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Anime Salve, Concerto

Il concerto, sostenuto dalla Fondazione Cariplo, è un omaggio a Libera per i 30 dalla sua fondazione e per i tanti risultati fino a oggi raggiunti. Tra questi, anche il contributo degli ultimi anni alla evoluzione dei detenuti del Gruppo della Trasgressione.

Nel corso della serata, alcune delle più note canzoni di Fabrizio De André, arrangiate ed eseguite dalla Trsg.band, vengono accompagnate da interventi di componenti di Libera e detenuti del Gruppo della Trasgressione e da contributi di magistrati e operatori del settore, professionisti e studenti che contribuiscono a rendere il carcere palestra di cultura e non semplice luogo di restrizione della libertà

Il concerto è ancora lontano, l’ingresso è gratuito e l’auditorium Mahler, che ci ospita grazie alla Fondazione Cariplo, è grande, ma la prenotazione dei posti migliori inizia da oggi.

Per prenotarsi inviare una mail a
associazione@trasgressione.net
 avente per oggetto: Anime salve

Lasciate il vostro nome e cognome e, se volete, la richiesta per essere inseriti nella mail list del Gruppo della Trasgressione.


Istruire una prossimità

La lacerazione dovuta a una grave perdita affettiva, giunta traumaticamente e senza una comprensibile ragione, per potere essere tollerata, deve diventare seme di una storia: il terremoto non ha volontà, traumatizza, ma non chiude i sopravvissuti nella prigione dell’odio; quando la morte viene determinata da una mano assassina, invece, i parenti più stretti della vittima rischiano di rimanere chiusi per molti anni nella gabbia di un odio permanente verso l’omicida.

Per potere sopportare la perdita del congiunto e uscire dalla loro prigione personale, i familiari della vittima hanno bisogno che la volontà dell’omicida cambi direzione. Ma perché questo processo possa essere avviato, occorre la ricostruzione di una storia che, di fatto, non conosce nemmeno il carnefice, se non nei suoi risvolti più superficiali e comunque non nei nodi che sono all’origine delle sue scelte; occorre una storia che conduca chi ha commesso l’abuso e chi lo ha subito alla libertà di entrare in relazione con l’altro.

La serata del 24 marzo e le iniziative che ne deriveranno rispondono allo scopo di avviare un percorso di riconoscimento reciproco fra chi ha prodotto e chi ha subito l’abuso e questo per permettere a entrambi di uscire contemporaneamente da due ergastoli invalidanti: quello del detenuto che si sente vittima dello stato e quello del familiare della vittima, che a volte rimane per tutta la vita prigioniero del proprio rancore.

Le canzoni di Fabrizio De André e la serata del 24 marzo sono una scintilla per istruire una prossimità, per attivare emozioni e riflessioni che aiutino a riconoscersi e a superare due ergastoli.

Juri Aparo

Istruire una prossimità

Giustizia riparativa per non soccombere al dolore

E sento che non posso finire senza dire una parola ai grandi assenti, oggi, ai protagonisti assenti: agli uomini e alle donne mafiosi. Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato, e non potrete portarlo nell’altra vita. Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. E’ quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi“.

[Papa Francesco, 21 marzo 2014 – incontro con i Familiari delle vittime della criminalità organizzata]

 

Quale sia stata l’idea che mi ha portato a tentare il concorso in magistratura è difficile indicarla in poche parole.

[continua: qui]

Tratto da Avvenire- inserto culturale Gutemberg “Prega per il tuo nemico”, 24.1.25

Sisifo nella merda

Volevo regnare, volevo brillare,
ma ho fatto il furbo e mi han fatto sclerare.
Rubai l’acqua agli Dei e li ho fatti arrabbiare
ora per sempre dovrò scalare.

Thanatos arriva per farmi sparire,
lo frego al volo, lo faccio dormire.
Ade si incazza, mi vuole punire,
“Giove, ‘sto stronzo lo devi colpire!”

