Bene e male, cibo per pensare

Il testo che segue mi è caro per la modalità in cui è nato. Ero rimasta colpita dall’interesse che Angelica Alessio, mia studentessa di 5FHA, aveva dimostrato, restando molte volte oltre l’orario stabilito e partecipando anche a un’iniziativa extra al cineforum su Banalità e complessità del male con una parte curricolare legata a neorealismo “e dintorni”.

Purtroppo, ci sono momenti in cui Angelica non riconosce le sue eccellenti potenzialità e si blocca nelle consegne mettendo a rischio il successo scolastico. La fase covid non aiuta. In uno di questi momenti in cui aspettavo il suo articolo per Voci dal Ponte che non arrivava, ho avuto l’idea di telefonarle, dicendole semplicemente che avrei trascritto in diretta le sue parole.

Quello che segue è il testo che ne è nato. Angelica non ci crede, non ha fiducia nella sua espressione e cestina tutto, ma le sue parole brillano e sono un contributo di grande utilità civile. Mi ha emozionato anche il messaggio di Juri Aparo, il nostro irriverente psicologo : <<Dedicarsi così a un’allieva è cosa rara. L’hai incoraggiata a far suonare le sue corde, che hanno un suono dolcissimo. Al prossimo concerto spero di poterla invitare a dire qualcosa di questo scritto, così prezioso e nutriente da non potere essere tenuto sotto chiave>>.

Anch’io lo spero e non vedo l’ora. Colgo l’occasione per ringraziare il sostituto procuratore Francesco Cajani per aver definito innovativa la mia antichità, non si tratta che di una ricetta semplice: ascoltare.

Ricordo che sono stati di notevole pregio sia gli interventi dei compagni di classe di Angelica che i contributi creativi di 5BHA già pubblicati, insieme a quelli di studenti delle altre due classi del Liceo di Brera partecipanti al cineforum.

Giovanna Stanganello

 

Complessità e banalità del male

In un anno difficile, l’esperienza con il gruppo della trasgressione è stata emozionante. In ciascuno dei 5 incontri a cui ho partecipato mi sono sentita accolta; di certe cose non puoi parlare facilmente con le persone, non avevo mai preso parte a un cineforum con partecipanti così differenti. Il tema “banalità e complessità del male” e il modo di trattarlo aiutano a capire le persone e le società in un modo diverso da come sei abituato. Ci vorrebbero più momenti di dialogo, di confronto, nella scuola e fuori.

E’ il mio punto di vista, mi piace quando si parla di cose profonde, anche studiare, andare a scuola deve essere sostanziato da altro, altrimenti sembra tutto banale. In particolare sul film “Una giornata particolare” ho colto cos’è educazione civica, ho capito ad esempio cosa è stato il fascismo attraverso il vissuto delle persone, ho sentito anche una nuova idea di fare storia. Non è solo studiare delle pagine, con un film ben fatto riesci a capire meglio, entri nei modi di vedere delle persone.

Lo studio astratto e mnemonico che ho fatto nella scuola media era solo un ricordare, ma alcune cose non riuscivo a capirle, non riuscivo ad entrare nella mentalità, molti temi durante il percorso scolastico mi lasciavano perplessa, Volevo capire alcune ragioni, entrare nello sguardo di chi aveva vissuto la storia. Durante gli incontri di un cineforum di questo genere si possono sentire, capire opinioni diverse. Non è solo argomento di studio, per avere un voto, ma è discussione, è il nocciolo, il sodo, per comprendere meccanismi che hanno portato a fare alcune cose nel tempo.

Davo gli eventi storici per scontati: ci sono persone cattive e buone. Banalizzavo. Adesso il bene e il male mi appaiono in altra luce. Le cose mi incuriosiscono, hanno spessore, ci sono altri meccanismi, cose più profonde da poter capire. Le persone non si possono dividere semplicemente in buone e cattive. Faccio un esempio: la tv crea gruppi, etichette, cose che fanno comodo, io stessa, sentendo parlare, alimentavo in me fazioni contrapposte.

Capire la psicologia umana è invece molto difficile, richiede sforzo da parte di ognuno. Se si creano etichette, si mettono persone in gruppo a parlare a casaccio, ti crei solo un luogo comune. Attribuire cattiveria fa comodo, ti fa sfogare la rabbia, io stessa mi sono accorta di appoggiarmi sulla cosa semplice, per sfogarmi. Credo che a scuola ci dovrebbero essere più momenti in cui si parla della psicologia delle persone, mettere in dubbio cose, mettere persone diverse di qualsiasi età ed esperienze a confrontarsi.

