoro e, nel tragitto in macchina, ho visto un manzo da paura che camminava sul ciglio della strada. Era in divisa. Mi sono sentita legittimata a fischiargli… un po’ come faccio con la mia cagnolina!

Arrivata in ufficio sono passata a dare un saluto al collega della stanza a fianco. Un bell’uomo ma certo un po’ tontolone! Aperta la porta lo trovo voltato di schiena, intento a cercare tra dei documenti. Mi avvicino e… SPEM! Un bello schiaffo sulla natica destra. Oh si! Che soddisfazione. Lui mi guarda un po’ destabilizzato e al che io rispondo  ‘ma si, che vuoi che sia?!’.

Tra un fischio qua e una pacca sul sedere là si è conclusa la mia mattinata. Una mattinata come tante altre.

Andrea Sinigaglia

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Avrei avuto tante cose da dire rispetto alla considerazione degli altri, specie per il fatto che degli altri faccio parte anch’io. Avrei anche voluto esprimere il disagio, l’imbarazzo che mi prende quando mi accorgo di quanto mi sono trasformato per merito del gruppo. A volte mi sento persino oppresso per averne fatto parte.

Ricordo che una volta un componente del gruppo aveva raccontato del matrimonio fra il figlio di un omicida e la figlia della vittima. Ricordo la sua ostinazione nel considerare quel matrimonio inaccettabile. Questo episodio, nonostante mi avvicini molto a quello che sono stato, mi fa anche riflettere su chi sono diventato. E così, tra richiami del passato e gioie nel vivere il presente, supero il senso di oppressione che mi affiora quando penso a cosa è stato per me il gruppo della trasgressione.

Sotto un mio murales nei corridoi del reparto nuovi giunti del carcere di opera (e credo sia ancora lì) ho citato un verso di Dante: “aver compagno al duol scema la pena.”

Oggi non posso distogliere i miei pensieri da ciò che vivo… e non so nemmeno spiegare Il mio passato. Finirei nel buco nero delle responsabilità e continuerei a dare colpe qua e là. Il mio passato mi parla, vive ancora dentro di me con il tormento, lui conosce e sente ancora il dolore delle ferite che l’essere distaccato dalla realtà ha provocato. Con il presente va cercando un accordo per una pacifica convivenza.

La coscienza no! Lei vive ai margini del mio presente, non sono ancora riuscito ad acquietarla. Ovviamente, non rinuncio a dialogare con lei, troverò forza e coraggio per trarne ulteriore guadagno. Voglio che la coscienza entri a far parte della mia vita imperfetta. Sicuramente ho ancora strada da fare prima di riuscire a trovare altri responsabili delle mie storie maledette. Nessuno però, almeno per adesso, potrà distogliermi dalla strada con l’altro.

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I miei cento passi

Non ho memoria dei miei primi passi, ma ricordo la mano di mia madre che mi sosteneva; sapevo dentro di me che quella mano non mi avrebbe mai lasciato. Un giorno che non saprei descrivere smisi di camminare e incominciai a correre.

Sentivo una spinta interiore che mi spingeva a correre sempre più veloce. Sono passati gli anni e oggi ho solo un vago ricordo di cosa provavo quando smettevo di correre e riprendevo a camminare. Quei ricordi sono la mia vera vita vissuta. Camminando, assaporavo i dettagli del mondo che mi circondava, vedevo e sentivo le persone…

Ma erano solo pochissimi passi, poi l’urgenza di correre riprendeva senza che ne sapessi il perché. Sono cresciuto correndo all’impazzata senza comprendere il mondo che mi circondava, ma soprattutto senza capire perché correvo.

Poi in una pausa dalle mie corse sei arrivato tu, figlio mio. Assistere alla tua venuta al mondo è stato ed è ancora oggi il più grande evento della mia vita. Ma a quel tempo quella gioia è durata un battito di ciglia. Ripresi di nuovo a correre, ma questa volta le mie corse non erano più tanto frequenti e lunghe come le altre volte. Così ricordo bene il tuo respiro mentre ti stringevo forte, ti osservavo mentre dormivi, ti sussurravo di fare sogni belli che papà era lì con te. Ricordo i tuoi primi passi sostenuto da me e dalla mamma e quando andavi per casa con il girello.

Ed ecco che di nuovo quella maledetta spinta mi fa correre sempre più veloce. Stop! Mi hanno fermato, arrestato per l’ennesima volta. Ma questa volta c’eri tu e io ti ho abbandonato per correre. Ci sto male, sento di aver bisogno di aiuto per comprendere il mio male, ma l’orgoglio e l’arroganza, che insieme al rancore sono stati la mia quotidianità, non lo accettano.

Ma la stessa spinta inconsapevole che mi aveva fatto correre mi spinge adesso a cercare di capire, a chiedermi il perché. E così ho conosciuto il gruppo della trasgressione e il suo coordinatore. All’inizio non riuscivo a comprendere la mia nuova spinta, anzi cercavo con tutte le forze di respingerla. Ma per mia fortuna non ci sono riuscito e mese dopo mese diventava una mia nuova inconsapevole ossessione comprendere il perché delle mie corse.

Incominciai a non correre quasi più. Incominciai a camminare sostenuto dal gruppo e dal dott. Aparo e con loro cominciai a riconoscere che quella spinta che mi faceva correre aveva dei nomi ben precisi: dolore, rancore, arroganza, mancanza di punti di riferimento, cancellazione dell’altro. Ho compreso che le mie corse non erano altro che il risultato del mio disagio interiore e che il mio rancore mi portava dove voleva lui senza che io potessi impedirlo. Ero un burattino nelle mani dei miei stati d’animo.

Tu, figlio mio, sei stato, insieme alla mia voglia di vivere con te, quella fiammella che con l’aiuto di del gruppo mi ha permesso di fermarmi. Adesso il mio stato d’animo è sereno. Oggi cammino, vivo e mi incuriosisco della vita. Ora di fronte a me ci sono tante scelte e strade da percorrere… e non bastano cento passi. Nel mio futuro ci sono mille e poi ancora mille passi con te, figlio mio.

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