Alla segreteria direttiva del carcere di Opera

Buongiorno,

con la presente desidero ringraziarVi di vero cuore,  a nome mio e di tutti coloro che hanno partecipato all’incontro tenutosi lo scorso 30 Luglio in Valle D’Aosta con le testimonianze dei detenuti Crisafulli e Cannavò.

E’ stato un momento educativo davvero importante con circa 45 giovani  adolescenti che si affacciano alla vita.

Sono scaturite domande e riflessioni di grande valore e i detenuti hanno testimoniato con le loro storie di vita vissuta dei rischi nei quali ci si può imbattere in gioventù ad inseguire falsi miti come droga, denaro e potere compiendo scelte scellerate.

Abbiamo parlato poi del progetto salvifico di giustizia riparativa “Sicomoro”  e di quanto questo percorso porti benefici da ambo le parti sia alle Vittime (come nel mio caso)  che ai colpevoli.

Grazie di cuore quindi per questa opportunità, sono anche felice di non aver trovato traffico e nessun intoppo durante il viaggio e siamo riusciti a fare tutto nelle nove ore che ci erano state concesse comprensive di viaggio e di non aver avuto nessun ritardo.

Vi chiedo gentilmente di poter informare di questa mia gratitudine o di girare la mail anche al Dr. Di Gregorio di cui non conosco l’indirizzo di posta elettronica e, se possibile, anche al Magistrato.

Grazie anche per la fiducia accordata alla mia umile persona dal Magistrato, da voi tutti e dal Direttore.

Con l’occasione porgo cordiali saluti

con stima

Elisabetta Cipollone

Gli irrecuperabili non esistono

Ciao Juri,
sono stata a Scampia.. campo di lavoro con studenti in un podere sottratto alle mafie. Una esperienza forte, un incontro con persone stra_ordinarie, tra cui Davide Cerullo, ex  camorrista che, come dice lui, per fortuna non ha fatto in tempo ad ammazzare nessuno e quindi ha potuto allontanarsi dalla camorra dopo il carcere.

Da qualche anno è tornato a Scampia e ha messo su un’associazione L’ALBERO DELLE STORIE che accoglie in vari modi, mamme e bambini da 0 a 6 anni. La sua storia sembra da ‘manuale’ di degrado!

Le persone come lui e come Ciro Corona, presidente dell’associazione (R)esistenza alla Camorra, mi fanno pensare subito a te, ad Alessandro e a tutti voi  che state cercando di FARE LA COSA GIUSTA.

Molti dei suoi pensieri e delle cose che ci ha raccontato,  ricalcano esattamente le riflessioni e le considerazioni che più volte ho sentito al gruppo  e mi piace ritrovare alcune ‘perle di saggezza’ anche sulla bocca di un ex pusher! Allora davvero, forse, gli irrecuperabili non esistono.

Voglio condividere anche con te questo video… sono 20 minuti ma ne vale la pena. Come spesso accade, insegna più un ‘delinquente’ in 10 minuti che un intero anno di scuola…

Ci vediamo a ottobre da noi… con Lo Strappo.
Patrizia

Alla Direzione del Carcere di Opera

Buongiorno, sono don Luca Piazzolla, sacerdote a Sesto San Giovanni.

Con questa mail volevo ringraziare di cuore la direzione del carcere per l’opportunità che ci avete dato di poter incontrare i due detenuti, Roberto e Alessandro.

Pur nella brevità dell’incontro (poco più di due ore, per via della distanza tra  il carcere di Opera e Champoluc), i ragazzi adolescenti del mio oratorio sono rimasti colpiti dalle loro storie. Quando se ne sono andati, abbiamo continuato a parlarne con loro fino a sera.

Non posso negare che per molti di loro sia stata anche un’occasione preziosa per interrogarsi sui rischi che corrono nel fare certe scelte e nel seguire certe compagnie.

