Caro Don Luigi

Caro Don Luigi Ciotti,

quando ti ho sentito parlare guardavo intensamente il tuo viso e i tuoi occhi da vicino.

Parlavi di quei migranti disperati che scappano dalla guerra, dalle violenze o dalla dittatura e attraversano il mare con dei barconi vecchi, cercando una vita migliore. Parlavi della gente che guadagna soldi su questo, non capendo, o facendo finta di non capire, che quei barconi sono pericolosi, che affondano e che ci sono tanti bambini, donne incinte, ragazzi giovani e padri di famiglia che perdono la vita.

Il tuo discorso mi ha fatto tornare al mio passato, perché non si può dimenticare, nessuno può.

Io ho avuto la fortuna di conoscere Paolo Setti Carraro e Marisa Fiorani, che fanno parte del Gruppo della Trasgressione. Paolo ha perso sua sorella Emanuela e suo cognato, il Generale Carlo Alberto della Chiesa e Marisa Fiorani ha perso sua figlia Marcella. Quando ho sentito le loro storie sono rimasto senza parole per il male che ho causato.

Marisa Fiorani una volta mi disse: “Vito, vai sempre avanti, quando sento parlare di Lea, vedo un pezzo di mia figlia Marcella”. Marisa Fiorani mi è stata vicina nei momenti tristi.

Il giorno 13 giugno 2023, dopo lo spettacolo del Gruppo della Trasgressione e di Libera, al Teatro di Opera, sono andato a salutare Marisa e lei, quando mi ha visto, mi ha detto: “Vito, ma non ti vedevo!”, io le ho risposto che l’avevo vista quando era salita sul palco. Era contenta, mi ha preso per la mano come un bambino e mi ha fatto conoscere Don Ciotti.

Come ci siamo incontrati, ci siamo guardati e di istinto ci siamo abbracciati. È stato come se mi stesse abbracciando mio papà.

Mi ha chiesto come stavo, come mi trovavo e gli ho risposto che stavo bene, che mi aveva dato tanta forza e tante emozioni forti; gli ho detto che sono padre di tre figli e nonno di quattro nipotini e che vorrei dargli un abbraccio e un bacio e invece gli ho dato solo sofferenza e dolore.

Oggi penso che anche mia nipote Denise avrebbe potuto dare un abbraccio a sua madre, così come Lea avrebbe potuto abbracciare i suoi familiari. Penso al dolore e al male che ho creato togliendo a una figlia sua mamma.

Quando si fece il mio processo, vedevo l’Associazione Libera a tutte le udienze e mi chiedevo: “Ma questi cosa vogliono? Perché sono qui al mio processo?”. Li guardavo male. Poi ho saputo che era di parte civile ed io ero molto arrabbiato, gli dicevo di andare via. La vedevo come un’avversaria.

Quando c’è stata la prima sentenza e sono stato condannato, in aula c’era pure Don Ciotti. Lo guardavo con occhi diversi e gli dicevo: “Tu che sei un prete, cosa ci fai qua?”. C’era anche Marisa Fiorani, la prendevo a parole: “Ma perché non te ne vai?”, lei mi guardava, io mi mangiavo le caramelle e ridevo.

Dopo tutti questi anni di carcere, di sofferenza e di solitudine, ho riflettuto molto sul male e sul dolore che ho causato a Lea e alla sua famiglia, oggi ne sono consapevole e mi prendo la mia responsabilità.

Oggi sento sentimenti forti e prendo coscienza; oggi capisco perché Libera e Don Ciotti vennero al mio processo e fecero le manifestazioni e le fiaccolate contro la mafia e la violenza sulle donne e capisco perché aiutano i migranti che vengono nel nostro paese.

Oggi vedo Libera e Don Ciotti come una grande risorsa e li voglio ringraziare per il lavoro che fanno e per essere venuti al Carcere di Opera.

Ringrazio anche il Gruppo della Trasgressione, coordinato dal Dott. Aparo, che in questi anni mi sta aiutando molto, Marisa Fiorani e Paolo Setti Carraro che nel mio percorso mi sono stati vicino e sono due grandi stelle e infine l’Istituto di Opera che mi ha dato questa opportunità.

Chiedo scusa alla famiglia di Lea, a mia nipote Denise, alla mia famiglia e a tutta la società civile.

Vito Cosco

I violini del mare contro l’indifferenzaIncontri tra vittime e autori di reato

 

Sotto il testo originale di Vito Cosco

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