Un’occasione per riflettere

L’esperienza al carcere di Opera è stata unica. Non pensavo che sarebbe stato così interessante. Partecipare all’incontro dentro il carcere mi ha messa di fronte a storie difficili, vere, raccontate da chi ha commesso errori gravi, ma ha anche deciso di affrontarli con coraggio.

Nel Gruppo della trasgressione ci sono detenuti, studenti, volontari e professionisti. Insieme abbiamo parlato di legalità, responsabilità, libertà e cambiamento. Nessuno giudica, ma ognuno è chiamato a guardarsi dentro. All’inizio mi sentivo un po’ fuori posto, poi ho capito che ascoltare e parlare con sincerità era l’unico modo per crescere e ambientarsi davvero.

Un momento che mi ha colpita molto è stato quando uno dei detenuti ha raccontato come, nel tempo, è riuscito a vedere il male che aveva fatto e a provare davvero a cambiare. Non è stato facile per lui, e non lo è neanche per noi. Ma in quel cerchio di persone così diverse, ho sentito nascere un senso di umanità e rispetto profondo.

Questa esperienza mi ha insegnato che il carcere non deve essere solo punizione, ma anche occasione per riflettere e migliorarsi. Ne sono uscita diversa, più consapevole, più attenta a quello che faccio e a come guardo gli altri.

Giorgia Di Bari
III liceo socio economico,
Istituto B. Melzi Legnano

DENARO FALSO

Denaro falso e il peso delle scelte

La visita al carcere di Opera è stata una delle esperienze più forti e significative che abbia mai vissuto. Appena siamo entrati, ho sentito una strana sensazione: tutto era diverso da ciò che sono abituata a vedere. Le porte pesanti, i controlli, le guardie, le mura, il 41 bis….., sembrava di entrare in un altro mondo. All’inizio eravamo un po’ tesi e silenziosi. Non sapevamo bene cosa aspettarci, ma presto abbiamo avuto modo di ascoltare storie vere, raccontate direttamente da chi vive lì dentro. Alcuni detenuti ci hanno parlato del loro passato, delle scelte sbagliate che li hanno portati in carcere.

È stato difficile immaginare che quelle persone, che ci parlavano con calma e con tono amichevole, avessero commesso reati anche molto gravi, come lo spaccio o addirittura l’omicidio. Una delle cose che mi ha colpito di più è stato sentire i pareri contrastanti su quanto effettivamente lo Stato, la reclusione e la giurisprudenza aiutino o meno i detenuti.

Molti di lorodicevano che la vita all’interno di un carcere li ha aiutati a prendere strade diverse. Per molti altri, invece, la reclusione non serve per cambiare il proprio pensiero e le proprie sorti, una volta usciti dal carcere.

E questi pareri così contrastanti tra loro, provenienti dallo stesso gruppo, mi stupiscono molto. Un altro fatto che mi ha fatto molto pensare è che molti detenuti ci hanno raccontato quanto sia difficile ricominciare. Anche volendo cambiare, fuori dal carcere è complicato trovare lavoro o essere accettati, soprattutto se hai un passato difficile o problemi di dipendenza.

Questa esperienza mi ha fatto capire che dietro ogni errore ci sono delle persone, delle storie, dei dolori. Non si tratta di giustificare ciò che hanno fatto, ma di ascoltare, cercare di capire e riflettere. Mi ha anche fatto sentire fortunata per la mia vita e mi ha ricordato che ogni scelta, anche piccola, può cambiare tutto.

Ginevra Maria Raguso
III liceo socio economico,
istituto B. Melzi Legnano

DENARO FALSO

Denaro Falso col Leone XIII

Restituzione progetto Denaro falso Leone XIII – contributo docenti

Il romanzo scelto per impostare il lavoro è stato parecchio apprezzato dai ragazzi, risultando scorrevole e di semplice lettura. È stata necessaria la mediazione dei docenti in classe per poter concettualizzare la riflessione sulla giustizia. In tal senso sono stati molto utili e proficui gli spunti offerti dagli organizzatori: personalmente li ho trovati abbastanza indicativi senza essere troppo vincolanti, quindi adatti alla fase preliminare del lavoro.

