Fidati di me

Fidati di me, dice la mamma al suo bambino quando inizia a fare i primi passi lasciandosi andare verso di lei.

Fidarti di me, dice il papà a suo figlio mentre gli insegna a nuotare facendolo galleggiare in mare.

Fidati di me, dice il datore di lavoro ad un ragazzo alla sua prima esperienza.

Fidati di me, dice il carabiniere sporgendosi da un ponte mentre una donna sta per buttarsi.

Fidati di me, dice il pompiere alla persona rimasta sotto le macerie dopo una scossa di terremoto.

Fidati di me, dice il soccorritore in mezzo al mare tenendo la mano al naufrago che scappa dalla povertà e dall’ingiustizia.

Fidati di me, dice il Capitano della nave Trasgressione, navigheremo verso emozioni dimenticate.

Fidati di me, disse Giacomo Leopardi, ti farò amare l’eremo nascosto da alte mura dove poter naufragare in un dolce infinito.

Fidati di me, disse Gesù a Matteo mentre lui contava i denari delle tasse.

Adesso vi fidereste di me?

Salvatore Luci

Cittadinanza Attiva alla Fondazione ClericiReparto LA CHIAMATA

 

 

Salvatore Luci

Violenza di gruppo

Provo a parlare della violenza operata in gruppo. Non ritengo che la violenza di genere meriti un capitolo a parte.

Comincio con l’affermare che il gruppo dà forza, fa sentire potenti, rende capaci di compiere azioni che individualmente non avremmo mai il coraggio, o la viltà, di compiere.

Nel gruppo ci si sente appoggiati, compresi, riconosciuti. Nel gruppo si ritrova un’appartenenza che fa sentire completi, che rimanda un’immagine di noi più forte e solida.

Il gruppo mette in atto una tecnica che in natura viene adottata dai predatori. I lupi cacciano in branco, i leoni pure. Circondano il gregge o la mandria, ne isolano un membro, lo inseguono, lo azzannano e poi lo sbranano.

Penso che tale comportamento apparteneva in origine a tutti gli esseri viventi, quando l’uomo si sentiva, ed era, parte della natura, guidato nelle sue azioni da pulsioni istintive, innate, considerate naturali, esenti da qualsiasi valenza morale.

Poi è subentrata la civiltà. Un po’ per volta la parte razionale dell’uomo si è affiancata alla parte istintuale e l’ha ridimensionata. La proporzione tra le due è andata man mano equilibrandosi, ma in qualche modo la parte istintuale è riuscita ad assicurarsi spazi di espressione socialmente accettati quando non elogiati. Per esempio in guerra quando la presenza di un nemico da sconfiggere e poi sconfitto autorizzava all’uso di atti efferati gratuiti al fine di raggiungere lo scopo, la vittoria. Prova ne è che dagli eventi più lontani di cui si ha memoria storica ai più recenti, lo stupro delle donne del nemico è stato perpetuato senza remore.

La civiltà si è man mano diffusa e ha dato luogo a culture diverse secondo le zone geografiche e le appartenenze religiose e linguistiche, ma non ha influito su questo modello di comportamento.

Anzi, spesso la cultura ha usato gli strumenti razionali in suo possesso per originare ideologie basate sulla violenza e propagandate come vitali.

Mi verrebbe da dire che la violenza di gruppo ha all’origine

  • la negazione di spazi dove l’uomo possa esprimere la sua appartenenza alla natura, negazione perpetrata dalla civiltà
  • il bisogno costante, più o meno consapevole, più o meno colpevole, di crearsi un nemico per andare avanti.

La domanda potrebbe essere: avanti dove?

Sulla violenza di genere

Al gruppo di Bollate, in conseguenza dei fatti recentemente accaduti, durante gli ultimi incontri si è parlato sulla violenza di genere e sugli stupri di gruppo.

Io penso sia una questione complessa in cui si intrecciano fattori diversi, alcuni individuali, alcuni sociali. Tre sono i presupposti che non vanno dimenticati, a mio avviso.

Il primo è che la violenza appartiene all’essere umano per natura; il secondo è che l’essere umano non vive come un anacoreta ma è immerso in un contesto sociale, di cui va cercando approvazione e da cui si aspetta riconoscimento; il terzo è che ogni azione viene compiuta alla ricerca del piacere.

È attraverso l’educazione che impariamo a controllare gli istinti, le pulsioni e i desideri e a dare loro un’espressione socialmente accettabile.

Secondo me, tale educazione al controllo manca, manca la condivisione di un modello umano e sociale consapevole che tale controllo è necessario.

