Milano e la Scala, le vittime e la mala

E’ possibile che uno psicoterapeuta ed un pubblico ministero ricerchino insieme, sia pure da traiettorie professionali e sguardi diversi, l’uomo dentro il criminale.

E’ possibile che giovani, alla ricerca di sé stessi pur senza commettere reati, entrino in carcere e ne escano migliori.

E’ possibile che Familiari delle vittime della criminalità organizzata decidano di provare a scongelare il loro dolore nell’incontro con l’altro, pur se origine dello strappo che ha lacerato le loro esistenze.

E’ possibile che persone detenute ad Opera decidano di chiedere un permesso e, invece di andare a trovare la loro famiglia, sentano il bisogno di cimentarsi nella più faticosa attività riparativa.

E’ possibile che, nel mentre viene scattata la foto che rende plasticamente evidente tutto questo, passi un altro bel pezzo di società con uno striscione arancione… e occorra rimettersi in cammino, con rinnovato impegno e passione civile.

Milano, 21 marzo 2023 – il nostro impegno in memoria delle vittime innocenti delle mafie, per ricucire gli strappi. E’ possibile.

 

Due fratelli

Penso alla domanda posta da Aparo giovedì scorso al reparto La Chiamata: Quando qualcuno si interessa del detenuto, sta tradendo i famigliari della vittima? La cura nei confronti di chi ha abusato sminuisce o tradisce la cura verso vittima o i suoi famigliari?

Personalmente, ad oggi rispondo: assolutamente NO!

Mi rendo conto che è frutto di un cammino di conoscenza di me e di vita giocata grazie alle provocazioni, sfide, contrasti, reazioni -espresse bene o male, non importa- di tanti ragazzi che mi hanno indotto (e mi inducono tutt’ora) a scavare dentro me stessa per trovare risposte che non siano ‘frasi fatte’, frasi scontate, ma la verità di me.

Mi fa riflettere sulla mia vita: Non ho passato una bella infanzia e adolescenza tranne che a scuola o con gli amici fuori casa. Sono nata rifiutata e non potevo capire -come tutti i bambini- i problemi degli adulti (i miei genitori). Incassavo e cercavo di proteggere la mia sorella gemella e un’altra sorella, ero molto molto timida e certamente insicura. Nella pre-adolescenza e adolescenza mi sentivo e credevo ‘un nulla’. Ci facevamo forza -come non so- io e la mia sorella gemella.

A 21 anni ho iniziato il cammino per diventare suora, Qualcuno inaspettatamente mi ha scelta: un nulla graziato.

A 34 (2001) anni ho perso mia sorella gemella, sposata da 5 anni, con tre figli piccolissimi (un mese e mezzo; due anni e mezzo e tre anni e mezzo) per un Tir pirata che le ha stretto la strada a senso unico e l’ha trascinata.

Ha salvato i tre figlioletti che erano in macchina e ha lottato tra la morte e la vita senza farcela. I becchini quando sono venuti ad aprire la camera mortuaria, trovandomi dentro da sola con lei, mi hanno detto: ma quell’autista del Tir riuscirà a dormire sapendo della morte prematura di una mamma che ha lasciato tre figli e il marito?

E io risposi loro spontaneamente: quell’uomo chissà quali problemi aveva per non essere lucido nella guida, avrà la sua responsabilità ma ne rimarrà segnato per tutta la vita, purtroppo. Invece il questore che, oltre ai 17 giorni di indagini, ha voluto attendere troppi giorni dopo la morte con la scusa di cercare ‘il colpevole’ che non ha mai cercato… lo sarà forse meno (la corruzione, abbiamo saputo poi, aveva avuto il sopravvento).

Ne ho viste e sentite tante sulla mia pelle e ho imparato tanto a forza di sbattere ‘la testa contro il muro’ e -come già accennavo- ho imparato a farmi domande e a cercare il confronto anche attraverso un percorso di conoscenza intrapreso a 24 anni. Questo mi ha aiutato a mettere in campo risorse che non sapevo di avere e ad acquisire qualche strumento per rileggermi … un percorso bellissimo! Mi ha dato le basi per la scelta di vita sempre in movimento e per continuare a camminare dentro gli eventi e le situazioni in divenire e non prive di tempeste.

