Materiali per Denaro Falso

Abbiamo trovato 9 classi (di licei ma anche di istituti professionali) per dare forma – dentro le mura del carcere di Opera e Bollate – ad una singolare ricerca sul delitto e le sue molteplici conseguenze, dialogando insieme a chi ne ha già commessi parecchi e chi ne ha subiti alcuni.

Dopo la nostra lettera di invito, ecco le candidature che sono state accettate:

II G liceo classico (Tito Livo, Milano)
III liceo delle scienze umane (B. Melzi, Legnano)
III liceo socio economico (B. Melzi, Legnano)
IV A liceo scientifico sportivo (Leone XIII, Milano)
IV A liceo delle scienze applicate (E. Torricelli, Milano)
IV C liceo delle scienze applicate (E. Torricelli, Milano)
IV B istituto tecnico informatico (E. Torricelli, Milano)
IV G liceo scientifico (Einstein, Milano)
V istituto professionale per la sanità e l’assistenza sociale (B. Melzi, Legnano)

Qui troverete il calendario degli incontri in carcere e i materiali per seguire la nostra ricerca anche a distanza. Ulteriori informazioni anche sulla pagina Instagram de “Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine”

Simboli per il dramma di Corinto

Le immagini, ottenute con l’aiuto dell’AI, sono elaborazioni dei simboli ideati dagli studenti del Pesenti di Bergamo per rappresentare il conflitto tra gli dei dell’olimpo e i cittadini di Corinto, i potenziali sviluppi e, non da ultimo, alcune delle possibili soluzioni ideali per superare il conflitto tra insegnanti e studenti, tra autorità e cittadini e, più in generale, tra adolescenti e adulti.

La siccità che ha messo a dura prova tutta la città ha anche indotto Sisifo, re di Corinto, a sviluppare verso il dio dell’acqua Asopo, verso Giove, capo tra tutte le divinità dell’Olimpo e, in generale, verso tutte le “divinità/autorità dell’Olimpo”, un rancore che ne ha condizionato fortemente le scelte e che lo ha portato a sviluppare l’arroganza cui Giove risponderà con la famosa punizione/vendetta del masso.

 


Bergamo: Giornata conclusiva dell’iniziativa su “Approcci utili per i conflitti tra insegnanti e studenti“. Sul palco la preside dell’istituto, prof.ssa Veronica Migani, Angelo Aparo, Matteo Manna del Gruppo Trsg, e gli studenti del Pesenti Kushal Bagha, Gabriel Billeci e Adam Haqhaqi.

«Ragazzi, dopo il risultato ottenuto con la vostra rappresentazione del mito di Sisifo nel carcere di Opera, oggi vi propongo una cosa non facile. Cioè interrogarci su cosa può vivere un adolescente che non si sente aiutato o sostenuto nella sua crescita e nella ricerca del proprio futuro. È una sfida impegnativa. La mia proposta è quella di ideare un simbolo che rappresenti ciò di cui voi sentite di aver bisogno, quello che vi sembra necessario avere dal mondo degli adulti per fare la vostra strada.

Vorrei anche riuscire a concepire un simbolo che rappresenti l’idea di una comunità eterogenea, composta da persone provenienti da diverse parti del mondo (come siete già voi stessi), ma unite da un obiettivo comune: costruire il mondo di domani, cioè il mondo in cui vivrete da adulti. Come l’acqua che mancava a Corinto, questo simbolo deve indicare una risorsa essenziale, vitale. Abbiamo l’esigenza di costruire un mondo capace di tener conto della diversità e di un simbolo che rappresenti questo obiettivo. Vi invito a realizzarlo senza risparmiare mezzi, mettendo in campo tutta la vostra creatività e passione. Questo simbolo potrà diventare il segno distintivo della vostra scuola e una testimonianza concreta di ciò che siete in grado di fare»

Angelo Aparo

Mohamed Ounnas e Angelo Aparo lottano per avere il poco che resta dell’acqua a Corinto.

 

Adam Haqhaqi: Immagino un Giove sconfitto, che tenta invano di stringere tra le mani una bilancia simbolo del suo potere. Attorno a lui, un gruppo di adolescenti, provenienti da ogni angolo del mondo, unisce le forze per sfidare e abbattere un’autorità ormai priva di credibilità.

 

Marwan Toukami: Immagino una marionetta, strettamente controllata dall’autorità e dal potere, che si dimena con tutte le sue forze per spezzare i fili e liberarsi dal giogo del controllo.