Scalo la cima per non morire,
cade il masso, mi fa impazzire.
Giove ride, beffardo,
e mi dice: “Mo’ paghi, bastardo!”
“Ora prendi sto masso e lo fai rotolare
ogni volta che cade
lassu lo dovrai riportare,
la devi cagare”

Scalo la cima per non morire,
cade il masso, mi fa impazzire.
Salgo e risalgo senza fermare,
ma ‘sta salita mi sta per strozzare!
Volevo fregare, volevo scappare,
ma ora mi tocca sudare e sputare.
Per l’eternità dovrò faticare,
Sisifo spinge… e vorrebbe crepare!

Pino Amato

Il mito di Sisifo a teatro negli anni. Qui nel carcere di Milano-Bollate

La moneta di Corinto, frutto della collaborazione tra 20 anni di Gruppo della trasgressione, l’Istituto Pesenti di Bergamo, Massimo Zanchin attuale componente del gruppo del carcere di Opera, l’art director Adriano Avanzini e il musicista e informatico Alessandro Radici.

Il mito di Sisifo

Tradimento

Il concetto di tradimento mi pare strettamente legato a quello di aspettativa.

Se non si nutrono aspettative non si può sperimentare la delusione, né il dolore che nasce dalla mancata realizzazione delle attese, dalla frustrazione che chiamiamo tradimento. In altre parole la sensazione di essere traditi è l’emozione negativa che si prova quando una persona per noi importante si comporta in maniera non consona ai nostri desideri o contraria ad essi, tradendo le nostre attese.

A determinare l’intensità del vissuto doloroso che il tradimento comporta, concorrono diversi fattori. Innanzitutto l’investimento affettivo che noi facciamo o abbiamo fatto nella persona che viene meno alle nostre attese col suo comportamento attivo od omissivo.  Quanto più ammiriamo, amiamo, dipendiamo da questa o dal suo giudizio, quanta più fiducia abbiamo investito nel soggetto che ci delude, quanto più esso è per noi importante, tanto maggiore sarà il dolore provocato dal tradimento.

Esiste quindi un rapporto diretto tra il nostro investimento affettivo e la dimensione del dolore causato dalla delusione. In altre parole, l’intensità del dolore riflesso dipende direttamente dall’intensità affettiva del legame e dalla quantità di credibilità che noi attribuiamo alla figura che ci delude.

Inoltre, se innalziamo agli altari una persona che amiamo, se le attribuiamo qualità esagerate, se le neghiamo limiti umani, fragilità o difetti, se le nostre aspettative sono irrealistiche sarà tanto più probabile che queste possano essere deluse e che ci si possa sentire traditi. Anche un minimo scostamento dai comportamenti desiderati ed attesi, magari insignificante o addirittura inconsistente, sarà causa di intenso dolore proprio perché spropositata era l’attesa. E questo scostamento sarà vissuto come tradimento, umiliazione e ferita da chi è per primo responsabile, magari inconscio, di queste fantasie. Il concetto stesso di tradimento, il vissuto del tradimento, dipende quindi sia dall’investimento emotivo del soggetto, sia dall’entità dello scostamento dalle attese. È quindi importante comprendere se le aspettative che abbiamo riposto nella persona che ci delude sono realistiche oppure no.

Esistono attese che consideriamo naturali, ad esempio ci aspettiamo che un genitore responsabile provveda al soddisfacimento delle necessità elementari di un figlio minore, che da lui dipende interamente. Qualora non lo facesse potremmo concordare sul fatto che quel genitore tradisce le comuni aspettative. Allo stesso tempo non possiamo ragionevolmente attenderci che il genitore provveda a soddisfare i capricci dei figli o i bisogni che superano le sue capacità materiali di soddisfarli. Ci attendiamo che gli fornisca il pane, ma non necessariamente i dolci. Ci aspettiamo che un padre mandi un figlio a scuola, ma non necessariamente all’università, se le condizioni familiari e sociali in cui vive non lo consentono, che si assuma il compito di educare un figlio alle regole della società in cui vive, affinché ne conosca i limiti, le obbligazioni e i diritti, che accudisca il figlio con amorevole attenzione, protezione e cura, che un padre aiuti suo figlio a crescere dotandosi degli strumenti utili a confrontarsi con la realtà, modificandola a proprio vantaggio. Esistono quindi bisogni basici che un genitore responsabile è tenuto a soddisfare, il tradimento dei quali può segnare la vita e le scelte future dei figli.