Ciò che più li ha più colpiti è stato ascoltare come gradualmente si è fatto strada nel loro cuore e nella loro mente la percezione del male fatto, la consapevolezza della gravità, l’impossibilità di riparare al male fatto se non attraverso un impegno concreto fondato sulla testimonianza di se stessi. Ma anche la possibilità di dare un senso alla loro vita, pur dovendo rimanere per sempre in carcere e convivendo con un grande senso di colpa. Non avendo mai negato la grandezza dei loro sbagli, hanno aiutato i ragazzi a rendersi conto del peso delle scelte quotidiane, del peso della famiglia di provenienza, dell’importanza delle amicizie…

Il ringraziamento a voi è davvero grande vista l’eccezionalità della cosa, perchè avete permesso una esperienza davvero importante per questi ragazzi, e vista la difficoltà di realizzarla, anche per via della distanza.

Spero che incontri di questo genere possano essere ripetuti in futuro nella mia parrocchia di Sesto, un contesto sociale sicuramente non facile, dove alla numerosa presenza di stranieri si somma un degrado sociale caratterizzato sicuramente dalla presenza di droga anche tra giovanissimi. Ma credo che anche per il mondo degli adulti queste testimonianze possano essere molto di aiuto.

Tra le tante cose che abbiamo fatto coi ragazzi nei dieci giorni di campo in montagna, una delle prime che molti di loro hanno raccontato ai genitori una volta rientrati a casa, è stata proprio quella della testimonianza di Roberto e Alessandro. I genitori di alcuni ragazzi un po’ più a rischio, poi, mi hanno ringraziato personalmente per l’opportunità data ai figli.

Se fosse possibile, sarei contento di far sapere loro che l’incontro è stato davvero bello e che li ringrazio di cuore a nome di tutti gli adolescenti.

Ringrazio davvero voi e tutti coloro che hanno reso possibile questo evento. Con questo spirito grato, vi auguro buon lavoro.

Don Luca Piazzolla

Gli occhi grandi color di foglia

La serata prende il nome da un verso di Via del campo, una delle prime e più note canzoni di De André. Una bambina e una puttana vivono entrambe in Via del Campo, tanto vicine l’una all’altra da far germogliare fiori, illusioni e speranze d’amore in chi va a trovarle. La prossimità fra l’una e l’altra c’è, ma per coglierla occorrono occhi grandi color di foglia, capaci di accettare parentele nascoste fra personaggi apparentemente incompatibili.

Scritta in collaborazione con Enzo Jannacci, Via del campo invita al dialogo con ciò che a una prima lettura sembra distante e privo di valore; la canzone è un’anticipazione del tema che rimarrà il filo conduttore di tutta la produzione poetica di De André: l’importanza della comunicazione con le proprie parti dimenticate o negate, cioè con quegli errori, fragilità, insicurezze o, come dice la canzone, con quel letame da cui possono nascere progetti e riconoscimento reciproco fra persone diverse. 

Juri Aparo dal 2005 incrocia le canzoni di De André con i temi e la ricerca del Gruppo della Trasgressione  che opera a Milano dentro e fuori dal carcere e di cui è il coordinatore.

Giancarlo Parisi, poli-strumentista, con i suoi flauti, sax e fiati etnici, ha partecipato a molti dei tour di Fabrizio de André ed è oggi leader di diverse iniziative collegate al mondo del cantautore di Genova.

Tonino Scala è un musicista eclettico e un compositore, conoscitore come pochi altri delle canzoni italiane dagli ’60 a oggi e in particolare della musica d’autore. Sue un paio di canzoni della serata.

I tre amici saranno il 25 agosto a Frigintini, vicino Modica, per un incontro musicale nella lingua che tutti e tre conoscono.

