Claudio Brachino

Claudio Brachino – Intervista sulla creatività

Claudio Brachino è giornalista televisivo, opinionista per i programmi di informazione di La7 ed editorialista per Il Giornale e per l’agenzia di stampa ItalPress. Di recente ha scritto Avere o non avere.

Scoperto l’amore per le opere di Freud durante gli anni del liceo, decide di intraprendere un percorso accademico presso la facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma allo scopo di specializzarsi in Psichiatria. Tuttavia, dopo gli esami del primo biennio superati a pieni voti, abbandona il corso di studi per iscriversi alla facoltà di Lettere della stessa università, frequenta il corso di studi in Letteratura italiana presso la cattedra del maestro Walter Binni e si laurea nel 1985 con una tesi sperimentale e creativa su un poeta, quasi sconosciuto, precursore della scuola romantica: Ambrogio Viale.

Abbandonato il desiderio di intraprendere la carriera di ricercatore di letteratura italiana, si avvicina al mondo della radio per intraprendere delle collaborazioni con la RAI.

Gli anni della gioventù sono altresì caratterizzati da una passione per il teatro, ambiente in cui la creatività viene espressa al massimo grado. In quegli stessi anni un professore geniale come Ferruccio Marotti invita come professore di drammaturgia Eduardo De Filippo. Questi era convinto che la crisi del teatro italiano fosse innanzitutto una crisi della drammaturgia e non tanto una crisi dettata dalla carenza di attori o registi. Dopo un anno di lavoro, l’artista napoletano sceglie il testo di Brachino (dal titolo Mettiti al Passo!) e lo mette in scena.

Per un anno Brachino gira con la troupe nei vari teatri italiani e nel 1987 incontra Nikita Michalkov, il quale era in Italia per portare in scena, assieme a Marcello Mastroianni, uno dei suoi capolavori cinematografici: Partitura Incompiuta per Pianola Meccanica. Brachino scrive, in accordo con Mikhalkov e con l’introduzione di Maurizio Scaparro, il taccuino delle prove.

Nasce il suo secondo libro, La macchina da presa teatrale, pubblicato nei Quaderni del Teatro di Roma. Poco tempo dopo, nel 1987, il giornalista conosce, a una prima di Michalkov, Adriano Galliani che gli propone un lavoro a Milano come autore e consulente della Fininvest per la realizzazione di programmi di seconda serata.

Nel 1995, Brachino diventa vicedirettore del Tg di Italia1, dove conduce varie edizioni tra cui alcune edizioni straordinarie: dai disordini del G8 di Genova all’11 settembre, dalla cattura di Saddam Hussein alla morte di Papa Giovanni Paolo II.

Infine, riesce anche a diffondere l’interesse per la criminologia fra il grande pubblico insieme a Massimo Picozzi con cui ha scritto più di un libro a quattro mani: Top Secret e La morte di Diana.

 

Asia: Cos’è per lei la creatività?

 Claudio Brachino: Vi sono numerose definizioni di “creatività”. Ad esempio, quella che voi praticate fa riferimento all’ambito preventivo ed è perciò di stampo socio-pedagogico. È molto interessante, a questo proposito, soffermarsi sull’adolescenza, età molto importante soprattutto perché si possono verificare episodi di bullismo e da parte dei docenti vi è una totale impreparazione rispetto a questo fenomeno. Inoltre, il bullismo si ripercuote in maniera traumatica non solo sulla vittima ma anche sugli insegnanti che si ritrovano impreparati in termini psicologici. Penso che i professori non siano in grado di riconoscere i danni che gli studenti hanno subito quest’anno dalla Didattica a distanza (DAD) per svariati motivi come il coprifuoco, l’assenza delle relazioni, le nuove regole, ecc. Questo sistema ha provocato forme di rabbia, negazione e disperazione. Non possiamo pretendere che i ragazzi continuino a produrre intellettualmente come se non fosse successo niente.

