Rispetto e cura

Non sono una bambola, non sono qui per soddisfare esclusivamente le tue voglie, io non sono tua, non voglio essere il tuo sfogo, ma neanche la tua roccia o la tua ancora di salvezza. Io voglio che ci salviamo insieme. Non voglio essere la tua stampella emotiva, camminiamo insieme, uno accanto all’altra con le nostre fragilità e difficoltà.

Non sono perfetta, non cucino bene, non sono sempre allegra, ho i miei difetti, ma voglio che tu mi accetti per quel che sono. Perché questa sono io e io non sono sbagliata.

Aiutami a rispettarmi e io ti aiuterò a rispettare te stesso. Salviamoci insieme, io ti tenderò la mia mano, ma non dovrò essere io a trascinarti a galla, anche tu dovrai nuotare con me perché abbiamo bisogno di avere rispetto e cura l’uno dell’altra.

Asia Olivo

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Prendimi le mani

Ripenso alle urla e al bisogno di avere accanto a te un uomo che ti desse quella serenità promessa e mai mantenuta. I tuoi occhi scrivevano e disegnavano tutto ma ero cieco, forse accecato dalla mediocrità che mi invadeva i sentimenti e polverizzava la mia umanità.

Oggi, la consapevolezza di ciò mi procura un dolore forse paragonabile al tuo, sommerso dalla solitudine. Ma proprio questo dolore, sentito nel mio intimo, mi permette di riconsegnarmi a te, desertificato dal male e nutrito di te che negli anni hai saputo mantenere la rotta e indirizzarmi, uomo a te.

I dolori non si possono estinguere, ma possiamo, oggi, insieme modellarli con la complicità dei nostri occhi.

Non solo sguardi, niente più silenzi…
Prendimi le mani e guidami

Roberto Cannavò

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Il buio

Vorrei che quella ragazzina di 16 anni che, in centro città, si avvicinava al suo motorino per tornare a casa non avesse dovuto aver paura. Un motorino che non partiva e tu, che nel buio sei apparso cercando di fare il male che avevi in mente. Vorrei che quella ragazzina non avesse dovuto correre via, con tutta la forza, mentre tu la inseguivi. E vorrei tanto che la responsabilità, oggi, si impadronisse della tua coscienza, proprio come volevi fare con una ragazzina molto più piccola di te.

E vorrei che tutti i Teseo accompagnassero le ragazze nel buio, anziché essere il buio stesso.

Alessia Adorni

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Non è solo un complimento

Quando si parla di violenza di genere, ci vengono in mente gli episodi più barbari e violenti riportati dai programmi televisivi o che leggiamo sui giornali. Ci saltano alla mente gli episodi, ahimè numerosissimi, che quotidianamente avvengono nel nostro paese: tentati omicidi ai danni della compagna o moglie; una ragazza che viene picchiata in centro città dal suo ragazzo; l’ennesima madre uccisa dal padre dei suoi stessi figli, i quali d’ora in poi saranno condannati a vivere in una realtà in cui la mamma tanto amata non può più essere presente affettivamente, psicologicamente e fisicamente, e il padre traditore men che meno, perché condannato al carcere o perché ha compiuto un omicidio-suicidio; uomini che piuttosto che accettare una separazione decidono di uccidere i figli che hanno messo al mondo per far sentire in colpa a vita la donna che rimane sola e distruggerla psicologicamente.

In Italia, un nuovo nome si aggiunge alla già lunga lista di vittime di femminicidio ogni tre giorni. Solo tre giorni. E ovviamente tutti rimaniamo indignati di fronte a queste notizie, ma troppo spesso non si va oltre l’indignazione e dopo pochi giorni ci si dimentica dell’ennesima povera disgraziata che ha incontrato la morte per mano di chi le prometteva amore.

Non si va oltre l’indignazione. Non si va oltre il feticismo del dolore altrui. Non ci si chiede come sia potuto succedere, che cosa abbia portato a quell’ennesimo, straziante e in troppi casi ultimo, episodio di violenza. Non ci si chiede il perché dell’evento o, se la causa scatenante viene ricercata, lo si fa quasi per tutelare se stessi, per proteggersi dietro il pensiero che questi uomini devono per forza essere pazzi per aver compiuto un’azione del genere, devono per forza avere una qualche forma di disturbo.