Se parliamo di violenza di genere io credo che alla base ci sia la conquista da parte della donna di un ruolo sociale che le riconosce diritti sul piano giuridico e capacità apprezzabili in ogni ambito, magari diverse da quelle dell’uomo ma comunque preziose. L’uomo si sente sminuito, meno necessario, confuso e incerto su quale debba essere il suo nuovo contributo sociale. L’uomo ha perso potere, un potere che prima gli veniva riconosciuto a prescindere, per il fatto di essere un maschio, e che ora deve in un certo senso meritare. Dunque l’uomo ha paura.

A questo si aggiunge un cambiamento dei costumi sessuali, (qualcuno parla di liberazione io sarei più cauta nell’uso del vocabolo ) che non aiuta. La donna rivendica una parità di espressione sentimentale e sessuale paritaria e non è più disposta a sottostare all’egemonia dell’uomo. L’uomo si sente messo in discussione anche sul ruolo e sui comportamenti che attengono al rapporto di coppia. Dunque, di nuovo, l’uomo ha paura. E reagisce con la violenza.

Se a questo quadro aggiungiamo l’uso fuori controllo dei social media:

  • che danno anche ai bambini libertà di accesso a siti e contenuti pornografici (che farebbero arrossire i frequentatori di case di piacere di una volta);
  • che sono comunque basati su una rappresentazione dei ruoli sociali e sentimentali appartenenti a una cultura patriarcale, per usare un aggettivo gentile;
  • che sono anche caratterizzati da un generico ribellismo che fa credere ogni protesta legittima, giustificata e giustificabile,

otterremo a mio parere una parte della risposta.

Manca l’educazione sessuale, manca l’educazione sentimentale, ma soprattutto manca l’educazione in senso lato, un’educazione che insegni a raccogliere dati, informazioni che consentano di comprendere ciò che si legge, ciò che si vede, ciò che si ascolta, ciò che si vive, ciò che si desidera.

Uomini e donne

Un futuro possibile

Un futuro esiste pure per me
Sono prigioniero in un circolo
vizioso che sembra un vicolo
non vivevo senza te.

In continuazione solamente insoddisfazione
prendevo solo sostanze cariche di illusioni
Se scrivo questi versi
ci scrivo nuove direzioni.

La sofferenza vive dentro di me
prima non sapevo perché
Ora scrivo le rime che
trasformano la sofferenza in me

Ora dimmi se ha senso vivere.
Io lotto qua per riemergere
con il desiderio di vincere.
Ti giuro non voglio più perdere.

Hamadi El Makkaoui

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

La maschera dell’inganno

Ci penso e rimane solo frustrazione
potevo impedire l’autodistruzione.
Non c’è finzione non sono tranquillo
Quello che provavo non riuscivo a dirlo.

Arrivano i problemi mi potevo abbattere
la mia soluzione era metterci carattere,
togliere le maschere se voglio cambiare
per tentare di dirti ciò che so provare.

Mi sveglio con te ma non so darti me stesso
Ciò che vedi è un pezzo di me.
Non posso darti l’intero riflesso
senza mostrarti il peggio di me.

La droga fa volare, è solo un’illusione
sentirsi leggero fra queste persone.
L’effetto finisce e torno nel limbo
Fra il sentirmi vero e l’essere finto.

Svendere la propria verità per le loro smancerie
Ora chiuso in gabbia senza scacciasogni
sento i miei sogni svanire
La mia vita è maledetta, la mia penna è stregata.

Hamadi El Makkaoui

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

La realtà sdoppiata

La sera è arrivata
la mia vita è sfortunata
la mia anima logorata.
Provo a volare al di là.

Lacrime di disperazione
lacrime di liberazione,
del dolore che ho causato
resta questa storia qua.

La luce è spenta
prendo tutta la boccetta.
Ma la corda che si spezza
mi ha lasciato ancora qua.

Si sdoppia le realtà
rimane fuori la felicità.
Alle spalle il paradiso
ora solo lacrime sul mio viso.

Tutto traumatico.
Nella testa solo il panico.
Sono ai margini della società
ma non si è soli in questa realtà.

Hamadi El Makkaoui

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

Il rumore della libertà

Carissimo prof., mi auguro di trovarla in ottima forma sia fisica che morale.  Come siamo rimasti nella nostra telefonata nel giorno della mia uscita per permesso premio, eccomi a lei per raccontarvi la mia emozione dopo 33 anni di non vita. Sì, perché uno stupido come me, che ha buttato la sua intera vita dentro ad un carcere per 33 anni, non ha vissuto veramente.

Prof., non sono tanto certo che si possa capire con una lettera quello che ho sentito dentro di me quando ho messo il piede fuori dall’ultimo cancello che mi separava dalla libertà. Era come andare sulla Luna e mettere il piede sulla Luna. Ma la cosa strana è che percorrendo le strade in auto con mio figlio, mi accorgevo che anche i vicoli di Napoli più degradati, i più tristi, i più bui dove nemmeno il Sole entra, agli occhi miei erano tutti belli. E sì, dopo 33 anni chiuso in un carcere, giustamente dico oggi, anche le cose più brutte ti appaiono belle.