Ritornando alla creatività, per me rappresenta l’essenza dell’uomo, è ciò che lo distingue dalle altre specie. La produzione di qualcosa di nuovo, che non c’è in natura, è il grande frutto della mente umana, che sia un libro, un brano musicale, ecc. Creatività è ad esempio mettere a punto un format televisivo che non esisteva prima. Un grande poeta che ho amato molto, Jorge Luis Borges, diceva: “Il primo verso della poesia lo fa Dio, l’ultimo lo faccio io”. Significa che nel mezzo dell’atto creativo c’è una sfida col destino, con la creatività, con la capacità di andare dal primo verso all’ultimo facendo un percorso. La creatività ha a che fare anche con la produzione estetica e l’uomo produce bellezza per altre persone che ne riconoscono il valore. La bellezza, come dice Kant, ha a che fare con una categoria dell’animo umano, che possediamo tutti in quanto uomini. È una categoria trascendentale e immateriale, l’architettura invisibile del palazzo. La nostra esperienza sensibile del bello non sarebbe possibile senza le categorie trascendentali del bello in quanto categoria. Davanti a un quadro come la Gioconda, o di fronte a un brano di Shakespeare tutti facciamo l’esperienza del bello.

Ci sono anche altre forme di creatività… prima di iscrivermi a Lettere ho fatto due anni di Medicina perché volevo diventare psichiatra, infatti avevo scoperto Freud al liceo e me ne ero innamorato, soprattutto dell’opera Il motto di spirito in cui analizza il meccanismo della creatività linguistica attraverso la battuta, cioè il motto di spirito. Quando ridiamo facciamo riemergere dal profondo due pulsioni, eros e thanatos. A questo proposito, facendo rassegna stampa per tanti anni mi sono accorto che anche i titoli di giornale spesso si basano su un gioco di parole. Quando mi accingo a scrivere un articolo mi piace iniziare sempre con uno slogan. Ad esempio, quando ho parlato della continua lotta tra lo Stato e le regioni sui vaccini, ho detto “Gian sei talmente arrabbiato che hai perso la ragione, anzi, le regioni”.

Per quanto riguarda la stesura degli articoli, se ne può scrivere uno denotativo in cui significante e significato sono in un rapporto diretto di causa ed effetto. Ad esempio, la parola “cane” significa l’animale a quattro zampe che ben conosciamo (io ho un cane di nome Beatrice e lo amo moltissimo); ma se dico “quel giornalista è un cane!”, il rapporto tra significante e significato diventa di natura connotativa e si apre il mondo della metafora dando al linguaggio un’accezione completamente diversa. I poeti prendono la lingua e, giocando entro un sistema di assonanze e riferimenti di rima e musica, producono effetti diversi nell’animo umano rispetto a quando si fa un uso denotativo delle parole.

 

Ottavia: Quali sono i principali ingredienti del processo creativo?

Claudio Brachino: Tutto dipende dal tipo di creatività che vogliamo considerare: la scrittura, la commedia, la recitazione, ecc. Ricordo la tecnica che ci ha insegnato un maestro, il quale ci diceva sempre che quando si costruisce un personaggio, questo va messo a punto in maniera talmente precisa che dobbiamo sapere anche quante caramelle ha nella giacca. Attraverso il processo creativo creiamo delle immagini, le osserviamo e poi ci immergiamo. La creatività, dopo la prima idea di un personaggio o di una trama, necessita di una capacità mimetica che non è mai una fotocopia della realtà ma è un ulteriore processo creativo.

Grande creatività si esprime anche attraverso il corpo. Venne al teatro di Roma, nel periodo in cui c’era Eduardo De Filippo, Jerzy Grotowski, grande attore polacco degli anni ’60-’70. In quegli anni era stato inventato il “teatro povero” perché nella Polonia del dopoguerra non c’erano molti soldi per fare teatro e Grotowski diceva che la nostra vera ricchezza, che nessuno ci può togliere, è il corpo. Il corpo è il linguaggio dell’attore ed è quindi una forma di creatività. Lui aveva esteso questo rapporto del corpo fino a far tornare l’uomo alle origini. L’iniziativa si chiamava “per un teatro antropologico”. Una volta ci portò in un bosco, vicino a Orvieto, per tre giorni, dove rimanemmo le notti al buio per riscoprire il teatro dell’antichità. Grotowski ci diceva che il teatro nasce dallo sciamanesimo, così come nei riti Wudu: il dio entra nel corpo della persona che perde il proprio Io e accoglie l’Io del dio. Questo è lo stesso processo creativo che fa l’attore che entra in uno stato quasi di trance abbandonando il proprio Io e accogliendo l’altro Io immaginario.