Ma non ci si chiede veramente il perché. E se invece scoprissimo che i prodromi dei fatti di cronaca che tutti conosciamo sono nelle azioni quotidiane, banali, che ogni giorno ogni donna subisce, talvolta senza nemmeno rendersene conto lei stessa?

Non sono violenza di genere tutti gli stereotipi che fanno parte della nostra cultura, del nostro linguaggio e dei nostri valori? Non è forse violenza di genere quando, per descrivere un essere umano che ha numerosi rapporti sessuali con persone diverse, si usano termini come “farfallone”, “uomo di mondo” se il protagonista è un uomo, mentre per una donna non si esita a definirla “puttana”?

E con quale termine si può categorizzare il comportamento di un ragazzo che decide di vendicarsi per la fine del rapporto con l’ex ragazza condividendo con gli amici sue foto intime?

Perché molti uomini – e anche donne – ridono quando si fa la solita battuta risentita fino allo sfinimento riguardo al fatto che “si sa, le donne non sanno mica guidare, figuriamoci fare i parcheggi a S”?

Per quale motivo a una donna di 50 anni, realizzata e felice ma senza figli, viene spontaneo dire con amarezza: “che peccato.. mi dispiace che tu non sia riuscita ad averli” senza nemmeno essere sfiorati dall’idea che può essere una scelta legittima quella di vivere senza mettere al mondo creature, e senza per questo essere “donne fredde e ciniche”?

Quante volte capita di leggere sulle testate giornalistiche dei titoli tipici di una narrazione violenta, in cui si riporta che il pover’uomo distrutto e abbandonato dall’ex compagna ha tentato di suicidarsi e di portare con sé anche i figli perché troppo innamorato? O del famoso manager di successo che non è riuscito a resistere ai suoi istinti perché la collaboratrice domestica aveva la divisa troppo scollata?

Al giorno d’oggi è normale che una ragazza di 20 anni, che fa la cameriera per avere una primissima indipendenza economica, si senta dire che non è buona a nulla, non fatica abbastanza, non è capace di fare il suo lavoro ma che, nonostante questo, non viene licenziata perché bella e, si sa, in un bar le ragazze carine attirano clienti, e il cliente ha sempre ragione, anche quando fa commenti e richieste inopportune. È normale che tutti ridano quando il proprietario, con spirito goliardico, fa battute alludendo al fatto che la giornata di lavoro della cameriera in questione non finirà di certo all’ora di chiusura del locale, perché la ragazza deve soddisfare in tutto e per tutto il suo capo.

E perché te la prendi se per strada gli uomini, mentre stai camminando tranquilla, ti urlano frasi sessiste al suon di clacson come “ciao bella”, “mamma cosa ti farei” o fischiano per chiamarti come se fossi un cane! E dai, è un complimento, vuol dire che piaci! Come siete suscettibili voi donne!

Pochi pomeriggi fa, aiutavo Samuele, il bambino di cui mi prendo cura, a fare i compiti per il giorno dopo. Esercizio di inglese, present continuous, inserisci i verbi coniugati nelle frasi corrette: la mamma stira e lava i piatti, mentre il papà è tornato dal lavoro e guarda la tv. Samuele mi guarda e mi chiede perché la mamma sta a casa ad occuparsi delle faccende domestiche mentre il papà è al lavoro. Samuele, quella piccola peste intelligente che dopo due minuti stava già correndo verso la playstation, mi ha dato uno scossone. I bambini possono stupirsi di quello che per noi adulti è diventato tanto normale da non accorgerci della sua assurdità. Purtroppo non sono solo frasi banali. Sono messaggi subdoli, che destano poco allarme e che, ripetuti quotidianamente, generano assuefazione al male che vi si cela dietro. 

Per fortuna, non ho avuto esperienze di violenza e maltrattamenti gravi nella mia vita. Per fortuna. Ma la stessa sorte non è capitata a tutte le ragazze e le donne che, per svariati motivi, si innamorano di un uomo che spezza loro le ali al posto di valorizzarle.

Quindi questo chiedo a tutti gli uomini che fanno parte del mio gruppo e non solo: che insegnino prima di tutto a se stessi qualora non lo avessero già fatto, e poi ai loro figli, amici, conoscenti e qualunque persona intorno a loro, che la violenza è così radicata nel nostro modo di pensare perché nasce dalle azioni più semplici come il linguaggio comune e gli stereotipi quotidiani. 

Chiedo a tutti gli uomini di smarcarsi e scollarsi dall’idea che una suonata di clacson non abbia mai fatto del male a nessuno, anzi, al massimo ha rinvigorito la tua autostima di donna… “perché sei desiderata”! 

Vi chiedo di indignarvi di fronte a tutti i gesti e parole apparentemente banali, e non solo di fronte alle notizie di cronaca che annunciano l’ennesimo nome, dell’ennesima donna, vittima dell’ennesimo femminicidio, perché è facile indignarsi di fronte a eventi di questo calibro. 

Vi chiedo di indignarvi di fronte ad un complimento che tale non è, perché poi la donna “tanto desiderata” si sentirà impotente e per giunta stupida perché “in fondo è un complimento, dovresti essere contenta di piacere agli uomini”.

Riusciremo a modificare la nostra cultura di genere e a combattere tutte le forme violenze più gravi solo quando tutti cominceranno ad indignarsi di fronte a frasi apparentemente banali, e urleranno a squarciagola che no, in fondo non è solo un complimento. 

Elisabetta Vanzini

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Una mattinata come tante

Questa mattina mi sono svegliata, una mattinata come tante altre. Sono uscita in balcone, in mutande, a fumarmi una sigaretta. E di questo, i vicini non possono lamentarsi, neanche i più piccini. Del resto è solo un bel vedere!

Mi sono poi vestita e preparata per andare al lavoro e, nel tragitto in macchina, ho visto un manzo da paura che camminava sul ciglio della strada. Era in divisa. Mi sono sentita legittimata a fischiargli… un po’ come faccio con la mia cagnolina!

Arrivata in ufficio sono passata a dare un saluto al collega della stanza a fianco. Un bell’uomo ma certo un po’ tontolone! Aperta la porta lo trovo voltato di schiena, intento a cercare tra dei documenti. Mi avvicino e… SPEM! Un bello schiaffo sulla natica destra. Oh si! Che soddisfazione. Lui mi guarda un po’ destabilizzato e al che io rispondo  ‘ma si, che vuoi che sia?!’.

Tra un fischio qua e una pacca sul sedere là si è conclusa la mia mattinata. Una mattinata come tante altre.

Andrea Sinigaglia

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Cambiare il mondo

Luigi Negrini

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Te chiedo scusa a Ma’

A Ma’ stasera nun torno
va a letto nun m’aspetta’
faccio ‘n sarto all’artro monno…
Te chiedo scusa a Ma’
c’era n’amico ‘n difficoltà
nun me la sentivo de scappa’…
Erano tutti grossi e muscolosi
c’avevo na paura
se vedeva che erano pericolosi…
M’hanno ammazzato come n’animale
ma che ho fatto de male ?!?!?
A Ma’ hai visto come so piccolo
però so dovuti veni ‘n tanti
co sto sorriso li sdrajavo tutti quanti …
Mortacci loro come menavano
io ar massimo je sorridevo…
Te chiedo scusa Ma’
ma quarcuno li doveva affronta’ …
Quarcuno je doveva fa capì che sbajaveno
c’avevano troppo veleno…
Quello che nun capisco de sta gente
invece de divertisse e ride
vanno in giro a cerca’ e sfide…
Se sentono forti e onnipotenti
ma a strigne so na massa de deficienti…
A Ma’ io volevo solo mette pace
de litiga’ nun me piace…
Aho’ mo non voglio passa’ da eroe
l’ho affrontati
ma c’avevo na paura de sti tatuati…
Poi a Ma’ non ho più sorriso
Ma che se fa così
senza neppure n’avviso
Me so spento
lento lento…
Ancora adesso me sto a chiede er perché
de tutta sta cattiveria e rabbia verso de me…
Ora te saluto a Ma’
Che c’ho da fa’…
Sto a sali e scale
Me devi promette che nun starai male…
Ammazza quante so che fatica
ricorda che la vita nun è finita…
Ogni vorta che te manco pensa a sto sorriso
Che er fjo tuo te sta vicino dar paradiso