Invito alla commissione antimafia lombarda

Il 24 maggio scorso il Gruppo della Trasgressione, in occasione della ricorrenza della strage di Capaci, aveva partecipato a Milano a un incontro al Galdus, istituto scolastico col quale collaboriamo da tempo e con il quale siamo partner in una iniziativa per la prevenzione del bullismo. Il programma prevede, tra i suoi punti forti, che il Gruppo della Trasgressione porti nelle scuole che aderiscono al progetto i risultati della riflessione avviata da quando il gruppo è nato e che negli anni si è arricchita anche dei contributi di centinaia di studenti universitari, professionisti, artisti, operatori penitenziari, familiari di vittime della criminalità organizzata, che sono stati nostri ospiti in questi ultimi 20 anni.

Erano presenti all’incontro il direttore del Carcere di Opera, dott. Silvio Di Gregorio; l’assessore all’istruzione della regione Lombardia Dott.ssa Melania Rizzoli; il vice presidente della commissione antimafia Lombardia, dott. Alex Galizzi; un nutrito numero di insegnanti del Galdus; circa 200 alunni con il dirigente scolastico dell’istituto e moltissime altre persone.

A seguito dell’incontro, il presidente della commissione antimafia, dott.ssa Monica Forte, ha osservato che… non è opportuno che detenuti con trascorsi di mafia e di criminalità organizzata si pongano come insegnanti di fronte a studenti che potrebbero subire il fascino del male e una certa confusione fra buoni e cattivi:  “… reputo inopportuno un progetto che ha portato detenuti per mafia in una scuola per un corso alla legalità. Il confronto diretto con gli ergastolani rischia di far passare un messaggio sbagliato fra i giovani che hanno poca se non nessuna conoscenza del problema delle mafie. La mitizzazione televisiva del crimine, da questo punto di vista, non aiuta”.

Essendo io il coordinatore del Gruppo della Trasgressione, conoscendone la natura, gli obiettivi e il metodo, avendo incontrato con il gruppo Trsg da quando è nato (San Vittore 1997) decine di migliaia di studenti di medie inferiori e superiori, ho piacere di esprimere la mia opinione.

Sono d’accordo che la mitizzazione del male su televisione e giornali genera confusione e ritengo a mia volta inopportuno che i detenuti abbiano il ruolo di insegnanti abilitati a spiegare agli studenti il bene e il male. Puntualizzo però che gli incontri fra Gruppo della Trasgressione e studenti di scuole medie inferiori e superiori sono così caratterizzati:

  • tutti i detenuti da me autorizzati a parlare durante gli incontri nelle scuole frequentano il Gruppo della Trasgressione da almeno 4/5 anni e, prima di arrivare a parlare con gli studenti, hanno partecipato attivamente a centinaia di incontri del gruppo all’interno del carcere;
  • durante gli incontri nelle scuole, i detenuti parlano agli studenti in una situazione in cui sono sempre io a coordinare la direzione degli interventi; pertanto, nella sostanza e nella forma e per tutta la durata degli incontri, io sono il docente e loro i testimoni di come un lavoro svolto in profondità e con un continuo confronto con l’istituzione (la direzione del carcere, la magistratura di sorveglianza) possa portare uomini provenienti dal degrado, e che del degrado sociale erano divenuti servi e veicolo, a essere oggi la prova vivente di come il degrado possa essere contrastato e di come un adolescente che stia scivolando in quella direzione possa trovare gli stimoli e gli strumenti per invertire rotta.

Sarei particolarmente contento se una commissione di esperti decidesse di verificare gli effetti che il Gruppo della Trasgressione produce sugli studenti quando andiamo nelle scuole per la prevenzione al bullismo. Questo ci darebbe utili indicazioni su come procedere nella formazione dei detenuti e su come impostare gli incontri con gli studenti delle medie contro il bullismo e la tossicodipendenza.

Concludo, invitando la presidenza della commissione antimafia agli incontri del Gruppo della Trasgressione che si tengono tutte le settimane nelle carceri di San Vittore, Bollate e Opera.