Per comprendere quanto realistiche sono le attese che si possono nutrire occorre quindi confrontarsi da un lato con il senso comune, e dall’altro sforzarsi di mettersi nei panni di chi pensiamo ci abbia tradito.

Occorre innanzitutto prendere le distanze dal nostro dolore, riconoscendolo come esperienza di vita comune, diffusa, ordinaria e non eccezionale. Dovremo quindi valutare onestamente il vissuto di chi pensiamo ci abbia tradito, le ragioni del suo comportamento, le scelte che si è trovato a fare nel corso della vita, le condizioni in cui ha operato, le opportunità che ha avuto, la somma di eventi che lo hanno forgiato nella forma che gli riconosciamo. In sostanza, tutto ciò che concorre a formare il suo punto di vista.

In effetti, unire tra loro punti di vista estranei ci permette di avvicinarci quanto più possibile alla verità oggettiva e a meglio comprendere le motivazioni sottostanti a scelte che ci deludono, che non soddisfano le nostre attese. Se osserviamo la realtà con i nostri soli occhi, appagando il nostro egoismo, non vediamo né riconosciamo gli altri, i quali finiscono con l’esistere solo in funzione dei nostri bisogni, veri o presunti che siano. Disegnando una mappa dei nostri bisogni ipertrofica ed irrealistica, aumentiamo a dismisura le nostre aspettative, pretendiamo dagli altri prestazioni sproporzionate se non sovrumane, e con le nostre stesse mani moltiplichiamo le occasioni di frustrazione.

Rimane comunque la possibilità che chi vorremmo che soddisfacesse le nostre ragionevoli aspettative si comporti in maniera irresponsabile, tradendo la fiducia che gli abbiamo consegnato, in quanto incapace di gestirla responsabilmente, di valorizzarla adeguatamente, di accettarla come segno di amore, con il solo scopo di punirci attribuendoci la colpa dei suoi fallimenti.

Accettare di valere per qualcuno, di poter essere oggetto di amore è la principale difficoltà che si incontra in un rapporto d’amore, poiché significa accettare di dipendere da qualcuno, di essergli in qualche modo debitore, di non bastare a sé stessi, significa vedere e riconoscere i propri limiti, le proprie fragilità, i bisogni reali negati alla propria consapevolezza e volutamente inespressi.

Rifiutando di assumersi questa responsabilità, per la quale si sente impreparato o inadeguato, consente inoltre di riaccendere il circolo vizioso del risentimento che autorizza pratiche antisociali e criminogene. L’oscillazione tra questi estremi, l’arrogante autosufficienza e l’accettazione della dipendenza dagli altri, riflette le contraddizioni della condizione umana e ci ricorda quanto a fondo occorre scavare per trovare un equilibrio e con esso la pace interiore.

Paolo Setti Carraro

Sisifo e i suoi archetipi

Nel cuore di Corinto, mentre la siccità piega la città, si svolge una vicenda che porta con sé temi familiari a ciascuno di noi. Al centro troviamo Sisifo, re di Corinto, impegnato in una disperata ricerca di salvezza per il suo popolo, mentre Asopo, dio delle acque, resta sordo a ogni supplica, rifiutandosi di porre fine al tormento della città, nonostante abbia il potere di farlo.

Nella sua indifferenza, Asopo incarna l’archetipo dell’autorità che ha smarrito la propria essenza: quella di nutrire, sostenere e promuovere la crescita. Mentre Corinto soffre la sete, egli si abbandona al piacere e alla sregolatezza, senza preoccuparsi di chi lo circonda.

Oltre che verso i mortali di Corinto, manifesta la medesima noncuranza verso la figlia: Egina; il loro legame è ridotto a un freddo scambio di doveri, e in questo deserto emotivo cresce la giovane, schiacciata da pretese paterne che non trovano riscontro né nell’affetto né nella guida.

