Aula Dostoevskij – Marrone

L’idea che mi sono fatto dalla lettura del romanzo è che il giovane studente Raskol’nikov ha via via fatto crescere in sé l’idea di uccidere una vecchia usuraia, pensando che così avrebbe liberato la società da una persona cattiva. Ma, secondo me, non c’è nulla di più sbagliato in questo ed è dagli incontri che ho avuto con tutti voi che piano piano mi ha preso il pensiero che, in fondo, Raskol’nikov aveva soltanto l’inconscio bisogno di eliminare un vuoto esistenziale e una insoddisfazione frutto di una vita sofferta e dolorosa.

Non credo sia sbagliato pensare di diventare un eroe, non si tratta di ideali sbagliati ma di scelte errate e alla fine il rimorso lo ha consumato e la sua coscienza ha prevalso.

Oggi desidero costruire una vita nuova per me e i miei figli e frequentare questi incontri, così utili per noi i carcerati. Cercherò di dare voce anche ai miei compagni detenuti perché si può sempre iniziare a cambiare e a recuperare i nostri sbagli per ritornare uomini onesti per la società e la famiglia.

Ignazio Marrone – Detenuto

Delitto e Castigo

Aula Dostoevskij – Falciglia

Prima di tutto vorrei ringraziarvi. Ho sempre colto nel mondo tanta indifferenza verso un tema che mi sta a cuore da sempre e che mi ha mandato in crisi quando mi toccava scegliere tra giurisprudenza e psicologia, salvo poi prendere una strada che adesso si sta rivelando giusta per me, ma nella volontà di un doppio titolo, ché la vita è lunga.

Nel corso degli incontri ho visto un approccio schietto, dinamico, senza formalismi. Tutte le volte che assistevo ad un dialogo con uno dei ragazzi, era come se anche la mia, di coscienza, mi suggerisse quanto la strada appena iniziata nel gruppo della trasgressione fosse perfetta per me e i miei ideali. Avrei tanto da dire, tanto da dare e mi sono affezionata al gruppo, alle sue modalità e vorrei che davvero questa idea trovasse sbocco in ogni ramo della società.

Dottor Cajani. Io non ho fatto gli scout, ma sono sempre stata bene imbottita di fumetti di supereroi. Ci ho sempre creduto, negli eroi. Quando si cresce ci si rende conto che bene e male non sono sempre netti, che legge e giustizia non sempre coincidono, che l’uomo può essere imperfetto. Ma anche che chiunque può essere un eroe, e avere nella legge un valido alleato. Lo scopo? La giustizia. Per tutti e con ogni sfumatura.

Ed eroe non è chi si crede Dio, ma chi fa il suo nel migliorare il mondo. L’eroe è profondamente umano. Il suo approccio come pubblico ministero, così come l’approccio di Juri come psicoterapeuta sono per me eroici. Per me, eroe, è semplicemente chi fa la cosa giusta e chi invita altri a seguirla, per quanto difficile possa sembrare.

E’ vero, sono cresciuta. Sono al quarto anno di giurisprudenza, non leggo più la realtà come quando ero ragazzina, ma negli eroi ci credo ancora. Credo fermamente che l’approccio del gruppo della trasgressione sia la chiave di volta per far recuperare alle persone la propria coscienza con tutte le conseguenze positive del caso a livello sociale: dall’educazione alla legalità per chi ha conosciuto illegalità per tutta la sua esistenza prima di finire il carcere fino all’aiuto fornito ai detenuti e alle vittime di reato per cambiare la propria vita.

Credo, ancora più fermamente, che ogni ciclo dell’abuso vada rotto affinché il mondo possa dirsi vivo e libero, che vada rotto fin dal principio. E questo, come dice Juri, si fa attraverso la civiltà. E la civiltà siamo noi. La civiltà è un divenire. Ho colto da vicino cosa comporta un reato, i segni che lascia e i danni che ne sono conseguenza. L’ho colto nelle storie di Paolo e Marisa e di tutti i ragazzi.

Nell’attesa anche di sapere come tornare attivamente a lavorare con il gruppo, un saluto.

P.S. Mi piacerebbe tanto parlare del Gruppo della Trasgressione all’Università. Quando ne abbiamo parlato con Giacomo, ho visto altri giovani giuristi entusiasti.

Angelica Falciglia – Studentessa Giurisprudenza

Delitto e Castigo

La sveglia del mercoledì

Fino a qualche mese fa non avrei mai immaginato di poter entrare in un carcere come studentessa di Giurisprudenza perché pensavo fosse una cosa che avrei sperimentato una volta avviata la mia carriera da magistrato, e invece ho avuto la fortuna di poter partecipare al progetto ‘Delitto e Castigo’.

Confesso che il primo giorno è stato un turbinio di emozioni, sin dal mio risveglio, perché non sapevo a cosa sarei andata incontro, né tantomeno conoscevo le persone con le quali avrei condiviso questa esperienza, dato che ho voluto intraprendere questo cammino da sola. Ogni mercoledì, nonostante avessi la sveglia molto presto, mi svegliavo volenterosa di arrivare a Opera e ascoltare ciò che i detenuti e gli altri membri del progetto avevano da dire; mi sono sentita come una spugna, ho assorbito tutto ciò che potevo.

Ho deciso di aderire al progetto con la ferma convinzione e fede nella rieducazione dei detenuti, operata all’interno delle carceri, che permette agli stessi di ritrovare la propria coscienza, protagonista indiscussa dei nostri incontri, perché credo che solo in questo modo si possa finalmente cambiare e migliorare se stessi. Per quanto riguarda la coscienza, invece, mi sento di affermare che ciascuno di noi la possiede sin dalla nascita, ma in alcuni casi viene fatta tacere perché prevale la volontà di sentirsi, come diceva uno dei detenuti, un ‘Superuomo’ che si crede, appunto, superiore agli altri e crede di aver il diritto di poter decidere sulla vita altrui. In altri casi invece la coscienza viene ascoltata, assecondata e ciò permette di condurre una vita alla ricerca del bene, di ciò che è ‘giusto’. La coscienza può diventare uno strumento della libertà.

Molti detenuti hanno sottolineato, durante gli incontri, il loro sentimento di emarginazione dalla società la quale li ha esclusi non permettendogli di distinguere il bene dal male. Penso che il carcere debba, con i mezzi di cui dispone, aiutare gli stessi detenuti a comprendere quale sia la distinzione tra bene e male e, attraverso il processo di rieducazione, garantire un futuro migliore e non più dedito al crimine.

Nessuno, a mio parere, deve sentirsi ‘pidocchio’ perché ogni essere umano ha valore, bisogna solo imparare a individuarlo. Io purtroppo questo mio valore l’ho scoperto tardi, o forse non ancora del tutto, infatti delle volte mi domando a che punto della mia carriera sarei se avessi dato ascolto alle parole della mia professoressa delle medie, la quale cercava sempre di denigrare il mio lavoro, ma per fortuna i miei familiari hanno sempre visto in me quel valore che io ho individuato solo dopo.

In queste settimane di incontri ho capito cosa voglia dire fare la scelta giusta. Combattere e credere in quello che si fa. Credere nelle persone con le quali si lavora. Credere in se stessi, perché solo così si può avere la forza di continuare. Credere e combattere con tutte le proprie forze per raggiungere i propri obiettivi. Credere nelle parole di chi ha più esperienza e che ci può aiutare.

In queste settimane ho capito chi siano i miei veri mentori: il Dottor Alberto Nobili e lo stesso Dottor Francesco Cajani perché se non li avessi incontrati non avrei mai potuto comprendere di aver scelto la strada giusta. Loro, pur essendo dalla parte della legge, hanno dimostrato di essere padroni di una grandissima umanità e di un grandissimo rispetto anche nei confronti di chi ha commesso reati e ha sbagliato. Un altro mentore che posso dire di avere è sicuramente il Dottor Juri Aparo perché è grazie a lui che ho imparato a credere in quello che faccio, a essere diretta e condividere le emozioni; egli dà l’opportunità alle persone detenute di potersi riscattare e di ‘rinascere’.

In queste settimane ho compreso cosa significhi avere un’opinione completamente diversa dagli altri, avere un pensiero completamente opposto da un altro e rispettarlo comunque anche se non si condivide.

In conclusione, cos’ho appreso da questa esperienza?

Ho imparato prima di tutto a mettermi in gioco. Per me significa entrare in carcere il mercoledì mattina con l’entusiasmo e la voglia di ascoltare le parole dei detenuti in merito al loro percorso di ‘rinascita’, in merito alle loro vite ed esperienze. Per me significa aprire la mente a situazioni che possono, in qualche modo, spaventare perché molto distanti dal nostro quotidiano. Per me significa tornare a casa e condividere con la famiglia le mie emozioni, che in ore di intensi incontri si sono scatenate.

Ho imparato ad ascoltare e a capire le persone che, pur avendo vissuto una realtà completamente differente dalla mia, non sono il loro reato, ma sono uomini quando ritrovano se stessi e comprendono i propri errori.

Continuerò a credere nel processo di rieducazione dei detenuti perché solo così possono riprendere coscienza del loro essere e possono finalmente migliorarsi.

Mi sento di essere cambiata anche io, do molto più valore alle piccole cose, che molte volte possono essere scontate, sento di essere cresciuta. Questa esperienza mi ha fatto crescere!

Valentina Cassani – Studentessa Giurisprudenza

Delitto e Castigo

Aula Dostoevskij – Villanova

Avendo partecipato al progetto “Delitto e Castigo” presso il Carcere di Opera, ho avuto la possibilità di toccare con mano da vicino la vita dei detenuti nel carcere e ho percepito ciò che provano e che hanno provato in passato, tramite i loro racconti e le loro storie di vita.

Credo che questa esperienza mi abbia davvero dato risposte a tante domande. Primo tra tutti, ho capito quanto sia importante aiutare questi detenuti, spronarli al cambiamento, al dialogo, all’assunzione di consapevolezza e alla speranza di non ricommettere ciò che hanno commesso in passato.

Credo che la vita in carcere debba servire proprio a questo: rinchiudere una persona in carcere e abbandonarla a se stessa porta all’effetto opposto al cambiamento che si vorrebbe avvenisse; invece, il confronto e incontri come questo possono far capire ai detenuti che non esistono due mondi separati, il carcere e la realtà esterna, bensì uno solo, basato su una reciproca collaborazione, al fine di creare una società in cui tutti possano sentirsi al sicuro ed essere in pace con la propria coscienza, e che è possibile anche sentirsi liberi, seppur detenuti.

Mi impegnerò quindi a custodire con grande cura tutto ciò che ho appreso nel corso di questi incontri.

Grazie quindi a tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto e che hanno partecipato durante gli incontri raccontando la propria esperienza di vita, perché sicuramente è servito molto per ampliare ancora di più il mio bagaglio di conoscenze.

L’insegnamento più importante che porterò sempre con me è guardare a questi detenuti come persone, con un’anima, con interessi, con opinioni, e che trattarli in quanto tali non solo aiuta loro a sentirsi persone migliori, ma sicuramente anche noi.

Alessia Villanova – Studentessa Giurisprudenza

Delitto e Castigo

Aula Dostoevskij – Rossoni

Avendo partecipato al progetto Delitto e Castigo, cosa mi porto a casa? Sicuramente la consapevolezza di com’è la vita in carcere, di come un detenuto abbia bisogno di figure che lo accompagnino nel proprio percorso, più o meno lungo, a ritrovare la propria coscienza, attraverso il dialogo e attraverso il supporto morale; solo in questo modo queste persone possono essere reinserite nella società e possono procedere nella rieducazione menzionata nella nostra cara Costituzione.

Questa è stata la mia prima esperienza in un carcere e ora, più che mai, mi rendo conto di come sia necessario che questi tipi di progetti vengano diffusi, affinché ci possa essere in tutte le carceri una possibilità di cambiamento concreta. Soprattutto, resto con la speranza che un giorno, una figura come quella del dottore Aparo diventi istituzionalizzata e riconosciuta professionalmente, come qualcuno diceva nei nostri incontri.

Poi mi porto a casa gli insegnamenti ricevuti.
Da Paolo e Marisa, innanzitutto, che con la loro forza di affrontare il dolore si sono avvicinati a questo mondo, completamente opposto e antitetico alla loro esperienza di vita.
Poi dal professore Fausto Malcovati su Dostoevskij, da cui ho imparato molto sulla letteratura russa.
Dal dottore Alberto Nobili, che ci ha dato dei preziosissimi consigli su come svolgere il nostro futuro lavoro, soprattutto per chi, come me, ha il sogno di diventare un pubblico ministero.
E infine gli insegnamenti del dottore Francesco Cajani e del professore Angelo Aparo, che hanno reso possibile questo progetto assieme al Gruppo della Trasgressione.

Grazie a tutte queste figure, questa esperienza mi ha cambiato in positivo, mi ha convinto che oltre allo studio sui libri è importante vedere la realtà delle carceri italiane e fare qualcosa di concreto affinché si realizzi per tutti noi, detenuti e civili appartenenti alla società, una condizione migliore di convivenza.

Mi impegno a fare tesoro di tutto ciò che ho imparato per il mio futuro professionale, ma anche personale. Se un giorno avrò il privilegio di essere magistrato, sono sicura che svolgerò la mia professione ricordando ognuna delle persone presenti nell’aula Dostoevskij ed i loro insegnamenti.

Aurora Rossoni – Studentessa Giurisprudenza

Delitto e Castigo

Conversando con Raskol’nikov

Domani, 30 novembre 2022, avremo nel carcere di Opera l’ultimo dei 5 incontri su Delitto e Castigo. Stanno partecipando all’iniziativa ex criminali, studenti, docenti, magistrati, persone ferite dalla criminalità organizzata.

Servizio di Maria Chiara Grandis

Nella giornata conclusiva di domani, Francesco Cajani e io porremo a noi stessi e a tutte le persone che hanno contribuito all’iniziativa le seguenti domande:

  • Quali erano gli obiettivi dell’iniziativa?
  • Cosa abbiamo messo in tasca in queste 5 giornate?
  • Che uso personale possiamo farne?
  • Se si ritiene che ne valga la pena, cosa, in quali ambiti e con quali modalità rilanciare il lavoro su  Delitto e Castigo?

Nel cammino della scienza, è buona norma dichiarare con quali domande si va dentro un laboratorio ed è ancora più importante rendere pubblici i risultati e le risposte che, a seguito della ricerca, si pensa di avere ottenuto.

Credo che lo studio della devianza e gli interventi per prevenirla e curarla debbano essere trattati come una scienza. Se considero la portata dei danni economici e affettivi che la criminalità causa nella nostra società, trovo più che ragionevole assumere nei confronti della materia l’atteggiamento che qualsiasi ricercatore ha nei confronti di ciò di cui si occupa: Materiali, Variabili, Procedure di una ricerca devono essere resi pubblici per permettere a chi non c’era di verificare, criticare, ottimizzare, proporre alternative; in sintesi, contribuire alla evoluzione della conoscenza del problema e dei mezzi per trattarlo.

Pertanto, cari studenti di giurisprudenza, cari componenti del gruppo della trasgressione e cari professori, a conclusione del nostro viaggio tra eletti e pidocchi (io ondeggio fra le due categorie da sempre e cerco ancora oggi la mia alternativa al delirio di Raskol’nikov), visto che siamo entrati tutti nel laboratorio, per favore, facciamo ciascuno il resoconto della nostra esperienza, come si addice alle persone che frequentano i laboratori.


Da LPT Studio

Delitto e Castigo

Il conflitto, tra dolore e privilegio

Questi incontri nell’ambito del progetto “Delitto e Castigo” all’interno del carcere di Opera costituiscono per me un’occasione di crescita professionale e personale. Sono all’ultimo anno di Giurisprudenza e sto giungendo al termine del mio percorso universitario. Ambisco a formarmi non solo come Giurista con una coscienza etica, ma vorrei poter anche agire come Operatore del diritto con radici in un’esperienza umana vissuta autenticamente.

Questi incontri mi permettono di fare un’esperienza reale mettendo in gioco e confrontando le mie competenze tecniche acquisite ad oggi: entrare in Carcere è stato come sperimentare una giostra di emozioni ed è stato, soprattutto, fonte di tante domande. Torno a casa con una serie di quesiti irrisolti, principalmente su come porsi nei confronti delle persone detenute, e credo che solo gli anni e l’esperienza riusciranno a darmi una corretta risposta.

Nel primo incontro, quando i detenuti hanno raccontato la loro esperienza giustificando, o meglio, cercando di contestualizzare le ragioni dei reati commessi, ho provato molto scetticismo e mi sono chiesta se la parola comprensione o simpatia fosse appropriata per le mie emozioni. Forse la comprensione nasce dalla competenza che si può sviluppare con una maturità professionale, che da studente non ho ancora.

Ho sempre immaginato il diritto come applicazione scientifica della legge con riferimento a situazioni che, seppur peculiari, avrebbero potuto essere categorizzate e giudicate. Invece, attraverso questa esperienza mi rendo conto che c’è molto di più: ci sono delle persone, delle intenzioni, dei familiari, dei percorsi, dei ripensamenti, delle emozioni. E, dietro tutto ciò, degli esperti e diverse figure professionali: lo psicologo clinico, il Magistrato, il Direttore del carcere che combattono tutti i giorni per garantire la riuscita di un percorso trattamentale.

Sono molte le figure che operano in carcere con i detenuti e che forniscono degli strumenti di crescita e speranza a chiunque voglia coglierli, creando spazi dove il detenuto può ritrovare sé stesso per costruire da dentro il suo possibile fuori. La comprensione o la simpatia nei confronti dei detenuti, ad oggi, non fa ancora parte del mio pensiero, ma la consapevolezza che l’ascolto sia una perla preziosa dalla quale si può imparare molto, sì! Magari non per immedesimarsi, perché non ritengo che questo sia il mio compito, ma per cercare di capire con intelligenza e razionalità.

Nel secondo incontro, la chiave ad alcune mie domande è stata fornita dal dott. Aparo, con riferimento al concetto di conflitto nel delirio di Raskol’nikov e alla sua presenza o assenza prima della commissione di un reato. La possibile causa della devianza potrebbe risiedere nella mancanza o, addirittura, nella ricerca del conflitto stesso. Il conflitto è un privilegio o una dannazione? Credevo di non essere in grado di dare una risposta a questa domanda, ma credo di averlo capito nel momento in cui ho visto Nunzio commuoversi nel ricordo di sua madre e ho visto Marisa, madre di una vittima di un’associazione criminale, mettergli una mano sulla spalla e rincuorarlo.

Ho visto che quello che in passato era stato il senso di onnipotenza del reo era astato anche uno strumento per coprire un baratro di fragilità e di insicurezze. Questo mi ha portato a comprendere l’importanza del conflitto interiore in un uomo e a condannare l’onnipotenza incosciente che lo disumanizza e lo rende criminale. Il vantaggio di una intensificazione della coscienza lo capii in quel momento e il mio pregiudizio e giudizio nei confronti dei detenuti è stato superato.

Tutti nella vita ci troviamo a scegliere, seppur nel nostro piccolo, tra la strada più facile e quella più difficile. Per questo, è bello vedere in questi incontri un’umanità che si confronta, che si racconta seppur da vite, ruoli, famiglie, storie diverse. Ho ammirato il Magistrato Dott. Alberto Nobili, quando ha ringraziato il detenuto Pasquale per il percorso svolto, così facendomi comprendere l’immensità e la serietà della parola giustizia.

È questa la mia idea di Stato, un’Istituzione che sia consapevole del senso di umanità e che con umiltà ringrazia quando, anche grazie al detenuto, la giustizia e un senso superiore dello Stato riescono ad essere salvezza per la vita di molti.

Mi sento fortunata e onorata di avere l’opportunità di partecipare a questa esperienza e di provare ad essere ponte per una comunicazione con l’esterno. Cercherò, nel mio piccolo, di dare parola nel contesto quotidiano in cui vivo a chi ha meno o diversi strumenti per farlo dall’interno. Grazie.

Elisa Civolani

Delitto e Castigo

Un Adolescente tra Eletti e Pidocchi

Penso che uno degli aspetti degni di nota del personaggio di Raskol’nikov, prima ancora del delirio che lo spinge a commettere l’omicidio, sia la sua età. Un giovanissimo ragazzo che, per il timore di rientrare nella categoria dei cosìddetti ‘’pidocchi’’, cerca assiduamente di meritare quella degli ‘’eletti’’.

Il romanzo offre la possibilità di scorrere tra i pensieri del protagonista e, pagina dopo pagina, ho avuto l’impressione che l’apparente sicurezza che Raskol’nikov tenta di dimostrare, agli altri ma soprattutto a se stesso, non sia altro che il tentativo di distaccarsi dalla classe delle persone comuni, alla quale, in verità, sa di appartenere.

Nella sua mente è un continuo contraddirsi; Raskol’nikov si sforza di interpretare la parte di chi è consapevole delle proprie azioni, eppure non c’è un momento in cui egli si senta realmente certo della correttezza di esse.

Egli è, però, così intento a dare prova della sua intelligenza che, a tratti, arriva a convincersi di aver fatto la scelta giusta; il dubbio, tuttavia, non lo abbandona mai.

In tutto questo ho percepito l’insicurezza di un adolescente, che lui stesso ha tentato di mascherare con la presunzione di chi è superiore; io, personalmente, non gli ho creduto un istante.

Tutto ciò è indicatore di un incessante malessere; che sia attorniato da persone o che si trovi isolato, smarrito tra i suoi pensieri, Raskol’nikov è in un continuo stato di sofferenza; non è in grado di riconoscere chi gli sta intorno né, tanto meno, se stesso, e si nega la possibilità di sentirsi parte di ciò che lo circonda; si zittisce ogni volta che si accorge di provare sentimenti, forse perché teme che siano questi ultimi a impedirgli di superare chi ha di fronte.

Ciò è riconducibile alle storie dei detenuti che si raccontano al Gruppo; la polverizzazione della coscienza, oltre ad essere uno dei concetti protagonisti del progetto, è un passaggio necessario affinché si possa calpestare l’altro e, alle volte, se stessi.

Beatrice Ajani

Delitto e Castigo

A cosa serve il confitto?

I conflitti sono presenti nella quotidianità di tutte le persone e non di rado accade che molti di noi cerchino di superarli inventando giustificazioni e classificazioni improbabili. A questo proposito, mi sembra interessante analizzare il conflitto che si presenta nel famoso romanzo “Delitto e Castigo” di Dostoevskij, per poi metterlo a confronto con le esperienze personali raccontate da alcuni componenti del gruppo della trasgressione del carcere di Opera.

Il protagonista del romanzo “Delitto e Castigo”, Raskòl’nikov, un giovane e indigente studente di Giurisprudenza di San Pietroburgo, uccide un’avida usuraia al fine di incamerarne le ricchezze e risolvere così i propri problemi economici. L’omicidio vero e proprio è qui preceduto da una sorta di tormentata preparazione psicologica del protagonista, nella quale egli fantastica più volte di uccidere la donna, mentre monta dentro di sé una perversa morale finalizzata a giustificare l’efferatezza del proprio atto.

Ed è qui che il giovane Raskòl’nikov cerca di superare il conflitto dividendo le persone in due categorie. La prima è quella degli esseri insignificanti, categoria di cui anche l’usuraia farebbe parte, composta da persone in grado di guardare solo al presente. Questi, essendo persone comuni e incapaci di realizzare grandi progetti, hanno l’obbligo di attenersi rigidamente alle regole della morale umana. La seconda categoria di persone, quella a cui Raskòl’nikov si ascrive, è quella degli uomini eccezionali, esseri superiori che guardano al futuro e che, per questo, risulterebbero abilitati a orientare il pianeta. Per questa categoria umana vale il principio del “versare il sangue con coscienza”, che autorizza i suoi appartenenti a derogare dagli obblighi morali e dalle leggi, se con tali deroghe si arriva a migliorare la condizione dell’umanità nel suo complesso.

Nel romanzo si susseguono i rimandi a persone realmente esistite considerate dal protagonista dei “superuomini”: se Newton o Keplero avessero dovuto uccidere centinaia di uomini per portare l’umanità a godere delle loro innovazioni ne sarebbe valsa la pena; il sangue versato da Napoleone sarebbe giustificato dal suo monumentale progetto per la conquista dell’Europa, ecc.

Raskòl’nikov, ritenendo di appartenere a questa categoria, si sente legittimato a liberare la società da un essere ritenuto parassitario, l’usuraia, per poi mettere a disposizione di tutta l’umanità il denaro da lei accumulato.

Tuttavia, i sensi di colpa, corollario del conflitto, accompagnati da una febbre cerebrale, demoliscono progressivamente la visione auto-giustificatrice di Raskòl’nikov, facendolo sprofondare in un abisso di tormenti, di angoscia, di sogni inquieti in cui il giovane ripercorre mentalmente il delitto senza però riuscire a commetterlo di nuovo. Lo studente di Giurisprudenza, grazie al contesto culturale in cui è stato educato, porta con sé, ab origine, una coscienza e una morale che lo portano a sviluppare un potente conflitto ancor prima di commettere l’atto.

Durante l’incontro su “Delitto e Castigo” del 09.11.2022 a Opera, il secondo dell’iniziativa, molti dei detenuti del gruppo hanno invece riferito che non provavano alcun conflitto né durante né subito dopo il compimento di un omicidio, di una violenza o di un qualsivoglia reato. La loro cecità rispetto al conflitto, come emerso numerose volte durante gli incontri passati, potrebbe essere spiegata dal fatto che, quando si è indotti sin da bambini a ridurre la gravità di un furto, una rapina, un’estorsione, un omicidio, il reato diviene pratica quotidiana, parte integrante dell’identità criminale, e la sua percezione si attenua nel tempo fino a diventare un sottofondo quasi impercettibile.

Il conflitto che avrebbero potuto e dovuto provare prima di passare all’atto criminale, dalle parole di chi oggi fa parte del gruppo da molti anni, è maturato durante la reclusione, una condizione che comporta una cesura netta tra la vita da “liberi”, vissuta nello stile deviante, e la vita “da condannato”, confinata dentro le mura del carcere, una condizione che, quando permette al detenuto di confrontarsi con stimoli appropriati, lo induce all’introspezione e all’allargamento della propria coscienza.

Direi pertanto che il  conflitto costituisce il terreno fertile per edificare e coltivare una nuova identità, con una immagine di sé che non sia quella conculcata da un ambiente degenerato, ma che sia il frutto di un processo introspettivo di responsabilizzazione, sia pure doloroso, ma percepito, a detta dei detenuti che lo vivono, anche utile e piacevole.