Dal 2010 frequento il carcere e da suora sono stata a tempo pieno in periferie di Pavia, Roma e Milano, e questa palestra di umanità ha trasformato il mio sguardo, che ha iniziato a vedere prima di tutto e sopra tutto la persona, l’uomo che mi sta davanti sia nell’autore del reato, sia in chi lo subisce; anche perché queste due dimensioni sono presenti anche dentro di me: grano e zizzania.

Ho imparato a ri-conoscere i mostri e le miserie che sono in me assieme ai doni e a ri-conoscere quanto sia difficile metterli in dialogo perché dentro di me non facciano a pugni, ma possa prevalere la risorsa sul danno.

Per me è importante chiedermi quanto e come io sono capace -per es.- di riparare e ricucire una relazione fallita o rifiutata da me, come posso tenere ‘in equilibrio’ dei macigni ereditati o causati dalla mia storia personale assieme alle risorse e ai cambiamenti maturati in bene? Rimangono la lotta e l’impegno per farli interagire perché diventino ‘amici’. Impossibile? NO, frutto di un cammino che non finisce mai!

Se ogni persona è prima di tutto persona, conta la cura della vittima o dei familiari della vittima di reato tanto quanto la cura di chi lo ha commesso perché solo così si toglie potere al male che in ciascuno di noi abita assieme al bene.

Se non sono nessuno per ‘togliere’ la vita o anche solo la dignità ad una persona, sono forse qualcuno per toglierla a me stesso?

Più rivedo e riconosco le tempeste passate e presenti dentro di me assieme alla cura immeritata, gratuita, ricevuta e più credo che sia possibile, anzi necessaria, una cura per ogni persona sempre e comunque!

Inoltre penso ai due fratelli della parabola del Padre Misericordioso e proprio lì trovo la bellezza della giustizia riparativa che i due fratelli dovrebbero mettere in atto tra loro, uno apparentemente bravo e l’altro dissoluto, ma entrambi persi.

È il Padre che mette in atto e inizia la riparazione, aspettando a braccia aperte il figlio scappato di casa e facendo festa con lui, ma anche uscendo a supplicare l’altro che, sentendosi a posto, non vuole partecipare alla festa del fratello che non considera più tale e che definisce ‘tuo figlio’ rivolgendosi al Padre.

Questo mi dice che le nostre forze umane, se isolate, faticano tanto, ma Qualcuno non si stanca mai di raggiungerci perché guarda al cuore di ciascuno di noi -persi e ritrovati anche quando non lo riconosciamo- e non vuole che nessuno si perda. Da Padre, ci vuole figli e fratelli sempre!

Suor Anna Donelli

Reparto LA CHIAMATA – Incontri con i familiari delle vittime

L’inverno dentro

Un uomo che partecipa alla storia dei suoi figli con una passione che è tanto rispettosa, quanto autentica e profonda, è un Padre che rende liberi e vuole far partecipare tutti della festa” [Carlo Maria Martini, Ritorno al Padre di tutti – lettera pastorale 1998/99]

L’esercizio di lettura di uno tra i più noti quadri di Rembrandt è stata una delle mie prime affascinanti esperienze  durante la ventennale frequentazione del Gruppo della Trasgressione.

Ma, ai tempi, avevo di esso una sola visione “bidimensionale”: in quel dipinto mi ci vedevo dentro solo come figlio, non essendo ancora nato come padre.

