Il teorema di Pitagora

Brera in Opera diventa docufilm
Studenti e detenuti a confronto

“Il Teorema di Pitagora – Esercizi su carcere e cittadinanza“
il progetto che ha già coinvolto 750 liceali. Insieme ai reclusi firmano anche una trilogia su errori, redenzione e perdono, tra poesie e arte.

di Simona Ballatore,
Da Il Giorno 10/05/2023

Storie di errori e violenza. Storie di redenzione e perdono. Studenti e detenuti si raccontano e guardano negli occhi al liceo artistico di Brera. Il progetto “Brera in Opera” è nato nel 2016: ogni anno coinvolge cinque classi, più di cento studenti, dai 15 ai 19 anni, insieme ai docenti e ai ragazzi dell’istituto Benini, che ha una sezione carceraria, all’istituto penitenziario di Opera e al Gruppo della Trasgressione, con al timone lo psicologo Juri Angelo Aparo.

Un progetto che si trasforma ora in un docufilm “Il Teorema di Pitagora – Esercizi su carcere e cittadinanza” e in tre libri, che verranno pubblicati entro la fine dell’anno. Il video è realizzato con immagini girate in gran parte dagli studenti e montate da Sheila Baldoni, ex alunna, con la supervisione dei prof Marco Capovilla e Giovanna Stanganello e il coordinamento del regista Sandro Baldoni. “Qui c’è chi si è sentito libero non quando era ’fuori’ e poteva fare tutto, ma quando ha trovato nel confronto con voi il senso della sua esistenza”: ha detto ai ragazzi il direttore del carcere di Opera, Silvio Di Gregorio, durante la presentazione. “Sia gli studenti che i detenuti hanno raccontato le loro esperienze, anche a livello grafico, hanno scritto brani e poesie – spiega la preside del liceo Brera, Emilia Ametrano –. Hanno raccolto le esperienze di chi, dopo un percorso psicoterapeutico, è riuscito a superare il lutto e il torto subìto. E di chi dopo trent’anni di carcere ha cambiato vita, sta creando una famiglia, ma non dimentica”.

Il progetto di scambio non si è fermato neppure in epoca Covid. “È stato organizzato anche un Cineforum online – ricorda Ametrano – detenuti e studenti si connettevano e partecipavano a un momento di critica sui film”. Da Rocco e i suoi fratelli a Ladri di biciclette. Per gli studenti sono state ore preziose: “Hanno affrontato un percorso sulla banalità del male, sul dare sempre la colpa agli altri, sull’idea di farsi giustizia e sul bullismo – continua la preside -, hanno riflettuto sul salto di qualità dell’adolescente attraverso la consapevolezza delle proprie azioni e le assunzioni di responsabilità: è educazione alla cittadinanza”. Ieri l’aula era stracolma, non si vedeva un cellulare tra le mani. “Mi ha colpito il religioso silenzio”, confessa la preside, mentre Adriano, ex camorrista, racconta che è entrato in carcere a 25 anni, è uscito a 51, una manciata di giorni fa: “Ora sto costruendo una famiglia, sono un papà, non vedo l’ora di cambiare pannolini, di ricevere la carezza di mia mamma, anche a 50 anni. Non pensavo esistessero certe emozioni. Il carcere può cambiare anche se non dimentico di essere stato un assassino”.

Incontri e prevenzione nelle scuole

Andare a rapinare era normale

«Per me andare a rapinare era normale, l’ho fatto per 30 anni», la storia di un detenuto raccontata agli studenti

di Giovanna Maria Fagnani – Dal Corriere della Sera 10/05/2023

Per sette anni, gli studenti del liceo Brera e gli alunni-detenuti del carcere di Opera hanno lavorato insieme al progetto «Brera in Opera»: «Confrontarmi con ragazzi delle superiori mi ha fatto crescere, non mi sento più escluso»

Il 41 bis, il «carcere duro» voluto da Falcone contro i mafiosi: come è cambiato e quali sono le limitazioni

