Il giro di boa
Care ragazze e ragazzi della III liceo socio economico dell’istituto Barbara Melzi di Legnano,
la bellezza del racconto “Denaro Falso” di Tolstoj ci ha fatto discutere, sia in termini di propensione alla lettura di quelli che lo hanno letto, sia in termini di gusto personale: qualcuno di voi non si considera un lettore “forte” o assiduo e ha detto in modo sincero che ha fatto fatica a leggere tutto il racconto. Qualcun altro, più interessato alla lettura, ha trovato il racconto non tutto bello, non tutto godibile in modo uniforme: ad alcuni e ad alcune è piaciuta di più la prima parte, quella dell’ascensione verso le vette del crimine, pochi hanno trovato la seconda parte (quella che vira verso il bene) altrettanto bella e interessante.
Al di là dei gusti però o delle preferenze o dell’interesse per la lettura ci siamo trovati d’accordo sul fatto che questo racconto contiene un grande insegnamento, che merita di essere approfondito e ricordato: le cose che ci accadono ogni giorno e gli incontri più routinari possono essere all’origine di azioni che conducono in modo imprevisto e improvviso al dilagare del male e ad una serie di crimini sempre più gravi
La falsificazione della cedola è stata una ragazzata o si muove (come forse avrebbe incalzato il “nostro” pubblico ministero) già in pieno ambito criminale? La riflessione sul racconto mette in questione anche i criteri con cui leggiamo e giudichiamo le cose che accadono. La nostra risposta alla domanda sulla falsificazione della cedola dice qualcosa sul nostro reale grado di responsabilizzazione su ciò che diciamo e facciamo ogni giorno.
Pensiamo che la parte più importante dell’incontro del 16 aprile vissuto con il Gruppo della Trasgressione sia stata la conversazione sul personaggio del sarto, Čuev, che è iniziata ben prima della presentazione del vostro disegno.
Diversi di voi ragazzi hanno voluto segnalare il fatto che il sarto dà molto da pensare su un aspetto che ci ha sorpreso molto di sentire menzionato in modo spontaneo: voi ragazzi ci avete detto che il racconto fa riflettere sugli effetti e sul senso di ciò che avete chiamato “evangelizzazione”. Alcuni di voi hanno trovato convincente il fatto che l’evangelizzazione in certi contesti sia in grado di mobilitare risorse positive per migliorare la comunità e migliorarci come persone.
Il professor Aparo ha usato l’immagine del “giro di boa”. L’agire del sarto, così come l’agire di Marja, operano come occasioni per un giro di boa anche per il criminale più incallito. Il sarto e Marja si presentano nel racconto come attori o operatori di un richiamo a compiere un giro di boa che non inventano, ma che è nelle cose stesse
Il contributo offerto alla discussione dalla persone detenute è stato importante. Per alcuni il giro di boa è avvenuto con l’avvertire la loro vita criminale come un peso sempre più gravoso che portavano sulle spalle e con il bisogno di liberarsi del peso, in questo la fede è stata un innesco di liberazione e di ripensamento (Salvatore, ma non solo lui anche altri persone detenute che hanno preso la parola).
Altri hanno sottolineato che il giro di boa è avvenuto nel corso della loro vita in carcere quando il rimorso e la voce delle vittime si sono fatti via via più presenti nella loro vita e nella loro mente, come qualcosa a cui si doveva e si poteva rispondere cambiando la propria vita.
La presentazione del vostro disegno del sarto è stata molto interessante. Voi ragazzi avete dimostrato un livello di creatività e approfondimento notevole. Ci ha colpito l’idea di delineare il volto con un filo di gomitolo dando al viso del sarto il senso di un simbolo dell’intero percorso nel labirinto degli incontri della vita. Ci ha colpito che voi abbiate visto nell’idea del filo la compresenza insieme sia del male (inteso come labirinto e come Minotauro) e della via di scampo dal male (il filo di Arianna che segna la strada del ritorno di Teseo dopo la vittoria sul male).
