Morte dell’autorità e identità deviante

L’arroganza viene definita come un senso di superiorità nei confronti del prossimo, che si manifesta con un costante disdegno e un’irritante altezzosità. Essa si manifesta nella vita quotidiana parlando sopra gli altri, ignorando le opinioni altrui, sminuendo le capacità o i meriti degli altri.

Ma da dove nasce questa caratteristica dell’uomo e quindi di noi tutti? Il gruppo della trasgressione sostiene che l’arroganza, pur se nel tempo potrà diventare una carattreristica individuale, va considerata un tratto della relazione tra il soggetto e la sua autorità di riferimento. Essa, infatti, nasce da una relazione malata tra il soggetto e l’autorità, soprattutto nel periodo dell’adolescenza, tanto più quando il ragazzo si trova a scontrarsi con dei genitori che vive come autorità opprimenti, svilenti e negative.

Da qui l’adolescente interiorizza una figura di riferimento negativa, alla quale si abitua a contrapporsi con arroganza. L’interiorizzazione di questa figura soffocante ha come conseguenza una sfiducia verso tutte le autorità sulle quali il giovane proietta i suoi sentimenti interni e che vede come poco stimabili; questo causa di nuovo comportamenti strafottenti e risposte deludenti o addirittura violente, alimentando un circolo vizioso.

Il giovane vive quindi una situazione ambivalente: da un lato di scontro e di odio verso i propri genitori, perché vuole affermarsi, diventare indipendente, non preoccuparsi del giudizio di questa autorità così opprimente sulla sua autonomia; dall’altro, ha bisogno di una figura solida cui fare affidamento per riuscire nei suoi compiti evolutivi.

Il giovane è combattuto e non sa dove andare a parare e in chi o in cosa riporre la sua fiducia, ed è qui che diventa cruciale l’ambiente e tutto ciò che circonda la sua vita ed è qui che il gruppo della trasgressione trova un legame con il tema della delinquenza: nel gruppo dei pari si trova quella affermazione di sé, quel potere, quel riconoscimento che tanto si stavano cercando.

Chiaro è che, se si cresce in contesti degradati, scivolare verso la delinquenza è una strada in discesa: La conferma del gruppo dei pari in risposta ai primi reati, la rabbia verso i genitori che hanno perso credibilità portano il ragazzo a delinquere, facendolo sentire autorizzato a procedere nel reato e a ricavarne senso di autostima e di potere.

Il tema dell’arroganza viene trattato in diversi ambiti, come letteratura, arte e mitologia, e con alcuni esempi viene più semplice spiegare quanto discusso prima. Il primo esempio può essere il mito di Sisifo, che viene peraltro interpretato dal gruppo in teatro. Questa la sintesi: Sisifo è un giovane adolescente che si sente trascurato dalle proprie figure di riferimento, in lui cresce un senso di rabbia e arroganza che, unita alla sua grande intelligenza, lo porta ad ingannare gli dei per ottenere l’acqua che lui desiderava. Nella mitologia, questo comportamento irriverente e presuntuoso può essere interpretato come una sfida alla volontà divina o come un tentativo di superare i limiti imposti dagli dei, che quindi decidono di punirlo con la famosa fatica di Sisifo.

Altro esempio della mitologia, che spiega bene il tema dell’arroganza e si accosta facilmente all’interpretazione che ne dà il gruppo della trasgressione, è il personaggio di Icaro, il quale dotato delle ali di cera costruite dal padre e accecato dall’entusiasmo e dall’ambizione di volare sempre più in alto, ignora i suoi moniti e si alza sempre più vicino al sole. Di conseguenza, le ali di cera si sciolgono e Icaro precipita in mare. La sua arroganza viene intesa come la sua decisione di ignorare i consigli e gli avvertimenti di suo padre, credendo di essere invincibile e di poter superare le leggi della natura. L’ambizione e il desiderio di provare il proprio coraggio e la propria audacia lo portano alla rovina.

Sulla stessa scia dei precedenti esempi, Dante nel canto XIV dell’Inferno incontra Capaneo, un guerriero greco della mitologia, anche lui noto per la sua superbia e il suo disprezzo per gli dei, infatti è nel girone dei bestemmiatori. L’arroganza del personaggio mitologico era diretta principalmente contro Giove e la sua autorità divina. Capaneo si considerava al di sopra degli dei e si rifiutava di sottomettersi alla loro volontà, sfidandoli apertamente con le sue parole audaci “O Giove, scommetto che nemmeno tu riuscirai a fermarmi!”, così Giove lo polverizza immediatamente con un fulmine. La sua pena consiste nel giacere supino su una pianura di roccia bruciante sotto una pioggia di fuoco e, mentre è tormentato dalle fiamme, emette urla di dolore e bestemmie contro Dio. Il dannato non è ateo, anzi riconosce la presenza di Dio, ma gli si vuole opporre perché crede soltanto nel proprio valore e nel proprio coraggio, proprio come l’adolescente che si ribella alle figure genitoriali.

In conclusione, quando l’adolescente perde fiducia nelle sue figure di riferimento, in lui nasce un sentimento di rabbia e cresce l’arroganza; i genitori di fronte a questo atteggiamento di sfida tendono sempre meno il braccio della protezione e del contenimento e questo alimenta sempre più il dolore e la sfiducia dell’adolescente.

Egli, non riuscendo a governare questi sentimenti in modo corretto, reagirà al lutto dell’autorità perduta cercando una compensazione nel gruppo dei pari che, se è a sua volta caratterizzato da delusioni, rabbia e arroganza, porterà il giovane a intensificare la sua condotta delinquenziale e a cristallizzarsi nella propria identità deviante.

Benedetta Comoglio

I Sentieri dell’arroganza