Immagina la cosa giusta

“Tra bufalo e locomotiva,
la differenza salta agli occhi.
La locomotiva ha la strada segnata,
il bufalo può scartare di lato e cadere”

Nel 1876 il pittore austriaco Hans Canon, rompendo la tradizione figurativa tramandatasi nei secoli, decise di dipingere i Putti non più assorti nel più alto dei cieli ma con i piedi ben saldi sulla terra, e per di più al lavoro per costruire una ferrovia.

La profonda allegoria del progresso dell’uomo suggerita dalla visione di questo quadro, durante le vacanze pasquali a Vienna, mi ha letteralmente affascinato….. richiamando prepotentemente alla mia coscienza il senso di alcune cose che in questi mesi abbiamo contributo a far nascere anche insieme al Gruppo della Trasgressione.

Cosa vedi di te in questa immagine?”: ecco la mia domanda innocente rivolta ad un gruppo di ragazze e ragazzi che mi ritrovo davanti, riuniti in questa strana Piazza delle Terre di Mezzo.

Federico: In questa immagine vedo emozioni che vengono distrutte, ad esempio amicizie non ricambiate, litigi in famiglia.. quando succede qualcosa che si frantuma dentro, non sto bene con me stesso e mi si sgretola dentro come vedo le persone. Assomiglia a quello che tante volte penso.

Caterina: Questo vetro sono le cose quotidiane che accadono, i litigi che creo io. Sono anche io quella persona che fa star male altre persone. In questa immagine ho visto desideri che avevo che non sono stati realizzati e che io non ho fatto realizzare ad altre persone.

Paola: Vedo uno sbaglio da parte mia o di altre persone. Al di là di questa finestra vedo alberi e penso che si possono ricomporre tutti i pezzi.

Lorenzo: Vedo quello che potevo fare e i miei sbagli che hanno crepato il vetro. Sbaglio dopo sbaglio il vetro si rompe. Come si sa l’essere umano non è perfetto. In questa immagine vedo gli errori che si fanno.

Federico, Caterina, Paola, Lorenzo (e tutti i compagni di classe con loro presenti) ragionano come dei laureati in giurisprudenza ma, anagraficamente, hanno 12 anni.

E sono lo straordinario risultato di una sfida che, ad essere precisi, parte da Chiara Azzolari e dalla sua tenace ostinazione di “mettere alla prova” i contenuti del documentario Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine nei più svariati contesti educativi: e così, anche per una sorta di riconoscenza espressa al grande lavoro fatto da lei e da DIECI78 in questo progetto corale, Juri ed io non abbiamo saputo dire di no quando ci ha simpaticamente coinvolto in due laboratori con le scuole da tenersi durante la nota manifestazione milanese Fa’ la cosa giusta.

Così ci siamo ritrovati ancora insieme, lo scorso 23 marzo, con alcuni docenti d’eccezione: i detenuti del Gruppo della Trasgressione.

Non era la prima volta che partecipavo ad incontri dove criminali (nel senso tecnico di chi ha commesso un crimine) riescono paradossalmente a diventare guide credibili agli occhi di giovani in crescita (con la meraviglia, in primis, sul volto dei loro insegnanti). Eppure questa volta il tutto ha avuto, per me, un significato particolarmente nuovo.

Sarà stato forse il luogo…. dapprima una “tana”, improvvisata da tutti noi sotto le scale esterne di un padiglione della Fiera di Milano per ritagliarci uno spazio di maggiore attenzione e coinvolgimento, per poi continuare  – nel pomeriggio – in quella “Piazza” sotto gli occhi di visitatori di passaggio, ugualmente stupiti come il sottoscritto nel vedere tre ergastolani parlare fitto fitto per quasi due ore con ragazzi così giovani.

Sarà che “il dott. Aparo” non ha avuto quasi mai occasione di intervenire, perché ogni componente del Gruppo della Trasgressione ha saputo ben dire e mostrare i-frutti-del-duro-lavoro-dentro-se-stesso maturati in tutti questi anni di reclusione: e quando una squadra gioca bene in campo, l’allenatore può rimanere comodamente seduto in panchina a godere dei risultati di tutto il suo lavoro.