Il disegno del sarto che avete realizzato è in effetti un compendio di ambiguità e di ambivalenza e di contiguità tra la via del male e la via contraria del bene: il busto del sarto presenta degli oggetti e dei colori che possono essere pensati sia nel male (l’oro come danaro, il rosso come sangue) che nel bene (l’oro come colore della luce e del bene, le campane come richiamo, il rosso come colore dell’amore); le gambe e l’addome del sarto, presentati nella forma di un ragno, alludono sia alla tessitura del crimine, sia alla “buona tessitura”, che è operata con decisione dal sarto grazie alla lettura comunitaria del vangelo. La figura del sarto è decisamente per il bene, senza ombre o ambiguità: proprio per la forza del suo operare, il sarto trasmette il bene anche attraverso simboli ambigui.
Nell’incontro abbiamo toccato molti altri argomenti, tutti interessanti e tutti molto ben posti… riportiamo di seguito alcune domande discusse insieme:
- C’è sempre l’opzione del bene insieme all’opzione del male?
- Riflettere è utile?
- E’ più gravosa la pena o il rimorso del male che si è commesso?
- Si diventa criminali per necessità? Risposta generale, no, c’è sempre un altro modo di affrontare i problemi, solo che i criminali non lo vedono o si sottraggono ad esso…
- Ma dunque perché si smette di essere criminali e si pensa di “migliorarsi”? Il criminale avverte o non avverte come una “campana”, come un “richiamo” a costruire? È questo richiamo a costruire che “ferma” i criminali e gli fa cambiare modo di vivere?
Non vediamo l’ora di ricontrare voi (e tutte le altre classi partecipanti al nostro progetto di ricerca) il 28 maggio all’Università degli studi di Milano per l’incontro di restituzione pubblica!
Davide (con Chiara, Francesco e Tania)
Diari dell’esperienza al carcere di Opera
Daniela Ferrari (Istituto Leone XIII, Milano)
La mia esperienza al carcere di Opera rimarrà indimenticabile.
Entrando all’interno del carcere abbiamo parlato con le guardie che ci hanno spiegato il funzionamento della struttura.
E’ stato un alternarsi di emozioni, di pensieri e di sensazioni più o meno piacevoli.
Spesso si arriva a un contatto fisico e di scontro tra guardie e carcerati che li porta a rimanere in isolamento per due settimane.
Successivamente abbiamo avuto l’incontro con i carcerati che ha rappresentato il momento più forte e toccante.
Mi ha stupito il sentir raccontare che alcuni carcerati possono avere una sola visita al mese a causa delle loro condanne.
Il racconto più drammatico e’ stato quello della signora che ha raccontato la morte violenta della figlia.
Questa esperienza mi ha lasciato tristezza e mi fatto capire che nella vita esistono realtà molto lontane da quelle che vivo tutti i giorni.
Al tempo stesso mi insegna che non si devono infrangere le regole di una società e che riuscire a riabilitare queste persone rappresenta un ostacolo ancora molto difficile da superare ma rimane un dovere per ognuno di noi.
L’incontro con i detenuti del carcere di Opera mi ha suscitato tante emozioni.
Essere fisicamente vicino, sentire raccontare la propria storia da persone che probabilmente potrebbe avere ucciso un’altra persona, mi faceva venire i brividi.
Allo stesso tempo però sentire la storia del proprio passato e le riflessioni sul pentimento, mi ha acceso qualcosa dentro, perché anche loro alla fine sono persone umane. A mio parere, il momento più toccante è stato quando la mamma ha raccontato l’ agghiacciante storia della figlia defunta. Sentire le sue parole, anche solo pensare che una mamma possa avere il coraggio di andare avanti e addirittura condividere questa storia, mi ha fatto venire i brividi.
L’esperienza della visita in carcere è stata molto particolare, piena di emozioni sia positive che negative. Una delle emozioni più forti l’ho provata appena ho superato la porta d’ingresso. Quando sono entrato all’interno delle mura ho sentito una sensazione di impotenza pura, come se fossi chiuso in un luogo da cui non puoi più uscire. Davanti a me c’erano due edifici enormi, quasi intimidatori, che mi hanno fatto subito capire quanto fosse diversa quella realtà da tutto ciò che vivo ogni giorno.
Quando siamo entrati nell’aula per incontrare i detenuti, all’inizio c’era un po’ di paura e timidezza. Non sapevamo cosa chiedere o come comportarci. Poi però, ascoltando le loro storie, quella distanza è diminuita. Mi sarebbe piaciuto avere più tempo per conoscere tutti, perché ogni persona aveva qualcosa di importante da raccontare. Alcuni volti mi hanno incuriosito particolarmente, mi chiedevo che vita avessero vissuto per trovarsi lì dentro.
Quello che mi ha colpito di più è stato il contrasto tra l’aspetto normale di quelle persone e ciò che avevano fatto. Vedendoli, sembravano persone come noi, con una vita come la nostra. Nessuno si sarebbe mai immaginato che dietro quei volti ci fossero storie così estreme, come omicidi o altri crimini gravi. Questo mi ha fatto capire quanto sia facile giudicare qualcuno solo in base a ciò che sappiamo di lui, senza fermarci a pensare che dietro ogni errore c’è una storia, una vita, delle scelte sbagliate fatte magari in momenti di difficoltà.
Alla fine questa esperienza mi ha lasciato una grande lezione. Mi ha fatto capire quanto siamo fortunati a vivere una vita libera, ma anche quanto sia importante stare attenti alle scelte che facciamo ogni giorno. Ogni decisione, anche la più piccola, può influenzare tutto il nostro futuro. E spesso basta davvero poco per trovarsi dall’altra parte di quel muro.
Durante l’incontro con gli ex e attuali detenuti del carcere di Opera, ho avuto l’opportunità di ascoltare storie di vita che mi hanno profondamente toccato. Quasi ogni detenuto ha condiviso la propria esperienza, descrivendo il percorso che li ha portati dietro le sbarre. Una storia in particolare mi ha colpito: un detenuto ha raccontato come è passato dalla vendita di stupefacenti fino a commettere un omicidio. Un’altra testimonianza, quella di una madre che ha perso la figlia, uccisa a colpi di pietra da un coetaneo a causa del mondo della droga, il quale lei aveva denunciato non apprezzando ciò che aveva vissuto in passato, ha reso ancora più evidente il dolore e la devastazione che questo mondo può causare. Altri detenuti hanno parlato delle loro lotte contro la tossicodipendenza e delle scelte che li hanno portati a perdere tutto. Queste storie ci ricordano quanto sia importante intervenire preventivamente e supportare chi è a rischio di entrare nel mondo della criminalità e della tossicodipendenza. Poi spesso uno dei detenuti rientrava sempre sull’argomento del fatto che, se si pensa a quando si è piccoli, capita di rubare una caramella, ma poi crescendo si rischia di arrivare fino a uccidere una persona.
Quindi crescendo può capitare che ti ritrovi a causa del tuo passato, della tua
educazione o della tua crescita, in situazioni sempre più scomode. È fondamentale offrire opportunità di riabilitazione e reintegrazione per chi ha commesso errori, affinché possano ricostruire la propria vita e contribuire positivamente alla società.
La visita al carcere di Opera è stata un’esperienza davvero unica e coinvolgente. Avere l’opportunità di interagire direttamente con i carcerati è stato un’esperienza che mi ha permesso di entrare in contatto con le loro storie personali e le difficoltà che hanno affrontato nel passato. È stato davvero emozionante sentire le loro parole, spesso piene di sofferenza e riflessioni sulla vita.
Un momento che mi ha colpito particolarmente è stato quando abbiamo ascoltato la storia di una madre che ha perso sua figlia, uccisa in circostanze drammatiche. La forza con cui è riuscita a raccontare questa tragedia, parlando di fronte a noi con tanta dignità, mi ha impressionato.
Inoltre, abbiamo avuto l’opportunità di riflettere su un libro che avevamo letto, “Denaro falso”, e su richiesta, ho cercato di identificarmi in uno dei personaggi. Questo esercizio mi ha fatto riflettere ancora di più sul significato della storia e sulle diverse realtà che ci circondano.