 

Ranbir Singh: Vedo degli adolescenti, provenienti da culture e origini diverse, lavorano insieme per ridurre il peso del masso. Rappresentano il potere della diversità, dell’inclusione e della collaborazione. Simboleggiano l’importanza della comunità e del supporto reciproco. La loro unione dimostra che, affrontando le difficoltà insieme, il peso del masso diventa più gestibile.

 

Carlo Caroli: Immagino una bandiera italiana, simbolo di accoglienza e unità, su cui sono cucite le bandiere dei paesi d’origine degli adolescenti che studiano nella nostra scuola. Un mosaico di colori e identità che racconta storie di integrazione, diversità e speranza.

 

Massimo Rinaldi: Vedo una bilancia sollevata da molte mani, simbolo di unione e forza collettiva. Su uno dei piatti c’è il masso di Sisifo che, mano a mano, diventa leggero come iuna piuma, perché la coscienza condivisa e la forza del gruppo ne riduce il peso.

 

Omar Fouah: Un’aquila maestosa si lancia in picchiata dalla montagna, incarnando potenza e determinazione, mentre un masso, simbolo di oppressione e peso interiore, si trasforma lentamente in una piuma. È la rappresentazione di una coscienza che si alleggerisce, liberandosi dal fardello.

 

Mouhamed Khouma Seydina: Vedo molti studenti di diverse etnie unire le loro forze per spingere insieme un masso verso la cima della montagna. Ogni spinta rappresenta la condivisione della fatica e del sacrificio, uniti dalla determinazione di raggiungere l’obiettivo comune: trasformare quel masso in coscienza, un simbolo di crescita, consapevolezza e collaborazione.

 

Gabriel Billeci: Giovani adolescenti, provenienti da paesi e culture diverse, sostengono insieme un mondo. Sopra di esso si trova un anziano, simbolo di un’autorità credibile, con orecchie enormi, a rappresentare la sua capacità e competenza nell’ascoltare i giovani.

 

Massimo Zanchin, componente del gruppo del carcere di Opera: la moneta di Corinto è la sintesi di due dei tanti possibili percorsi ed esiti del rapporto tra adolescente e adulto, studente e insegnante, cittadino e autorità pubbliche, detenuto e figure istituzionali.

Il mito di Sisifo

Sisifo al Pesenti di Bergamo

  • Sisifo ascolta i contadini che si lamentanao della siccità. In questo caso, il re di Corinto, assistito da due dei suoi gendarmi, è costretto a respingere gli assalti del contadino Luca, che pretende l'acqua nello stile di un tossicodipendente che non sente ragioni e non riesce a procrastinare.

Le foto, di Lara Giovanelli, riprendono alcune fasi della costruzionne del Mito di Sisifo al Cesare Pesenti di Bergamo. Obiettivo dell’iniziativa era riflettere  con gli studenti e i docenti sui conflitti tra allievi e insegnanti e, più in generale, tra adolescenti e adulti. Le foto finali sono dell’ultima giornata con docenti e studenti.

Il Mito di Sisifo

Cosa mi porto da “Il diritto al rancore”

Penso che più che altro, questo convegno mi abbia lasciato tanta umanità, tanta voglia di cambiamento e, nonostante tutto, tanto amore per la vita.

Il gruppo della trasgressione ha portato i detenuti a riflettere su alcuni aspetti del loro passato, in particolare sul rancore che essi nutrivano nei confronti dell’autorità, un’autorità detestata, ma detestata per dei motivi ben precisi: perché sentita distante e passiva.

L’immagine dell’autorità però può cambiare, può cambiare se si accoglie l’autorità e non la si attacca; essa però deve potersi far accogliere.

Si fa accogliere attraverso persone speciali, come il magistrato  Cossia o il direttore Di Gregorio, si fa accogliere se cerca di capire e comprendere il detenuto, anziché punirlo senza educarlo.

Ed è da questo rapporto che il rancore può sfumare, per lasciare spazio al buono, un buono non buonista, ma educativo e riabilitativo, un buono che, oltre ad abbracci, è capace di dare schiaffi, ma amando e costruendo il futuro dei detenuti insieme a loro.

Educare significa soprattutto responsabilizzare, e sentirsi responsabili fa crescere. I detenuti hanno il desiderio di sentirsi responsabili per dare un segnale al mondo, per ripicca nei confronti della loro vita passata, per sentirsi di nuovo vivi.