Er Poeta Romantico Fastidioso

In ricordo di Willy Monteiro Duarte

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Quelle persone grandi

Durante la mia adolescenza credevo fermamente che il potere appartenesse solo alle persone grandi, quelle stesse persone che molto presto mi avrebbero incoraggiato a praticare le scelte di vita che ho seguito. Mi sono accorto tardivamente che quelle persone usavano noi adolescenti come meglio credevano senza alcun rimorso o senso di colpa.

Negli anni successivi non è stato difficile per me assumere gli stessi atteggiamenti e superare ogni limite possibile. Oggi sono qua a ripercorrere quell’assurdo passato dove, senza nemmeno rendermene conto, anch’io ho portato sofferenza a tante persone.

Ma per capirlo c’è voluto un lungo periodo di presa di coscienza e questo è stato possibile attraverso il confronto che quando non c’era il virus abbiamo portato avanti insieme con gli studenti e con le persone che si sedevano con noi detenuti allo stesso tavolo del gruppo.

Giorgio Ciavarella

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Un modo d’essere

Io non sapevo di portarmi appresso questo modo di essere e di fare le cose che al gruppo chiamiamo “arroganza”. Quando ero giovane io ero semplicemente me e questo me di allora era forte, aggressivo, non sopportava i forti, si faceva rispettare. Non riconoscevo l’arroganza per quello che è. A me pareva di essere di più e sopra tutti gli altri; e mi andava benissimo così.

A volte, anzi diciamo piuttosto spesso, la maniera con cui mi facevo rispettare era decisamente discutibile. Dico ora così, ma allora mi sembrava normale; non so da dove venisse questa cosa: forse saranno stati gli amici, forse l’ambiente dove sono cresciuto, forse il mio carattere… sta di fatto che quell’arroganza che non sapevo di avere mi ha portato sempre più in là e, partito dalle ragazzate, sono passato a comportamenti al limite e poi a varcare quel limite.

Poi è trascorso un gran tratto di vita, sono successe molte cose… e sono qui. Sono ancora arrogante? Difficile rispondere: a volte sento ancora le pulsioni di allora, ma adesso le riconosco e non mi imbrogliano più. Adesso le controllo, le osservo, le respingo. Ogni tanto scappa e mi ritrovo a dire ciò che non vorrei o quasi a fare ciò che non si fa… ma quai, appunto.

Non è morta la mia arroganza, ma non è più libera, non perché siamo tutte e due in prigione, ma perché la conosco un po’ di più.

E per questo devo proprio ringraziare il gruppo della trasgressione e il Dottor Aparo, perché, senza fare tante storie, senza girarci intorno, mi hanno consentito di capire che cosa è questa arroganza che mi porto ancora dentro anche se attenuata e mi hanno spinto a dare voce alla mia coscienza buona che era stata come soffocata. Non so se ce l’avrei fatta senza; forse no.

Grazie, Vincenzo Solli

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La centralità dell’arroganza

Sono Domenico Mazzitelli, detenuto da circa 28 anni con fine pena mai.

Per l’organizzazione criminale a cui appartenevo, l’arroganza era centrale e veniva utilizzata come atto di superiorità verso il prossimo allo scopo di ottenere sempre più ricchezza economica e aumentare il predominio sul territorio nazionale. Ogni metodo era buono: estorsioni, ricatti, omicidi e qualsiasi altro abuso possibile, praticato con il totale disprezzo. All’interno del sodalizio, regnava l’atmosfera di supremazia e non c’era posto per la coscienza.

Io ho sempre ricoperto un ruolo di semplice gregario ma, grazie ai tanti soggetti come me, le associazioni criminali potevano aumentare il loro potere.

Oggi ho maggiore consapevolezza degli errori commessi in passato e credo di averla raggiunta grazie ai corsi che frequento e agli studi che ho fatto in questi lunghi anni di carcere, fino a ottenere la maturità e ad essere oggi uno studente universitario.

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