Padre e figlia al telefono

Non posso credere di essere di nuovo qui. Ma ci sono. Guardo il telefono e aspetto che sia il mio turno per chiamare a casa. Intanto fisso la parete. La fisso così tanto che potrei farci un buco. Ma il buco devo avercelo io nel cervello per essere di nuovo qui. Ero stato così male la prima volta. Parlare al telefono con mia figlia era un misero surrogato per il desiderio che mi divorava di stare con lei. Ma parlarle era meglio che niente. 

Quando sentii la sua voce cominciai a piangere in modo irrefrenabile, ma cercavo di parlare lo stesso. Le dicevo “Ti voglio bene, tanto tanto” E poi arrivò la domanda “Se mi vuoi così tanto bene, perché non torni a casa? Mi manchi”.

Realizzai in un attimo che la prontezza mentale e la freddezza che mi avevano permesso di diventare uno spacciatore all’altezza, lì non mi sarebbero servite. Era altro che dovevo mettere in campo per non perdere l’amore di mia figlia. Lì di nuovo non seppi far altro che mentire, trovando ragioni per la mia assenza da casa, ragioni abbastanza solide da resistere alle indagini di una bimba di cinque anni. In qualche modo ci riuscii. E in qualche modo finì la telefonata, ma non finì il mio rovello interiore. Era giusto mentire? Mentivo per proteggerla o per proteggere me?

Poi sono uscito. In carcere avevo frequentato il Gruppo della Trasgressione, che mi aveva aiutato a riflettere. Avevo maturato la decisione che una volta uscito non mi sarei più messo in una  situazione a rischio. Ricordo ancora l’angoscia con cui chiedevo ai membri del Gruppo “Io voglio smettere, ma ci riuscirò? Io so fare solo questo. Come trovo altro?”

Mi ricordo anche che un detenuto del gruppo mi disse che avevo la stoffa del venditore. Di provarci.

Il telefono è sempre lì. La parete pure. Io anche. Sto aspetando il mio turno per telefonare. Sono divorato dall’ansia. Che cosa dirò a mia figlia? La volta scorsa le ho raccontato una storia. Lei l’ha ascoltata, silenziosa. Poi mi ha detto “Bella la storia. L’hai raccontata bene, ma, papà, io ho sette anni, non è più tempo di storie”.

Nuccia Pessina

Genitori e figli