Per fare tutto ciò e per mettere in piedi una straordinaria macchina come quella che abbiamo visto ieri ci vuole umanità, e avere umanità significa avere empatia, e avere empatia, in queste cose, significa avere coraggio, ma tanto coraggio, dimostrando che ogni singolo detenuto ha il diritto di avere rancore, e l’autorità ha il dovere di riconoscerlo e il dovere di offrire una nuova strada di vita.

Giole Tofuri

Il diritto al rancore e il paradosso della mente ubriaca

Fidati di me

Fidati di me, dice la mamma al suo bambino quando inizia a fare i primi passi lasciandosi andare verso di lei.

Fidarti di me, dice il papà a suo figlio mentre gli insegna a nuotare facendolo galleggiare in mare.

Fidati di me, dice il datore di lavoro ad un ragazzo alla sua prima esperienza.

Fidati di me, dice il carabiniere sporgendosi da un ponte mentre una donna sta per buttarsi.

Fidati di me, dice il pompiere alla persona rimasta sotto le macerie dopo una scossa di terremoto.

Fidati di me, dice il soccorritore in mezzo al mare tenendo la mano al naufrago che scappa dalla povertà e dall’ingiustizia.

Fidati di me, dice il Capitano della nave Trasgressione, navigheremo verso emozioni dimenticate.

Fidati di me, disse Giacomo Leopardi, ti farò amare l’eremo nascosto da alte mura dove poter naufragare in un dolce infinito.

Fidati di me, disse Gesù a Matteo mentre lui contava i denari delle tasse.

Adesso vi fidereste di me?

Salvatore Luci

Cittadinanza Attiva alla Fondazione ClericiReparto LA CHIAMATA

 

 

Salvatore Luci

Violenza di gruppo

Provo a parlare della violenza operata in gruppo. Non ritengo che la violenza di genere meriti un capitolo a parte.

Comincio con l’affermare che il gruppo dà forza, fa sentire potenti, rende capaci di compiere azioni che individualmente non avremmo mai il coraggio, o la viltà, di compiere.

Nel gruppo ci si sente appoggiati, compresi, riconosciuti. Nel gruppo si ritrova un’appartenenza che fa sentire completi, che rimanda un’immagine di noi più forte e solida.

Il gruppo mette in atto una tecnica che in natura viene adottata dai predatori. I lupi cacciano in branco, i leoni pure. Circondano il gregge o la mandria, ne isolano un membro, lo inseguono, lo azzannano e poi lo sbranano.

Penso che tale comportamento apparteneva in origine a tutti gli esseri viventi, quando l’uomo si sentiva, ed era, parte della natura, guidato nelle sue azioni da pulsioni istintive, innate, considerate naturali, esenti da qualsiasi valenza morale.

Poi è subentrata la civiltà. Un po’ per volta la parte razionale dell’uomo si è affiancata alla parte istintuale e l’ha ridimensionata. La proporzione tra le due è andata man mano equilibrandosi, ma in qualche modo la parte istintuale è riuscita ad assicurarsi spazi di espressione socialmente accettati quando non elogiati. Per esempio in guerra quando la presenza di un nemico da sconfiggere e poi sconfitto autorizzava all’uso di atti efferati gratuiti al fine di raggiungere lo scopo, la vittoria. Prova ne è che dagli eventi più lontani di cui si ha memoria storica ai più recenti, lo stupro delle donne del nemico è stato perpetuato senza remore.

La civiltà si è man mano diffusa e ha dato luogo a culture diverse secondo le zone geografiche e le appartenenze religiose e linguistiche, ma non ha influito su questo modello di comportamento.

Anzi, spesso la cultura ha usato gli strumenti razionali in suo possesso per originare ideologie basate sulla violenza e propagandate come vitali.

Mi verrebbe da dire che la violenza di gruppo ha all’origine

  • la negazione di spazi dove l’uomo possa esprimere la sua appartenenza alla natura, negazione perpetrata dalla civiltà
  • il bisogno costante, più o meno consapevole, più o meno colpevole, di crearsi un nemico per andare avanti.

La domanda potrebbe essere: avanti dove?

Sulla violenza di genere

Al gruppo di Bollate, in conseguenza dei fatti recentemente accaduti, durante gli ultimi incontri si è parlato sulla violenza di genere e sugli stupri di gruppo.

Io penso sia una questione complessa in cui si intrecciano fattori diversi, alcuni individuali, alcuni sociali. Tre sono i presupposti che non vanno dimenticati, a mio avviso.

Il primo è che la violenza appartiene all’essere umano per natura; il secondo è che l’essere umano non vive come un anacoreta ma è immerso in un contesto sociale, di cui va cercando approvazione e da cui si aspetta riconoscimento; il terzo è che ogni azione viene compiuta alla ricerca del piacere.