Questa mattina invece – mentre ero seduto accanto a mio figlio – ho ascoltato una straordinaria rilettura domenicale della parabola del figliol prodigo, tale da motivarmi a uno sguardo “tridimensionale” sulle dinamiche tra i diversi interpreti della relazione. Complice di tale rilettura quanto avvenuto giovedì scorso a San Vittore quando il dott. Angelo Aparo ha iniziato i lavori al Reparto La Chiamata rendendo pubblici i miei commenti a caldo via WhatsApp relativamente ad una sua  “relazione” su un componente del Gruppo:

Una “relazione scritta”, in qualità di psicoterapeuta e coordinatore del Gruppo della Trasgressione, sicuramente importante (in una prima prospettiva soggettiva che però qui non è interesse né intenzione mia approfondire, essendoci peraltro un processo per omicidio in corso) non fosse altro perché diretta – nelle intenzioni di chi gliela aveva richiesta – ad un Giudice della Repubblica italiana.

Una relazione scritta  importante (anche in una prospettiva collettiva, sulla quale vorrei invece ancora soffermarmi) in quanto avente lo guardo diretto ad una persona che ha ucciso un’altra persona. Uno sguardo che io avvertivo essere non tanto quello dello psicoterapeuta quanto quello di un padre innamorato di uno dei (tanti) figli per i quali la vita gli ha richiesto di occuparsi.

E, nonostante tale innamoramento o forse proprio in virtù di tale innamoramento, una relazione scritta piena non solo di affermazioni certe ma anche di domande di senso, ugualmente importanti. Alle quali, dopo averci meditato per una buona ora, mi permettevo di aggiungere anche una mia.

Nel ricordare a tutti i presenti questo nostro scambio – tanto rapido quanto intenso – avvenuto il giorno prima, il nostro coach Juri chiudeva il suo intervento, al solito volutamente graffiante, con parole che più o meno suonavano così: “se io mi dedico a lui, questo equivale a trascurare la vittima?  Se cerco tra le sue dinamiche, le sue pene e i suoi conflitti, questo significa mettere in secondo piano la pena per la vittima? Il dolore, i sentimenti dei familiari della vittima? ”.

Che è poi – a ben vedere – il dilemma esistenziale in relazione al quale la parabola del figliol prodigo ci invita a riflettere come padri, prima che come cristiani. Da una parte il figlio più giovane che ha arrecato il danno e chiede di essere ritenuto nuovamente degno di ritornare a casa. Dall’altra il figlio meno giovane, che ha subito anche lui l’offesa dell’abbandono e che ancora ne risente gli echi lontani, mai del tutto riparati.

Ecco, pensando in Chiesa stamattina per un lunghissimo secondo a tutte queste cose, immaginavo come sarebbe stato bello avere ancora qui a Milano Carlo Maria Martini. Per chiedere, come ultima pecorella del suo gregge, alcuni minuti della sua infinita saggezza nel sottoporgli, in Arcivescovado, un quesito oggi sempre di più stretta attualità: è possibile – come io ritengo – “tenere insieme” il sostegno al carcere duro ex art. 41-bis e contemporaneamente praticare la speranza dei percorsi di giustizia riparativa nell’incontro tra reo-un-tempo-mafioso e vittima? Oppure l’una idea è ontologicamente incompatibile con l’altro agire?

Chissà se, anche semplicemente rileggendo alcune sue parole, ci arriverà mai una risposta sul punto o quantomeno un segno da lui inviato, prima che questa primavera abbia inizio …

Reparto LA CHIAMATA – Incontri con i familiari delle vittime

No, non c’è tradimento!

San Vittore 16/02/2023

Ascolto con attenzione i contributi dell’eterogeneo gruppo che si riunisce tutti i giovedì al nascente reparto LA CHIAMATA e constato che tutte le idee vengono scambiate, confrontate, criticate, tanto che io dubito spesso anche delle mie.

Tuttavia, quando il prof. Aparo ha aperto l’incontro di giovedì scorso a San Vittore, chiedendo ai presenti se chi s’interessa del benessere della persona condannata stia tradendo i famigliari della vittima o se occuparsi della sofferenza di chi ha commesso un omicidio equivalga a ignorare la disperazione della figlia e della moglie della vittima, ho sentito dentro di me una risposta certa: “No, non c’è alcun tradimento!