Nel complesso, è stata un’esperienza che mi ha lasciato una grande impressione, purtroppo in questo incontro non abbiamo potuto fare tutte le domande che volevamo, ma credo che nel prossimo incontro ci sarà l’opportunità.
L’esperienza al carcere di Opera è stata per me molto significativa e sono sicuro che mi rimarrà impressa per tutta la vita. Fin dal primo incontro con l’Agente e l’Assistente Capo Coordinatore della Polizia Penitenziaria sono rimasto stupito dal fatto che quest’ultimi non abbiano strumenti per difendersi in caso di aggressione e che, come riportato dalle due guardie carcerarie, l’unico strumento per difendersi sia la penna con cui stilano la relazione di servizio. Allo stesso tempo, un’altra cosa che mi ha lasciato il segno che una giovane donna avesse come desiderio quello di lavorare all’interno di un carcere.
Dopo aver fatto l’incontro con i detenuti, mi sono rimaste impresse varie cose, che qui di seguito elencherò, secondo un elenco puntato.
- La prima cosa che mi ha colpito è il fatto che dei detenuti con delle condanne significative (ovvero per rapina, spaccio o omicidio) possano girare liberamente per la struttura senza l’uso di dispositivi che nei limitino i movimenti (come le manette), e che nonostante la loro vita sia dietro le sbarre, siano comunque relativamente tranquilli e sorridenti.
- La seconda cosa che mi ha colpito è il circolo vizioso della malavita che vede passare da un semplice furto a una rapina, per poi passare allo spaccio o addirittura agli omicidi. In particolare poi, ho capito il significato profondo che esiste dietro al furto di una semplice caramella o di un barretta kinder all’autogrill: nel senso che noi banalizziamo questi atti ma che in realtà si configurano come dei veri e propri furti.
- La terza cosa che mi ha colpito è la biografia personale che ogni detenuto presente al gruppo ci ha raccontato ed in particolare quella di Salvatore Forte. Grazie a quest’ultimo ho capito infatti quanto il contesto familiare o in generale l’ambiente in cui nasci e cresci condizioni realmente la vita di un uomo: il fatto che da piccolo fosse stato legato in bagno con una catena mi ha lasciato sconvolto.
- La quarta cosa che mi è rimasta impressa è il fatto che le nostre preoccupazioni relative al carcere siano comuni: anche i detenuti sostengono che il sistema giudiziario italiano non fosse all’altezza della Repubblica e che quanto indicato dall’articolo 27 della Costituzione, nella realtà infine non si verifica.
In conclusione quindi sostengo che l’esperienza al carcere di Opera sia un passaggio fondamentale per la crescita di noi ragazzi essendo estremamente toccante e formativa.
Quest’esperienza al carcere di Opera mi ha colpito molto perché stare in una stanza con dei detenuti che hanno fatto certe cose per essere li, mi ha stupito come certi carcerati parlavano molto bene, uno dei carcerati di nome Vincenzo quando ha scritto un testo riguardante il libro mi ha stupito come era, perché era scritto molto bene.
Poi parlando sulla vita dei carcerati mi ha stupito molto perché ad esempio Salvatore, che come ha raccontato lui è stato legato con una catena a sei anni nel bagno di casa con tutte le luci spente, i suoi genitori nel mentre andavano al mare e questa cosa non immagino quanto lo abbia traumatizzato.
Questa esperienza la consiglio ad altre persone perché secondo me è giusto conoscere altre persone che non vivono la nostra vita o vedano cose crudeli e subiscono cose, secondo questa esperienza ti fa un po entrare nei loro panni e ti aiuti anche in futuro così che quando saremmo più non faremmo queste cose secondo me orribili.
L’esperienza nel carcere di Opera mi ha colpito molto, all’inizio ero un po’ spaventata, ma quando sono arrivati i carcerati dopo qualche intervento sia nostro che loro, mi sono tranquillizzata ed ho ascoltato con interesse le loro storie. La cosa che mi ha colpito di più è stata la storia di un dei carcerati, mi è dispiaciuto che lui abbia dovuto passare un infanzia brutta, ho provato a capire il perché lui poi si sia ridotto ad una vita in carcere e a fare azioni brutte, e la risposta a parer mio era perché non è stato amato e accompagnato nella sua crescita.