La seduzione di Giove si manifesta ai suoi occhi come un miraggio di libertà senza vincoli, proposta irresistibile per chi, come lei, ha conosciuto solo il peso degli obblighi. Ed è proprio il comportamento sregolato all’insegna della ricerca di fuggevoli piaceri del padre a legittimare implicitamente la scelta di seguire Giove.

Ma la sua fuga con Giove rappresenta anche altro, non è solo un atto di ribellione: è la ricerca di riconoscimento e attenzione che il padre le ha sempre negato.

In questo intreccio di relazioni emerge Sisifo, acuto osservatore delle dinamiche in gioco. La sua astuzia trasforma l’informazione sulla seduzione di Egina in una potente arma di ricatto contro Asopo, ribaltando repentinamente gli equilibri di potere, portando il Dio in una posizione vulnerabile di fronte al mortale.

Ma proprio nel momento del trionfo Sisifo rivela la propria fragilità. Non pago di aver ottenuto l’acqua per la sua città, esige l’umiliazione di Asopo. Il desiderio di vedere una divinità in ginocchio tradisce un’esigenza di affermazione che oltrepassa la necessità pratica, sconfinando nell’arroganza e nella brama di onnipotenza, che sarà poi causa della sua eterna pena.

La forza del mito di Sisifo risiede nella sua capacità di rispecchiare l’esperienza umana attraverso i secoli. Ogni personaggio incarna aspetti della natura umana ancora oggi attuali. Sisifo ed Egina rappresentano gli adolescenti di ogni epoca, alle prese con un’autorità – Asopo – che incarna le possibili degenerazioni del potere.

La loro risposta alla freddezza emotiva si manifesta in modi antitetici: in Sisifo, la rabbia esplode in un crescendo di rivalsa e sopraffazione, replicando inconsapevolmente la violenza subita. In Egina, rabbia e dolore implodono in un’autodistruttiva ricerca di libertà, che nasconde però nuove catene.

Queste dinamiche riflettono alcune delle diverse strategie con cui gli adolescenti in particolare possono affrontare un’autorità percepita come oppressiva o situazioni di sofferenza, di mancato riconoscimento: alcuni attraverso aperta ribellione o violenza, altri attraverso comportamenti autodistruttivi. Entrambi i casi sono manifestazioni della rabbia e del dolore generati dal disconoscimento dei loro bisogni.

Il mito, nella rivisitazione che ne propone il gruppo, porta alla luce temi estremamente familiari, ed è difficile non riconoscersi o non riconoscere una passata versione di noi stessi, in almeno uno dei personaggi che lo costellano.

Questo processo di identificazione va oltre il semplice rispecchiamento: diventa un’occasione per validare le proprie esperienze emotive e comprendere che certi vissuti, spesso percepiti come profondamente personali e isolati, sono in realtà parte della comune esperienza umana.

Il linguaggio simbolico crea uno spazio interpretativo dove ognuno può trovare significati personali: le figure di Sisifo, Egina e Asopo diventano archetipi attraverso cui esplorare dinamiche universali nella relazione tra genitori e figli, insegnanti e studenti.

L’aver portato la rappresentazione e la discussione di alcuni aspetti del mito all’istituto della Fondazione Clerici assume una funzione particolarmente pregnante, dato il suo rivolgersi a una comunità educativa.

Per gli studenti, offre un modo per elaborare e dare voce alle proprie esperienze di conflitto con l’autorità (e non), dando espressione alla complessità delle loro emozioni e cercando di dare un significato alle loro reazioni. Attraverso le figure di Sisifo ed Egina, possono riconoscere la propria rabbia e sofferenza, i propri impulsi di ribellione e autodistruzione, comprendendone meglio le origini e le possibili conseguenze su di sé e sugli altri.

Ma anche per gli insegnanti, il mito presenta una potente riflessione sulla natura dell’autorità educativa. La figura di Asopo serve da monito sulle conseguenze di un potere esercitato attraverso la mera forza e l’indifferenza emotiva, e sottolinea come le gerarchie basate esclusivamente sul potere formale siano intrinsecamente fragili e destinate al fallimento.

Anna Bigotti

Il mito di Sisifo

Rami e radici del Gruppo Trsg

Il Gruppo della Trasgressione è una realtà che ha radici nel quarantennale lavoro del Dottor Angelo Aparo e rami nei molteplici progetti che da decenni vengono proposti su tutto il territorio di Milano e, da poco, anche di Monza..

L’energia che nutre questo gruppo di collaboratori, volontari, cittadini, detenuti, persone che hanno completato la detenzione, studenti e tirocinanti – per quello che io ho intimamente sentito nella mia esperienza personale – sgorga dalla visione di un mondo in cui la trasgressione, da semplice agito individuale, diventa oggetto di riflessione collettiva e carburante per procedere verso mete condivise.

Tre sono i rami su cui ho avuto modo di arrampicarmi per vedere la strada che si sta costruendo verso questa visione: il lavoro in carcere, il lavoro a scuola e il lavoro di coordinamento del gruppo e di confronto tra i membri. Oltre a concerti, conferenze e iniziative in collaborazione con gli enti del territorio.

Lavorare sulla trasgressione risponde quindi allo scopo di intervenire fattivamente:

  • sulla prevenzione della devianza – con il lavoro con i bambini e i ragazzi;
  • sulla rieducazione del detenuto in carcere;
  • sul supporto delle persone di nuovo libere al mantenimento dello status riacquisito;
  • sulla formazione degli studenti in tirocinio.

Se la prevenzione della devianza è un’attività relativamente facile da immaginare anche senza esperienza diretta, la rieducazione e il supporto per chi ha vissuto la detenzione non sono assolutamente un’attività banale.

La mia esperienza in carcere è iniziata a ottobre presso la casa circondariale di San Vittore con gli incontri settimanali “Un amico controcorrente”, rivolti ai detenuti e partecipati dai membri esterni del gruppo.
Gli incontri non hanno una partecipazione del tutto stabile, data dalla natura stessa del tipo di detenzione prevista dall’istituto, e le modalità di relazione tra i partecipanti sono dinamiche: letture degli scritti autografi dei detenuti, interpretazione di brevi “scenette” costruite sulla base di idee nate da temi lanciati dal Dottor Aparo, discussioni su questi stessi temi e condivisione di riflessioni personali sul proprio passato, sul presente o sul futuro, fino al commento su canzoni di Fabrizio De André.

Durante gli incontri cui ho partecipato ci sono state molte discussioni in particolare sulla paternità, sul rancore e sul timore per l’avvicinarsi della vita da persona libera.

Ho avuto modo di ascoltare tante storie personali: padri che soffrivano della lontananza dai figli o che riflettevano sulle proprie competenze educative e quindi anche su quelle dimostrate dai loro stessi genitori; ho ascoltato uomini che avevano paura di loro stessi, perché in carcere avevano avuto modo di scoprire che la loro libertà poteva rappresentare un pericolo per la società. Storie di violenza fisica ed emotiva, di infanzie danneggiate da chi le doveva proteggere, di carenze educative, di dipendenze e di fragilità che hanno concesso al rancore e all’arroganza di prendere il sopravvento.

Nell’ultimo incontro a cui ho partecipato prima di scrivere questa relazione, il Dottor Aparo ha invitato me e tutte le altre colleghe presenti a condividere il nostro pensiero col gruppo, ma devo essere sincera: sono stata molto felice che un detenuto avesse voglia di prendere la parola al posto mio, perché non avrei avuto le parole.

Cosa posso dire io a queste persone? Come posso parlare io a loro se non dall’alto dei miei “successi”? Della mia vita adeguata, della mia famiglia adeguata, del mio matrimonio adeguato… Mi sono sentita inutile, frivola e privilegiata.

Ho cercato per tutta la settimana di dare un senso alla mia presenza e alla responsabilità che sentivo a riguardo. Ho provato allora a dare una possibilità al fatto che non è egoicamente la mia presenza a dare un senso al gruppo, ma il gruppo a dare un senso alla mia presenza. Non sono le mie parole ad avere rilevanza, ma sono le parole di tutti che insieme creano qualcosa che ha senso ascoltare. Il gruppo è tale se avviene “insieme” e quando siamo insieme possiamo contemporaneamente prendere e dare, nutrire e essere nutriti, come cellule di un unico organismo.

In questa riflessione ho anche trovato il senso del modo che ha il gruppo di presentare sé stesso: come un insieme di pari, senza distinzioni di dentro o fuori dal carcere, con o senza la laurea, giovani o vecchi, cittadini o detenuti.

Ed è proprio in questo cammino condiviso, fatto di ascolto, confronto e crescita reciproca, che il Gruppo della Trasgressione trova la sua forza più autentica: non nel raggiungimento immediato della meta, ma nella costruzione collettiva di un percorso che dia valore a ogni passo e a ogni voce, rendendo ciascuno parte rilevante del cambiamento.

Scrivo questa relazione in un momento di grande gioia: ho partecipato a una riunione del gruppo in cui per la prima volta ho visto fuori dal carcere una persona che ho conosciuto mentre era detenuta a San Vittore. C’è vita, c’è speranza.

Neva Ganzerla

Relazioni di tirocinio

Alla ricerca del padre

“Alla ricerca del padre” – Un percorso dentro e fuori dal carcere di San Vittore

Convinti sempre più della necessità di sperimentare percorsi innovativi volti sia alla prevenzione sia a percorsi riparativi, abbiamo pensato di coinvolgere attivamente anche un pezzo importante di società fuori dal carcere, rappresentata da padri con figli pre-adolescenti e adolescenti che non abbiano però incontrato traiettorie esistenziali devianti.

📆 due incontri fuori dal carcere: mart. 18.2.25 e mart. 4.3.25 (dalle 20.30 alle 22.45)
📆 un possibile incontro dentro/fuori il carcere: merc. 19.3.25 (dalle 17.00 alle 19.00)
📆 due incontri dentro il carcere: sab. 12.4.25 e sab. 10.5.25 (dalle 14.00 alle 17.00)

CERCHIAMO 15 PADRI, CON FIGLI DAI 13 AI 18 ANNI, CHE ACCETTINO LA SFIDA
– di ricercare dentro sé stessi il senso più profondo della propria paternità
– di mettersi in discussione, confrontandosi con altre esperienze genitoriali fuori dal carcere
– di mettersi in ascolto con figli di altri padri, dentro il carcere

LE CANDIDATURE (con cinque righe di motivazione) si raccolgono entro il 31 gennaio 2025 sul sito www.lostrappo.net. Maggiori informazioni qui.

📻 Alexi Murdoch, Wait

Obiettivo: ricercare dentro sé stessi il senso più profondo della propria paternità, mettendosi in discussione e confrontandosi con altre esperienze genitoriali, anche quelle dei figli di altri padri, dentro il carcere. E superare la logica che il fuori e il dentro li vuole separati a tutti i costi, qui i buoni e là i cattivi, qui chi si salva e là chi è perduto per sempre“: grazie a Viviana Daloiso ed Avvenire per aver colto appieno lo spirito che anima la proposta.

Grazie anche a Sara Zambotti, Massimo Cirri e a tutta la redazione di Radio2Caterpillar per lo spazio che avete voluto dedicarci nel promuovere questo nostro nuovo progetto (puntata del 24 gennaio 2025):

Reparto LA CHIAMATA

Il viaggio

Piccola goccia di pioggia
che stai tuffandoti tra le tue sorelle,
che da tempo nuotano nella Guadiàna.
Sarà per te un momento magico
la fine del lungo viaggio.

Capirai all’istante, per antico ricordo,
il sapore del sale che tanto amavi.
Lo riconoscerai nel farti oceano,
se saprai cogliere il felice momento di marea.
Impazzirai ritrovando quel difficile sapore di un tempo.

Cerca poi di andare nel profondo,
sfuggi per un po’ alla calura del sole, ti farebbe evaporare.
Goditi, invece, l’azzurra immensità di Atlantide.
Riprenderai il viaggio quando sarai stanca di oziare
tra il soffio del vento sulle creste dell’onda
ed il gioco lunare delle maree.

Buon lungo bagno, piccola goccia di pioggia.                                                          

Guido Podestà

Poesie