Il bianco e il nero, l’odio e l’amore

di Ottavia Alliata

Il 19 marzo alcuni membri del Gruppo della Trasgressione si sono riuniti con alcune studentesse del corso del prof. Francesco Scopelliti di Interventi clinici nei casi di procedimenti penali dell’Università Cattolica di Milano per avviare una discussione su Il viaggio di andata e ritorno nel mondo della devianza.

Come si evince dal titolo della lezione, in un primo momento lo scopo è stato quello di individuare, grazie a domande mirate ad alcuni ex detenuti, i fattori chiave che hanno indotto alcune persone a intraprendere la strada della devianza. In un secondo momento, le domande e le curiosità erano volte ad approfondire e condividere le risorse, le attività e i progetti grazie ai quali è stato possibile fare il viaggio di ritorno dal mondo della devianza per abbracciare i valori condivisi dalla società civile.

Dell’intervento di Antonio, uno degli ex detenuti, mi ha colpito una cosa in particolare: gli era stato chiesto di raccontare chi fossero i suoi punti di riferimento durante l’infanzia e lui ha cominciato a parlare di un sentimento di rabbia.

Mi è venuto spontaneo interrogarmi su cosa potessero c’entrare la rabbia e il dolore con le figure di riferimento di quando si è ragazzini. Ero certa che avesse compreso la domanda. Mi ha colpito la scelta, evidentemente molto sentita, di parlare dei propri stati d’animo, emozioni così potenti e pervasive da fungere da guide maestre dell’agire.

Antonio, per ragioni che non conosciamo, si sentiva privo del calore rassicurante e dell’affetto tanto necessari per lo sviluppo; non si sentiva desiderato né accettato; gli mancavano o non sapeva riconoscere nel comportamento dei suoi genitori quelle attenzioni e quel sostegno che permettono di percepire il proprio valore intrinseco, di individuarsi e di collocarsi entro una storia generazionale.

Con queste riflessioni non intendo giustificare gli atti delinquenziali e i crimini che hanno accompagnato questo vissuto invasivo e travolgente, ma vorrei provare a comprendere la radice della rabbia di cui egli stesso parla esplicitamente.

La rabbia è stata per molti anni la migliore amica e la compagna di Antonio; gli ha trasmesso la sensazione permanente di aver subito un torto e pertanto la convinzione che, come tutti i torti, doveva essere ripagato.

Quando si abusa di una persona, magari la stessa per cui mesi prima si era finiti al pronto soccorso per lesioni gravi, si può percepire un senso di controllo e di potere sull’Altro, la sensazione di essere accettati e rispettati dai propri compagni, la sensazione che un equilibrio venga finalmente ristabilito.

Tutti, nel bene e nel male, ricerchiamo una qualche forma di piacere e di gratificazione. La differenza è che chi non è mai stato amato né educato all’amore e al rispetto dell’Altro cercherà di possedere, abusare, controllare o assoggettare l’Altro, che diventa un simulacro temporaneo dell’oggetto del suo amore. Nel gesto di prepotenza sull’Altro si provano una grande eccitazione e un senso di benessere generale, ma come ricordano le diverse testimonianze sul Virus delle gioie corte, si tratta di emozioni tanto intense quanto fugaci e illusorie:

“Quella sensazione dentro di me non durava tanto, infatti appena tornavo a percepire malessere sentivo che mi dovevo procurare di nuovo piacere abusando di qualcuno”.

Da queste parole sembra quasi che far del male possa coincidere con il farsi del bene, con il colmare un vuoto. Proprio perché allontanare la fonte del malessere appartiene alla natura umana, credo sia importante intervenire indagando e facendo uno sforzo per comprendere le radici del malessere di una persona per poi educarla alla ricerca di un benessere, in questo caso meno intenso e sfacciato, ma ugualmente appassionato.

Negli anni ho imparato che la rabbia non è un sentimento negativo di per sé, qualcosa che deve essere rimosso e celato. Lo stesso si può dire per l’odio, che cammina a fianco a fianco all’amore. Proprio grazie al Gruppo della Trasgressione ho riscoperto l’importanza, per ogni concetto, del suo significato opposto; ho scoperto che distinguere il Bene dal Male può rivelarsi meno costruttivo che concepirli come protagonisti di unico cerchio, in cui si fondono colori ora più caldi ora più freddi, dai tratti ora più violenti ora più delicati, eppure assolutamente fondamentali per restituire, a chi osserva, la bellezza di un’idea.

“Ora non mi preoccuperò più di tagliare profili netti, angolature esatte di luce e ombra, ma scaturirà dal mio intimo direttamente luce e ombra, preoccupato unicamente di trasmettere l’immagine senza nessun revisionismo aprioristico” (Emilio Vedova).

Per certi versi mi sono sentita molto vicina ad Antonio, anche se in maniera direi “opposta”: lui ha agìto e ha manifestato senza alcun controllo tutta la rabbia che lo dominava, mentre io sono stata vittima della mia rabbia, ho lasciato che mi corrodesse dall’interno senza permetterle una via di uscita.

A questo proposito, trovo rivelatrici e illuminanti le parole della psicoanalista Danielle Quinodoz che promuove l’importanza di accogliere al proprio interno i sentimenti opposti, come l’odio e l’amore. Infatti, l’odio non va mai scisso ed espulso fuori da sé, serbando quindi solo un amore parziale, ovvero l’idealizzazione, né va confuso con l’amore, poiché l’amore in questo caso rischierebbe di divenire distruttivo.

“Non è facile sbarazzarsi di elementi che si disapprovano: cacciati dalla porta rientrano dalla finestra in altra forma”.

Per la prima volta cerco, non senza fatica, di accogliere quella rabbia che ho sempre negato e chissà… magari Antonio un giorno ritroverà invece quelle parti dei propri genitori e della propria storia che nel profondo ha anche amato.

Percorsi della devianza

Altri link utili: Riscoprirsi per i figli – Il virus delle gioie corte

Perdonare e perdonarsi

Perdonare per definizione non è cosa semplice. Tanto che, a ben guardare, il nostro concetto di perdono affonda le sue radici in complesse dinamiche religiose. Secondo la teologia cattolica rappresenta ciò che Dio concede al peccatore dopo che egli, sinceramente pentito, ha confessato le sue colpe. L’atto di perdonare consiste in un movimento che un Altro compie nei confronti di un primo soggetto che si riconosce colpevole. Difatti, anche nel linguaggio comune si è soliti dare questa accezione a tale concetto. “Mi perdonerai mai?” o “Io non riesco a perdonarmi” sono solo alcune delle espressioni che mettono in luce la dinamica di cui sopra. E, di certo, vogliamo sperare che prima o poi il perdono arrivi per tutti. Ma affinché questo possa avvenire è necessario che prima si sviluppino alcuni requisiti fondamentali: ascolto, dialogo e coscienza dell’Altro.

Nonostante questa dinamica bilaterale, il perdono non può però essere inteso solo come un’azione che un Altro compie nei nostri confronti, ma anche come gesto individuale da effettuare verso noi stessi. Il Gruppo della Trasgressione, per quanto ho potuto osservare, si configura come una concreta opportunità volta al raggiungimento di entrambi gli obiettivi: perdono dell’altro e perdono di sé. L’associazione si serve infatti di tutti gli strumenti positivi propri di un gruppo utili a liberare il nostro spirito dal peso che lo opprime.

Talvolta, oltre alla prigionia fisica, si può rimanere incastrati in una gabbia ben più soffocante e limitante, una gabbia costruita con perseveranza e alimentata da conferme fallaci. E infatti noi uomini siamo esseri alla costante ricerca di stabilità, non solo nel modo di rappresentare il mondo, ma soprattutto nel modo di vedere noi stessi. Per questo solo attraverso il confronto e la conoscenza dell’Altro diviene possibile concepire un modo diverso di pensare e interpretare la quotidianità. Questo è ciò che il gruppo fa.

È stato l’incontro e il confronto con le studentesse a permettermi di iniziare il mio cambiamento interiore

La potenza del gruppo risiede nella capacità di mettere in dialogo realtà differenti, di vedere attraverso gli occhi di qualcun altro e di vedere l’Altro. A tal proposito, mi hanno colpito le parole pronunciate da un ex detenuto: “queste persone mi hanno guardato con occhi diversi, hanno visto in me un uomo oltre il criminale”.

Appare centrale nel suo discorso il tema del riconoscimento, il quale passa, prima di tutto, dagli occhi degli altri. Un passaggio necessario per riuscire a scindere, all’interno della persona, azioni ed essenza. Non può avvenire perdono se prima non c’è coscienza, consapevolezza e comprensione. Perdonarsi, forse, significa proprio questo: rompere gli schemi preesistenti e imparare a vedersi in modo più comprensivo. È fondamentale, per sviluppare una narrazione di sé nuova e meno giudicante, riconoscere la propria storia, i propri bisogni più intimi e le proprie fragilità. Perché perdonarsi non significa giustificarsi o deresponsabilizzarsi, e questo i membri del gruppo lo sanno; perdonarsi significa, essenzialmente, darsi una seconda opportunità.

E dopotutto, anche perdonare gli altri non equivale forse a offrire una seconda possibilità? Infatti, non esiste cosa più generativa che costruire le fondamenta di una nuova vita. Il Gruppo della Trasgressione fa anche questo, permettendo a vittime e carnefici di comunicare e di abbattere l’enorme muro del silenzio, del rancore e del dolore.

Per me il gruppo è stato questo. Un confronto che mi ha insegnato, un pochino di più, a perdonare e a perdonarsi.

Sofia Castelletti

Percorsi della devianza

Nota: L’immagine è un particolare da “La primavera” di Sandro Botticelli

Il viaggio di ritorno

Tornare per ritrovare sé stessi, senza mai dimenticarsi di ciò che si è stati.
Tornare per diventare un contributo importante per la società.
Tornare per essere d’aiuto a chi ancora non sa come farlo.
Tornare per perdonarsi e farsi perdonare.
Tornare per sgretolare il pregiudizio della gente comune.

Il Gruppo è consapevolezza, attivismo e progettazione di un futuro migliore.

Martina Giampaolo

Percorsi della devianza

Empatia fra persone diverse

Filippo Greco

Le interviste del Gruppo della Trasgressione