C’è molta disinformazione, si tende non per cattiveria ma per facilitare le cose a vedere le altre persone in modo stereotipato, a creare gruppi contrastanti e basta… e non riflettere ti porta alla “banalità del male”. Questo è un problema che non si vuole affrontare. E’ successo sempre, fin dall’inizio della storia. Nella superficialità non si troverà mai una riflessione per sistemare le idee, si va di fretta dalla mattina alla sera, si corre, diventa quasi un bisogno fisiologico semplificare, creare luoghi comuni. Se si andasse con calma le persone potrebbero elaborare in modo individuale un proprio modo di vedere, potrebbero coltivarlo.

Riallacciandomi a “Una giornata particolare”, il film di Ettore Scola, il personaggio di Antonietta era fascista, raccoglieva le immagini del duce, ma non era una donna cattiva, aveva una sua personalità. Le viene imposto un ruolo ma lei non vuole questo realmente, lei ha il suo carattere. Quando Gabriele comincia a parlarle si vede che Antonietta ha i suoi personali desideri, che vanno oltre la catalogazione della casalinga fascista. In un altro film su cui abbiamo lavorato, “I cento passi”, ci siamo accorti di come il male riproposto nei singoli atti diventa banale e se si banalizza tutto, allora non si avrà mai la propria capacità di poter pensare e di accorgersi di fare del male alle persone. Non è che ci si sveglia una mattina e si fa del male, ma è un sentimento diventato più forte, iniziato da qualcosa di piccolo, che non è mai stato risolto e ha portato ad azioni efferate.

Spesso nella società non c’è aiuto per trovare un modo profondo di vedere le cose, per costruire una propria personalità. Nel gruppo ci si adatta, anche se ci sono cose che non ci piacciono. Se qualcuno dice a noi “a noi tutti piace il colore rosso”, anche se a te non piace, hai paura di dirlo perché temi che ti caccino. E lo dici anche se non pensi sia così. Ognuno, stando in un gruppo, doverebbe avere amore per le persone in generale. Ognuno dovrebbe avere le proprie libertà e un gruppo che ti costringe o ti pressa a fare qualcosa non ti rende libero di esprimere la tua personalità. Se ognuno avesse la sua libertà e cercasse di aiutare le persone, penso che la gente non avrebbe così voglia di trattarsi male.

Mi sono resa conto di alcune cose proprio partecipando al gruppo della trasgressione, sono sempre stata interessata agli argomenti di educazione civica, ma mi sentivo banale ad esprimermi, per la prima volta sono riuscita a farlo davanti a tante persone. Ne avevo bisogno. Nel gruppo c’erano anche detenuti che erano stati ex mafiosi e tu potevi metterti nei panni di una persona con un’esperienza così negativa, cosa impensabile. A volte avevo sentito i criminali come se fossero degli animali, mi dicevo: se incontrassi questa brutta persona non so cosa le farei, ma bisogna individuare la sofferenza dell’altro e comprendere la sua psicologia.

Ho sentito che la coscienza è l’obiettivo del lavoro con il gruppo della trasgressione. Il male non bisogna mai giustificarlo ma creare sentimenti di odio non è né accettabile né utile. La punizione in sé non aiuterà, non saranno le punizioni o addirittura la pena di morte a cambiare la società in meglio, ma dare opportunità di aiuto psicologico e sociale è la strada. Seguendo il cineforum mi sono resa conto che accanto alla prigione è urgente uno sforzo, un percorso psicologico. Bisogna tornare a ragionarci, non come si fa nei social, creando un odio inutile. Aumentare l’odio è terribile. Ci vuole un grandissimo sforzo per ricostruire una persona, per ricostruirsi. La pena di morte è un paradosso, a volte possono essere in carcere anche degli innocenti. Non si ricaverà mai niente con la semplice prigione ma solo con un processo psicologico lento e difficile.

I social creano un sacco di cose immotivate, ci si fa una brutta idea delle persone. La sensibilità che senti per il genere umano è ciò che salva. Ci servono più persone che facciano da intermediarie. Ci si può arrabbiare ma si deve ascoltare ciò che l’altro pensa. Non si può catalogare e basta, le persone non sono delle cose, sono esseri viventi. E’ necessario almeno non veicolare messaggi di odio. Gli stessi giornalisti a volte non si rendono conto di non fare un buon servizio.