Anche se l’argomento è complesso e doloroso, non posso rinunciare a tentare di capire la relazione lega l’uomo al criminale, non posso credere che sto trascurando la vittima quando cerco di scoprire dov’è andata l’umanità di chi è stato carnefice.

Mi avvicino alla persona detenuta, sentendo la necessità di rintracciare quali siano i fattori che hanno contribuito a farlo scivolare verso l’assenza da se stesso. E mi preoccupa che siamo in pochi a volerlo fare, a voler capire cosa succede all’uomo. Sento nei racconti dei detenuti la mancanza di qualcosa di cui, invece, mi sembra che noi tutti abbiamo bisogno. E al gruppo si cerca di continuo cos’è: qualcosa che prima c’era? Che non c’è mai stato?

Pur considerando che la figura dei genitori ha un ruolo centrale nella costruzione della personalità dell’adolescente, mi chiedo come abbiano fatto molti giovani a sopravvivere a infanzie infelici con genitori disattenti o assenti e a contesti degradanti, senza per questo autorizzare se stessi all’abuso, senza ricorrere a “soluzioni” devianti.

Comprendere perché alcune persone soccombono e altre sopravvivono in ambienti in cui si vivono le stesse difficoltà, rappresenta un terreno di studio molto interessante per noi componenti del Gruppo della Trasgressione. La direzione che il degrado ambientale e le difficoltà familiari imprimono ai sentimenti e alle scelte dell’individuo non è automatica! Diversamente, come si spiegherebbe che nello stesso nucleo famigliare un figlio prende la strada della devianza e l’atro no?

Mi sembra quindi importante cercare di approfondire cosa sente il giovane deviante, osservare il modo in cui egli reagisce alla frustrazione, quale lettura egli dà degli eventi e delle relazioni che vive, quale impasto si produce nella sua affettività, tale da portarlo al reato.

Quanto più ragiono su questi aspetti, tanto più mi rendo conto degli effetti terapeutici del Gruppo della Trasgressione sulle persone che lo frequentano e del metodo con cui viene perseguito l’obiettivo del reinserimento sociale della persona detenuta. Per questo mi sembra indispensabile sgrovigliare i nodi che compongono i bisogni psicologici dell’autore di reato e ottenere informazioni utili a impostare progetti e operazioni d’intervento.

L’avvicinamento a chi ha operato l’offesa e la sua responsabilizzazione in progetti collettivi sono certamente gli strumenti migliori per contrastare il ripetersi dell’abuso: “Capire cosa induce alla condotta antisociale non è un tradimento nei confronti della vittima, è piuttosto una ricerca di quell’umanità che era stata progressivamente defenestrata lungo il complesso percorso che ha portato all’episodio criminoso” (Aparo, San Vittore, 16/02/2023).

Lara Giovanelli

Reparto LA CHIAMATAIncontri con i familiari delle vittime

In Italia, salvo qualche bella eccezione

“Perchè in Italia, salvo qualche bella eccezione, la prigione serve solo a punire il colpevole”

 

Parole importanti pronunciate all’indirizzo di 10 milioni 545 mila persone, più o meno attente in attesa del loro cantante preferito.

Parole da non dimenticare, praticandole ogni giorno: quale “bella eccezione“, direi che a questo punto il Gruppo della Trasgressione – dopo il Senato della Repubblica italiana – è pronto per andare il prossimo anno anche al Festival di Sanremo.

Sipario.

[credits: Raiplay, 73° Festival della canzone italiana, 8.2.2023. Monologo di Francesca Fagnani]

 

Ho bisogno di un compenso, se no mi distruggo

“Cosa mi importa che non esistano colpevoli, che ogni cosa derivi semplicemente e direttamente da un’altra, e che io lo sappia! Ho bisogno di un compenso, se no mi distruggo. E un compenso non nell’infinito, chissà dove e chissà quando, ma qui, sulla terra e voglio vederlo coi miei occhi!”

