Percorsi intrecciati

Simona Ferraresi

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Empatia fra persone diverse

Filippo Greco

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Testimonianze e prevenzione

Maddalena Baù

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

I miei cento passi

Non ho memoria dei miei primi passi, ma ricordo la mano di mia madre che mi sosteneva; sapevo dentro di me che quella mano non mi avrebbe mai lasciato. Un giorno che non saprei descrivere smisi di camminare e incominciai a correre.

Sentivo una spinta interiore che mi spingeva a correre sempre più veloce. Sono passati gli anni e oggi ho solo un vago ricordo di cosa provavo quando smettevo di correre e riprendevo a camminare. Quei ricordi sono la mia vera vita vissuta. Camminando, assaporavo i dettagli del mondo che mi circondava, vedevo e sentivo le persone…

Ma erano solo pochissimi passi, poi l’urgenza di correre riprendeva senza che ne sapessi il perché. Sono cresciuto correndo all’impazzata senza comprendere il mondo che mi circondava, ma soprattutto senza capire perché correvo.

Poi in una pausa dalle mie corse sei arrivato tu, figlio mio. Assistere alla tua venuta al mondo è stato ed è ancora oggi il più grande evento della mia vita. Ma a quel tempo quella gioia è durata un battito di ciglia. Ripresi di nuovo a correre, ma questa volta le mie corse non erano più tanto frequenti e lunghe come le altre volte. Così ricordo bene il tuo respiro mentre ti stringevo forte, ti osservavo mentre dormivi, ti sussurravo di fare sogni belli che papà era lì con te. Ricordo i tuoi primi passi sostenuto da me e dalla mamma e quando andavi per casa con il girello.

Ed ecco che di nuovo quella maledetta spinta mi fa correre sempre più veloce. Stop! Mi hanno fermato, arrestato per l’ennesima volta. Ma questa volta c’eri tu e io ti ho abbandonato per correre. Ci sto male, sento di aver bisogno di aiuto per comprendere il mio male, ma l’orgoglio e l’arroganza, che insieme al rancore sono stati la mia quotidianità, non lo accettano.

Ma la stessa spinta inconsapevole che mi aveva fatto correre mi spinge adesso a cercare di capire, a chiedermi il perché. E così ho conosciuto il gruppo della trasgressione e il suo coordinatore. All’inizio non riuscivo a comprendere la mia nuova spinta, anzi cercavo con tutte le forze di respingerla. Ma per mia fortuna non ci sono riuscito e mese dopo mese diventava una mia nuova inconsapevole ossessione comprendere il perché delle mie corse.

Incominciai a non correre quasi più. Incominciai a camminare sostenuto dal gruppo e dal dott. Aparo e con loro cominciai a riconoscere che quella spinta che mi faceva correre aveva dei nomi ben precisi: dolore, rancore, arroganza, mancanza di punti di riferimento, cancellazione dell’altro. Ho compreso che le mie corse non erano altro che il risultato del mio disagio interiore e che il mio rancore mi portava dove voleva lui senza che io potessi impedirlo. Ero un burattino nelle mani dei miei stati d’animo.

Tu, figlio mio, sei stato, insieme alla mia voglia di vivere con te, quella fiammella che con l’aiuto di del gruppo mi ha permesso di fermarmi. Adesso il mio stato d’animo è sereno. Oggi cammino, vivo e mi incuriosisco della vita. Ora di fronte a me ci sono tante scelte e strade da percorrere… e non bastano cento passi. Nel mio futuro ci sono mille e poi ancora mille passi con te, figlio mio.

GENITORI E FIGLI

Riscoprirsi per i figli

Antonio Tango

Le interviste del Gruppo della TrasgressioneI cento passi
Gratitudine e rancoreTango spara al cimiteroLa luce di Caravaggio

Cambiare il mondo

Luigi Negrini

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Tango spara al cimitero

di Michele Focarete -LIBERO 17/11/2020

Di questi tempi punta la pistola alla fronte delle persone. Ma si tratta del termoscanner per misurare la febbre a chi deve entrare nel cimitero Monumentale. In altri tempi avrebbe puntato il “ferro” contro le forze dell’ordine e i gioiellieri per guadagnarsi la fuga o rapinare.  E sì perché Antonio Tango, 57 anni, 29 dei quali passati dietro le sbarre di 20 prigioni italiane, ora è un bandito in cerca di riscatto. Un balordo che, come dice lui, “voglio diventare un cittadino”.