L’incontro con i detenuti, grazie anche alla mediazione accorta del magistrato, dello psicologo e dei parenti delle vittime, è stato di sicuro il momento che più ha colpito i ragazzi dal punto di vista umano. La maggior parte di loro – e io mi trovo pienamente d’accordo – ha riconosciuto l’incontro come un momento di condivisione autentica, dal quale è emerso il valore dell’elaborazione del vissuto personale nella ricostruzione di un senso per la propria vicenda. D’altra parte i detenuti hanno anche segnalato che solo una piccola parte di essi segue un percorso di questo tipo, o può farlo, alludendo alla condizione misera della maggior parte di loro e al valore ancora per lo più retributivo della pena carceraria in Italia. In questo senso, gli interventi del magistrato e dello psicologo hanno aiutato a tenere presente che ‘lo strappo’ che le colpe dei detenuti hanno prodotto non deve essere mai banalizzato, né perso di vista, pena lo svilimento del percorso di recupero per tutte le parti coinvolte.

Personalmente ho trovato questo dialogo – talvolta piacevolmente acceso e provocatorio – un prezioso momento di riflessione: mi ha aiutato a ricordare la complessità della realtà della condizione dei detenuti, che spesso siamo tentati di descrivere sommariamente con etichette generiche e luoghi comuni; in particolare, mi ha colpito come un’autentica ed efficace collaborazione tra parti diverse della società sia riuscita laddove la macchina legale si perde.

Lo strappo viene effettivamente ricucito, sanando la ferita che ha portato non solo nei detenuti, ma anche nelle famiglie delle vittime. L’idea che si possa superare il rancore e l’odio verso chi ci ha portato via chi amiamo mi pare uno dei messaggi più provocatori dell’esperienza, e in effetti è stato uno dei più menzionati anche nella restituzione in classe dei ragazzi.

Grazie di cuore di averci coinvolti nel progetto,

Prof. Michele Genovese
Istituto Leone XIII

DENARO FALSO

Giove, un vero stronzo

Durante il percorso condotto dal Dott. Aparo (con visita al carcere di Opera), abbiamo lavorato sul mito di Sisifo per affrontare in modo simbolico il tema della dipendenza da droghe, collegata spesso al distacco dalla figura genitoriale.

Il mito parla di un uomo condannato a spingere un masso su per una montagna per l’eternità, solo per vederlo rotolare di nuovo a valle. Questo gesto assurdo, ripetitivo, è diventato il simbolo della dipendenza, della fatica inutile e distruttiva in cui mi sono riconosciuto.

Abbiamo visto in Sisifo non solo il condannato, ma anche l’uomo che si ribella, che prende coscienza della propria condizione e trova nella consapevolezza una dignità. lo, in particolare, ho interpretato Giove, il re degli dèi, colui che infligge la punizione a Sisifo.  L’ho rappresentato come un dio arrogante, indifferente, concentrato solo sui propri piaceri e completamente distaccato dalla sofferenza umana.

Un vero stronzo, per dirla senza filtri.

E in quel Giove ho rivisto tante figure “genitoriali” nella vita reale: assenti, egoiste, incapaci di vedere davvero i figli, le loro richieste d’aiuto, i loro crolli. E quando non c’è nessuno che ti guarda con amore, è facile cercare conforto nelle droghe, che almeno per un po’ sembrano riempire quel vuoto.

Questo progetto non ha dato risposte facili, ma ci ha aiutato a fare domande vere. A capire che forse non possiamo cancellare il passato, ma possiamo smettere di spingere il masso per conto di qualcun altro. Possiamo cominciare a farlo per noi, per il senso che decidiamo di dare alla nostra vita.

Carlo Caroli

Il mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

La siccità a Corinto

In questo anno scolastico io e la mia classe abbiamo partecipato a degli incontri con il Dott. Aparo, dove abbiamo recitato e compreso il mito di Sisifo. Abbiamo affrontato temi profondi come la piaga delle droghe ma anche il controllo della rabbia nei confronti dei genitori o di un adulto.

