C’è stato un tempo in cui per sentirmi vivo avevo bisogno di morire un po’ ogni giorno…
Quando ho conosciuto Elisabetta stavo camminando da oltre venti anni tra le piaghe del mio passato criminale. Un viaggio profondo iniziato in solitaria, tra le mura della mia cella. L’unico feed-back che mi tornava era un enorme disagio, una sensazione di pesantezza che mi rendeva difficoltoso respirare. Ma non demordevo: volevo iniziare a vivere.
Sono andato avanti così per molti anni, finché un giorno ho deciso di comunicare il mio dolore. Grazie al confronto con gli altri, soprattutto al tavolo del Gruppo della Trasgressione, sono riuscito a ricomporre il mosaico della mia storia, illudendomi, però, di aver raggiunto le profondità del dolore che ancora mi porto dentro. Ma mi sbagliavo: quella era la punta dell’iceberg. L’ho capito quando ho iniziato ad avere contatti con i familiari delle vittime: madri, padri, fratelli e sorelle i cui cari erano stati brutalmente ammazzati da persone come me.
Nei miei interminabili viaggi introspettivi avevo cercato di immedesimarmi in queste persone, ma quando ho visto i loro visi straziati dal dolore il senso di colpa è riemerso prepotentemente schiacciandomi alle mie responsabilità. Ci sono voluti anni per riprendermi ed Elisabetta ha avuto un ruolo importante nella mia risalita dagli abissi.
Elisabetta è entrata nella mia vita qualche anno fa; lei è una mamma a cui un folle alla guida di un’auto ha brutalmente ucciso il suo adorato figlio, Andrea, che aveva solo quindici anni. Elisabetta e io ci siamo “riconosciuti” immediatamente; due vite così agli antipodi ma intrecciate a filo doppio da un denominatore comune: il dolore. Il dolore è uguale per tutti, ma c’è un’importantissima distinzione da tenere sempre presente: io il dolore l’ho causato mentre persone come Elisabetta l’hanno subìto.
Grazie a lei ho fatto un ulteriore passo avanti verso la vita. Come una sorella mi sostiene nelle difficoltà quotidiane e mi stimola a non farmi schiacciare dai sensi di colpa. Io cerco di starle vicino quando la mancanza di Andrea le toglie il respiro, ma di fronte a quest’immane dolore mi sento impotente… Non so cosa darei per aiutarla a portare il suo fardello…
Non potrò mai dimenticare il giorno in cui mi ha chiamato “fratello”… In quel momento ho sentito qualcosa dentro di me sciogliersi, come quando si toglie un ostacolo e il cammino ritorna ad essere fluido. Io, un ex assassino, che vengo chiamato fratello da una mamma cui hanno ucciso un figlio.
Se non è un miracolo questo!