La nave di Teseo

Rimescolando quotidianamente le riflessioni fatte con il Gruppo della Trasgressione e leggendo, qualche volta, passaggi di libri “casuali”,  sono stato affascinato dalla narrazione della nave di Teseo: una imbarcazione rimasta intatta nel suo splendore, pur avendo affrontato viaggi impegnativie le inevitabili logorazioni del tempo.

Allora mi sono chiesto: ma com’è possibile mantenersi integri malgrado tutto questo tempo? La risposta è stata semplice nella sua complessità.

La nave godeva di accudimento e manutenzione. Ogni pezzo consumato veniva sistematicamente sostituito. Ecco la ragione della sua perfetta integrità e della sua immutata bellezza nel tempo.

Ma si tratta ancora della stessa nave costruita all’epoca o, pian piano e in conseguenza delle manutenzioni e delle sostituzioni delle componenti usurate, si tratta di un’altra nave, un’altra identità?

La cosa certa è che la nave è rimasta quella di Teseo, pur se le vicende le difficoltà affrontate l’hanno indubbiamente modificata. Il tempo trasforma, sostituisce e a volte riesce a cambiare l’identità di un uomo, pur rimanendo l’uomo, la sua identità e i suoi primi obittivi riconoscibbili.

Se le istituzioni riuscissero a concepire ciò, forse avrebbero meno difficoltà ad aiutare le persone che passano dal carcere a rinnovare ciascuna la propria nave.  In questo modo potrebbero restituire alla collettività nuove identità con nuove e consapevoli responsabilità.

Roberto Cannavò

  • Quanti sogni, di Vito Cattaneo
  • Invincibili, di Cristiano De André

Abbiate Guazzone, Marzo 2010- La Trsg.band e il Gruppo della Trasgressione

Un commento su “La nave di Teseo”

  1. Il dilemma sull’identità della nave di Teseo continua ad esistere e induce ad affrontare prospettive diverse e spunti di osservazione sul valore dei cambiamenti e l’utilità delle riparazioni.
    Evidentemente, questo forte richiamo simbolico fa asse con il divenire continuo e vulnerabile degli esseri umani, soprattutto di quanti subiscono od arrecano danni alla collettività.
    Riparare un danno è arduo, ma consentire l’opportunità di ricostruire, anche sulle rovine degli eventi, è un investimento, producendo un ritorno di beneficio per tutti.
    È implacabile la tendenza a considerare che gli ‘scarti’ siano ‘res nullius’ (cose di nessuno).
    Così, gli anni di pena in carcere dovrebbero rappresentare un tempo utile per acquisire un nuovo livello di comprensione di se stessi con reali possibilità di cambiamento e di rieducazione: servirebbero a ri-definire la propria identità rispetto a se stessi e agli altri.
    In caso contrario, il tempo della reclusione non porterebbe a nessun giovamento, anzi favorirebbe un cambiamento in peggio, caratterizzato da rancore e frustrazione.
    Non avrebbe senso far trascorrere ai detenuti interi anni di reclusione senza impegnare positivamente il loro tempo: la formazione culturale e professionale, realizzate anche attraverso la creatività, costituirebbero una forma di riparazione agli strappi della legalità, identificando azioni utili per se stessi e di conseguenza per la collettività.
    Per guidare i delicati meccanismi del risveglio della coscienza occorrono progetti mirati e multi-disciplinari da parte delle Istituzioni, offrendo un sistema penale e carcerario più aderente al contenuto ‘rieducativo e risocializzante’ previsto dalla Costituzione.
    È un investimento guardare al passato riprogettando il futuro con identità di ruolo e dignitose funzioni sociali.
    ….. si vedrebbero aumentare altri esempi, oltre a quelli noti, di ex detenuti, che, ‘riparati e ri-generati’ stanno già realizzando una nuova esperienza.
    Pertanto, la ‘nave di Teseo’ può salpare e guardare avanti!

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