Le conseguenze di questo percorso sono chiare. Se in assenza di conflitto una persona è in grado di uccidere con disinvoltura, la percezione del conflitto, al contrario, sviluppa nell’uomo una coscienza morale e un’identità, che solo all’idea di commettere un crimine prova dolore.

A questo punto ci si può chiedere se il conflitto sia un ostacolo alla propria libertà di agire o possa essere considerato un attivatore dei processi decisionali e un facilitatore morale. A me sembra che il conflitto allarghi i margini di libertà del soggetto, in quanto permette, come una sorta di filtro, di scegliere in prima persona cosa fare e cosa no. Detto in altri termini, se prima il detenuto eseguiva inconsapevolmente gli ordini di altri, con l’acquisizione di una nuova identità egli diventa in grado di vivere e scegliere per se stesso.

Come ho sentito dire a Sergio, uno dei componenti del gruppo, “vivere il conflitto mi permette di chiedermi oggi se all’epoca dei miei reati ho fatto quello che volevo o se sono stato soltanto uno strumento di cui altri si servivano per ottenere quello che volevano loro“.

Infine, il conflitto, oltre alla dimensione individuale legata ai principi costituzionali di pieno sviluppo della persona umana, contempla anche una visione sociale, legata al “dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” di cui all’art. 4 della Costituzione.

Il conflitto, infatti, permette di riscattarsi dal male che si è commesso, restituendo qualcosa alla società. Quel qualcosa è appunto la preziosa esperienza che i detenuti del gruppo, e non solo, comunicano a beneficio degli studenti universitari, degli adolescenti nelle scuole e della società civile in generale.

Leonardo Esposti

Delitto e Castigo

Raskol’nikov

Spesso si parla della distinzione operata da Raskol’nikov fra eletti e pidocchi come se in questa categorizzazione e nel delirio di onnipotenza ad essa collegato potessero essere riconosciute le principali cause dell’omicidio dell’usuraia.

Mi sembra si trascuri che lo schema suddetto e lo stesso delirio di onnipotenza che l’accompagna costituiscono solo una maschera per coprire la sensazione di mediocrità che vive Raskol’nikov nell’afa e nella sporcizia soffocante di Pietroburgo, mentre si dibatte fra le sue fantasie, le paure, le incertezze, i conflitti, il malessere che lo pervade mentre si trascina per le strade.

Tra l’altro, mi sembra che il malessere del protagonista venga  descritto anche quando Dostoevskij entra nella miseria di Marmeladov o nella mediocrità di altri personaggi come Svidrigajlov o lo stesso Luzin, personaggi che credo possano corrispondere a frammenti sparsi del personaggio principale.

E cosa conosce il giudice della miseria che di certo costituisce il terreno di coltura dell’omicidio? Porfirij cerca di stanare l’assassino, ma non sembra essere interessato alla sua angoscia, alla paura di Raskol’nikov di entrare in contatto con il suo stesso dolore. Porfirij è interessato al delirio con cui Raskol’nikov autorizza se stesso all’omicidio, ma non al delirio in quanto strumento per porre argine al dilagare della sua colpevole impotenza.

È pur vero che questo non è compito del pubblico ministero (per usare termini utili alla nostra ricerca attuale)! E però, l’alleanza tra chi indaga e l’indagato (ammesso che sia possibile… e se oggi non lo è, nulla vieta di chiedersi quali altre figure possano risultare utili allo scopo), deve passare attraverso il riconoscimento dei meccanismi con i quali il reo cerca di difendersi dalla sensazione di mediocrità nella quale egli vive e dal dolore originario che egli cerca confusamente di coprire.

Questa è l’alleanza che Raskol’nikov svilupperà con Sonja e quella di cui ogni detenuto avrebbe bisogno per non rimanere imprigionato nell’artificiosa divisa dell’eletto.

Raskol’nikov               Il giudice, un padre mutilato

 Delitto e Castigo