Il mito si conclude facendo capire che ogni azione ha una conseguenza, in questo caso il protagonista Sisifo fu condannato per l’eternità a dover spingere un masso (la sua coscienza) su per una montagna.  Una fatica inutile e sfiancante dovuta alle sue decisioni. Questo gesto continuo gli ha fatto capire i suoi errori ed acquistare la consapevolezza per ciò che aveva fatto.

Ho interpretato un uomo che aveva bisogno di acqua per portare avanti l’attività agricola. Era come se ne fossi dipendente e senza di quella non riuscivo a sopravvivere, però non comprendevo la difficoltà che avesse il Re di Corinto nel fare questa domanda agli Dei. Infatti lo attaccai incessantemente e, forse grazie anche al mio personaggio, riuscimmo ad avere l’acqua per l’eternità.

Nel mito e durante gli incontri è emersa più volte la figura genitoriale inesistente o autoritaria. In conseguenza di questo problema molti giovani trovano conforto nelle droghe o nella violenza. La società moderna sta lentamente cadendo a pezzi, il problema non è stato causato da noi ragazzi, ma dai nostri genitori che non ci sono stati vicini durante la crescita.

È stato un progetto tosto da comprendere fino in fondo, però grazie all’ausilio del mito lo si è capito molto più chiaramente.

Ero titubante se iniziare a fare questo percorso perchè mi sembrava una totale perdita di tempo, ma con il passare degli incontri ho capito che un fondo di verità c’è e non bisogna soffermarsi solamente all’apparenza.

Mi mette a disagio parlare davanti ai miei compagni figuriamoci davanti alle telecamere, questa mia paura non l’ho ancora superata.

Nicola Caccia

Il mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

Thanatos, il mio personaggio

Mi chiamo Rinaldi Massimo e voglio raccontare la mia esperienza con il gruppo della trasgressione. Questo progetto non è stato solo il recitare una parte, ma capire il significato dell’arroganza, che nasce dalla mancanza di fiducia nei confronti degli adulti e che gli adolescenti trasformano in rabbia e mancanza di rispetto per le autorità, che può portare il ragazzo a diventare prepotente nei confronti di tutti per essere accettato e rispettato nel gruppo dei coetanei.

Il mio personaggio: THANATOS
Non nascondo che questa parte è stata molto difficile da capire più che recitare, perché Thanatos (il dio della morte) è stato sempre usato dagli dei superiori per ammazzare le persone che davano fastidio o mancavano di rispetto agli dei.

In realtà lo scopo di Thanatos era di far capire ai mortali che loro non sono immortali e che la loro vita un giorno finirà e di vivere la vita nel migliore dei modi senza essere arroganti. E dopo aver capito questa cosa Thanatos cominciò a vivere conflitti interiori per i sensi di colpa e per il fatto di essere stato usato per anni.

Recita al carcere di Opera
La recita  al carcere di Opera è stata un’esperienza molto bella e molto formativa, anche avendo conosciuto i carcerati ed averci recitato insieme.

Conclusione
Questa esperienza per me è stata molto bella e importante e la rifarei con piacere, e sarebbe molto bello che anche le altre classi possano partecipare ed interessarsi a questo progetto. Mi ha fatto crescere, ha arricchito il mio bagaglio personale e mi ha fatto conoscere persone fantastiche.

Massimo Rinaldi

Il mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

 

Sisifo e il Gruppo della Trasgressione

Durante questo progetto Io e i miei compagni abbiamo lavorato sul mito di Sisifo con il Gruppo della Trasgressione. È la storia di un Re condannato a spingere un masso su per una montagna, ma ogni volta che arriva in cima, il masso rotola giù e lui deve ricominciare dall’inizio a spingerlo. All’inizio mi sembrava solo una storia assurda e un po’ triste fatta così, senza motivo. Poi però, parlando con il gruppo, ho capito che parla anche di noi, delle fatiche quotidiane, delle cose che sembrano inutili ma che in realtà hanno un senso se ci mettiamo qualcosa di nostro. Questo mito ci insegna che anche quando la vita sembra ripetitiva o difficile, possiamo trovare significato nelle nostre scelte.