Il carcere di Opera

«Per me andare a rapinare era normale. Io dicevo “vado a lavorare”, l’ho fatto per 30 anni. Una volta ho stretto forte il collo a una ragazza. E mi dicevo: sono diventato così perché a 8 anni ho subito un atto di bullismo. Mi hanno buttato giù dalle scale e ho passato tre mesi ospedale. La verità è che a un certo punto io ho messo da parte chi mi doveva aiutare a crescere, e ho dato potere alla mia rabbia. E quello che mi fa più male non è il fatto che mi hanno sparato e accoltellato. Non sono i 27 anni di galera, ma il fatto che in quella vita fin da piccolo ho perso la voglia di crescere. E ho perso 10 dei compleanni di mio figlio. Oggi sto vivendo un periodo tanto bello che mi sembra di sognare e ho paura di svegliarmi. Confrontarmi con studenti delle superiori mi ha fatto crescere, oggi non mi sento più escluso, oggi mi sento parte di questo mondo».

Il crimine e la devianza, la sfida, le ferite, la trasgressione, l’adolescenza. Il doloroso cammino che porta alla coscienza di sé e la giustizia riparativa. Per sette anni, gli studenti del liceo Brera e gli alunni-detenuti del carcere di Opera hanno lavorato insieme su questi e altri temi, grazie al progetto «Brera in Opera». Ne sono nate poesie e contributi, condensati in tre libri, nonché opere artistiche e nel docufilm «Il Teorema di Pitagora- Esercizi su carcere e cittadinanza», diretto dal regista Sandro Baldoni, presentato martedì nella sede del liceo in via Papa San Gregorio XIV. I ragazzi di seconda hanno partecipato, in particolare, a un progetto di espressione poetica. I maturandi hanno lavorato coi detenuti nell’ambito del Gruppo «Trasgressione.it», presieduto dallo psicologo Juri Angelo Aparo.

Un programma durato sette anni e che ha coinvolto quasi 700 studenti. A raccontare le tante emozioni condivise, martedì mattina, sono stati studenti, insegnanti, operatori e alcuni ex detenuti, come Antonio, ex rapinatore e Adriano, ex camorrista, libero da 20 giorni. «Sono entrato in carcere a 25 anni e sono uscito a 51. Ma, come ho detto ai ragazzi non è il carcere che ti chiude, è la mente. Oggi sono libero mentalmente, ho una famiglia, vado a casa e cambio il pannolino della mia bimba e voglio farlo io. E mi godo il fatto che mia madre, mi fa una carezza, ancora oggi, a 51 anni. Non pensavo esistessero certe emozioni. Fra tanto marciume che c’era in me, il dottor Aparo ha cercato cose positive e le ha fatte uscire».

Tanti gli ospiti, tra cui il direttore del Carcere di Opera Silvio Di Gregorio e Paolo Setti Carraro e poi il regista Sandro Baldoni, lo psicologo Juri Angelo Aparo. Il carcere di Opera permette ai detenuti di frequentare l’istituto tecnico commerciale o l’istituto professionale. «Spesso il fenomeno malavitoso è conseguenza di quell’idea dell’onnipotenza in cui è facile credere se non si ha una conoscenza completa della realtà, che invece una formazione culturale può offrire – ha sottolineato Claudio A. D’Antoni, dirigente dell’Iis Benini di Melegnano, a cui fanno capo le sezioni scolastiche di Opera -. Questo percorso insieme ai detenuti per gli studenti del liceo può essere non dico un deterrente, ma almeno una presa di visione realistica, che deve motivare ulteriormente al rispetto delle regole». «C’è una tenenza a banalizzare, a minimizzare il male, anche i primi accenni di comportamenti che vanno verso la delinquenza – aggiunge la preside di Brera, Emilia Ametrano -. Un giorno un genitore di uno studente mi disse: “non è mio figlio che spaccia, sono gli altri che glielo chiedono”. Ci vuole uno scatto di responsabilità da parte di tutti. Questo progetto, che sicuramente continuerà, ha avuto efficacia nel far incontrare mondi diversi, come scuola e carcere».