Il bene e il male devono essere regolati, ci vuole una mediazione, non si può alimentare il senso di frustrazione perché questo porterà la persona inesorabilmente a fare cose brutte. I tg mandano in onda cose terribili, sono sempre pronti a filmare determinate azioni e in questo modo stai già creando azioni negative. Partecipando al cineforum mi sono chiarita su tutto questo, mi sono resa conto di molte cose che davo per scontate. E’ stato utile, tantissimo.

Oltre al laboratorio della trasgressione mi è piaciuto partecipare agli incontri dell’Istituto di storia contemporanea sui movimenti dagli anni ’50 al ’70. Finalmente i ragazzi hanno cominciato a parlare, sono attività molto sentite. Ho capito che le persone vogliono che qualcuno le aiuti, che capisca i loro problemi. Alla fine siamo umani, è questo che dovrebbe essere più importante: maschi e femmine siamo umani. Se si lasciasse alle persone lo spazio per confrontarsi, per mettere insieme le proprie idee, per elaborare qualcosa, credo che molte cose brutte non accadrebbero e non ci sarebbero episodi di odio, di male. Oggi non siamo più in un’epoca violenta come nel ventennio fascista ma alcuni risentimenti, rabbie ci sono ancora e questo scatena malessere.

Angelica Alessio

Il male complesso e banale

The Place

CINEFORUM

The Place, di Paolo Genovese – 08/06/2020

Spunti dall’incontro

“Sei un mostro”
“Diciamo che do da mangiare ai mostri”

Mefistofele mostra ai vari personaggi come uno specchio le parti che tutti abbiamo dentro: una spinta più costruttiva e una spinta più distruttiva, non è altro che l’alter ego dei personaggi che di volta in volta si siedono di fronte a lui; tutti, in un modo o nell’altro, fanno i conti con la propria coscienza.

Mefistofele è di fatto la personificazione dei demoni malvagi che fanno parte della coscienza di ciascuno di noi, non riconosciuti come propri, anzi respinti all’esterno e a lui, al mostro, demandiamo poi la responsabilità di dare da mangiare mostri ulteriori.

“Perché chiedi cose così orrende?”
“Perché c’è chi è disposto a farle”

Tutti i personaggi del film hanno la possibilità di scegliere, non c’è nessuna coercizione fisica, tutta la coercizione è di tipo psicologico o di tipo motivazionale: lo sviluppo e la realizzazione progressiva della scelta dei singoli personaggi passano esclusivamente da una serie di piccole scelte consecutive che si sommano, ma non c’è nessuno dall’esterno che impone un certo tipo di comportamento.

Per uno una determinata cosa può essere una sorta di bene, per un altro il male (perché ad esempio viene danneggiata una persona).

È questione di moralità individuale, quindi fino a che punto tu sei disposto ad arrivare, quale è il tuo limite, e il limite può nascere nel momento in cui i soggetti singoli si rendono conto o abbracciano nella loro visione la potenziale vittima, e solo lì trovano dei freni alla perdita di morale.

Attraverso la relazione la possibilità di crescita ed evoluzione esiste: se riesco ad identificarmi con l’altro difficilmente arrivo a uccidere una persona.

In Sisifo ad esempio il disagio di Thanatos cosi come l’abbiamo interpretato a  un certo punto arriva a dire “non ne posso più di essere visto soltanto come portatore di morte”,  non ne può più di stare ad ascoltare tutto il male del mondo.

Nel film tutte le storie in qualche modo si intrecciano, per cui l’idea che ogni nostra azione/gesto in qualche modo può avere delle ricadute sulle storie e le vite degli altri, è qualcosa che ci dimentichiamo a volte di ricordare.

 

SCELTA DELL’OBIETTIVO

l’obiettivo costringe a riflettere e mette alle strette, facendo prendere una determinata decisione. Come un induttore di riflessione, Mefistofele di fatto attraverso l’obiettivo pone queste persone a confrontarsi con se stesse.

A volte la forza del soggetto permette al soggetto stesso di sottrarsi alla seduzione, la seduzione non riesce perché per coincidenza si producono situazioni positive e, se si riesce ad arrivare all’età adulta senza essere stato catturato dalla seduzione che ti fa credere che in un modo onnipotente puoi raggiungere chissà che cosa, hai discreta probabilità di farcela, diversamente sei molto a rischio di arroganza e devianza.

