Il tavolo del Gruppo della Trasgressione

Giuseppe Amato

Nota
Il 50’ anniversario dell’uomo sulla luna ha coinvolto anche il Gruppo della Trasgressione nelle carceri di San Vittore, Opera e Bollate. Ne è nata una domanda sulla velocità di caduta sulla luna di una palla di piombo e di una piuma. Ci siamo chiesti cosa arriverebbe prima al suolo se le lasciassimo cadere insieme. Ognuno ha trovato un proprio modo di sbagliare la risposta. Pino Amato ne ha individuato uno decisamente giocoso.

Ci si può anche chiedere a cosa servano queste domande in un gruppo che ragiona sulla devianza, sulla coscienza esiliata, sul piacere della responsabilità. Forse è un modo per divagare, per incuriosire, una traccia per imparare a giocare.

Chi gioca viene preso in una trama; se qualcuno ne assapora il gusto,  egli proverà a passare, nella ragnatela, da mosca prigioniera a ragno che tesse una propria tela.

E intanto che va avanti, la trama si infittisce, le relazioni si ramificano. Per questo al gruppo si gioca in tanti modi, a volte anche al gioco di Nim.

Non si può dire che tutto si risolva; si comincia a entrare comunque nella rete urbana, quella nella quale, con le difficoltà del nostro tempo, ci muoviamo noi tutti.

Giocando, di certo si impara a dubitare, a innaffiare le domande invece che a seppellirle, a chiedersi quando ha avuto inizio quello che per un certo tempo era sembrata una spada in nostro pugno per farci strada nel mondo e che presto è diventata la corrente che trascina in un gorgo profondo.

Angelo Aparo

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Non esistono solo i bottoni rossi

La lettera di Vito Cosco mi ha sorpreso. Ho già diversi anni di esperienza col Gruppo della Trasgressione ma non pensavo che saremmo arrivati alle sue dichiarazioni così facilmente. Vito è una persona taciturna e pensavo che sarebbe stato zitto ancora per molto tempo.

Dopo qualche anno dall’inizio della mia carcerazione l’ispettore di reparto mi ha suggerito di partecipare a questo gruppo. Anch’io parlavo poco nei primi anni. Inoltre, mentre gli altri parlavano di responsabilità personali, io pensavo di essere vittima dello Stato che ingiustamente mi aveva condannato.

C’è voluto più di un anno per capire cosa si fa al gruppo, ma alla fine credo di esserci riuscito. E quello che ho capito è che fra le cose possibili c’era anche che Vito Cosco si mettesse a parlare di quello che ha fatto.

Al gruppo si impara ad ascoltare gli altri, a fare attenzione a quello che vogliono dire le persone anche quando lo dicono male, si impara a capire che le cose si dicono e si capiscono a piccoli passi, che fa strada la persona che viene ascoltata e non quella che viene rifiutata o presa in giro.

Credo che il gruppo sia una terapia e un posto dove ci si confronta con questioni che fuori fanno ridere o che fuori, almeno per noi che siamo finiti dentro, non c’è tempo di considerare.

Il pentimento di Vito è una questione di tipo morale, non si tratta di collaborazione di giustizia né di chiedere perdono alle persone che non possono perdonarlo. Gli articoli che vengono fuori sui giornali o i servizi televisivi dovrebbero tenere conto del fatto che in carcere uno ha bisogno di fare la sua strada, che è già difficile di suo, anche senza aggiungere malintesi che, in una situazione come quella di Vito, portano solo conflitti e ostilità.

Tra l’altro, Vito ha una famiglia, dei figli che non hanno colpa per quello che lui ha fatto e che oggi hanno tutto da guadagnare se il padre viene aiutato a fare una strada positiva.

Detto questo, io mi chiamo Amato Giuseppe e anche io avrei voluto pigiare quel bottone rosso che non c’è. Il dott. Aparo dice però che ce ne sono molti di altri colori. Stiamo a vedere!

Giuseppe Amato e Angelo Aparo

Giuseppe Amato

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