Esito imprevisto ma alquanto gradito dei nostri cinque incontri al carcere di Opera su Delitto e Castigo, la intensa frequentazione con il Prof. Fausto Malcovati ha creato un’altra sinergia.

Suo l’invito per assistere ad una riduzione teatrale de “I fratelli Karamazov” a sua firma e al successivo dibattito:

-- Credits --

LE FORZE CHE MUOVONO LA STORIA. I CERCATORI. Nietzsche, Dostoevskij, Peguy - Letture Teatrali e dialoghi per la città contemporanea.

Fedor Dostoevskij: "...Il campo di battaglia è il cuore dell'uomo" (16.1.2012 - Centro culturale di Milano)

Massimo Popolizio legge "I fratelli Karamazov" (parte seconda, libro quinto)

Pietre vive [on the good foot]

Goodfoot picks you up out of a mess
Relieves the pressure in your chest
A new sensation that you will feel
And you can’t believe it’s real

La buona strada ti tira fuori da un pasticcio
Allevia la pressione nel tuo petto
Una sensazione nuova che proverai
E non puoi crederci: è reale!

[Goodfoot, The Analogues]

Tenerife, 23 febbraio 2017

Quando ripenso alla storia del mio incontro con Marisa Fiorani mi ritornano sempre in mente tre cerchi di sedie, uno per ogni tappa di un cammino faticoso per lei quanto utile per me e per chi, insieme a me, ha avuto la fortuna di condividerlo. Cerchi in un certo senso concentrici, anche se ancorati a tre luoghi e a tre date diverse.

[continua qui: pietre vive]

Incontri con i familiari delle vittime della criminalità

Sarei certo di cambiare la mia vita

Mercoledì mattina io non c’ero, dottore Nobili, nell’aula Dostojeskij.

Non ho fatto nulla, non ho visto nulla, non ho sentito. Nulla.

Si, grazie, mio figlio sta meglio oggi, solo ancora un poco di febbre.

Senta, allora gliela voglio dire la verità.

E’ che sono arrivato in ritardo mercoledì, le luci si erano già riaccese dopo il primo interrogatorio di Raskol’nikov a casa di Porfirij. E quando ho visto il dottore Aparo seduto, in silenzio, in mezzo a due Marescialli dei Carabinieri e con accanto un Avvocato mi sono tranquillizzato e ho capito che potevo anche approfittare delle circostanze favorevoli per dare una ritinteggiata alla stanza accanto. Così, giusto per continuare a fare qualcosa di utile anche io.

Sì, dottore Nobili, certo che l’ho vista poi andare via, prima degli altri, verso le 12.20: c’erano altre persone che la aspettavano ma non erano certo affari miei. Però mi sembrava strano tutto quel silenzio, tutto di un tratto dopo un sovrapporsi di voci sempre più accese, come se fosse successo qualcosa. Di inaspettato. O qualcosa che tutti, prima o poi, si sarebbero aspettati. Nervi scoperti, oppure pregiudizi che covavano sotto la cenere da tanto, troppo tempo.

Mi sono seduto, stanco. E anche io ho continuato a fare finta di nulla, sperando che non fosse successo nulla.

Ma nel pomeriggio è arrivato un messaggio WhatsApp di una Professoressa di un’altra Università:

Si, la verità gliela sto dicendo fino in fondo, dottore Nobili…. perché vede che nella mia risposta c’è l’ammissione che anche io ben sapevo quello che era successo! E, arrivato a casa, sono stato pure contattato dalla Direzione della Libera Università della Responsabilità presso il carcere di Opera riunita a Consiglio su Zoom: fino a quando i miei figli hanno fatto irruzione nella camera da letto perché rivolevano il loro papà e la cena era pronta da tempo.

Ho recuperato la lavagna con le tre parole di Angelica, per ora non me la sento ancora di farle sparire nonostante il dottore Cajani avesse anche portato un cancellino, oltre che i gessetti colorati.

Ho visto i due Carabinieri, così simili nella fedeltà all’Arma come differenti nelle sfumature della voce e del carattere, allontanarsi sulla macchina dell’Avvocato e parlare fitto insieme ad una studentessa.

