San Vittore, Reparto La Chiamata

A San Vittore  nasce il ‘Reparto La Chiamata’ per i ragazzi reclusi, mai così tanti

Giovani tra i 18 e i 25 anni hanno presentato nel carcere milanese i frutti del primo mese di un progetto nato nel momento in cui registra “il record assoluto” di presenze dei giovani adulti 

di Manuela D’Alessandro – Da AGI > AGENZIA ITALIA

AGI – Hamadi ha poco più di 20 anni, è alto, indossa una felpa nera e i pantaloni bianchi. E’ qui perché ha ucciso una persona. Ma è qui anche perché è il “capostipite” del reparto ‘La Chiamata’ di San Vittore, un luogo che non c’è ancora fisicamente e non si sa se un giorno sarà davvero ritagliato nei raggi del carcere ma esiste da 10 settimane, ogni giovedì mattina, quando una decina ragazzi tra i 18 e i 25 anni si ritrova per immaginarlo e, di fatto, a costruirlo.

“Il record assoluto di ragazzi detenuti”

A consegnare ad Hamadi il ruolo di ‘primo’ è Juri Aparo, lo psicologo inventore del ‘Gruppo della Trasgressione’, un ‘sarto’ visionario che da decenni prova a cucire strappi: quelli tra chi commette reati e chi li subisce e tra i colpevoli per la giustizia e il mondo fuori, a cominciare dalle scuole. I primi frutti della ‘Chiamata’ ancora acerbi ma promettenti sono stati mostrati sul palco della ‘Rotonda’ di San Vittore, la ‘piazza’ da cui si dipanano i raggi della prigione, dove sono arrivati dalle celle Hamadi e i compagni.  Il direttore Giacinto Siciliano spiega: “Ci sono tantissimi giovani adulti a San Vittore, siamo al record assoluto e molti sono alla loro prima esperienza in carcere. Ci siamo chiesti: come possiamo esserci?”.

“Un fiore al posto del dolore”

Ed ecco Francesco Cajani, magistrato che con un sorriso dice di essersi “un po’ stufato di mandare in carcere le persone” che estrae da una borsa gli ‘strumenti’ del giovedì mattina per raccontare cosa succede a metà di ogni settimana di pene lunghe o brevi da scontare. Ci sono un leggio di cartone, “per valorizzare i lavori”, uno “specchio magico” “per guardarsi dentro scavando sempre più in profondità la propria buca” e una candela “per fare luce” in tutta quell’oscurità.

E i ragazzi uno a uno, affiancati dai volontari di ‘Libera’ e degli scout di Milano e dintorni, hanno portato in dote il loro raccolto poetico. Versi come schegge che tagliano l’aria claustrofobica riempiendola di scintille  mentre li declamano. “Me ne fotto del calmante/ e di una vita barcollante/. Non mi basta un’altalena/mano buona sulla schiena. /Vorrei l’alba chiara e un fiore/al posto del dolore/. “Delinquo e quindi sono, non mi servono/catene/. Ho ammesso i miei reati e il carcere non mi appartiene”.

Aparo ha scelto Hamadi come ‘primo’ perché in lui scorge “la mostruosa polarità tra l’intensità della sua intelligenza e quello che ha fatto”. E lui non si tira indietro: “Attraverso un percorso psicologico ho acquisito la conoscenza di me stesso e preso le mie responsabilità. Nel reparto della ‘Chiamata’ il mio compito sarebbe quello di aiutare i giovani detenuti”.

La moneta dei talenti

Ai ragazzi spetta mettere in fila le richieste per il Reparto al direttore Siciliano, al magistrato Cajani, alla comandante della polizia penitenziaria Michela Morello, alla presidente della Sorveglianza Giovanna Di Rosa, al cappello del carcere minorile ‘Beccaria’, don Burgio, che ha vissuto la rivolta di qualche mese fa. Sono tutti in ascolto nella ‘Rotonda. Hamadi lo sa: “Io vorrei che l’offerta culturale non fosse un optional e che si potesse dialogare per conoscersi e farsi conoscere”.

Di Rosa osserva che “il denominatore comune” nei primi incontri “è la ricerca di una guida e poi anche il bisogno di dare un ‘senso’ al reato’”.

Nella borsa dei giovedì c’è anche una moneta: “la moneta dei talenti”, se la gira tra le mani con cura Cajani perché è la carta che può cambiare il destino. Oggi si sono visti brillare tanto da ricevere il ringraziamento dei familiari di tre vittime della mafia che, il giorno prima della giornata in memoria dei caduti, hanno sentito nelle loro giovani voci la speranza, semplice ma enorme, “di un mondo migliore”.

AGI -Agenzia ItaliaL’evento nella registrazione di Radio Radicale

Reparto La Chiamata  – Inverno e PrimaveraLo StrappoLibera

Gli occhi parlano

È tra gli occhi dei giovani detenuti che oggi mi ritrovo; quegli occhi così tanto acerbi che rendono difficile pensare che possano essere di già testimoni di orrori vissuti e sbagli commessi.

Attraverso quegli sguardi ho scorto fragilità, paure, limiti, dolore, caratteristiche che accomunano tutti gli esseri umani, eppure, se contestualizzati nella stanza a sinistra, in fondo ad un corridoio lungo e scarno, acquisiscono una intensità più consistente.