 

CONCETTO DI “GIRO CORTO E DI GIRO LUNGO”   

Il giro corto porta ad ottenere la soddisfazione immediata di un impulso, di un bisogno, di una necessità, di una voglia. Il giro corto rimanda alla scorciatoia, al tema della magia: bruciare le tappe in qualche modo porta a una deresponsabilizzazione perché non metto in campo le mie capacità, è quindi un evitare di mettersi in gioco realmente. Anche se non funziona la magia non è colpa mia, perché io non ho messo in campo nulla di mio per il raggiungimento dell’obiettivo, non viene per cui in qualche modo declassata la mia persona, è un po’ come l’idea che, se non funziona la magia, io non fallisco mai, fallisce la magia, il sistema magico, per cui tutto ciò che riguarda me non viene assolutamente toccato.

Dal momento in cui cerco un giro corto e la magia, mimo quell’onnipotenza che in realtà sto già attribuendo però a qualcun altro o a qualcos’altro a un organo, a qualcosa che mi sta permettendo in qualche modo di poter utilizzare la magia.

Il giro lungo è più connesso al lavoro, ad un senso di fatica o di ottenimento dell’obiettivo con passi, step, scalini saliti uno alla volta.

Possiamo pensare che l’uomo si dibatte tra seduzione del ricorso alla magia/pensiero onnipotente e impegno sul lavoro.

 

L’ONNIPOTENZA

Invece di divaricare le due polarità di bene e male, è utile soffermarsi sul cosa è nell’uomo il senso di onnipotenza.

Siamo permeabili alla seduzione per la spinta all’onnipotenza e alle volte c’è anche un contributo da circostanze esterne. Il concetto di devianza è complesso, nel film non si fa del male perché si è cattivi, ma perché c’è una condizione di bisogno, e ci possono essere dei “diavoli seduttori” con il pensiero vigliacco che allettano le spinte a risolvere le cose onnipotenti, ed è un modo magico. Non è bene e male, ma bisogno di risolvere le cose e il bisogno di risolvere non arriva necessariamente dal fatto che uno è cattivo ma perché la realtà mette a dura prova.

Uno dei mali per cui ci si lascia sedurre dalle fantasie onnipotenti è la mancanza di fiducia. Nel film tutte le persone che transitano da Mefistofele hanno in questa persona una fiducia incondizionata, è come se avessero bisogno di una presenza salvifica, come se avessero bisogno di qualcuno a cui rivolgersi per risolvere il proprio problema.

 

LA MAGIA

Da bambini la magia ha un bel sapore, tra le braccia di mamma e papà permette ai bambini buoni di vedere desideri realizzarsi, quando si diventa grandi e soprattutto quando si combina col male, la magia diventa estremamente inquinante, inquina la festa. All’uomo la magia fa male, la magia della droga, la magia dello stordire il pensiero, il male, il dolore, ecc.

Nel film, ma non solo, ricorrere alla magia per appagare l’istanza onnipotente porta a uno scivolamento progressivo verso il male, perché se si prende consuetudine e confidenza con la magia ciò induce la persona a perdere il senso del limite e le redini di se stessi.

Il problema diventa più grave via via che  il ricorso alla magia diventa abitudine.

 

STRAVOLGIMENTO D’IDENTITÀ

Si può provare a sostituire l’idea del MALE assoluto con un modello più terreno di pratica del male, cioè con il ricorso all’onnipotenza e alla magia, non nel senso che la magia è cattiva, ma nel senso che prevede un modo di procedere che invece che fare i conti con la realtà, fa capo a un seduttore che ti fa credere che puoi raggiungere la meta non rimanendo la persona che sei, che lavora, ma ricorrendo a qualcosa di magico che interviene nella realtà permettendoti di fare un salto radicale dalla condizione in cui tu sei tu, alla condizione che in realtà sei diventato un altro di  categoria superiore, categoria sovrumana.

Ad esempio la signora anziana del film con il marito malato di Alzheimer prima di decidere di non compiere l’azione terribile della bomba è dibattuta in un labirinto di pensieri che stravolgono la sua identità (“chi sono io per ergermi ad onnipotente sia nei confronti del male, ma soprattutto nei confronti del bene”)

Il ricorso alla magia a maggior ragione quando ti fa cambiare lo status e ti porta dalla condizione di chi non può a quella di chi può, ti mette a rischio di sentirti Dio e, se ti senti Dio, ti trovi anche nella condizione di superare i limiti (come anche nel mito di Sisifo).

Tradire se stessi per raggiungere la meta comporta la fregatura che la si raggiunge dopo essersi trasformati in qualcos’altro: ma per poter godere di qualcosa che desideri, occorre essere se stessi.

Olivia Ferrari e Stella Tonelli

Torna all’indice della sezione