“Accadde una cosa che nessuno vide, ma che era più grave di tutto ciò che la gente vedeva”
Questo che scrive Tolstoj può benissimo essere appropriato in tanti altri punti di Denaro falso, man mano che la catena delle falsità si va propagandando. Ma qui mi sembra di notare un punto nodale del racconto, quello, cioè, di vedere come una cedola falsa possa cambiare completamente le carte in tavola nella vita delle persone e di come venga completamente stravolto il sistema di regole che una società si è dato.
Succede che la nota cedola falsificata e di cui ci si deve liberare comunque al più presto, venga questa volta rifilata al venditore di legna Ivan Mirònov dal venditore di oggettistica per la fotografia, Jevghènij Michàjlovic, in cambio di un dato quantitativo di legna, appunto. Quando Mirònov, mezzo ubriacone i cui affari non vanno tanto bene, scopre che la cedola, creduta un affare, è in realtà manomessa e falsa, torna da chi gliel’ha ceduta e lo implora di riprendersela e restituire il maltolto. E qui le cose si complicano non poco. Michàjlovic umilia pubblicamente Mirònov, asserendo con (apparente) convinzione e un molto flebile patema d’animo, di non saperne nulla. Anzi dice che non ha mai incontrato quel povero disgraziato.
Ormai c’è di mezzo anche una guardia, che, tra quanto riporta l’ignorante MIrònov e quello che asserisce il signor Michàjlovic, sta dalla parte di quest’ultimo. Si va a processo!
Mirònov assolda un avvocato che crede nella sua versione dei fatti e Michàjlovic, con piglio sicuro, cerca il portiere Vasilij. Questi è una persona di cervello, elegante, a cui piace la bella vita. Da tre anni ormai si è allontanato dal suo povero villaggio, dove non succede mai niente di eccitante, ha lasciato la sua rozza moglie e vive in città al meglio che può. E’ il principio del piacere a guidare le sue giornate, compreso il fatto di leggere libri, andare a teatro, prendere e lasciare le donne che vuole… Tutte realtà semplicemente inimmaginabili nel paese che ha lasciato.
Tutto sembra andare bene fino a quando non si imbatte nella vicenda della cedola falsificata. Quando Michàjlovic gli chiede, pagandolo, di giurare e testimoniare il falso , egli accetta sia pur con qualche titubanza. Il fatto è che Vasilij è convinto che anche i signori abbiano le loro regole di comportamento, magari sconosciute alla plebaglia. Si fida e segue le indicazioni di Michàjlovic.
Il risultato del processo recita che il giudice crede a Michàjlovic e alla fasulla, ma apparentemente ineccepibile, testimonianza di Vasilij e condanna Mirònov come falso e imbroglione. Questi è disperato, ben sapendo come stavano veramente le cose, implora e si appella anche alla religione, ma non c’è niente da fare. Deve pagare persino le spese inerenti al processo, ma Michàjlovic, da gran signore (?!) lo esonera dal farlo, acquisendo ulteriore credibilità.
E’ il capovolgimento completo della realtà! La cosa ancora più sconvolgente che Tolstoj ci fa notare è che Vasilij constata che i signori, a differenza di quanto immaginava, in realtà non hanno regole e agiscono seguendo il loro tornaconto. A quel punto in Vasilij scatta il convincimento che, non essendoci regole, lui stesso può fare quello che vuole, tanto da ciò non deriva alcun male. Anzi, dopo il processo, riceve ulteriore compenso di denaro da parte di Michàjlovic.
Il resto è presto detto: il portiere Vasilij vive rubando denaro e cose di valore agli inquilini. Gli capita di rubare una borsa persino allo stesso Michàjlov, il quale non lo denuncia però lo licenzia.
Ma Vasilij con la sua amante non vuole lasciare Mosca e cerca un altro lavoro. Lo trova da un bottegaio, ma anche qui, in seguito ad un ulteriore furto, non viene querelato, ma preso a botte e cacciato. A questo punto viene lasciato dall’amante, non ha più risorse e, poco alla volta, deve liberarsi e vendere quanto indossa per poter campare. Arrivata la primavera, “senza perdere il suo umore ardito e gaio” (sic!), come scrive Tolstoj, se ne torna a piedi a casa sua.
Piero Invidia