Con il gruppo della trasgressione del Dott. Aparo l’esperienza è stata davvero forte. Non è una cosa che capita tutti i giorni o a tutti: andare in carcere, parlare con persone che hanno commesso reati, ma che ora vogliono cambiare. Lì dentro, ho visto umanità, verità, fatica, ma anche voglia di migliorare. Mi ha colpito quanto fossero sinceri e quanto si mettessero in gioco. Mi ha fatto riflettere molto su cosa vuol dire sbagliare, perdonarsi, e prendere responsabilità per la propria vita.

Recitare insieme è stato bellissimo. All’inizio avevo tanta ansia. Avevo paura di sbagliare, di bloccarmi, di non essere all’altezza. Ma poi mi sono lasciato andare, mi sono sentito ascoltato e parte di qualcosa di più grande. È un’emozione difficile da spiegare, ma mi ha fatto sentire vivo. E poi, finire in TV grazie a questo progetto è stato pazzesco. Mai avrei pensato che una cosa del genere potesse succedere a me.

Cosa ho imparato?
Ho imparato che tutti possiamo cambiare. Che sbagliare è umano, ma non basta pentirsi: bisogna fare qualcosa per riparare. Ho imparato a mettermi in gioco, a non giudicare troppo in fretta, a fidarmi degli altri e anche un po’ di me stesso.

Consiglierei questa esperienza?
Sì, la consiglierei a chiunque abbia voglia di crescere, di uscire dalla propria zona di comfort e di aprire gli occhi su realtà che spesso ignoriamo. Come io prima pensavo detenuto=cattivo, ma in realtà ogni persona è diversa, ha sentimenti, ha motivi e non é sempre nelle nostre mani scegliere come devono andare le cose. È un’esperienza che ti segna, in senso positivo.

Continuerò a partecipare al gruppo?
Sì, assolutamente. Perché mi fa stare bene, mi fa sentire utile, e ogni incontro è un’occasione per imparare qualcosa di nuovo. Non è solo un progetto, è un cammino che voglio continuare a fare.

Kushal Bagha

Il mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

Dolori, Percorsi, Orizzonti

immagine di Andrea Spinelli per la diretta SkyTG24 Live In MIlano del 4/5/2025 (per gentile concessione)

Il 3 settembre 1982 Paolo Setti Carraro ha perso sua sorella Emanuela, uccisa dalla mafia a Palermo.

A partire da settembre 2013, una decina di Familiari di vittime della criminalità organizzata che si riconoscono nell’Associazione Libera iniziano a riunirsi presso il Centro per la giustizia riparativa del Comune di Milano. Intraprendono un lungo e faticoso percorso che li ha aiutati a riconoscere il proprio dolore, chiamandolo finalmente per nome. Dopo alcuni anni, Marisa Fiorani è la prima – nel marzo 2017 – a chiedere di “incontrare il dolore dell’altro”, in un nuovo viaggio che l’ha portata dentro il carcere di Opera, il 7 settembre 2016.

Qualche anno dopo Paolo decide, insieme a Marisa, di partecipare in maniera stabile agli incontri del Gruppo della Trasgressione che si tengono ogni mercoledì proprio in quel carcere. Nel giugno del 2013, Paolo ha scritto una lettera aperta – quasi un bilancio interiore dopo i primi  365 giorni così trascorsi – nella quale ogni parola è pesata e ogni forma misurata. Parole come  quelle che gli abbiamo sentito pronunciare mercoledì pomeriggio in diretta nazionale su skytg24, per riaffermare che “è il cambiamento osservato e praticato a soddisfare l’umano bisogno di dare un senso ed un valore al dolore comune”:

Incontri con le vittime

L’arroganza

Durante quest’anno scolastico, in cui mi sono trovato in un ambiente nuovo con compagni di classe che non conoscevo, ho vissuto numerose esperienze significative che mi hanno insegnato molto. Tra tutte, quella che mi ha colpito di più è stata senza dubbio il percorso svolto con il Dottor Aparo.

Abbiamo partecipato a circa dodici incontri, ma la loro intensità e profondità li hanno resi molto più di semplici lezioni: sono stati momenti di crescita personale, che mi hanno lasciato qualcosa di prezioso e utile per la vita.