Forse possiamo fare una definizione al negativo: quando la creatività non c’è, si vede…

 

Asia: Cosa avvia, come si sviluppa la sua creatività e in quali condizioni?

Claudio Brachino: Vivo in gruppi, sia teatrali sia relazionali, ho sempre lavorato a contatto con altri uomini… ma la verità è che sono un solitario, ho bisogno che la mia attività sia individuale e solitaria. Posso anche lavorare in mezzo agli altri ma ho bisogno di un mio spazio privato. Ogni giorno siamo circondati da eventi, riunioni, incontri, ma le persone creative si perdono dietro tutti questi appuntamenti e contatti. Io mi sono abituato eliminando al massimo le riunioni inutili e cercando di farne invece di creative. Se c’è un bel clima e una bella energeia possono nascere cose interessanti. Quando devo mettere a punto un format ho bisogno di concentrarmi, inizio con grande paura perché il foglio bianco spaventa sempre. Poi, da una frase, da un titolo o da una suggestione anche sonora, comincio a pensare allo studio, alla conduzione, alle luci, al ritmo, alla durata, agli schermi, ecc. e riesco a scrivere il format. Poi faccio leggere ad altri il risultato e ne colgo gli stimoli e i suggerimenti. Va precisato che il prodotto finale è il frutto di un’opera creativa collettiva, in cui centrali sono i contributi del regista, dello scenografo, del truccatore, ecc., anche se tutto parte dalla solitudine di un foglio.

In alcune occasioni, la creatività sul piano sociale ha lo stesso meccanismo della pubblicità. Un grande teorico del linguaggio come Jacobson, raccontando le funzioni del linguaggio, dice che ogni atto linguistico ha tre protagonisti: il mittente, il messaggio e il destinatario. Poi ci sono il contesto fisico, attraverso cui viene inviato il messaggio, e il contesto storico-culturale. A seconda degli elementi su cui l’atto linguistico appoggia, si hanno delle funzioni: una dominante e altre in una posizione gerarchica inferiore. Ad esempio, nella pubblicità e nella politica, tutta la comunicazione è incentrata sul destinatario. La pubblicità ha come obiettivo quello di convincere qualcuno affinché acquisti un prodotto mentre la politica cerca di convincere qualcuno di un’idea per ricevere il suo voto. Questa funzione si chiama “conativa”. Si pensi, ad esempio, a Peter George Peterson il quale aveva ideato, per promuovere il generale Eisenhower, lo slogan creativo che recitava “I like ike”, dove l’oggetto votato (Ike) si ritrova all’interno del verbo “to like”. La continua presenza della vocale “i” fa sì che vi sia un’allitterazione e tale musicalità produce un piacere nell’uditore. Con uno slogan musicale, tipico del marketing pubblicitario, Peterson cercava di far diventare Eisenhower presidente degli Stati Uniti.

 

Ottavia: Che conseguenze ha sulle sue emozioni e il suo stato d’animo la produzione creativa?

Claudio Brachino: La produzione creativa è come il sesso, uno dei grandi piaceri ineliminabili della vita. Io metto la creatività e la produzione di opere allo stesso livello del piacere sessuale che è fondamentale per l’essere umano.

Anche il design di una macchina è creatività, io ho sempre amato macchine belle. Anche lo sport è bellezza e io dirigo lo sport. Penso a quando Ronaldo salta… è come se stesse toccando l’Olimpo: il pallone fa un arco sopra la testa ed entra nell’esatto punto geometrico della rete ed è proprio quel punto specifico a racchiuderne tutta la bellezza.

Secondo me la tecnologia ha poca bellezza ma contiene un’idea strepitosa ovvero quella di connettere milioni di persone contemporaneamente. Steve Jobs è stato un genio, l’artefice di un’invenzione senza cui non potremmo più vivere. Con lo smartphone lavoro, guardo le notizie, controllo le e-mail, scrivo gli articoli in viaggio, partecipo a incontri su zoom, ecc. Nonostante gli eccessi e gli abusi, non si può non riconoscere che sia stata un’invenzione strepitosa.

 

Asia: Che incidenza ha l’atto creativo sulla percezione di sé?