È stata un’esperienza davvero unica che non avrei mai pensato di fare.
Prima di entrare in carcere non sapevo bene cosa aspettarmi e provavo un po’ di ansia per il fatto di dover stare a contatto ravvicinato con i detenuti.
Confrontarsi con loro sul libro è stato interessante, la conversazione non era del tutto incentrata su “denaro falso” ma è servito ugualmente. A parer mio lo psicologo avrebbe dovuto lasciare più tempo e spazio ai detenuti per fargli parlare.
L’uscita al carcere di Opera, secondo me, è stata una bellissima esperienza, ma che poteva essere gestiti a meglio.
Appena prima di entrare nel carcere (fuori dalle mura esterne) avevo un ansia molto forte, che, fortunatamente, è stata stemperata dalle guardie del carcere e dal giudice che ci accompagnava, perché ci hanno fatto una breve introduzione di cosa succede dentro e di cosa avremmo fatto appena fossimo entrati. Questo punto, a parere mio, è stato fondamentale per noi studenti.
Però, i miei pochi commenti “negativi”, li uso per descrivere l’incontro con i detenuti; perché non è stata lasciata molta parola ai detenuti per raccontare le loro esperienze, o semplicemente la loro storia, perciò, per me, si dovrebbe gestire meglio questo “pezzo”, nonché si dovrebbe lasciare più parola a loro e meno a noi studenti e alle altre persone lì presenti.
Tutto sommato, questo incontro mi è piaciuto ed è stato molto interessante e avvincente; sicuramente lo consiglierei ad altre persone.
L’incontro in carcere con i detenuti mafiosi mi ha profondamente colpito, suscitando molte riflessioni.
La storia di Salvatore, cresciuto in condizioni estreme, legato al water da bambino, mi ha emozionato. Ciò che mi ha sorpreso è come oggi sembri una persona cambiata, che anche grazie agli incontri con noi ragazzi sta cercando di migliorarsi ogni giorno. La sua evoluzione mi ha dato speranza.
Anche la storia di Mirko mi ha toccato: senza figure di riferimento e cresciuto nella povertà, ha seguito le orme del fratello criminale, come se fosse l’unica strada possibile. Il suo rimorso mi ha fatto riflettere su quanto le circostanze possano determinare le scelte.
Una storia che mi ha sorpreso particolarmente è quella della madre di una vittima, la cui figlia è stata uccisa a sassate. Nonostante il terribile dolore vissuto, la donna non ha provato rancore verso il colpevole, ma solo pena. Questo gesto di grande umanità mi ha lasciato senza parole e mi ha fatto riflettere sulla forza del perdono.
Infine, un detenuto ha parlato del suo percorso di studi, sottolineando che non a tutti è data questa possibilità. “Fuori è difficile trovare lavoro, figuriamoci per noi detenuti”, ha detto. Ha evidenziato come chi ha problemi psicologici o tossicodipendenze venga spesso escluso dai percorsi di recupero. Questa frase mi ha fatto pensare a quanto il sistema penitenziario non offra le vere opportunità di reintegrazione, fermandosi solo a un “carcere” senza permettere una vera rinascita.
Il più crudele dei mesi
Aprile è il più crudele dei mesi, lillà da terra morta, confondendo
memoria e desiderio, risvegliando
le radici sopite con la pioggia della primavera […]
Là vidi uno che conoscevo, e lo fermai, gridando: Stetson!
Tu che eri con me, sulle navi a Milazzo!
Quel cadavere che l’anno scorso piantasti nel giardino,
ha cominciato a germogliare? Fiorirà quest’anno?
Oppure il gelo improvviso ne ha danneggiato l’aiola?
[T.S. Eliot, La terra desolata. I – La sepoltura dei morti]
I morti erano di ritorno da Gerusalemme, dove non avevano trovato ciò che cercavano. Mi pregarono di lasciarli entrare e implorarono il mio verbo, e così iniziai il mio insegnamento. Ascoltate: io inizio dal nulla. Il nulla è uguale alla pienezza. Nell’infinito il pieno è come il vuoto. Il nulla è vuoto e pieno. Potreste dire altrettanto bene qualche altra cosa del nulla, per esempio che è bianco e nero o che non è o che è. Una cosa infinita ed eterna non ha alcuna qualità poichè ha tutte le qualità.
[Carl Gustav Jung, Septem Sermones ad Mortuos – Sermone I]
Io non c’ero, quel giorno, a Palazzo.
La mattina del 9 aprile 2015 mi trovavo a Firenze, per motivi di lavoro uniti a passioni per le investigazioni informatiche coltivate da tempo anche tramite lo studio del Manuale di computer forensics di Eoghan Casey, che stavo ascoltando completamente assorbito dalle parole del suo intervento. Il telefono suona una, due volte. Me ne accorgo in ritardo e penso che sia strano che Francesca mi chiami con tale insistenza. Esco dalla sala e mia sorella quasi scoppia in un pianto liberatorio, al pensiero che ci fossi anche io dentro quel macello di cui erano giunte in Redazione le prime notizie.
Notizie confuse ma che, dopo una mia prima telefonata al responsabile della sezione antiterrorismo della Procura, impongono di non sottovalutare quello che sta succedendo: si, qualcuno sta sparando nel Palazzo di Giustizia, a Milano. E non si sa né perché nè contro di chi.
Così, per superare un senso di inutilità mai provato fino a quel momento, chiamo il mio amico Carlo. Da giornalista di razza quale è, mi invita a seguire in streaming RaiNews24 perché un suo collega era già sul posto. E sono, al momento, le uniche notizie certe. Da chi sta fuori.
Mentre con una mano tengo così a stento un piccolo schermo per cercare di vedere più da vicino, con l’altro telefono mi accerto della situazione delle persone che stanno invece dentro, e che lavorano nel mio ufficio prendendosene uguale cura, come una seconda famiglia: Mirella racconta che Loredana, sua collega cancelliera presente durante la prima sparatoria, aveva trovato la via di fuga risalendo le scale che arrivano dirette al nostro corridoio (siamo infatti proprio sopra l’Aula 2 al terzo piano, da dove si sono sentiti i primi spari); Giuseppe invece, Carabiniere di lunga esperienza, ha lasciato Fabio ed era sceso – arma di servizio in pugno – lungo quelle stesse scale, a presidiare il piano dove lavora sua moglie.
E poi chiamano alcuni Colleghi, pensando che forse noi Pubblici Ministeri abbiamo – per natura o funzione – qualche pronta soluzione in tasca. O almeno qualche buon consiglio, come quello da dare alla mia amica Caterina che voleva soltanto sapere quando potesse uscire da quella stanza nella quale si era rinchiusa insieme ad altre 40 persone. O meglio mi chiamava per sapere quando poteva uscire lei, insieme alla figlia che aveva in grembo, da quella stanza.
E poi, il giorno dopo, le poche parole di Luigi, il Pubblico Ministero che in quell’Aula di udienza non ci doveva neppure andare, quel giorno. Miracolosamente salvo, lui come tutti gli altri presenti a Palazzo di Giustizia ad eccezione di Lorenzo Alberto Claris Appiani, Giorgio Erba e Fernando Ciampi, uccisi per mano di uomo armato, Claudio Giardiello, che con quella stessa arma aveva ferito anche altre due persone.
Pur non conoscendo personalmente nessuna delle tre vittime, ricordo di aver voluto andare proprio con Caterina ai loro funerali in Duomo. E, nel tratto a piedi in un pomeriggio di aprile, abbiamo entrambi pensato a quanto lavoro sarebbe stato necessario per cercare di riparare i mille piccoli traumi che un simile evento aveva generato.