Ho pensato che anche io ho avuto un padre e una madre, molti bravi maestri fin dalla prima elementare e tanta fortuna.

Ho visto le persone detenute ritornare nelle loro celle, qualcuno ancora con la convinzione di essere anche lui una vittima, o – nella peggiore delle ipotesi – di essere lui la vittima schiacciata tra le pieghe di quella sentenza di condanna.

Ho intravisto Silvia, Martina e gli studenti allontanarsi in due gruppi, a seconda degli stati d’animo contrapposti. E, tra loro, ho notato Angelica e Giacomo che portavano a braccetto il dottore Cajani, come se lo avessero finalmente arrestato. Ma per fortuna non picchiato, perché sembrava che lui fosse davvero sollevato dalla circostanza anche perché in quel modo stavano uscendo, e non entrando, da un carcere di massima sicurezza.

Ho perso di vista Marisa e Paolo, ma sono certo che anche loro stavano pensando a qualcosa perché sono loro i primi ad avere interesse che il ciclo dell’abuso possa finalmente rompersi anche prima dell’ingresso in carcere. E che venga finalmente brevettato, oltre al distributore automatico di conflitti, anche un distributore automatico di umanità.

E mentre cercavo di capire cosa il dottore Aparo avesse pensato in quelle tre ore in cui non ha aperto bocca, ho intravisto spuntare dall’aula di geometria questo appunto sulla teoria degli insiemi:

E in quel momento mi sono ricordato che anche la musica, e non solo la fortuna, mi ha aiutato nel tentare di essere migliore e nel non diventare anche io un carnefice. Come quella strofa che dice “sarei certo di cambiare la mia vita, se potessi cominciare a dire noi”.

Ft. Il bidello

Delitto e Castigo

“Non devi trattenere il dolore per trattenere la memoria”

“You don’t have to hold onto the pain to hold onto the memory”
[Janet Jackson, Memory]

 

Il cammino con Marcella e Marisa, passato nel 2016 attraverso l’incontro con il Gruppo della Trasgressione al carcere di Opera, ci porterà il 21 Novembre 2022 a Pavia (ore 18, Collegio Santa Caterina da Siena).

Ci vediamo là! [qui la locandina completa]

Materiali per Delitto e castigo

Abbiamo trovato 43 studenti/esse di giurisprudenza per dare forma – dentro le mura del carcere di Opera – ad una singolare ricerca sul delitto e le sue molteplici conseguenze, dialogando insieme a chi ne ha già commessi parecchi e chi ne ha subiti alcuni.

Dopo la nostra lettera di invito, sono giunte moltissime candidature anche grazie ad un articolo di Luigi Ferrarella pubblicato sul Corriere della Sera.

Siamo, allo stesso tempo, ugualmente soddisfatti per avere ricevuto il dono delle copie di Delitto e castigo necessarie al progetto e destinate alle persone detenute: merito della sensibilità di molti tra i quali gli amici di Caterpillar (RAI RADIO2).

 

Mercoledì 2 novembre abbiamo iniziato … ecco i materiali per seguire la nostra ricerca anche fuori dal carcere:

Il resoconto dell’incontro del Gruppo della Trasgressione con il Prof. Fausto Malcovati su Dostoevskij  (5.7.2005)

Le suggestioni visive tratte da una trasposizione televisiva RAI del romanzo di Dostoevskij in 5 puntate

Le versioni di Delitto e Castigo per i piccoli lettori [di Abraham B. Yehoshua e Osamu Tezuka]

INTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

PRIMO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

SECONDO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

TERZO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

QUARTO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

QUINTO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

E – per chi volesse comprendere qualcosa di più sulla complessità della nostra ricerca – ecco lo sguardo attento, discreto e rispettoso di Maria Chiara Grandis per il suo reportage televisivo  [tratto da Tg2 Storie, puntata del 27.11.2022]:

Delitto e Castigo (contribuiti dei partecipanti)