Il Dottor Aparo ci ha introdotto nel complesso mondo della carcerazione e ci ha spiegato il suo lavoro a stretto contatto con i detenuti. Il suo obiettivo è aiutarli a reintegrarsi nella società, partendo da un processo di analisi psicologica dei loro sentimenti. Una missione tutt’altro che scontata, poiché purtroppo non tutte le carceri italiane offrono la possibilità di un dialogo umano e costruttivo con figure come la sua.

Questa esperienza mi ha profondamente colpito, anche perché il mondo della criminalità e della detenzione è sempre stato, fortunatamente, molto lontano dalla mia realtà. Prima di questo percorso avevo dei pregiudizi e una visione piuttosto rigida su queste persone, ma grazie alle parole e agli insegnamenti del Dottor Aparo ho cominciato a capire meglio le radici di certe scelte sbagliate e le difficoltà che molte persone affrontano.

Uno dei temi centrali del corso è stato l’arroganza, un concetto che conoscevo in modo superficiale, ma che ho scoperto avere conseguenze molto più profonde di quanto pensassi. Attraverso il mito di Sisifo, il Dottor Aparo ci ha fatto riflettere sul peso delle scelte, sull’orgoglio e sull’importanza del cambiamento. Abbiamo anche avuto l’occasione di mettere in scena la storia di Sisifo, interpretando i personaggi e coinvolgendoci attivamente: è stato un momento intenso ma anche molto divertente.

Uno dei momenti più forti ed emozionanti è stata la visita al carcere di Opera, in provincia di Milano. Lì abbiamo recitato davanti ai detenuti, ed è stata un’esperienza toccante, che porterò sempre con me.

Mi ritengo fortunato ad aver conosciuto una persona come il Dottor Aparo: ha una personalità incredibile, è capace di trasmettere concetti profondi in modo semplice e diretto, e soprattutto è una persona autentica.

Sono anche molto grato al professor Tallarico, che ci ha dato questa opportunità unica. Senza il suo impegno e la sua fiducia, probabilmente non avremmo mai potuto vivere qualcosa di così speciale.

Matteo Oprandi

Il Mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

 

Il masso a testa alta

Mi chiamo Mourad e voglio raccontare un’esperienza che per me è stata molto importante: recitare il mito di Sisifo con il Dottor Aparo e il Gruppo della Trasgressione.

Non si è trattato solo di teatro o di dire qualche battuta a memoria. È stato qualcosa di più profondo. Entrare nel ruolo di Sisifo mi ha fatto pensare a me stesso, alla mia vita e agli errori che ho commesso. Sisifo era un uomo arrogante, furbo, che pensava di poter prendere in giro gli dèi. Ma alla fine ha pagato caro il suo atteggiamento: è stato condannato a spingere un masso su per una montagna, per tutta l’eternità. E ogni volta che arrivava quasi in cima, il masso ricadeva giù, e lui doveva ricominciare da capo.

Vederlo recitare mi ha colpito, perché mi sono riconosciuto in lui. Anch’io sono stato arrogante. Pensavo di essere più furbo degli altri, di poter fare quello che volevo, senza preoccuparmi delle conseguenze. Ma poi le conseguenze sono arrivate, e sono finito in carcere.

All’inizio non capivo. Davo la colpa agli altri. Ma con il tempo, grazie anche al lavoro fatto col Gruppo della Trasgressione, ho iniziato a guardarmi dentro. Ho capito che le mie scelte sbagliate non erano solo errori: erano ferite per gli altri e per me stesso.

Il mito di Sisifo mi ha fatto capire che la vera punizione non è solo il carcere. La vera fatica è ricostruire sé stessi, giorno dopo giorno. È come spingere quel masso. Ma oggi non lo vedo più come una condanna. Oggi lo vedo come un’occasione. So che non posso cambiare il passato, ma posso scegliere cosa fare adesso.

Il Dottor Aparo e il gruppo mi hanno aiutato a dare un senso a questa fatica. Non sono più quello che ero. E anche se la strada è lunga, voglio continuare a spingere quel masso, ma con la testa alta e la voglia di diventare una persona migliore.

Mourrad Toubba

Il Mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo