Giusi Fasano

Giusi Fasano – Intervista sulla creatività

Giusi Fasano è scrittrice e giornalista. Lavora per il Corriere della Sera dal 1989, occupandosi principalmente di cronaca nera e giudiziaria. Nel suo lavoro applica la creatività nella ricerca delle parole per trasmettere al meglio i fatti di cui scrive.

 

Elisabetta: Cos’è per lei la creatività?

Giusi Fasano: Ho imparato nel tempo che la creatività è come la fame: viene mangiando. Nel mio caso personale, la creatività è imparare a utilizzare le parole e il linguaggio, facendo tesoro sia della quotidianità sia dell’emotività. La creatività aiuta l’empatia e la comprensione delle cose, così come le parole giuste: noi siamo parole, i fatti sono parole e la capacità di trasporre l’emotività nelle parole è creatività.

 

Anita: Quali sono i principali ingredienti del processo creativo?

Giusi Fasano: Nel processo creativo in generale gli ingredienti sono legati a ciò che tu puoi attingere dalla vita per quello che fai. Per esempio, se tu sei una persona che nella vita è sempre stata in contatto con il dolore dei bambini in ospedale, come può essere un pediatra oncologico, il processo creativo potrebbe prendere spunto dal bisogno che gli altri hanno di stare meglio, quindi, in questo caso, il medico potrebbe travestirsi da clown per far si che un bambino prenda con più leggerezza una medicina.

Per me personalmente il processo creativo riguarda l’utilizzo e la mescolanza delle parole; riguarda anche il modo particolare di raccontare tutto l’insieme, costruendo un percorso di lettura per chi leggerà. Credo siano molteplici i fattori che contribuiscono al processo creativo: dall’esperienza passata all’emotività di un momento preciso, dal rapporto con gli altri alla capacità di cercare strade alternative.

 

Elisabetta: Cosa avvia, come si sviluppa la sua creatività e in quali condizioni?

Giusi Fasano: A volte mi capita di non sentirmi in grado di trasmettere agli altri quello che le persone di cui devo scrivere mi raccontano e, quando mi succede, m’incazzo. Questa mia incapacità di farmi portatore del messaggio mi induce ad avviare un processo che diventa creatività. Informarsi e cercare di approfondire il più possibile le cose dà luogo a un processo che ti permette di costruire un articolo partendo da un dettaglio. Questa ricerca, quindi, permette a me di sviluppare la mia creatività. Le condizioni, nel mio caso di giornalista, dipendono dal desiderio di essere il più possibile comprensibili, empatici e capaci di riprodurre il  pensiero altrui.

 

Anita: Che conseguenze ha sulle sue emozioni e il suo stato d’animo la produzione creativa?

Giusi Fasano: Conseguenze benefiche. Se creatività è lavorazione del pensiero che tu vuoi trasmettere, lavorazione delle parole e lavorazione anche dei pezzetti di vita o di cose che stai facendo per poter convivere con gli altri, se creatività è tutto questo, allora è benefico ed è salvifico avere la possibilità di incamerare pensieri e, in qualche modo, plasmarli per poterli fare tuoi e per poterli trasmettere agli altri. Io non credo ci sia un’accezione negativa della parola creatività, a meno che per creatività non s’intenda la creatività di un sadico nell’uccidere una persona.

 

Elisabetta: Che incidenza ha l’atto creativo sulla percezione di se stessa?

Giusi Fasano: Nel mio caso personale, l’atto creativo ha un’incidenza relativa perché io non riesco ad essere molto compiaciuta di quello che faccio. Per carattere, io sono una persona piena di dubbi, sempre disposta a rivedere le cose e, quindi, l’auto-esaltazione per un processo creativo non è una cosa che mi appartiene. Sono in grado di capire bene quando una cosa che ho fatto ha un valore, ma non riesco a gioirne pienamente.

 

Anita: Nel rapporto con gli altri il suo atto creativo cosa determina?

Giusi Fasano: Essere singolari, essere unici: ognuno di noi può scegliere di essere banale, di seguire un flusso, di accodarsi a qualcosa oppure di essere particolare e di cercare un modo che caratterizzi se stesso per la persona che si è. Secondo me, le persone uniche si riconoscono sempre perché hanno sicuramente della creatività nel loro modo di fare.

 

Elisabetta: Quanto è importante il riconoscimento degli altri per il prodotto creativo?

Giusi Fasano: Tutto quello che noi facciamo rispetto al mondo e agli altri lo facciamo perché gli altri riconoscano in noi il nostro modo di essere e che approvino, chi più e chi meno, il nostro modo di fare e il nostro comportamento. Io credo che senza gli altri non avvieremmo gran parte dei nostri processi creativi, perché non avremmo nessuno a cui mostrarli. L’accettazione e l’approvazione degli altri sono una grande spinta per il processo creativo. Al di fuori del bisogno del consenso altrui rimane quella piccola parte che facciamo per noi, che è uno spazietto che ci ricaviamo per crescere con noi stessi.

 

Anita: Chi sono i principali fruitori del prodotto creativo e come ne traggono giovamento?

Giusi Fasano: Direi che le prime persone che beneficiano del prodotto creativo sono gli autori stessi. Io penso che l’esplosione della creatività nella vita sia anche legata all’età: i giovani sono dei fruitori assoluti del loro prodotto creativo. Lo scoprire di avere un talento creativo durante l’età adolescenziale o nei primi anni da adulti è un’esplosione di sensi e di sensazioni che dura a lungo, che fa crescere e che aiuta l’orologio della vita a segnare delle ore precise, che possono ricordarti i diversi modi in cui sei cresciuto. Inoltre, credo che i fruitori del prodotto creativo siano anche quelle persone che hanno curiosità nella vita e anche coloro che sanno utilizzare il loro pensiero creativo applicandolo sia alla creazione manuale che alle cose di ogni giorno. Banalmente, la fruizione del prodotto creativo può andare da mio padre che s’inventa soluzioni creative per riparare gli oggetti in casa sino al grande scienziato che sperimenta qualcosa e si ritrova con l’invenzione del secolo.

 

Elisabetta: quale immagine le viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?

Giusi Fasano: di primo impatto mi viene in mente il film Ghost, in particolare la scena in cui la protagonista sta costruendo un vaso in argilla. Se penso alla creatività intesa come realizzazione di un prodotto creativo fisico, come per esempio un vaso, un quadro, un’opera di architettura, mi viene in mente qualcosa che si realizza sotto gli occhi dell’autore… ad esempio, gli artigiani che a Murano creano il vetro allungandolo, gonfiandolo e stringendolo.

Per quanto riguarda i prodotti della creatività intesa in senso astratto invece, come per esempio la scrittura di un libro, un articolo o un saggio, non mi viene in mente nessuna immagine che possa ben rappresentarla, in quanto è un processo molto più lento, che può durare per giorni, mesi o anni. Per esempio in questo periodo sto scrivendo un libro che è stato definito come un esperimento letterario creativo, e penso davvero lo sia, però, se penso a un’immagine che ben rappresenti la creatività, non mi viene in mente il mio libro e il pensiero che vi sto scrivendo, ma qualcosa di tangibile e concreto.

 

Anita: pensa che esista una relazione tra depressione e creatività?

Giusi Fasano: Semmai, io vedo un collegamento tra depressione e mancanza di creatività. Pensiamo ad una persona ipercreativa, come ad esempio Andy Warhol che io definisco a metà tra la sfera intellettuale e quella pratica o anche Monet. Secondo me, persone di questo tipo, nel momento in cui non riescono più a dipingere, a creare e a trasmettere il loro messaggio, risultano esposte a un abbassamento del livello della felicità, della soddisfazione e della voglia di vivere, con la conseguenza che possono addirittura sviluppare una  depressione. Se io oggi non riuscissi a scrivere più niente, se non avessi più un pensiero che mi soddisfacesse dal punto di vista della comunicazione, penso che probabilmente mi deprimerei. In questo senso non intendo dire che la depressione inibisce la creatività; dico piuttosto che la persona ipercreativa, con mille idee sempre innovative, credo sia difficile che possa deprimersi perché si fa forte di questa sua capacità di vedere il mondo in modo creativo. Al contrario, una persona che per mille ragioni non trova più l’ispirazione oppure non riesce a metterla in pratica, è pericolosamente esposta alla depressione proprio perché non si percepisce più come persona creativa.

 

Elisabetta: quando un prodotto creativo è per lei davvero concluso?

Giusi Fasano: un prodotto creativo si può considerare concluso quando l’autore si sente soddisfatto guardando ciò che ha creato, non ha importanza se lo è davvero o meno. Se il creativo percepisce che il suo prodotto creativo è concluso, è come se all’interno di esso non ci potesse più entrare nemmeno un grammo di creatività. Il tentativo di eccedere nella creatività, stimolarla ancora e ancora fino a portarla allo stremo, diventa distruttivo per la stessa creatività.

 

Anita: pensa che la creatività possa avere una funzione sociale, e se sì, quale?

Giusi Fasano: la creatività ha sicuramente una funzione sociale, più nello specifico rieducativa. Può essere utile per tutte quelle categorie fragili di persone che si trovano in difficoltà e che hanno bisogno di essere seguite nel loro percorso di vita. Se questi individui vengono esposti e stimolati alla creatività, sicuramente la creatività potrà restituire loro pezzi di vita perduti, pezzi di felicità dispersi o pezzi di sé.

 

Elisabetta: la creatività è un dono naturale privilegio di pochi o si tratta di una competenza accessibile a tutti e che può essere allenata?

Giusi Fasano: di base penso che la creatività sia un dono naturale. A conferma di ciò, penso ad alcune persone dotate di una creatività esplosiva come ad esempio Mozart che, a quattro anni, sapeva riconoscere se un musicista avesse prodotto una nota di un’ottava più alta o più bassa rispetto all’intera melodia. Ecco, in questo caso sicuramente la sua creatività era un dono innato. Nonostante sia un dono, è possibile anche coltivarla allenandosi continuamente ad esprimerla anche nelle attività quotidiane.

Questo però non vuol dire che l’accesso alla creatività regali automaticamente la capacità di metterla in pratica. Per esempio, se paragonassimo la creatività ad una stanza con le pareti piene di colori e di immagini, il semplice fatto che una persona abbia accesso alla stanza e riesca ad entrarci, non significa che automaticamente diventi in grado di produrre qualcosa di creativo. Tutto dipende dalla propensione, dalla curiosità e dalla personalità di un individuo.

Il fatto che la creatività sia accessibile a tutti può essere confermato anche dai risultati benefici provenienti dai laboratori creativi destinati alle persone con qualsiasi tipo di disabilità, fisica o mentale, grave o lieve che sia. Pur avendo delle evidenti difficoltà, se tali individui vengono stimolati alla creatività e vengono forniti loro gli strumenti necessari per sostituire le mancanze dovute alla condizione di disabilità, riescono anch’essi a produrre, a giocare e a vivere la loro vita in maniera creativa.

 

Anita: la creatività può avere un ruolo utile a scuola e/o nelle attività di recupero del condannato?

Giusi Fasano: in entrambi i casi, sia a scuola che per il condannato, in quanto la creatività è da considerarsi tale a prescindere da chi la vive e la pratica. La funzione benefica che la creatività può ricoprire per un condannato nella sua cella o in un laboratorio all’interno del carcere è universale. È un risultato magnifico quello che si raggiunge quando si riesce a stimolare una persona e la si spinge a dare voce alla sua vena creativa, in quanto questo processo aggiunge automaticamente ricchezza alla nostra umanità e alla nostra specificità individuale. L’elemento importante, come detto prima, è la stimolazione alla creatività, la quale per un condannato o per un bambino con problemi di salute gravi può arrivare da parte degli educatori.

Sicuramente la stimolazione alla creatività potrebbe avere un ruolo fondamentale e benefico anche per gli adolescenti che nascono e crescono in quartieri disagiati o quelli in cui le attività della criminalità organizzata avvengono alla luce del giorno. Non ha importanza chi sia la persona in condizioni difficili, quanti anni abbia, quale ruolo ricopra o quale educazione abbia ricevuto. La creatività può, a prescindere, aiutarla.

Intervista ed elaborazione di
Anita Saccani e Elisabetta Vanzini

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