Ma sarà forse perché, ancora una volta dopo aver io personalmente accolto dei bambini di 10 anni a Palazzo di Giustizia ed esserne uscito enormemente arricchito (come mai avrei immaginato), ho realizzato che davvero è l’immaginazione la risorsa più potente da sviluppare, fin da bambini.

E soprattutto, aggiungerei io, fintanto che siamo bambini. Perché i bambini sono realmente in grado di farlo, e di farlo mille volte più efficacemente di noi che ci crediamo adulti e – solo per questo – capaci di ogni cosa.

Immaginare quindi un futuro migliore dove le mafie possano essere finalmente sconfitte anche grazie alle testimonianze nelle scuole di chi la mafia (l’ha praticata ma poi, con un lungo percorso di recupero del proprio-vero-io in carcere) l’ha rinnegata: penso che questo, ora, sia davvero possibile.

Un anno è passato e noi stiamo ancora qui progettando di volare verso Marte… anche grazie  all’appoggio,  silenzioso ma rassicurante, di alcuni Familiari delle vittime di mafia. Anche loro, allo stesso modo, sognatori come tutti noi: pietra su pietra, dolore su dolore, si possono anche innalzare cattedrali.

Immaginando così di poter davvero saldare la terra con il cielo.

 

Giustizia riparativa e criminalità organizzata di tipo mafioso

Quale piccolo contributo ad un dibattito tuttora in corso su un tema ancora poco studiato, concorde l’Autore, volentieri pubblichiamo qui il resoconto di Andrea La Piana relativamente al Focus Group da lui condotto nell’ambito della sua interessante tesi di laurea.

Gli occhi grandi color di foglia

Gli occhi grandi color di foglia

La serata all’istituto dei Tumori, data in concomitanza con il 90° anniversario della fondazione dell’Istituto, prende il nome da un verso di Via del campo, una delle prime e più note canzoni di De André.

Una bambina e una puttana vivono entrambe in Via del Campo, tanto vicine l’una all’altra da far germogliare fiori, illusioni e speranze d’amore in chi va a trovarle. La prossimità fra l’una e l’altra c’è, ma per coglierla occorrono occhi grandi color di foglia, capaci di accettare parentele nascoste fra personaggi apparentemente incompatibili.

Scritta in collaborazione con Enzo Jannacci, Via del campo invita al dialogo con ciò che, a una prima lettura, sembra distante e privo di valore ed è un’anticipazione del tema che rimarrà il filo conduttore di tutta la produzione poetica di De André: l’importanza della comunicazione con le proprie parti oscure, cioè con quegli errori, fragilità, insicurezze o, come dice la canzone, con quel letame da cui possono nascere progetti e riconoscimento reciproco fra persone diverse.

La serata musicale all’Istituto dei Tumori vuole essere un modo per rendere fattiva la comunicazione fra mondi distanti: da una parte chi, pur ferito dalla malattia, cerca e trova anche nel dolore motivo di conoscenza e di evoluzione; dall’altra alcuni detenuti del Gruppo della Trasgressione che, dopo anni di lavoro sui propri errori, partecipano oggi a progetti in favore del bene collettivo che in passato avevano offeso.

La squadra anti-degrado

 

Cosa me ne faccio della mia consapevolezza?

<< Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio é discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.
L’inferno dei viventi non é qualcosa che sarà; se ce n’é uno é quello che é già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo é rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non é inferno e farlo durare e dargli spazio>>

Calvino, Le città invisibili

 

Della serata del 16 marzo scorso, in carcere a Opera per “Lo strappo”, mi sono rimaste in mente tante piccole cose, immagini, frasi, domande, abbozzi di ragionamento.

– Gli occhi del detenuto dietro al computer e a sistemare l’audio (quando davano i croccantini al gatto, o mi dicevano che serate come queste erano importanti, o si scusavano che la tecnologia era un po’ quella che era)… a me sembravano occhi che ridevano.

Una difficoltà tecnica che mi è sembrata emblematica: Alex che doveva leggere il testo della strage di Pizzolungo non aveva abbastanza luce per leggere; il mio microfono – quando dovevo recitare le parole di una vittima – si rifiutava di funzionare. Vittime ineffabili. Erano giorni che mi chiedevo quanto fosse difficile dare voce alle vittime, lì dentro.

– Il rammarico per la domanda di un detenuto che chiedeva conto della propria detenzione. Rammarico, perchè possiamo ipotizzare non lo sapesse davvero, o non avesse in mano strumenti per capirlo, o le persone a cui chiederlo non sapeva chi fossero o non gli davano ascolto… Rammarico perchè sembrava non avere gli strumenti per cogliere che era impossibile che quella sua domanda ricevesse una risposta in quella sede. Rammarico perchè, da quel che diceva, era probabile uscisse da lì a breve, e il tono con cui parlava in quel contesto non sembrava essere quello di una persona che avesse fatto bene i conti con la propria storia.
(Eppure, possiamo prenderla sul serio, quella domanda? Ha poi avuto risposta? E la risposta è stata capita?)

– La delusione nelle spalle di quel ragazzo che quando ha chiesto al magistrato cosa lo avesse spinto a intraprendere quella carriera si è visto negare la risposta. E io che invece pensavo che quella domanda fosse azzeccata e avesse assolutamente a che fare con lo strappo e la volontà di ricucirlo, avesse a che fare con quella cosa potente che è immaginarsi grandi (e mi sono sincerata – cuore di mamma dicono – che in separata sede abbia ricevuto una risposta da Franco Roberti mentre insieme uscivano dal carcere, e almeno questa so che è una parentesi a lieto fine).

– Con riferimento alle letture iniziali, e alla parte recitata schiena contro schiena fra vittima/carnefice: e al di là del microfono, della mia performance migliorabile… ripenso che nelle ore/giorni precedenti ero molto tesa al pensiero della possibile reazione dei detenuti, almeno tanto quanto ero tesa al pensiero delle vittime presenti in sala (Che moti dell’animo mi potrò aspettare? E se la nostra interpretazione risultasse inadeguata… addirittura offensiva? E la nostra scelta dei testi come sarà giudicata? C’è chi ha parlato addirittura di arancia meccanica… quelle letture, fanno troppo male? Troppo o troppo poco? Sono servite?)

– Ambrosoli che dice di non essere cresciuto pensando di essere una vittima, di aver cercato di evitare questo alibi. E il mio pensiero va alle guide che ha incontrato sul suo cammino. Chissà se saprei essere così brava…

– Ambrosoli che fra tutto quello che poteva dire sceglie di dire che si dispiace per non aver immaginato che uno dei detenuti avesse una figlia. Di aver perso una occasione di curiosità. Accidenti.

– la domanda “cosa me ne faccio della mia colpevolezza“, che un detenuto ha rivolto alle Istituzioni. Non ero nella testa di quel detenuto, e mentre la faceva mi ero chiesta se il sottotesto – il non detto – in quella affermazione fosse la denuncia  “non ci vengono dati contesti in cui poter esprimere la nostra crescita“. Il magistrato che ha risposto “ad esempio la prevenzione al bullismo è una cosa bella per ricucire lo strappo” l’ha letta come domanda effettiva, non come domanda provocatoria. E se era una vera domanda, da un lato volevo rispondere che io ad esempio mi sono stupita/commossa quando mi hanno accennato del progetto di prevenzione al suicidio in carcere portato avanti dai detenuti, che mi è sembrata una idea bellissima, geniale, importante.
Dall’altro lato, quella domanda nella mia testa era subito diventata “cosa me ne faccio della mia consapevolezza“. E volevo rispondere: “eh, grazie. Sarebbe bello che qualcuno ci dicesse cosa dobbiamo fare da grandi“. Sarebbe tutto più semplice. Ma non è così, nemmeno per noi.
Nella cucina della vecchia casa di mia madre, lei aveva appeso un sacco di frasi e foto che le piacevano. Frasi della Bibbia, poesie, cose così. C’era anche una foto di un muro, con una scritta che recitava: “Per conquistare il futuro bisogna prima sognarlo“. E lei che era una insegnante di italiano alle medie, mi diceva “sai, perchè questa frase è importante? Il primo vero ostacolo perchè il figlio di un bracciante diventi un imprenditore o un professore universitario, o qualunque altra cosa non sono i soldi, ma è l’immaginazione. Non si immagina in quel ruolo. Non si immagina diverso”. È l’immaginazione la risorsa più potente da sviluppare. E ripenso a Juri, che fa diventare i detenuti educatori e nel farlo regala una possibilità di “immaginarsi diversi” pazzesca. E come lui molti altri.
Quindi, in quel frangente, a Opera, pensavo che la mia risposta unica possibile e forse la più seria risposta a quella domanda sarebbe pertanto una domanda: “come lo sogni, tu, il tuo futuro, facendo i conti con quella colpevolezza li? A te cosa piacerebbe fare?”.
The future is unwritten, questa cosa io la voglio pensare. Ma non in maniera stupida, lo so che non ho più la stessa vita potenziale di un bimbo di 10 anni, o che un ergastolano ha una rosa ancora più ristretta di possibilità davanti a sè… eppure gli uomini “guidano da soli la propria canoa“.  Quanto meno nei territori inesplorati del pensiero, della conoscenza, della parola, della relazione: il futuro non è già scritto.
E a me è lì a Opera era tornato in mente un libro che ho letto e riletto a mia figlia, un albo illustrato. Si chiama  “Un piccolo passo”  (Simon James, Zoolibri). Ne copio qui di seguito due pagine:

 

Io sono una fondamentalmente insicura, e se qualcuno oggi mi chiedesse come vedo il mio futuro, preferirei limitarmi ad una domanda più piccola. Hai provato a fare un passo?

– poi penso alla delusione/rabbia provata pensando a Carmelo, fra gli intervistati del documentario, che una volta uscito è tornato a spacciare, ed è di nuovo in galera. E vorrei sapere da lui, non da altri, il perchè. Quando si parla di spaccio, a me torna in mente la sig.ra Bartocci (che ha perso il marito… per due lire e quattro drogati…e che pensa che lì non si può recuperar niente), la sig.ra Fiorani (e lei che ha combattuto per anni contro la droga, e ha perso una figlia, quando ha incontrato dei ragazzi ha detto “i problemi vanno affrontati“), e poi mi viene in mente la riduzione teatrale che ho visto di Caracreatura di Pino Roveredo (e io mamma di bimbi piccoli mi chiedo come si fa a tenere i miei figli lontano da quello specchietto di allodole lì. Da quel dramma lì. Da quel disastro lì della droga e non mi so rispondere e dico che basta, basta. BASTA. Abbiamo bisogno di alleati).
Ecco. A Carmelo voglio chiedere anche quale contesto lo ha accolto una volta uscito di galera, se s’è l’è cercato lui. Era l’unico possibile? Ci sarebbero stati contesti diversi che potevano accoglierlo? E c’era un lavoro? Abbiamo bisogno di analizzare e capire bene il perchè, per sapere in che direzione lavorare.

– Poi, di tutto il lungo discorso di Lucilla,  di Libera, mi è rimasto impresso il richiamo al “vedo sento parlo“. E subito penso al mio compagno, a una dinamica che c’è spesso fra noi, lui che si arrabbia perchè non mi arrabbio abbastanza quando vedo qualcosa di sbagliato. Viviamo in una società di pavidi, mi dice. Tu – mi dice – sei troppo pavida. Io lo guardo, che si incazza in giro per la città quando vede piccoli grandi soprusi quotidiani e il più delle volte gli dico stai attento per carità che tieni famiglia, e che io ci tengo a te, in giro ci sono troppi pazzi o criminali, oppure mi innervosisco che non può sempre guardare quello che non funziona e lui mi dice ti arrabbi con la persona sbagliata. “Io ho una certa pratica del mondo. E quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini, i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi, che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù, i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà. Che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre” (Sciascia, il giorno della civetta).
E sì, mentre Lucilla parla penso che davvero i beni più importanti da conquistare alle mafie sono le persone, siamo noi.
E allora.  Uno due tre quattro cinque dieci cento passi…

 

La squadra anti-degrado

Ogni reato, in un modo o nell’altro, contribuisce ad aumentare il degrado sociale e a ridurre la libertà del cittadino. Per questo, il Gruppo della Trasgressione mette insieme una squadra composta principalmente da detenuti che, dopo essere cresciuti nel degrado e averlo alimentato, oggi lo combattono collaborando con le istituzioni.

I delinquenti, che a suo tempo erano stati strumenti del degrado combattuto da Falcone e Borsellino, oggi si presentano alla società come alfieri dei valori per i quali Falcone e Borsellino hanno perso la vita.

Della squadra fanno parte da tempo detenuti, studenti universitari, comuni cittadini e persino qualche familiare di vittime della criminalità (Marisa Fiorani, Paolo Setti Carraro, Elisabetta Cipollone, Giorgio Bazzega, Sandro Baldoni). Dunque, un gruppo di ex criminali che hanno guadagnato e continuano a guadagnare libertà non tanto perché hanno scontato parte della pena o per le misure alternative previste dalla legge, quanto per il fatto che hanno interiorizzato i valori della legalità e della costruzione di cui si fanno portatori:

  • nelle scuole con interventi di prevenzione verso bullismo e dipendenze;
  • negli interventi nel carcere di Opera per la prevenzione di atti autolesionistici;
  • negli interventi a San Vittore con i detenuti giovani adulti;
  • negli interventi con lungo degenti negli ospedali;
  • promuovendo i quesiti e gli sviluppi operativi relativi al documentario “Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine“;
  • svolgendo lavori di pubblica utilità in forma parzialmente gratuita grazie anche alla collaborazione con i comuni;
  • lavorando con le attività della nostra cooperativa Trasgressione.net: vendita e distribuzione di frutta e verdura fresca e di prodotti alimentari confezionati, lavori di piccola manutenzione (tinteggiatura, pulizie, sgomberi cantine);
    • impegnandosi con l’associazione Onlus Trasgressione.net nelle attività culturali e di prevenzione contro il bullismo e le dipendenze da droga, alcol e gioco nelle scuole e sul territorio.

Per tutti i detenuti che faranno parte della squadra è utile un posto di lavoro nella cooperativa. In questo modo il detenuto può partecipare più facilmente alle attività culturali e imprenditoriali del Gruppo della Trasgressione e può presentarsi ai destinatari della nostra azione (adolescenti nelle scuole e detenuti nelle carceri) come testimonial credibile del nostro progetto generale.

In relazione a ciò, pur senza rifiutare eventuali contributi in denaro, chiediamo alle istituzioni, alle scuole con le quali collaboriamo, ai privati cittadini che vogliono farsi alleati dei nostri progetti soprattutto di aiutarci ad ampliare la nostra rete di lavoro con :

  • la bancarella di Frutta & Cultura (consegne di frutta e verdura  e prodotti alimentari a mense, ristoranti, bar e a gruppi d’acquisto),
  • lavori di tinteggiatura, piccola manutenzione e pulizia; piccoli traslochi.

Nota: Il marchio nasce dalla collaborazione fra Salvatore Rovetto, detenuto nel carcere di Opera e componente di spicco del Gruppo Trsg e Adriano Avanzini,  Art director, autore di tutte le nostre locandine, dei loghi e delle varie realizzazioni grafiche degli ultimi 15 anni, oltre che componente storico del gruppo.

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