Non erano i terroristi, come molti di noi avevano pensato nei primi minuti di concitazione e confusione. Eppure lo scenario immaginato poteva essere simile a quello accaduto pochi mesi prima a Parigi, in quel 7 gennaio 2015 dentro la sede di Charlie Hebdo e lungo le strade ad esse adiacenti. E poi ripetutosi, nel novembre del medesimo anno, dentro il teatro Bataclan. Immagini, viste ugualmente alla TV molte e molte più volte, rimaste così indelebili nella mia memoria che ho sentito l’esigenza, complice il mese scorso una breve vacanza con la mia famiglia, di fare una passeggiata solitaria – di buon mattino – quasi per riconciliarmi con quei luoghi e con quei volti.
Perché è forse caratteristica intrinseca dell’essere umano temere di più quello che non riesce a vedere. Come durante il lockdown, quando ho dovuto accettare – sulla mia pelle- che in guerra non dovevano andare gli uomini, quelli che nel mentre erano poi diventati a tutti gli effetti componenti della sezione antiterrorismo della Procura di Milano e che erano stati capaci di ricercare i foreing fighter financo in Siria, nei territori dello Stato islamico. Perché invece io, e quell’uomo che è dentro di me, dovevo rimanere a Milano chiuso in casa, per 52 lunghissimi giorni da solo con due figli piccoli, ad aspettare una donna medico che tornasse, finalmente guarita, dal fronte.
Siamo passati con le ragazze e i ragazzi del nostro workshop scout, nei primi anni successivi a quella sparatoria a Palazzo di Giustizia, anche davanti alla stanza 250, al secondo piano. E abbiamo ascoltato, con le lacrime agli occhi, la testimonianza di un’altra Caterina, anche lei magistrato ma che quel giorno si trovava invece proprio nella stanza accanto a quella dove è stato ucciso il Giudice Fernando Ciampi, l’ultimo bersaglio. E pur non essendo presenti quel 9 aprile, anche quei giovani hanno finalmente visto.
E oggi, a distanza di 10 anni da quella sparatoria, dentro quell’Aula di udienza siamo stati tutti testimoni del dolore dei familiari delle vittime, ed in particolare di Alberta Brambilla Pisone, mamma dell’Avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani. Ritorna, per un attimo, sui sistemi di sicurezza mancanti quel giorno, “un teatrino di cartapesta” costato una montagna di soldi a carico dei contribuenti. Ma poi spiazza molti confidando che ha passato dieci anni, commemorazione dopo commemorazione, nel tenere vivo l’orgoglio di fare parte di una famiglia che ama il Diritto senza mai ricordare doverosamente chi fosse veramente suo figlio. E oggi, con parole così affettuose che solo una mamma è in grado di partorire, riesce a farcelo vedere, li ancora presente in quell’Aula mentre si accingeva a testimoniare.
E ricorda anche le sue ultime parole, “verità”, imprigionate dentro una fonoregistrazione di udienza prima del suono degli spari.
Per un attimo penso a Marisa Fiorani e alla nostra ricerca di quei nastri per far risuonare la voce di Marcella, ancora una volta dopo quel 24 giugno 1987 nella Questura di Lecce. Ma poi ritorno alla fatica delle parole di questa altra madre in piedi davanti a tutti noi, in questo 9 aprile del 2025, che a me sembra siano davvero generatrici di quel germoglio del racconto di Eliot. Una fatica capace di far ritornare i morti per cercare di fare – tutti – pace con loro.
Ed è in quel momento che l’affresco di “Adamo ed Eva dopo il peccato” che sta alle sue spalle, e che aveva catturato nuovamente il mio interesse anche ieri pomeriggio (in udienza, in quella stessa Aula 2 che ciascuno di noi ha frequentato anche negli anni successivi a 9 aprile 2015 con un senso di rimozione – a tratti meschino quanto utile per la naturale sopravvivenza della specie) mi sembra assumere un significato nuovo. E mentre, per i casi della vita e del lavoro, mi tocca correre a prendere un treno ancora una volta per Firenze, penso anche a Daniela Marcone e al suo ultimo 31 marzo di fronte ai gradini dell’ingresso condominiale dove hanno ammazzato suo padre, ingresso che lei ogni santo giorno deve varcare per entrare ed uscire di casa.
E concordo che sarebbe davvero bello che quell’Angelo – al posto della spada – avesse portato oggi, anche in quest’Aula e in questo Palazzo (quasi una seconda casa per molti dei presenti), una benedizione.