Incontri e prevenzione nelle scuole

Gli studenti e i carcerati a Opera il dialogo oltre i muri

di Sara Bernacchia,
da Repubblica 10/05/2023

«Siamo un gruppo che invita a trasgredire per costruire spazi più ampi in cui sentirsi a casa. Facciamo in modo che gli studenti crescano, che i detenuti diventino cittadini e che le vittime elaborino il loro dolore». Angelo Aparo, psicologo che da anni opera nelle carceri milanesi descrive così il Gruppo della Trasgressione (composto da detenuti, universitari e parenti delle vittime), che idealmente si allarga a una quarta componente: gli allievi del liceo artistico di Brera. Lo “sconfinamento” avviene grazie al progetto Brera in Opera, che dal 2015 ha visto circa 750 ragazzi dell’istituto confrontarsi con i detenuti del Gruppo e con gli studenti della sezione carceraria dell’istituto Benini a Opera.

Un progetto nato dall’idea di Pierluigi Cassinari, ormai ex docente del Brera, e della moglie Antonella De Luca, all’epoca responsabile del corso carcerario. L’obiettivo? «Dare attuazione concreta agli articoli 34 e 27 della Costituzione, ovvero ai principi di scuola aperta a tutti e di rieducazione dei condannati, con la consapevolezza dell’importanza del mettersi nei panni degli altri».

I benefici sono evidenti, per tutti. «Sono entrata in contatto con un mondo completamente diverso dal mio, credo sia utile farlo presto – racconta Beatrice Ajani, 17 anni, allieva di quarta -. È stimolante vedere persone che lavorano su se stesse e che riescono a maturare consapevolezza degli errori commessi». E Antonio Tango, che ha trascorso in carcere 27 anni, lo sa benissimo. «Ero un rapinatore e facevo uso di droga perché mi mancava qualcosa, sentivo un malessere che non sapevo definire». Poi, con il lavoro fatto in carcere, ha capito: «Mi mancava uno scopo. L’ho trovato anche stando con loro, sentendomi utile e sviluppando senso di responsabilità».

Il progetto è raccontato in tre libri e in un corto, realizzato con il regista Sandro Baldoni: “Il teorema di Pitagora”. Il titolo deriva dalla sfida di Tango (vinta, oggi è libero): quando si è avvicinato al Gruppo Aparo gli chiedeva di fermarsi a ragionare sulle cose di cui non comprendeva l’importanza, come il teorema, perché il passo decisivo è sforzarsi per apprendere e rispettare le regole.

I1 senso del progetto lo sottolineano la preside Emilia Ametrano e il direttore del carcere di Opera, Silvio di Gregorio: «La convivenza pacifica si fonda sul rispetto delle regole. Voi ragazzi sarete la classe dirigente. Dalla vostra attenzione a questi temi dipenderà il benessere del Paese di domani».

Brera in Opera prevede due filoni: il laboratorio di poesia e quello con il Gruppo Trasgressione. «Gli studenti del liceo e i detenuti hanno lavorato in parallelo su temi come la ferita e la cura, la sfida e la rabbia per poi confrontarsi in due incontri, uno a scuola e uno in carcere», spiega Giovanna Stanganello, che ha coordinato il progetto fino a settembre e ricorda con emozione gli incontri in Dad durante il lockdown: «Era come se vivessero una doppia esclusione: non potevano uscire, i detenuti non avevano visite e i ragazzi hanno visto emergere problematiche importanti».

È proprio durante un incontro sul tema “la ferita e la cura” che Angelica Maffi, 18 anni, ha voluto parlare di sé. «Per la prima volta ho parlato del mio problema con l’autolesionismo, che combatto ancora – racconta la ragazza, che appare anche nel corto -. Mi sono sentita incoraggiata e capita. Tanti mi hanno scritto dicendo che le mie parole li hanno aiutati». La chiave è sempre il confronto. Lo ribadisce anche Paolo Setti Carraro, fratello di Emanuela, uccisa con il marito, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: «In carcere la libertà si conquista uscendo dagli schemi che ti hanno portato a delinquere. È questo il passaggio determinante e per compierlo la contaminazione tra chi è dentro e chi è fuori è fondamentale». Lo testimonia l’esperienza di Adriano Sannino, libero da due settimane dopo 30 anni di reclusione per omicidio. «Moralmente non potrò mai pagare per quello che ho fatto – esordisce -. Confrontandomi con voi, però, ho potuto configurare i miei disvalori. Oggi sono libero fisicamente, mentalmente lo sono da quando ho conosciuto Aparo».

Incontri e prevenzione nelle scuole

Una sfacciata, irritante fragilità

Ho 59 anni, di cui 28 passati dietro le sbarre e altri 4 tra affidamento sociale e sorveglianza speciale.

Vengo arrestato per numerose rapine (17). Passata la prima settimana di euforia nel rivedere gli amici e a raccontare che il mio arresto non dipendeva dalla mia scarsa bravura di rapinatore ma dalle informazioni di un pentito, incominciai a sentire la mancanza di mio figlio, che all’epoca aveva 16 mesi, e della mia ex compagna.

Dovevo trovare il modo di uscire il prima possibile. Quello era il mio solo obbiettivo. Forte del fatto che era la quarta volta che venivo arrestato, mi sentivo padrone della situazione, sapevo come muovermi. Così, dopo aver esaminato le solite proposte del carcere, individuai una novità: il gruppo della trasgressione.

Ero convinto che quella novità mi avrebbe fatto uscire prima, perciò dovevo assolutamente sfruttarla. Avevo già girato 18 carceri e non avevo mai visto né sentito di un gruppo di studenti, neo laureati e liberi cittadini, che si sedevano insieme ai detenuti attorno a un tavolo e senza la presenza degli agenti. Di solito, a quei tempi in carcere, si stava noi da una parte e loro d’altra e c’era sempre la presenza degli agenti. Era impensabile che ci potesse essere un dialogo, figuriamoci un confronto.

Per 4 mesi ascoltai i temi che si discutevano, intervenendo pochissimo, ma cominciai a notare una anomalia. Sentivo gli studenti mostrare la loro fragilità con una naturalezza che trovavo sfacciata e persino irritante. Come è possibile parlare di fragilità in carcere, dove non puoi assolutamente essere fragile? Devi essere forte, un duro, se sei debole vieni calpestato!

Il mio disagio aumentava a ogni incontro… anche perché cominciavo a condividere i loro pensieri e i loro stati d’animo. Ricordo ancora, come se non fossero passati 15 anni, che iniziai a domandarmi perché, se loro provavano le mie stesse sensazioni, io ero dentro e loro no. Ad accrescere sempre più la mia confusione erano le domande che mi esplodevano nella testa come fuochi d’artificio.

Così, quasi senza rendermene conto, incominciai a comunicare le mie sensazioni e, più esprimevo quello che sentivo, più la distanza fra loro e me si accorciava, addirittura cominciavo a sentire non così distante anche l’autorità su cui all’epoca il gruppo aveva fatto un convegno.

Fra noi e gli esterni del gruppo le distanze si accorciavano sempre di più e questo mi portava a domande che non mi ero mai fatto prima, ma anche a una certa confusione. Di solito, quando provavo malessere, lo scacciavo via procurandomi una eccitazione dietro l’altra… anche se il rimedio che adottavo non durava molto. Adesso la situazione era senza soluzione, allora cominciai a scrivere e a portare quello che scrivevo al gruppo, un po’ come sto facendo adesso.

Passo dopo passo, le colpe che avevo sempre attribuito agli altri adesso mi sembravano mie e questo peggiorava la situazione. Cominciavo a non essere più tanto sicuro di chi era responsabile di avermi rubato la vita. E così è nato un conflitto interiore che non avevo mai provato prima. Incominciai a mettere in discussione ogni mio pensiero, ma anche a condividere con loro quello che mi passava per la testa e che non riuscivo a risolvere.  A poco a poco, non ero più tanto sicuro dei pregiudizi che avevo sempre creduto la gente avesse nei miei confronti (e che avevo io stesso verso di loro).

Le volte in cui il mio malessere svaniva senza dover ricorrere all’eccitazione diventavano più numerose e aspettavo i giorni in cui c’era il gruppo a San Vittore. Compresi che quello che io chiamavo “malessere” era in realtà la mia fragilità, la mia coscienza e la mia voglia di sentirmi utile, di avere uno scopo, una funzione.

Compresi che fino a quel momento non avevo mai fatto una scelta che fosse figlia di un progetto o di un obbiettivo. Le mie scelte dipendevano dal mio stato d’animo rancoroso. La rabbia aveva il potere di decidere cosa io dovevo fare, ero in balia della corrente e la rabbia era il mio sestante. E andando avanti, mi sono reso conto di essere stato il suo burattino per quasi 40 anni.

Incominciai a vedere le cose non più in bianco e nero, ad assaporare la bellezza della diversità dei colori e dei loro contrasti. Incominciai a sentire i componenti esterni del gruppo come alleati, alcuni addirittura amici. Non li vedevo più come un oggetto, come il mio carnefice o come la mia vittima. E ogni settimana nascevano nuove iniziative che preparavamo insieme, cosa che succede anche oggi.

Il mio progetto iniziale di usare il gruppo per uscire in fretta non mi è riuscito, ma sono riuscito a sentirmi libero anche se ero in carcere. Ora so di avere uno scopo, una funzione, ho tanti progetti e obbiettivi, ma soprattutto sento di non essere più un burattino.

Ora è quasi un anno che non sono più detenuto (non ho scritto “libero” di proposito, perché ho incominciato a sentirmi libero già anni fa, quando ero ancora dietro le sbarre). Adesso continuo a sentirmi sempre più libero di fare le mie scelte, perché so che sono figlie dei miei progetti e dei miei obbiettivi. Il mio divenire lo sto costruendo con mio figlio e con i miei alleati e non mi sento più solo contro il mondo.

Grazie Juri e grazie a tutti i componenti del gruppo vecchi e nuovi.

Antonio Tango

Percorsi della devianza

Consegne Rozzano 25/06/22

25 giugno 2022

Nelle foto Carlotta Boccaccio e Antonio Tango al lavoro per consegnare gratuitamente a circa 40 famiglie di Rozzano frutta e verdura raccolte dalla Croce Rossa di Opera.

L’iniziativa, grazie al finanziamento della Regione Lombardia con il bando “Un futuro in comune”, vede la collaborazione fra Croce Rossa di Opera (responsabile Danilo Esposito), Comune di Rozzano (Patrizia Bergami) e Gruppo della Trasgressione.

Consegne a Rozzano

Il mio clown

Mi sono sempre sentita inadeguata. Mi sono  resa conto di non sapermi orientare attraverso la moltitudine di stimoli che mi raggiungono.

È così da sempre, fin da bambina, quando gli insegnanti mi elogiavano per i miei successi, ma poi a casa il tritacarne faceva di quel benessere nato da una folgorante autostima, una poltiglia.

È così da sempre, fin da bambina, e poi oltre… anche quando ci credevo… anche quando credevo che le energie che riponevo in ciò in cui credevo avrebbero dato frutti. Ma poi mi stancavo. Mi stancavo di dovermi ricredere. Perché venivo corretta. Non incoraggiata, corretta. Non educata, corretta. Non capita, corretta.

Ecco allora un’idea: travestirsi da clown. Perché si sa che i clown possono permettersi di essere ciò che non sono. Senza giudizio. Senza essere soggetti a critiche. Si disegnano una lacrima sul viso e continuano a far ridere.

…perché si sa che la lacrima dei clown è disegnata, è finta, basta una sciacquata e va via. Il paradosso del pianto di colui che fa ridere! I clown possono permettersi di cadere… e quando lo fanno gli altri ridono. I clown possono permettersi di dare sberle… e quando lo fanno gli altri ridono. I clown possono permettersi di sbagliare… e quando lo fanno gli altri ridono… altroché se ridono, a crepapelle.

Ma è per quello che i clown esistono, per essere sbagliati, inadeguati, maldestri. I clown non vengono giudicati per questo, perché è questo il loro essere. Perché si sa che ai clown è concesso tutto ed anche di più. I clown se li correggi, li snaturi.

Che comodità! Che leggerezza! Tutto è meno pesante, più semplice. Scorre via apparentemente liscio… arrivando addirittura a chiedermi se non fosse Ludovica la maschera sopra il clown. Che confusione!

Ma chi se ne importa! Nessuno si aspetta nulla da te. Nessuno pretende sforzi o traguardi raggiunti. Nessuno si aspetta poesie, ma scherzi, battute. E non fa nulla se dici la verità, non si offende nessuno, perché è questo che tutti vogliono e si aspettano dal clown. E sono andata avanti. Grazie al mio clown!

Poi incontro il Gruppo della Trasgressione. Da grande. Adulta. Formata (“formosa”…suggerisce il mio clown!). E tutto sembra iniziare a cambiare.

DEVO provare a gettare la maschera da clown, o almeno provarci, per far parte del gruppo. Perché voglio fortemente dare il mio contributo al progetto del gruppo, che ho sposato e che mi appassiona e voglio farlo, per una volta, senza essere corretta, perché qui, al gruppo, è VIETATO correggere!

Mi metto in gioco! Ma per farlo devo grattare via quella lacrima disegnata, ormai diventata tutt’uno con la mia pelle. E allora sorprendo me stessa a grattare, grattare, grattare. Ma è difficile! Cacchio… se è difficile!

Nel gruppo ci sono persone “avanti”, molto più avanti di me nella consapevolezza del proprio clown. Molti, ma soprattutto i “peggiori”, sono riusciti a grattare via quella lacrima disegnata e a continuare il cammino prendendo possesso della loro nuova identità: consapevole, empatica, viva!

Io ci sto lavorando, mi sono procurata dei guanti di crine e dei nuovi abiti. Aspetto che il cerone scompaia, a furia di grattare, per cambiare finalmente abito. Perché i piedoni enormi da clown mi hanno sempre fatto inciampare…per far ridere!

Ma è difficile! Cacchio… se è difficile!

Ludovica Pizzetti

      03-Fontana-Tango

Fontana Tango, di Paolo Donati e Trsg.band

Suona la Trsg.band

  • Alessandro Radici, Chitarra
  • Paolo Donati, Percussioni
  • Ippolito Donati, Chitarra
  • Michele Montanaro, Basso
  • Juri Aparo, Voce

Consegne Rozzano 18/06/22

18 giugno 2022

Nelle foto Carlotta Boccaccio e Antonio Tango al lavoro per consegnare gratuitamente a circa 40 famiglie di Rozzano frutta e verdura raccolte dalla Croce Rossa di Opera.

L’iniziativa, grazie al finanziamento della Regione Lombardia con il bando “Un futuro in comune”, vede la collaborazione fra Croce Rossa di Opera (responsabile Danilo Esposito), Comune di Rozzano (Patrizia Bergami) e Gruppo della Trasgressione.

Consegne a Rozzano

Consegne Rozzano 11/06/22

11 giugno 2022

Nelle foto Antonio Tango al lavoro per consegnare gratuitamente a circa 40 famiglie di Rozzano frutta e verdura raccolte dalla Croce Rossa di Opera.

L’iniziativa, grazie al finanziamento della Regione Lombardia con il bando “Un futuro in comune”, vede la collaborazione fra Croce Rossa di Opera (responsabile Danilo Esposito), Comune di Rozzano (Patrizia Bergami) e Gruppo della Trasgressione.

Consegne a Rozzano

Consegne Rozzano 04/06/22

4 giugno 2022

Nelle foto Adriano Sannino e Antonio Tango al lavoro per consegnare gratuitamente a circa 40 famiglie di Rozzano frutta e verdura raccolte dalla Croce Rossa di Opera.

L’iniziativa, grazie al finanziamento della Regione Lombardia con il bando “Un futuro in comune”, vede la collaborazione fra Croce Rossa di Opera (responsabile Danilo Esposito), Comune di Rozzano (Patrizia Bergami) e Gruppo della Trasgressione.

Consegne a Rozzano

Sotto il carro ponte

Il corridoio divenne lunghissimo, quel minuto durò un’ora.
Finalmente al bivio, “Posso, non posso”; “Voglio, non voglio”. L’aria è libera sul mio volto paonazzo. Mi incammino verso la meta, assaporo la semplicità, sono un uomo che ama vivere e finalmente l’ho capito…

Sono immerso nel verde, alzo gli occhi al cielo e i pappagalli colorano per incanto la mia fantasia. Respiro a pieni polmoni, riesco a socializzare con me stesso, non sono più solo! Siamo una grande famiglia: l’albero, la fontana, il tram, il pullman, la panchina, il fiumiciattolo, i palazzi, il cielo, le zanzare… ah sì, le zanzare… purtroppo anche loro sono parte della grande famiglia… assieme a noi…

Che bello camminare sotto il sole lavorando su me stesso, “assopito dai pensieri”. Due giorni, due interi giorni: che meraviglia nutrirmi degli sguardi di chi non conosce il passato… Sono stato zio, fratello, figlio, amico, e sono stato Giove: ho diviso la mia persona, cercando di non far mancare la mia attenzione all’affetto e allo scopo…

Ad un certo punto volevo tapparmi le orecchie, chiudere gli occhi e risvegliarmi nel letto di ferro, ma quando avevo questo desiderio puntualmente un viso appariva davanti ai miei occhi, spronandomi… come se lui riuscisse a capire quando il frastuono arrivava nella mia testa…

Ho cercato di tenere ben presente lo scopo, il bivio “posso, non posso”, “voglio, non voglio”. Avrei potuto dire “non posso farlo, mai riuscirò a far capire dei concetti”, potevo dire “non voglio farlo” … Invece, io volevo a tutti i costi immergermi nell’impegno e sentivo di potere raggiungere il nostro scopo, il mio scopo…

Il masso è stato spinto sempre più avanti e adesso non torna più giù, ma quanta fatica… zanzare, sole e caldo, ma la voglia di superarci ci ha permesso di vincere.

Lo dimostra il fatto che ho rapinato un vecchio al Parco delle Memorie Industriali, ho cercato di ucciderlo ma il vecchio mi ha spaccato la faccia. E nonostante la faccia mi facesse veramente male, ho terminato lo spettacolo…

Ho visto ciò che il mio cuore voleva vedere: ho visto Simone lavorare con noi come se il gruppo fosse già dentro di lui. Sono rimasto stupefatto, è vero che io ho gridato, come è vero che anche Simone ha gridato tutto il tempo e a me le sue urla mi sfondavano la testa, infastidendomi. Solo uno ha raccolto le nostre grida e io ne sono fiero, grazie Prof. …

Poi, per incanto tutto tace. il cielo diventa nero, la notte cala su questa grande famiglia. Ritorno alla realtà, il corridoio è diventato piccolissimo e in un attimo sono alla cella n°5 e ripercorro questi due incantevoli giorni…

Marcello Cicconi

Al Parco delle Memorie IndustrialiFoto della giornata