Penso, sono solo dei ragazzi.. ragazzi che hanno commesso reati per i quali le loro esistenze saranno segnate per sempre, ma sono comunque ragazzi i quali, una volta riconosciuta la responsabilità relativa agli errori compiuti, potranno permettersi di guardare al futuro con occhi diversi, arrivando a concepire la pena inflitta come possibilità di redenzione. Perché se è vero che questi giovani oggi smarriti vivono in preda alla fragilità esistenziale che avvolge totalmente le loro menti, è altrettanto vero che possono imparare a riconoscere dove hanno peccato.

D’altronde, entrano in carcere nel periodo in cui ci si accinge ad erigere quella che successivamente diventerà l’identità adulta. Non sarà evidentemente possibile ripartire dal punto zero, ma è ancora possibile una loro evoluzione attraverso il riconoscimento e l’accettazione di ciò che ha portato all’errore, arrivando anche a fare proprio il naturale timore che il rischio dell’ignoto comporta e scegliendo di ricominciare da se stessi.

Affinché questo processo possa attuarsi penso sia necessario guarire emotivamente, provando e acconsentendo a sapersi perdonare.

Lo smarrimento trapelato dal loro modo di comunicare è stato forte tanto quanto il timore e la voglia di volersi imporre, di voler esistere. La mancanza di ossigeno era viva quanto la ricerca stessa di aria pulita, della quale probabilmente da tempo avvertono l’assenza.

Forse in questo modo, quei sentimenti imprigionati possono finalmente essere liberi di germogliare; il delirio e l’onnipotenza ricercati e poi saggiati con feroce voracità potranno lasciare il posto al perdono ed alla richiesta di aiuto.

Gli intenti di questi giovani detenuti sono privi di dietrologie; quello che prevale è piuttosto l’esplosione dell’impulso che porta alla devianza.

Personalmente, posso dire di aver percepito una differenza sostanziale con i detenuti adulti: per questi ultimi ciò che predomina e risalta è la consapevolezza e l’accettazione della condizione che si sta vivendo; mentre per i giovani, pur pervasi dalla paura di quello che prima o poi per forza di cose sarà, prevale l’intenso desiderio di riprendere tra le mani quello che in questo momento manca loro più di ogni altra cosa, la vita.

Giorgia Olivadese

Reparto LA CHIAMATA

Non lasciarlo mai solo

Io credo che un giovane al suo primo ingresso in carcere, a maggior ragione se ha commesso un reato grave come un omicidio, non debba mai essere lasciato da solo, soprattutto nel primo periodo. Il ragazzo deve sapere che c’è qualcuno disponibile ogni volta che lui ha bisogno di essere ascoltato.

Dico questo per esperienza personale. Io sono entrato in galera la prima volta a 46 anni per omicidio e voi non potete capire come una persona si senta. Volevo farla finita, mi sentivo vuoto, non avevo più emozioni, fissavo sempre il soffitto della cella, su un letto, non avevo sentimenti, sentivo troppo il peso che mi schiacciava per ciò che avevo fatto, mi domandavo come ero potuto arrivare a togliere la vita ad una persona che credevo di amare.

Per questo dico che il detenuto nuovo va seguito, va ascoltato, va preso per mano e va motivato a seguire un percorso individuale per far sì che si senta un po’ meglio con se stesso.

Altra cosa importante è la famiglia, in questa fase il detenuto giovane ha bisogno di sentirsi amato. Questo gli darà forza per affrontare le conseguenze e le difficoltà del suo percorso.

Queste sono le cose primarie per un ragazzo che entra per la prima volta in carcere soprattutto per un grave reato come l’omicidio. Deve trovare per prima cosa un suo equilibrio psicofisico, poi, dopo, viene il lavoro, poi la scuola, poi lo sport, poi i gruppi.

Un altro aspetto importante di questo reparto, per permettere al detenuto di avere idea di cosa lo aspetta, è la presenza in reparto di detenuti con alle spalle una certa esperienza della detenzione; bisogna scegliere detenuti in grado di aiutarlo ad inserirsi in questo reparto e di affiancarlo nei momenti di difficoltà. Devono essere detenuti responsabili, consapevoli del reato commesso, con un cammino alle spalle, ragazzi e uomini che credono nel cambiamento, che possono dare qualcosa in più ai giovani che entrano in carcere.

Io credo che noi detenuti che stiamo facendo tanti anni di carcere abbiamo il diritto ed il dovere di dare anche noi qualcosa in più ai giovani ragazzi che entrano per la prima volta in carcere.

Reparto La Chiamata

Educare a evadere

Educare. Dal latino “ex+ducere”, condurre fuori. In sostanza, educare significa condurre fuori, guidare il vero io di una persona alla realizzazione di sé.

Evadere. Dal latino “ex+vadere”, andare fuori. In sostanza, evadere significa uscire, andarsene, liberarsi di ciò che ti tiene chiuso dentro.

È un’idea che mi fa sorridere quella di unire questi due concetti pensando al carcere. Educare a evadere, però, è l’unica soluzione che vedo a tanti problemi.

Nei corridoi del carcere di San Vittore ho visto diverse facce, per quel poco che ho visto. Tante tristi, arrabbiate e strafottenti; alcune inquietanti; poche con il sorriso. Queste ultime le ho viste durante gli incontri con il gruppo de La Chiamata. Non so cosa abbia portato questi ragazzi in carcere e non so se lo voglio sapere, perché sento che potrei cambiare lo sguardo con cui li guardo. So solo, che se vengono tutti i giovedì mattina hanno qualcosa che li spinge, qualcosa che li fa stare meglio di come stanno quando non sono con noi. Lo dico non per superbia, ma perché quando arrivano hanno sempre il muso, gli occhi incazzati e tutto sommato poca voglia di sentire me, o altri, fare queste riflessioni filosofiche sulla galera. Però, alla fine di tre ore di sproloqui, questi sorridono. Sorridono tra di loro e sorridono a noi. Sorridono persino al magistrato che fa parte del gruppo. E se ci fosse una guardia, sorriderebbero anche a lei, sicuro.

Io non so cosa gli facciamo di bello, perché io spesso torno a casa incupito e con un sacco di pensieri ingombranti. Ma magari il senso del Reparto La Chiamata è proprio questo: creare relazioni. E come in tutte le relazioni favorire lo scambio di sé stessi. Io do a te, tu dai a me. Quello che hai, quello che sei.

Il detenuto mi dà un po’ di fatica, io gli do un po’ di normalità. Lui mi dà il suo senso di colpa, io gli do il mio senso di inadeguatezza nel non sapere come aiutarlo. E così andiamo avanti, tutti e due cercando di costruire un mondo, fuori e dentro dalla galera, migliore e che valga la pena di essere vissuto.

Costruiamo insieme una relazione che ci educa, che ci conduce fuori da noi stessi, per diventare altro, per diventare meglio. Per evadere, finalmente, dalle nostre gabbie personali e diventare persone libere.

Si, liberi. Noi e loro. Perché per quanto noi siamo fuori, siamo spesso in gabbia, presi come siamo dalla routine perdiamo il contatto con il reale e ci inscatoliamo dentro una così detta “vita normale”. E quando entriamo in carcere, parlo per me almeno, mi rendo conto di cosa voglio che nella mia vita sia diverso, che cosa mi renderebbe felice. Che cosa mi farebbe evadere dalla prigione in cui mi trovo io.

La galera, il Reparto La Chiamata e il gruppo mi stanno educando a evadere. Vorrei che questo diventasse un modus operandi non solo mio, non solo nostro, ma di tutta la società.

Evadere dalle galere deve essere il nostro obiettivo. Sicuramente è il mio.

Reparto La Chiamata

Guidare il colpevole alla salvezza

La giustizia deve essere equa e condurre al perdono. Non c’è giustizia sino a che tutti non siano soddisfatti, persino coloro che ci hanno fatto un torto e che meritano una giusta punizione. I colpevoli non dobbiamo solo punirli, è necessario guidarli alla salvezza.

Affinché ciò accada è necessaria una riforma che parta dai vertici, da chi detiene il potere, conferitogli dal popolo, e ciò per favorire cambiamenti determinanti.

Se è vero che il carcere è una ottima scuola per diventare delinquenti, è altrettanto vero che a questo non si pone rimedio non con la violenza, l’indifferenza, la tracotanza di chi ci lavora. Per chi lavora in carcere, la cosa più importante è una preparazione culturale adeguata per relazionarsi con coloro che, giovani o meno giovani, vengono incarcerarti per la prima volta. È necessaria una grande esperienza e una corretta formazione professionale per trattare con persone di etnie, lingua e religione differenti e che hanno, per la maggior parte, la colpa di essere nate lì dove regnano l’emarginazione, la dittatura o la carestia.

La civiltà di uno Stato si misura anche dallo stato delle sue carceri. È vero, questa è diventata una frase fatta, tuttavia spero che chi ci governa la faccia propria e si impegni sin da subito a stanziare energie e denaro, ricordando che dove non vi è energia positiva non c’è colore, non c’è forma, non c’è vita. E solo con investimenti economici si può avere personale qualificato in grado di affrontare questa grande sfida.

Finché ciò non accadrà, io avrò paura di invecchiare, paura di diventare flaccido, rassegnato vile e sottomesso, paura di venire accoltellato in carcere da uno come me.

Matteo Franco Zaffran

Reparto La Chiamata

 

Un campo d’azione

Interdipendenza non somiglianza
Una prova di coraggio verso il cambiamento

Molti giovani adulti rinchiusi in carcere non hanno veramente avuto un’adolescenza. Per questa ragione, c’è bisogno di riunire il maggior numero di risorse possibili per il reparto “LA CHIAMATA”, che immagino come un campo d’azione e una prova di coraggio verso il cambiamento.

Gruppo operativo
Composto da persone capaci di stabilire un contatto con i giovani adulti, che tengano conto delle difficoltà presenti nella crescita umana, in funzione di una pratica educativa che prediliga la comprensione e la relazione, piuttosto che programmi e schemi rigidi.

Contesto
L’ambiente deve suggerire una nuova opportunità di relazione con il giovane. Secondo la teoria di Winnicott (1984), l’atto antisociale è una manifestazione di speranza, un tentativo di chiedere aiuto al mondo degli adulti. Per questo penso a un ambiente fisico e psichico che restituisca voce alla speranza attraverso un costante dialogo e una continua relazione con il giovane, per contenere l’emergere di sentimenti di sfiducia che lo possano indurre a disinvestire sul proprio futuro.

Reclutamento agenti
Credo sia importante reclutare agenti di polizia penitenziaria fortemente motivati a contribuire al cambiamento della persona detenuta e a tollerare e comprendere la fragilità umana. È importante avere nel reparto agenti con una specifica formazione sui fattori che contribuiscono alla costruzione di un’identità criminale e su come contrastare il risentimento, la rabbia e gli atteggiamenti oppositivi, che in luoghi come il carcere sorgono facilmente nel giovane adulto.

Presenza di Peer Support
In aggiunta al lavoro dell’agente motivato e formato, credo sia necessaria la presenza in reparto di detenuti o ex detenuti membri del Gruppo della Trasgressione con lunga esperienza di detenzione. Questo per mantenere un equilibrio tra rigore (agente di polizia) e solidarietà (detenuto o ex detenuto) e per contribuire alla salvaguardia della fiducia e della salute mentale del giovane (che, appena fermato, immagino spaventato e disorientato).

Collegamento con la famiglia e psicofarmaci
Se tra le figure familiari fosse presente un parente “portatore sano d’amore”, incoraggerei frequenti colloqui con il giovane adulto. Inoltre, questo accudimento potrebbe sostituire gli psicofarmaci, “Vorrei essere aiutato a vivere, non a dormire. Vorrei non non mi venisse consigliato di prendere una terapia”, (detenuto, San Vittore, 12.01.2023). “Se si partecipa a un progetto non c’è bisogno di dormire. Il controllo non si ottiene con lo psicofarmaco ma con ruoli che permettano l’esercizio della responsabilità”, (Aparo, San Vittore, 12.01.2023).

Guide credibili e Progetti
Il miglioramento psichico del giovane adulto è raggiunto se l’adulto di riferimento è credibile e capace di attrarlo, senza forzature o imposizioni, con progetti nei quali il giovane possa ricoprire un ruolo significativo (esempio: scrivere pensieri, riflessioni su un certo argomento proposto). L’approccio, saldamente collaudato dal nostro Gruppo, permetterebbe al giovane di prendere, in regime di totale volontarietà e libertà, consapevolezza del suo mondo interiore, dei propri sentimenti e dei propri conflitti.

Contaminazione col mondo esterno
Appuntamenti periodici frequenti per offrire uno stabile “nutrimento culturale” all’interno del reparto. Preparazione di spettacoli teatrali e altre forme d’arte, laboratori che offrano occasioni di apprendimento e di crescita personale. Inviterei docenti universitari, studenti delle scuole superiori, studenti universitari, artisti ma soprattutto gente comune, volontari disponibili al confronto e alla riflessione, persone portatrici di normalità.

Interventi del mondo imprenditoriale
Nella mia vita il lavoro è stato sempre importante, mi ha aiutato in molti momenti di difficoltà e per me ha sempre rappresentato un progetto in cui esercitare ruolo e responsabilità. Per questo sono convinta che il mondo dell’imprenditoria debba essere coinvolto nel progetto del reparto. L’imprenditore ha un ruolo economico e sociale ed è responsabile della crescita della persona. Per questi motivi potrebbe contribuire all’ideazione di progetti nei quali i suoi dipendenti formino le competenze della persona detenuta e la preparino a ricoprire una posizione lavorativa alla sua scarcerazione. Questo per me rappresenta il vero reinserimento nella Società: se lavoro sono nel mondo.

Comunicazione
Viviamo nella società dell’informazione. Dunque, sfruttiamo al meglio queste tecnologie per creare spazi sociali di discussione, di conversazione tra persone detenute e cittadini della società civile, in uno scambio continuo di contenuti e di emozioni, così da mantenere viva nei giovani adulti la fiducia d’investire nel proprio futuro.

In conclusione,
un insieme di forze eterogenee, tutte dedicate a stimolare la creatività delle persone detenute affinché possano svolgere delle attività nelle quali riconoscersi, creare condotte di responsabilità e occasioni di apprendimento. Un camminare insieme con lo scopo di accompagnare il giovane alla consapevolezza dell’offesa procurata, nel suo percorso di costruzione di un’identità nuova e nel suo reinserimento nella società. Soccorrere il giovane adulto e contemporaneamente proteggere gli altri.

Lara Giovanelli, Angelo Aparo

Reparto LA CHIAMATA

Cosa farete da grandi

Ci sono ragazzi che entrano in carcere per la prima volta e vengono trattati come vecchi habitué delle patrie galere. Arrangiati, sembrano dire le mura fredde, mentre i cancelli si chiudono alle loro spalle; qui, ora si decide cosa sarete e cosa farete da “grandi”.

Ora, grazie all’intesa tra alcuni professionisti competenti, si sta pensando a come ricevere i nuovi detenuti e orientare i loro primi giorni in carcere e quelli futuri.

Chiamato a dire la mia per la non felice esperienza, fatta da parecchi anni passati in galera, credo che i giovani, e in special modo quelli che entrano in carcere per la prima volta, debbano essere separati dai detenuti che invece hanno condanne plurime e/o definitive. È fondamentale che dal primo momento, giorno o notte, il ragazzo venga preso in carico da un operatore, del SerD se con problemi di sostanze, per assicurarsi che non vengano abbandonati a se stessi, che si instauri un rapporto di ascolto che permetta al giovane di dire, parlare, di sfogare la sua rabbia, le sue paure, di sentirsi ascoltato, consigliato e protetto.

È consigliabile, secondo me, che il ragazzo non venga lasciato solo, ma che dopo tutti i colloqui con i vari operatori possa essere ubicato in una stanza singola, aperta 24 ore su 24, in una sezione con le adeguate sale di socializzazione. Dico stanza singola, per dare modo al giovane di responsabilizzarsi sulla cura del posto in cui vive, con la possibilità di consumare i pasti in una sala (o mensa) comune con tutti gli altri ospiti (e con gli operatori).

Poi proporrei di lavorare, studiare, frequentare gruppi  in modo da avere la giornata occupata. Certamente anche facendo sport e passeggio sino a sera. I giovani poi andrebbero accompagnati da subito ad un percorso di colloqui con i familiari e/o affetti cari. Da ultimo, e non per importanza, se il ragazzo lo desidera, assistere e partecipare ad incontri con persone che siano attualmente o siano state in carcere, per sentire le loro storie ed essere aiutato a riflettere sul futuro.

Giuseppe Di Matteo

Reparto La Chiamata

Reparto La Chiamata, un’area cogestita

Premessa:

Il progetto LA CHIAMATA parte da due presupposti:

  • Il primo è che ogni bambino cerca di ottenere la propria affermazione, prima appoggiandosi ai genitori per i bisogni primari, poi cercando di ottenere, per le sue “prodezze” e le sue pene, attenzione e riconoscimento dalle proprie figure ideali, le quali, se tutto va bene, continueranno a essere i genitori e, a seguire, gli insegnanti;
  • il secondo è che la vita deviante, con l’abuso, l’eccitazione, i profitti, le mire e le relazioni di potere che la caratterizzano, costituiscono solo il surrogato del riconoscimento che non si è riusciti a ottenere dalle figure ideali.

In linea con quanto sopra, è previsto che le attività, le atmosfere, le modalità di relazione che caratterizzano il reparto LA CHIAMATA ruotino e lavorino attorno a:

  • l’importanza per ognuno di noi di raggiungere il proprio ideale;
  • i compromessi cui gli adolescenti ricorrono quando perdono la fiducia di poterlo raggiungere;
  • le esperienze che permettono di tornare a cercare i propri ideali dentro di sé e nelle figure che vorremmo potere riconoscere come guide.

 

Obiettivi

  • ottenere che tutti gli ospiti del reparto abbiano una funzione, dei compiti e degli obiettivi, così da giungere in tempi definiti a risultati riconoscibili, misurabili, presentabili.

 

Tratti distintivi

  • Nel reparto vivono solo persone che scelgono di farne parte;
  • Tutti i detenuti hanno dei compiti e dei risultati da raggiungere;
  • Ogni settimana viene chiesto agli ospiti del reparto se e quanto sono soddisfatti di quello che hanno realizzato, di quello che hanno acquisito e quali sono i loro prossimi obiettivi;
  • Nel reparto è fortemente sconsigliato l’uso di psicofarmaci, nei casi più difficili si tollera l’uso a scalare, fino alla completa cessazione in tempi concordati e definiti;
  • Nel reparto sono attive numerose iniziative culturali, sportive, lavorative che vengono coordinate dalle associazioni, da professionisti esterni che aderiscono all’iniziativa e, laddove possibile, dagli stessi ospiti del reparto (i detenuti potranno coordinare dei progetti se prima avranno ottenuto dei risultati tangibili e riconosciuti dagli altri);
  • Ogni tre mesi vengono presentati i risultati della o delle squadre che vivono nel reparto a un pubblico costituito da detenuti, da una rappresentazione delle autorità che dirigono il carcere, da familiari dei detenuti, da ospiti esterni (tra cui imprenditori e rappresentanti di enti potenzialmente disponibili a investire sulle iniziative del reparto).

La produzione creativa (testi, disegni, manufatti, dipinti, canzoni, foto, video, ecc.), in linea generale, riguarda i temi e le attività tradizionali del gruppo. Nel reparto verranno proposti con cadenza trimestrale alcuni dei nostri titoli: La sfida; La trasgressione; Il labirinto delle dipendenze; Le micro e macro-scelte; Il divenire dell’identità; Il virus delle gioie corte; Il male, complesso e banale; La nicchia, la crosta e il rosmarino; ecc.

Tra le attività del gruppo, anche alcuni laboratori teatrali cui partecipano detenuti e studenti: Il Mito di Sisifo, La slot machine, Una serata da bulli, La rapina, La ninna nanna e le mazzate.

In relazione a tali temi e attività vengono sollecitati contributi personali e di piccoli gruppi di lavoro da parte dei detenuti che risiedono nel reparto, dei tirocinanti e dei vari componenti del gruppo della trasgressione, dei giovani di LIBERA, degli educatori scout e di tutte le persone che partecipano al progetto “Lo Strappo, quattro chiacchiere sul crimine”. I contributi, se rispondenti ai requisiti di qualità necessari, potranno poi essere presentati nelle riunioni periodiche con pubblico esterno, pubblicati sui canali web del gruppo (L‘Officina creativa su www.vocidalponte.it) e sui canali di chi collabora all’iniziativa.

In prospettiva, con la diffusione dei contenuti prodotti nel e per il reparto, si punta a moltiplicare i contatti tra detenuti e realtà esterna e a ottenere finanziamenti e investimenti sull’iniziativa.

Le diverse attività creative e, in particolare, le rappresentazioni teatrali rispondono allo scopo di far passare i detenuti che risiedono nel reparto dalla condizione di chi è trascinato dalla corrente (che egli stesso alimenta) a quella di chi riflette sulle dinamiche che la producono e comincia a diventare consapevole dei propri meccanismi.

 

Gli operatori del gruppo
All’interno del reparto, oltre al personale previsto dall’Istituto, sono quotidianamente presenti diversi componenti del gruppo della trasgressione. In particolare, è previsto che tutti i giorni le attività di cui ai paragrafi precedenti siano coordinate dai componenti senior del gruppo e che, nel corso della settimana, gli studenti universitari in tirocinio con la nostra associazione possano fare visite frequenti per confronti con i detenuti e per favorire la realizzazione dei contributi creativi di cui sopra.

Interverranno in occasioni specifiche e su temi ed eventi di giustizia riparativa alcuni familiari di vittime di reato che da tempo fanno parte del gruppo della trasgressione. Lo stesso accadrà per professionisti, sostenitori (Rotary Club Milano Duomo) e vecchi componenti del gruppo.

I componenti senior del gruppo sono tutti laureati in psicologia; i tirocinanti provengono da varie facoltà: Psicologia, Scienze dell’educazione, Filosofia, Giurisprudenza, ecc.

Fanno parte dei Senior del gruppo anche alcuni detenuti ed ex detenuti che, dopo oltre un decennio di presenza al gruppo, ne sono diventati oggi parte integrante e punte di diamante negli incontri che la nostra associazione ha nelle scuole medie primarie e secondarie per la prevenzione al bullismo e alla devianza.

 

La Settimana
La settimana ideale all’interno del reparto, compatibilmente con le esigenze dell’istituto, somiglia a quella di un college, con orari per la sveglia e le attività e con momenti di privacy. Tutti i giorni sarà presente almeno un componente senior del gruppo della trasgressione.

 

La collaborazione con LIBERA e con gli esterni punta a far circolare nel reparto i valori di coetanei dei detenuti del reparto, a favorire il riconoscimento reciproco tra coetanei e a giungere all’identificazione di obiettivi comuni tra detenuti, ragazzi di Libera e studenti universitari. Tra questi obiettivi, il primo in ordine temporale è giungere al 21 marzo 2023, ricorrenza della manifestazione di Libera in memoria delle vittime innocenti della mafia, con una rappresentazione capace di veicolare il percorso comune e i risultati raggiunti.

 

L’ingresso in carcere e la selezione
È desiderabile che i detenuti nuovi giunti con caratteristiche tali da poter diventare ospiti del reparto abbiano un primo contatto, subito dopo il primo impatto col carcere, con qualcuno dei senior del gruppo della trasgressione, così da prendere confidenza da subito con gli obiettivi del reparto e decidere se accettare o meno di prendere parte all’iniziativa.

 

Il monitoraggio della salute mentale e della recidiva
A latere delle attività del reparto e nell’ottica di valutare i reali benefici dell’iniziativa per i detenuti, per l’istituzione e per la società esterna, si auspica di monitorare attraverso confronti periodici e interviste a detenuti interni ed esterni al reparto:

  • la percezione di sé e la descrizione della propria condizione;
  • la frequenza di atti autolesionistici in ristretti di età e provenienza simile;
  • le relazioni dei detenuti con il personale di polizia penitenziaria, con gli operatori interni e con i volontari;
  • la frequenza della recidiva dentro e fuori dal reparto.

 

La selezione e la formazione degli agenti del reparto
Laddove ce ne siano le condizioni, è auspicabile che gli agenti di polizia che operano all’interno del reparto possano:

  • seguire dei corsi di formazione mirati;
  • avere un ruolo attivo nella progettazione delle iniziative;
  • partecipare a riunioni periodiche di verifica dei risultati e dei problemi in essere.

Reparto La Chiamata

Un reparto d’atmosfera

In un reparto che nasce per i giovani carcerati, ritengo siano almeno due gli elementi che non possono mancare per una giusta partenza: un’atmosfera di libertà e di responsabilità, come dovrebbe essere fuori, nella società dei “normali”, se le cose andassero per il verso giusto.

La libertà dev’essere nell’aria, si deve respirare a cominciare dall’inizio: la libertà di aderire all’ingresso nel reparto. Nel reparto ci entra chi vuole e deve sapere che molte saranno le attività proposte e quelle richiedibili ma che tutte dovranno convergere verso un obiettivo imprescindibile: la costruzione della responsabilità.

Dopo la scelta iniziale, la libertà dovrà manifestarsi nella possibilità di interazione con gli interni ma anche con gli esterni. Interazioni con coetanei ed educatori, con esperti e insegnanti, con psicologi e volontari, interazioni che presuppongano ascolto e collaborazione, impegno individuale e coinvolgimento di gruppo, formulazione di obiettivi in cui riconoscersi e per cui lavorare e  valutazioni del percorso condivise.

Un lavoro immane ma anche entusiasmante! Il confronto deve essere continuo e, per essere stimolante, dovrà basarsi su attività varie: letture da comprendere, interpretare e su cui dibattere; composizioni personali spontanee o guidate; visione di filmati e osservazioni di immagini; ascolto di musiche, messa in scena di canovacci proposti o frutto delle varie discussioni o rielaborazione personale….

Chi sarà a fare le scelte e a guidarle? Un educatore? Uno psicologo? Un carcerato? Un triumvirato? Questa domanda e le risposte che le si daranno sono importanti quanto il punto di partenza.

Due, secondo me i pre-requisiti perché il progetto abbia le gambe: il desiderio di partecipare e la capacità di ascoltare sé e gli altri, da parte di tutti i soggetti coinvolti.

Sicuramente ci sarà molto da discutere e da lavorare per individuare obiettivi di breve, medio e lungo termine. Per poterlo fare bisogna sapere quali soggetti esterni e con quali competenze parteciperanno ai lavori, quali i tempi e le disponibilità delle istituzioni, quali le aspettative.

Un punto di partenza ma anche una stella polare per orientarsi nel percorso potrebbe essere l’affermazione del dottor Aparo che “si suicida chi non ha obiettivi credibili e porta dentro un rancore profondo”, giusto per non dimenticare che il percorso non potrà essere solo culturale ma anche psico-pedagogico.

Reparto LA CHIAMATA

Protagonisti del proprio destino

REPARTO LA CHIAMATA

“Investire su un sistema di negazioni e di divieti non ha senso; lavorare sulla qualità della vita in carcere, sui limiti e i punti di forza della persona, sul recupero di una progettualità per il futuro, ne può avere moltissimo” – Giacinto Siciliano

 Durante questi anni di collaborazione con il Gruppo della Trasgressione ho avuto modo di comprendere l’importanza del dialogo, della comunicazione, del confronto tra persona detenuta e società esterna e della creazione di progetti di vita per contrastare il rischio di recidiva.

Il confronto attivo e la riflessione sul proprio vissuto, con la presa di consapevolezza dei propri agiti e una conseguente assunzione di responsabilità, permettono di giungere al Cittadino che, una volta uscito dal carcere, potrà effettivamente contribuire al benessere della società. Per contro, la detenzione, priva di stimoli e di opportunità di confronto e contatto con la società, è fine a sé stessa e non assolve alla funzione rieducativa della pena prevista dalla Costituzione Italiana.

Il cambiamento nelle persone è possibile, se vengono loro offerti gli strumenti adatti per una presa di consapevolezza e una attiva responsabilizzazione: “La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione” – Giorgio Gaber

La libertà di mente, come la chiamiamo al Gruppo, il vero indice di cambiamento, viene raggiunta solo attraverso un lungo percorso che inizia all’interno del carcere per poi continuare all’esterno, un confronto attivo tra detenuti e società, fatto di comunicazione, scambio di riflessioni, introspezione, riconoscimento delle proprie azioni devianti e delle proprie e altrui fragilità.

“L’uomo è una meraviglia che ha bisogno di fiducia, di sentirla, di meritarla, magari anche di perderla, sapendo che in quella scommessa diventa protagonista del proprio destino” – Giacinto Siciliano 

 Il Gruppo, come sua prassi quotidiana, fa in modo che il detenuto si interroghi su sé stesso, aiuta studenti e detenuti a comprendere che esiste qualcosa in comune in tutte le esperienze, che sia la devianza o anche le difficoltà, le conflittualità ed i sintomi che si sviluppano in risposta al disagio, poiché questi non sono esclusivi dell’esperienza di chi delinque ma anche di quella degli studenti. Il confronto costante tra studenti e detenuti porta a un arricchimento reciproco, alla riscoperta di una vicinanza di vissuti ed emozioni che difficilmente si sarebbe potuta immaginare prima.

Il lavoro del Gruppo consiste nell’andare in cerca della coscienza che era stata messa da parte durante i primi anni di vita e con l’adolescenza, quando i conflitti e le sofferenze portavano spesso la persona a sviluppare un’immagine di sé compatibile con il reato.

Il carcere, purtroppo, per come è strutturato, è un ostacolo alla comunicazione. La persona detenuta non deve perdere invece il contatto con la società esterna, di cui fa parte e dove tornerà a essere cittadino una volta uscito. Come scriveva Beccaria, “Non c’è libertà finché le leggi permettono che, in certe condizioni, una persona cessi di essere persona e diventi un oggetto”.  L’esperienza detentiva, infatti, molto spesso porta all’alienazione e all’incapacità di riadattarsi al mondo esterno dopo il rilascio.

Occorre abbandonare l’ipotesi che condizioni estreme di disagio dei detenuti possano fare da deterrente a futuri comportamenti antisociali, perché la violenza genera violenza, e il degrado fisico e ambientale contribuiscono ad aumentare o creare il degrado morale. La pena scontata interamente in carcere, senza stimoli né contatti con il mondo esterno, è disfunzionale: rinchiudere una persona, già in partenza portatrice di rabbia e rancori, in una cella senza alcuno stimolo e senza la possibilità di confrontarsi con la società, non la potrà portare a riflettere e prendere coscienza del proprio percorso. Anzi, vivrà come ingiusta l’istituzione, maturando ancora più rabbia nei confronti dell’Autorità.

“La pena è utile quando il tempo in carcere viene impiegato in modo proficuo partecipando attivamente alle attività e agli incontri proposti, sfruttando le offerte formative e scolastiche e imparando un lavoro. Così i detenuti possono ricevere mille stimoli e scoprire di possedere abilità diverse da quelle che li hanno portati dove si trovano. Una pena utile non si può scontare in un carcere che non sia adeguato. […] sovraffollati, vecchi, fatiscenti, hanno troppe mura, troppe sbarre, pochi spazi per le attività responsabili. È compatibile tutto ciò con l’irrogazione di una pena utile e dignitosa? […] la dignità di un uomo rimane un valore intoccabile anche in cella” – Giacinto Siciliano

 Il confronto con la collettività porta ad arricchimento e crescita personale, in quanto stimola la riflessione sul proprio vissuto, sulle proprie fragilità e permette, attraverso l’ascolto, il riconoscimento dell’altro in quanto essere umano da rispettare. In questo modo viene riconosciuta l’identità della persona, il suo pensiero, la sua scrittura, la sua creatività, ma soprattutto il suo valore, tutti aspetti che il detenuto nel corso della sua carriera criminale ha spesso sotterrato, dimenticato e nascosto perfino a sé stesso.

Il contatto con il mondo esterno al carcere permette a detenuti e membri della società esterna di interagire e collaborare per obiettivi comuni e favorisce nel detenuto (e non solo) il senso di autoefficacia e di autostima personale attraverso il riconoscimento da parte della collettività della propria funzione all’interno della società.

“Lo Stato forte è quello che dà fiducia e ha il coraggio di investire nelle persone, lo Stato forte non è quello che dice sempre no, perché essere chiusi non stimola il cambiamento. Se non c’è cambiamento, non ci sarà neppure testimonianza del cambiamento e la gente fuori avrà sempre paura e non avrà motivi per investire, per accogliere, per aiutare a sua volta a completare un percorso” – Giacinto Siciliano

È estremamente importante che l’Istituzione promuova uno scambio tra società e detenuti e vigili su di esso, così come risulta necessario un dialogo tra detenuto ed Istituzione. In questo senso, “promuovere” significa favorire la produzione di materiale che fa crescere la coscienza nel detenuto e ne previene la recidiva. Per evitare che un soggetto, una volta uscito, torni a delinquere, occorre responsabilizzarlo e dargli una funzione attiva.

Non tutte le persone “stanno in piedi” con la stessa facilità e l’investimento per mantenere le persone più in difficoltà con una funzione produttiva, sulla distanza, restituisce alla società maggior benessere rispetto al fatto che quella persona venga lasciata a se stessa. Le iniziative che possono contribuire all’evoluzione e al consolidamento della coscienza del detenuto non dovrebbero essere un epifenomeno del carcere ma parte integrante dello stesso, in nome della funzione rieducativa della pena. Infatti, il carcere è parte della società e nei confronti di questa non può non avere una responsabilità.

Il momento dell’ingresso in carcere è un evento traumatico per tutto ciò che ne consegue: la rottura dei rapporti con il mondo esterno, le fragilità e le problematiche individuali, la precarietà dei rapporti affettivi.

Il carcere è anche terreno fertile per l’insorgere di patologie psichiatriche durante tutto il periodo detentivo e nella fase prossima alla scarcerazione, legate all’ansia del reinserimento sociale.

Il Reparto La Chiamata ha come obiettivo centrale che la persona venga accompagnata durante la sua detenzione in un percorso di recupero della coscienza, che può solo avvenire attraverso un costante confronto con la società esterna, con gli studenti, i volontari, gli psicologi, l’Istituzione.

Nel reparto è necessario che la persona detenuta ricostruisca la fiducia nell’Istituzione e nella società di cui fa parte, ricucia lo strappo che si è creato tra lui e la collettività, sentendo di ricoprire una funzione valida e riconosciuta da quest’ultima. È fondamentale che chi si trova in carcere riacquisti fiducia e stima in sé stesso e nelle proprie potenzialità, svolgendo attività (formative, lavorative, gruppi di riflessione) volte alla costruzione di progetti futuri e non più compatibili con il reato.

Risulta inoltre centrale che il detenuto possa coltivare il rapporto con la sua famiglia e con i suoi figli, riacquistando autorevolezza e credibilità agli occhi di questi ultimi e prevenendo quindi la possibile devianza di seconda generazione.

Da tutti questi interventi trarrebbero giovamento sicuramente le persone detenute, ma anche le loro famiglie, i loro figli e, non ultimo, la società intera, perché una carcerazione che non contempla adeguati percorsi di reinserimento sociale e di responsabilizzazione è in netta contrapposizione alla sicurezza sociale e alla funzione rieducativa della pena prevista dalla Costituzione italiana.

Nota: Tutte le citazioni del dott. Giacinto Siciliano provengono da “Di cuore e di coraggio”, edito da Rizzoli, 2020.

Arianna Picco

Reparto LA CHIAMATA