Acqua capace di far crescere quel germoglio per prendersene davvero cura, acqua capace di pulire le ferite da quella terra sporca che i nostri occhi, troppo spesso distratti, contribuiscono ad infettare.
RIconoscersi dentro
Energie disperse prendono una direzione
Ho vissuto con emozione la serata all’Auditorium, sentendola come un valore aggiunto per la città. Qualcuno lo ha detto in apertura: è il piacere della bellezza. L’arte è sapere accostare con sensibilità, attraverso il dono della connessione, le energie disperse per farne una leva. Le passioni rivolte contro se stessi prendono una direzione, il caos genera cosmo e armonia. Quando annusi potenzialità disperse, labirinti della mente, naufraghi e talenti, rabbie e rancori e li metti insieme nasce l’arte della vita.
L’accostamento di stili diversi non è collage, è il di più che esso produce, così si legano il violino barocco, il violoncello che suona con l’armonia del corpo e la plastica emozione del viso, l’interpretazione originale e antiretorica della voce e l’arrangiamento geniale che cerca nella cover l’anima del poeta musicista e la comunica sensibilmente.
Sono stata anche contenta del ritorno di Alessandro Crisafulli, ricordo una giornata turbolenta nella sede di Libera e tutta la distanza e il peso. Rifletto sul fatto, io che temo le separazioni come la la morte, che non bisogna esorcizzare la frattura se si ha in cuore la possibilità di ritrovarsi. Tutto passa, il dolore passa, gli oggetti sono superflui, solo l’essenziale resta, un distillato, una goccia che lasciamo, un frammento che brilla in chi lo raccoglie prezioso e rende testimonianza.
Giovanna Stanganello
Anime Salve, Concerto – Inaspettatamente
Continueremo a litigare
A detta di tutti è andata bene, ma temo che con Issei Watanabe non ci sia altro rimedio che litigare. Già tremo al pensiero del 16 maggio a Rho.
Siamo noi che scriviamo le lettere
Dal sito www.lostrappo.net potete ancora scaricare la nostra cartolina speciale creata per RAIRadio2 Caterpillar.
In questo primo giorno di primavera, ci sta a cuore che in tanti possiate indirizzare i vostri pensieri al Gruppo della trasgressione e ai giovani adulti detenuti a San Vittore,che riceveranno il vostro messaggio nei nostri prossimi incontri del progetto “Alla ricerca del padre” ad aprile e maggio.
🎙 Enzo Jannacci e Sara Zambotti
📸 Chiara Azzolari e Tania Morgigno
✏️ Andrea Spinelli
[Il nostro impegno in memoria delle vittime innocenti della criminalità organizzata🌹]
Quando mi arrabbio
Quando mi arrabbio, fra, divento senza limiti,
urlo così forte che sto a risvegliare gli spiriti
dopo questa rabbia ricordo che sono solo un bambino
che trova conforto negli occhi di mamma
penso che nessuno possa comprendere,
ma la delusione non mi deve più accendere
richiuso in questa stanza ci ho provato e riprovato
ma non riesco a eliminare tutto quello che ho passato.
Una bomba di emozioni
Sono solo una bomba di emozioni
e nessuno mi accende
non usare sti paroloni
se no qualcuno si offende
vivo di vibrazioni
e perciò che mi sorprende
vado in mille direzioni
e dritto contemporaneamente
qui è pieno di gente
è pieno di distrazioni
e nessuno mi comprende
né me né le mie opinioni
e non trovo ragioni
è come se non ci fossi
siamo tutti grossi
e persi nelle illusioni
io rimango a vedere
tutti i loro volti scossi
mentre stanno a perdere
quel poco di buono che indossi
e non vi voglio offendere
nel farvi diventare rossi
ma vogliamo farvi apprendere
quello che pensi, conosci
imparate a volare
ma sappiate anche scendere
e imparate a non mollare
quando c’è tutto da prendere
dovete consigliare
a chi non riesce a eccellere
credimi è bello aiutare
ti potrà sorprendere