Claudio Brachino: Per Freud la creatività deriva dal principio del piacere, che domina in età infantile, ma l’artista estenderebbe questo principio alla vita adulta, non sulla realtà in sé, ma sull’universo estetico e creativo. Io credo di essere un super bambino e questo mio aspetto mi ha permesso di divertirmi e trovare piacere per la mia creatività. Quindi posso dire che ho una buona auto percezione, molto consapevole e divertita, del mio essere creativo. Sono una persona che dà libero corso alle battute, per me divertirmi e fare battute è fondamentale, così come parlare con gli altri.

 

Ottavia: Nel rapporto con gli altri il suo atto creativo cosa determina?

Claudio Brachino: Per me dirigere non significa avere potere sugli altri, ma vuol dire realizzare le mie idee insieme alle persone che lavorano con me. In genere ho sempre avuto un rapporto molto bello con le persone sul lavoro, proprio perché non ho bisogno di avere controllo e potere su di loro. Questo mi permette di essere un capo che è sensibile anche alla creatività delle persone. Se si lavora in un team di persone capaci in cui si è in grado di sfruttare al meglio la propria creatività allora si realizzerà un progetto vincente.

 

Asia: Quanto è importante il riconoscimento degli altri per il prodotto creativo?

Claudio Brachino: É fondamentale: l’altro esiste fin dall’inizio nell’immaginario, quando si pensa a qualcosa. Sicuramente non si pensa in funzione della vendita, però ogni atto di comunicazione ha sempre un messaggio e un destinatario, quindi un altro immaginario che poi diventa un altro reale. L’altro è importantissimo sia nell’idea che tu hai dell’altro, sia nell’idea sociale che tu hai degli altri. Tuttavia, non sempre il destinatario immaginario diventa reale nell’immediato; ad esempio, Van Gogh è morto suicida perché le sue opere erano troppo in anticipo rispetto alla possibilità sociale degli altri nel percepire e capire la sua creatività. Questo succede molto nella storia dell’arte, dove ci sono parecchi artisti sfasati rispetto al proprio tempo, che vengono riconosciuti molto dopo e mentre sono vivi fanno una vita misera e non godono della propria creatività perché gli altri non apprezzano i loro prodotti. Questi artisti pensano ad un altro immaginario che non è quello del loro tempo e questo forse sta nella loro grandezza.

La storia del rapporto armonico fra io e l’altro sia a livello psicoanalitico, sia a livello sociologico è davvero complessa. Io cerco sempre di immaginare un altro che possa amare la bellezza come la amo io, però non è detto che questa accada. Per esempio, ho scritto un saggio sulla disuguaglianza, “Avere o non avere”, che pensavo potesse essere apprezzato, invece non ha avuto successo. Ci sono rimasto un po’ male, ma rimango convinto di ciò che ho fatto. Ho scritto un libro che piaceva a me, ma che in un momento storico in cui la gente aveva paura di morire per il virus o di perdere il posto di lavoro è risultato troppo complesso. Probabilmente ho sbagliato il momento di pubblicazione e in questo caso ho dipinto male l’altro.

 

Ottavia: Chi sono i principali fruitori del prodotto creativo e come ne traggono giovamento?

Claudio Brachino: I fruitori sono tutti coloro che hanno accesso al prodotto creativo nel contesto in cui siamo. Per me nel contesto televisivo i fruitori sono il pubblico, l’audience, le persone senza le quali il messaggio non ci sarebbe nemmeno. Quindi potenzialmente i fruitori sono tutti. Ci sono poi persone che vivono anche senza avere bisogno della creatività e magari preferiscono fare altro, ma alla fine più o meno ci sono delle cose che mettono d’accordo tutti: il calcio, la musica, il grande cinema.

 

Asia: Quale immagine le viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?

Claudio Brachino: Non saprei, probabilmente dovrei attingere alle mie reminiscenze della storia dell’arte. Per esempio, io ho sempre trovato molto affascinante Michelangelo, il quale stava lì con la sua donna che aveva fame, aveva sete, e lui scolpiva la sua pietra, questa massa dove aveva visto platonicamente una scultura, che ancora non c’era. Egli era talmente ossessionato ad arrivare a quella figura e a quell’atto di creare, sia materialmente, sia fisicamente, sia mentalmente, che si è dimenticato della sua compagna, che è morta di fame. La creatività può coincidere con una grande forma di autismo. Questo mi piace moltissimo perché la creatività diventa qualcosa di talmente esagerato da corrispondere alla più grande idea che si può avere del bello.

 

Ottavia: Pensa esista una relazione tra depressione e creatività?

Claudio Brachino: Probabile, io non sono un grande esperto di questi aspetti psicologici. Innanzitutto, la depressione può fare molta paura perché può essere una malattia che viene ignorata da molti, ma in cui noi cadiamo spesso. Io stesso credo di averne sofferto come tutti i creativi.

Nel caso del soggetto creativo ci possono essere due forme di depressione. La prima è non avere più la creatività, perché secondo me la creatività è un dono e si può arrivare ad un certo punto in cui non la si possiede più. Poi c’è anche la depressione che deriva dal vedere l’insuccesso della propria creatività. Perché noi viviamo anche nell’idea dell’approvazione degli altri.

Penso che chi genera un atto creativo stia producendo un’opera terapeutica anche nei confronti della depressione. Innanzitutto, perché è impegnato e in luogo secondo perché mette la sua libido in una posizione energetica, vale a dire nella condizione di uscire dall’impasse.

Quindi la creatività è sicuramente un buon antidoto per la depressione, però la depressione è una malattia sociale così vasta che ci si può cadere dentro per tanti motivi. Io sono dell’idea che la depressione dipenda più da delle deprivazioni sociali: il lavoro che manca, i soldi che mancano, gli altri che non ti vogliono bene. È una somma di tante questioni che sono legate al nostro essere relazionale e non sempre a questioni legate all’individuo in quanto tale. Quindi la creatività è un elemento della depressione, ma non è un elemento decisivo.

 

Asia: Quando un prodotto creativo è per lei davvero concluso?

Claudio Brachino: É concluso nel momento in cui la persona sente che ha dato tutto a quella struttura. Nell’opera l’artista mette dei segni fino a quando non raggiunge un determinato risultato. Quando poi questa operazione si chiude e si è soddisfatti allora vuol dire che l’opera è finita. Ognuno di noi ha un rito per cui ad un certo punto ritiene che la sua opera sia conclusa.

 

Ottavia: Pensa che la creatività possa avere una funzione sociale e, se sì, quale?

Claudio Brachino: Assolutamente sì, la creatività non vive senza il sociale, proprio perché è un atto di comunicazione e non un atto fine a se stesso. C’è sempre un altro, che può essere fisico, immaginario, individuale, o di gruppo, ma la creatività vive sempre nel sociale. Questo è ciò che la contraddistingue. La creatività ha un effetto sociale di base e questo può essere benefico, ad esempio nella capacità di dare, di sfogare la libido, nel migliorare la vita del destinatario, il quale di fronte a qualcosa di creativo prova piacere. La creatività fa bene sia a chi la fa sia a chi la riceve. La creatività può anche essere terapeutica.

 

Asia: Come la creatività può essere utile a scuola o nelle attività di recupero del condannato?

Claudio Brachino: A scuola secondo me è importantissima, anche se il contesto scolastico non ama molto la creatività. Spesso ci sono dei ragazzi che sono molto creativi, molto intelligenti e a volte sembra che non siano apprezzati a scuola perché si discostano dagli esercizi intellettuali tradizionali. Bisognerebbe insegnare ad apprezzare la grande creatività degli scrittori e dei pittori. Stiamo andando incontro ad un mondo sempre più tecnologico, ma non bisogna sottovalutare le materie umanistiche.

Anche rispetto al recupero del condannato trovo fondamentale l’uso della creatività. Spesso scrivo di giustizia e trovo che questa fallisca soprattutto nel processo di restituzione dell’individuo alla società, ma soprattutto a se stesso rispetto al male compiuto. Anni e anni di pena spesso non corrispondono a nessun tipo di lavoro sulla persona. L’individuo non raggiunge una formazione adeguata ad essere riammesso nella società, non solo perché non gli viene insegnato un lavoro, ma anche perché durante la sua detenzione egli non viene guidato verso un uso formativo del tempo della pena, che viene spesso gestito da persone che non hanno la giusta preparazione e dedizione. In realtà bisognerebbe dare la possibilità al condannato di potersi reinserire nella macchina sociale e nel poter fare ciò tutte le vostre attività, e quindi anche la creatività, sono fondamentali perché intervengono sull’uomo.

Intervista ed elaborazione di
Asia Olivo e Ottavia Alliata

Claudio Brachino – Interviste sulla creatività