Tango è detenuto nel carcere di Bollate, ma gode dell’articolo 21, che gli permette un lavoro all’esterno. Dalle 8.30 alle 19.30. Poi rientro in cella. Quando lo hanno beccato l’ultima volta, nel 2008, gli affibbiarono 7 rapine e lo condannarono a 18 anni. Vista la buona condotta dovrebbe uscire nel settembre 2022.  Adesso, intanto, lavora al Monumentale. Dove la gente chiede informazioni e ha l’obbligo di provare la febbre per accedere alle tombe. In passato aveva già dato una mano durante Expo.

Non ha tatuaggi, ma solo ferite da mostrare. “Mi hanno sparato quattro volte”, ricorda senza imbarazzo, “alla schiena, al braccio, alla pancia. Anche una coltellata durate una rissa in discoteca, con la lama che si era spezzata dentro al polmone destro”. Ferite che gli sono valse l’appellativo di Robocop. E ricorda quando i complici lo scaricarono mezzo morto davanti al San Carlo. “Devo sempre ringraziare quei medici che hanno compiuto il miracolo. Fu durante un conflitto a fuoco con un gioielliere, ma a colpirmi fu un proiettile di un mio compagno. La pallottola rimbalzò sul tettuccio dell’auto e mi entro nella schiena zigzagando. Attraversò l’intestino, la milza lo stomaco i polmoni e si impiantò nella punta del cuore. I dottori chiamarono subito mia madre per acconsentire all’intervento. Dodici ore sotto i ferri. Tre giorni in coma, 15 in rianimazione e poi immobile su una sedia. Ripresi a camminare dopo circa 4 mesi”.

Di rapine ne ha fatte tante. E le sue prime condanne furono per colpi messi a segno a Cattolica. Tre in un giorno solo, che in gergo viene chiamata la tripletta. I suoi obiettivi le banche, i supermercati, i Bingo. “Poi quando ti prendono”, continua Tango, “racconti che lo facevi per soldi, per la famiglia che aveva bisogno. Tutte balle. Ero rancoroso, ce l’avevo col mondo intero e incolpavo tutti del mio disagio. Rapinare mi faceva sentire vivo e mi dava un senso di potere. Quando andavo in giro per Milano, guardavo solo le banche, le gioiellerie. Ero maniacale. Un disagio mentale che mi portavo addosso fin da piccolo”.

Poi, 13 anni fa, la svolta. L’incontro in carcere con Angelo Aparo, lo psicoterapeuta che trasforma i detenuti in cittadini. Il medico che tutti chiamano Juri, nome preso in prestito da antichi pensieri sul dottor Zivago. “Entrai così nel suo “Gruppo della Trasgressione”, accanto a assassini, corrotti, ladri, poco importa. Per farne parte e avere diritto di parlare dovevi recitare una poesia o il teorema di Pitagora. Dovevi insomma dimostrare che ti eri impegnato a imparare qualcosa. Per viaggiare, come direbbe De André, “in direzione ostinata e contraria” al nostro passato criminale. Autoanalisi, analisi di gruppo, incontro con le vittime di reato e uscite nelle scuole e con le istituzioni”.

E poi il figlio. Che Tango aveva di fatto abbandonato quando aveva 15 mesi. “L’ho ritrovato. Adesso fa la terza media e ha ottimi voti e ne sono orgoglioso. Dentro di me ho dovuto ricreare un equilibrio e togliere i conflitti. Ma come, mi sono detto, per lui avrei dato la vita e l’ho abbandonato. Così ho scoperto un lato buono di me e l’amore di un figlio. Lui ha capito che suo padre si è riscattato, che adesso è un ex bandito”.

 

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