È attraverso l’educazione che impariamo a controllare gli istinti, le pulsioni e i desideri e a dare loro un’espressione socialmente accettabile.

Secondo me, tale educazione al controllo manca, manca la condivisione di un modello umano e sociale consapevole che tale controllo è necessario.

Se parliamo di violenza di genere io credo che alla base ci sia la conquista da parte della donna di un ruolo sociale che le riconosce diritti sul piano giuridico e capacità apprezzabili in ogni ambito, magari diverse da quelle dell’uomo ma comunque preziose. L’uomo si sente sminuito, meno necessario, confuso e incerto su quale debba essere il suo nuovo contributo sociale. L’uomo ha perso potere, un potere che prima gli veniva riconosciuto a prescindere, per il fatto di essere un maschio, e che ora deve in un certo senso meritare. Dunque l’uomo ha paura.

A questo si aggiunge un cambiamento dei costumi sessuali, (qualcuno parla di liberazione io sarei più cauta nell’uso del vocabolo ) che non aiuta. La donna rivendica una parità di espressione sentimentale e sessuale paritaria e non è più disposta a sottostare all’egemonia dell’uomo. L’uomo si sente messo in discussione anche sul ruolo e sui comportamenti che attengono al rapporto di coppia. Dunque, di nuovo, l’uomo ha paura. E reagisce con la violenza.

Se a questo quadro aggiungiamo l’uso fuori controllo dei social media:

  • che danno anche ai bambini libertà di accesso a siti e contenuti pornografici (che farebbero arrossire i frequentatori di case di piacere di una volta);
  • che sono comunque basati su una rappresentazione dei ruoli sociali e sentimentali appartenenti a una cultura patriarcale, per usare un aggettivo gentile;
  • che sono anche caratterizzati da un generico ribellismo che fa credere ogni protesta legittima, giustificata e giustificabile,

otterremo a mio parere una parte della risposta.

Manca l’educazione sessuale, manca l’educazione sentimentale, ma soprattutto manca l’educazione in senso lato, un’educazione che insegni a raccogliere dati, informazioni che consentano di comprendere ciò che si legge, ciò che si vede, ciò che si ascolta, ciò che si vive, ciò che si desidera.

Uomini e donne

Un futuro possibile

Un futuro esiste pure per me
Sono prigioniero in un circolo
vizioso che sembra un vicolo
non vivevo senza te.

In continuazione solamente insoddisfazione
prendevo solo sostanze cariche di illusioni
Se scrivo questi versi
ci scrivo nuove direzioni.

La sofferenza vive dentro di me
prima non sapevo perché
Ora scrivo le rime che
trasformano la sofferenza in me

Ora dimmi se ha senso vivere.
Io lotto qua per riemergere
con il desiderio di vincere.
Ti giuro non voglio più perdere.

Hamadi El Makkaoui

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

La maschera dell’inganno

Ci penso e rimane solo frustrazione
potevo impedire l’autodistruzione.
Non c’è finzione non sono tranquillo
Quello che provavo non riuscivo a dirlo.

Arrivano i problemi mi potevo abbattere
la mia soluzione era metterci carattere,
togliere le maschere se voglio cambiare
per tentare di dirti ciò che so provare.

Mi sveglio con te ma non so darti me stesso
Ciò che vedi è un pezzo di me.
Non posso darti l’intero riflesso
senza mostrarti il peggio di me.

La droga fa volare, è solo un’illusione
sentirsi leggero fra queste persone.
L’effetto finisce e torno nel limbo
Fra il sentirmi vero e l’essere finto.

Svendere la propria verità per le loro smancerie
Ora chiuso in gabbia senza scacciasogni
sento i miei sogni svanire
La mia vita è maledetta, la mia penna è stregata.

Hamadi El Makkaoui

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

La realtà sdoppiata

La sera è arrivata
la mia vita è sfortunata
la mia anima logorata.
Provo a volare al di là.

Lacrime di disperazione
lacrime di liberazione,
del dolore che ho causato
resta questa storia qua.

La luce è spenta
prendo tutta la boccetta.
Ma la corda che si spezza
mi ha lasciato ancora qua.

Si sdoppia le realtà
rimane fuori la felicità.
Alle spalle il paradiso
ora solo lacrime sul mio viso.

Tutto traumatico.
Nella testa solo il panico.
Sono ai margini della società
ma non si è soli in questa realtà.

Hamadi El Makkaoui

Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici