Sulla tossicodipendenza

Bollate, 11/02/2016 – Verbale dell’incontroNuccia Pessina

Il dibattito si è snodato a partire da una prima domanda e da alcune riflessioni a margine di questa: la tossicodipendenza è una malattia o una scelta? E’ importante rispondere perché un elemento, una situazione, un problema, a seconda di come viene definito, induce differenti reazioni. Secondo alcuni dei presenti, la tossicodipendenza può avviarsi e/o consolidarsi come una libera scelta; per altri inizia come scelta e diventa successivamente una malattia. Come si vede, la relazione tra scelta e malattia non è lineare; al convegno in programma è perciò opportuno che le esperienze di ognuno vengano ben documentate e comunicate dopo un’adeguata riflessione.

Massimiliano: Mi drogo da quando avevo 15 anni. Non so dire se è una malattia, ma so che, come il diabete, dovrò curarla per tutta la vita. Ma per me non ci sono pastiglie, ho bisogno di progetti, di cose intelligenti da fare, di cose e persone in cui credere. Sono 8 anni che non mi drogo, da quando ho ammesso di avere bisogno di aiuto e ho accettato di riceverlo; per la prima volta in vita mia, pur se in galera, paradossalmente, mi sono sentito libero.

Alessandro: Più che malattia, la chiamerei dipendenza.

Luciano: Penso che la prevenzione possa funzionare e debba essere stimolata.

Gianni: E’ una malattia che uno decide di prendere.

Dott. A: Malattia, disagio, libera scelta? Ogni diversa definizione dà luogo a risposte diverse; e questo vale per i diretti interessati, per le persone con cui i tossicodipendenti hanno relazioni, per le autorità legali e sanitarie.

Maurizio: Diciamo di aver fatto una “scelta” perché in realtà “malattia” è un termine che non ci piace.

Diego: Trovare qualcosa che ti dà piacere come te lo dava la droga è la risposta, ma non è così facile che questo accada.

Massimiliano: La droga ti svuota. Più ti droghi e più ti svuoti. Devi nutrirti di altro, ma ti ci vuole uno stimolo, un aiuto.

Massimo: Non riesco e non voglio considerarla una malattia, perché ciò potrebbe indurre ad adagiarsi nella cosa. Comunque, la droga ti svuota, ma spesso quando cominci è per riempire un vuoto che c’è già.

Gaetano: Per me è una malattia. Noi non accettiamo la parola “tossico”. Se non la accetti, non accetti di essere malato e dunque non ti curi. Ho cominciato a 15 anni, con la “maturità” dei 15 anni. E a 15 anni rifiuti l’aiuto, vivi solo per quello e ti svuoti. Poi maturi e “scegli” di uscirne, ma devi sceglierlo tu, devi sceglierlo per te.

Giuseppe A: Fare cose non basta per distrarsi dalla droga. Bisogna avere stimoli diversi.

Franco: La vera medicina per uscire dalla droga è avere un diverso nutrimento.

Roberto Dambra: Mi sono drogato a fasi alterne. Pulito dal 1996 al 2004. Vero che gli obblighi imposti dalla mia situazione (analisi presso il SERT e via dicendo) mi hanno aiutato, ma sono stato pulito per circa 4 anni dopo la fine degli obblighi. Poi ci sono ricascato. Perché? Non lo so.

Dott. A: Quali sono i confini della tossicodipendenza? Le azioni da essa indotte come il furto, la rapina, come vanno considerati? Sono parte della malattia?

Gianni: Un drogato è offuscato. Serve la mano di qualcuno e la propria volontà. Se commetti una rapina mentre sei in crisi di astinenza, è una conseguenza della malattia.

Maurizio: O rubi e poi ti droghi perché fa parte dello stile di vita delinquenziale o ti droghi e poi rubi per sopperire alla mancanza di soldi.

Gaetano: A proposito di ludopatia, molti reati sono commessi da persone tra i 50 e i 60 anni. Se sei malato, anche le azioni compiute sono conseguenza della malattia.

Massimiliano: Ho fatto furti anche quando non avevo necessità di drogarmi. E allora?

Esposito G: Mio figlio è drogato da quando aveva 13 anni. Io non ho mai toccato sostanze. La malattia è il vostro cervello. La fascinazione che provate per la droga è frutto del vostro cervello malato.

Alessandro: Anche mio padre ragiona come Giuseppe. Se io lavorassi, avessi una bella moglie, un figlio, alla sera, stanco per il lavoro della giornata, potrei anche farmi una canna. Che male c’è?

Gianni: Ma lei Dott. A che ne pensa?

Dottor A.: Ho cominciato a scrivere ciò che penso su “Voci dal ponte”, vi aggiungeremo quel che direte voi, cercando di ottenere un quadro progressivamente più organico delle nostre considerazioni sul tema.

Luciano: (per bocca di Tango) Qualcuno forse si droga perché fin da piccolo vede gente drogarsi.

Gianni: Il dottore non ha risposto!

Dott. Aparo: Credo sia opportuno considerare il tossicodipendente una persona che sceglie la malattia. Ma quali sono i confini della tossicodipendenza? Dal momento che la tossicodipendenza comporta un danno per la persona e per la società quali sono le reazioni appropriate a questo danno? Esiste un’alleanza che il tossicodipendente possa considerare valida e nei confronti della quale possa ritenersi ed essere ritenuto responsabile? E se l’alleanza fallisce e il danno ricomincia, cosa facciamo? Il tossicodipendente va considerato l’autore del furto o un burattino guidato dalla tossicodipendenza? Qual è l’atteggiamento più produttivo da parte dello psicologo? Nelle mie aspirazioni, io vorrei essere l’alleato di un burattinaio dimenticato che prova a restituire al burattino la libertà che gli ha tolto.

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Un commento su “Sulla tossicodipendenza”

  1. RECIDIVE
    Non saprei definire la tossicodipendenza con un termine preciso (malattia? libero arbitrio?… ). La cosa su cui vorrei focalizzare l’attenzione è la questione della recidiva. Da quando ho sentito parlare dell’altissima percentuale di recidive, dopo la carcerazione, che si aggira attorno al 90% (se non erro), mi è chiaro che esistono, sicuramente, delle caratteristiche intrinseche all’individuo e al suo trascorso di vita che ha creato dei solchi come una soluzione obbligata, generante coazione a ripetere. Come ignorare, però, con una percentuale così alta, la responsabilità del sistema in generale e in particolare di quello che si occupa “della cura”, della “conversione”, del “recupero”, “dell’assistenza”, ovvero dell’indicare e fornire possibili orizzonti alternativi. Se un Ospedale (nel caso si voglia optare per la definizione di malattia), per esempio nella cura del cancro, dovesse rilevare, tra i suoi pazienti, una così alta percentuale di recidive, dovrebbe pur sempre interrogarsi sulla validità delle sue cure e intraprendere dei necessari cambiamenti.

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