Ma quello che mi ha fatto piangere come un bambino è stato il dolce suono che si crea quando stai a tavola per cenare. Ma prima che vi racconto di questa grande emozione, dovete sapere che io per 33 anni ho mangiato il cibo con piatti di plastica e posate di plastica. Ora vi chiederete: “E questo cosa c’entra con i miei 33 anni di carcere?”. C’entra, c’entra e ora ve lo spiego.

Il vivere da detenuto è un vivere maligno, un vivere da uomo inutile, lontano perfino da un piccolissimo rumore proveniente dalla libertà. E come vi dicevo sopra, mi sono emozionato nel sentire un dolce rumore che si crea quando il cucchiaio di ferro tocca con dolcezza il fondo del piatto di porcellana. E questo dolce e piccolissimo rumore è stato con me fino all’età di 26 anni! Poi un giorno è arrivato il conto dei miei sbagli. Sono stato arrestato e portato via da questo piccolissimo e dolce suono. Attenzione: arrestato per i miei crimini, e non per non avere fatto nulla!

Avevo creduto che quello che facevo mi dava onore e dignità. Ma dopo un po’, ho capito che non era vero niente. No, non ci cadete in questa trappola senza uscita.

Mi rivolgo a tutti i ragazzi che vivono come vivevo io. Credetemi ragazzi miei, l’onore e la dignità li trovate tra le piccole cose. Io dopo 33 anni ho ritrovato quel piccolissimo, dolce rumore tra il cucchiaio di ferro e il piatto di porcellana. Non mi capite vero? Sarò più diretto. Tutte le mafie sono un grande e unico tumore maligno. Vi prego, non fate la mia stessa fine che solo dopo 33 anni di carcere ho risentito quel dolce e piccolissimo rumore…   Il rumore della libertà.

Con tutto il mio cuore,

Giuseppe Amendola

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

Un piccolo albero

Personalmente, credo che tutti abbiamo delle fragilità, dovute ad una situazione, ad un periodo della nostra vita o alle paure che ci portiamo dentro fin da bambini.

Siamo fragili quando qualcosa dentro di noi si rompe e ci troviamo in difficoltà, siamo fragili quando diventiamo cattivi ed aggressivi per una sorta di difesa al limite del buon senso. Crediamo di essere noi a decidere, ma il più delle volte sono le nostre insicurezze e fragilità.

La mia fragilità, dalla quale ho sempre tenuto le distanze, mi ha portato a fare scelte di vita sbagliate, esaltando quello che di più brutto faceva parte del mio animo e della mia natura, tutto per non essere un piccolo albero in balia del vento che rischiava di spezzarsi nella foresta della vita.

Sembra un controsenso, ma la fragilità prende il sopravvento su di noi con una forza immensa nei momenti più duri, la vulnerabilità diventa roccia, devi resistere, e così nascondi la fragilità dentro quello che non vorresti essere o dentro quello che vuoi far credere di essere.

Giuseppe Di Matteo

Cittadinanza Attiva alla Fondazione ClericiReparto LA CHIAMATA

A scuola mi addormento

Quest’anno ci è stata assegnata la cattedra di Cittadinanza Attiva. Cattedra originale, visto che il docente della cattedra è l’intero Gruppo della Trasgressione, comprensivo di detenuti e studenti in tirocinio.

Il primo giorno è stato impegnativo e, a giudicare dalla fatica, si prevede un anno difficile; d’altra parte, a giudicare dai risultati, l’anno appena avviato sembra anche promettente.

Ecco il primo testo:

A scuola mi addormento
La scuola non serve a un cazzo
Dentro a 4 mura di cemento
Mi sento ogni giorno diventare pazzo

Prima di entrare a scuola fumo una bomba
Mi rilasso in terza in pace come una colomba

In questo casino mi fa male la testa
Quando faccio musica mi sento in festa

In 15 gatti guardando fuori dalla finestra
Senza ancora un obiettivo in testa

Jeorge Vincente Quinde

Il Gruppo della Trasgressione

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

 

 

La paura di perderti

Ho paura di perderti mentre dormo.
Non partire, senza avvertirmi.
Dimmi tu addio, che a me dirlo non riesce.
Morire è facile,
perderti è difficile.
Ho capito cosa sei per me quando ho capito di poterti perdere. Non vorrei mai perderti.
Quindi resta, ti prego resta per sempre.
Non andartene, mamma, senza avvertirmi.

Amin

L’infinito senza stelle