Il Gruppo Trsg al Piamarta

Milano, 6 Marzo 2017

Oggi è stata una giornata particolarmente importante e ricca di emozioni per il nostro gruppo. Ci siamo infatti cimentati in nuova sfida, con detenuti e studenti coinvolti in prima persona nella conduzione del Gruppo della Trasgressione senza la presenza del prof. Aparo.

Il tutto si è svolto questa mattina all’Associazione Formazione Giovanni Piamarta, un’associazione senza fini di lucro che ha lo scopo di svolgere attività di educazione e formazione, con particolare riguardo ai giovani e ai lavoratori, curandone la crescita umana e professionale. L’Ente realizza Corsi di Istruzione e Formazione Professionale, destinati a ragazzi in obbligo formativo; Corsi di Formazione Superiore, destinati a diplomati e laureati; Corsi di Formazione Continua e Permanente, destinati a soggetti occupati, inoccupati e disoccupati.

La collaborazione tra il Gruppo della Trasgressione e l’Associazione nasce dalla necessità di intervenire in una realtà difficile ma purtroppo sempre più comune: l’adolescente inserito in un contesto familiare e sociale precario, in cui i fattori di rischio superano di gran lunga quelli di protezione.

Questo progetto ha avuto luogo grazie alla fiducia del Rotary Club Milano Duomo, che ha completamente finanziato il progetto, credendo nell’utilità del confronto e dialogo tra detenuto/studente e studenti della suddetta scuola.

Pe noi è stata una grande vittoria. È bello toccare con mano che il nostro gruppo va consolidando giorno dopo giorno un metodo di intervento che va oltre le mura del carcere. La nostra vittoria non è stata solo con gli studenti ma è stata, soprattutto, l’esperienza di viverci come gruppo, con un metodo di lavoro e con un obiettivo.

Ecco come abbiamo impostato la giornata. Fra studenti del Piamarta e componenti del gruppo Gruppo della Trasgressione eravamo una trentina; ci siamo divisi in due gruppi composti da circa 15 persone. L’obiettivo ultimo di questi incontri è quello che ciascuno di noi riesca a narrare la storia dell’altro.

Nel gruppo dove ero presente anch’io, i ragazzi erano particolarmente “ermetici”. La prima parte dell’incontro è stata difficile da gestire. Massimo Moscatiello, detenuto del gruppo, ha cercato, in diversi modi, di oltrepassare il loro muro, ma la loro risposta era sempre la stessa: “non ho voglia di raccontare i fatti miei a degli sconosciuti!”

Ci guardavamo tra di noi e dai nostri occhi traspariva la difficoltà. Dopo circa 90 minuti, in accordo con l’educatrice, si decide di fare una “pausa sigaretta”. Quello è stato il momento in cui abbiamo avuto la possibilità di avvicinare i ragazzi singolarmente ed è stato molto meno difficile di quanto immaginato: ciascuno di loro fremeva dalla voglia di raccontarsi ma aveva paura del giudizio del gruppo; singolarmente, invece, è stato molto più semplice. Una volta rientrati dalla pausa, abbiamo deciso di cambiare metodo d’azione; anziché interrogare loro, abbiamo iniziato, noi del gruppo, a raccontare parte della nostra storia.

Ho percepito dal gruppo un estremo interesse e una partecipazione che prima non era così palpabile. Hanno iniziato a interagire attraverso domande e dubbi. Dopo hanno anche iniziato a raccontare parte delle loro storie, vite così giovani ma già così segnate da ingiustizie e sofferenze.

Mascia è stata la prima a rompere quel muro, la prima a dar l’esempio agli altri, la prima ad ammettere che per lei raccontarsi è estremamente difficile perché ha la costante sensazione di non essere adeguata, di essere sbagliata e, dunque, di essere giudicata. Ma oggi è stata bravissima; si è raccontata nella maniera più sincera e profonda che poteva, senza preoccuparsi che quelle persone che aveva davanti avrebbero potuto giudicarla. No, invece era orgogliosa di ciò che stava facendo e si sentiva libera di poter essere se stessa.

Quasi tutti i ragazzi hanno raccontato pezzi della loro storia. L’unico che lo ha fatto in modo originale e alternativo al resto del gruppo è stato Aldo. Personalmente, sono rimasta molto colpita da questo ragazzo. Aldo ha 17 anni, si presenta come un ragazzo sorridente e sicuro di sé ma, allo stesso tempo, strafottente e arrogante. Il suo “racconto” è stato: “non racconto mai nulla di me perché gli altri non capiscono nulla. Io sono il migliore e le poche persone che abitano la mia vita sono le uniche degne di rispetto; il resto, in quanto esseri inferiori a me, merita di essere maltrattato!”

A me, con il suo intervento, ha comunicato tantissimo. Come raccontavo anche a lui, mi ricorda l’adolescente che ero io. Anch’io, come lui, mi atteggiavo con sicurezza e superiorità, il mio motto appena entravo a scuola era: “io sono la migliore!” solo pochi meritavano il mio rispetto e quei pochi solitamente coincidevano con le persone che mi “rispettavano”.

Ai tempi il mio concetto di rispetto era un po’ diverso da quello di oggi. Il rispetto, come Aldo, lo pretendevo attraverso l’unico strumento che avevo: la mia aggressività. Allora non capivo che il modo di interagire con gli altri, altro non era che un bisogno smodato di trovare un mio spazio nel mondo, che evidentemente non sentivo di avere. Era la mia fragilità che mi obbligava a ricoprire il ruolo della bulla, di colei che doveva sempre intromettersi nelle situazioni irrisolte che non mi riguardavano; eppure la cosa mi divertiva e mi faceva sentire realizzata.

Non sapevo cercare il mio spazio né dar voce alla mia intelligenza, alle mie capacità relazionali. Come Aldo, anch’io avevo pochi amici, non perché gli altri non fossero abbastanza per poter stare con me, ma perché erano gli altri che non volevano stare con me. Chi vuole come amica un’adolescente sempre incazzata che sottomette gli altri?

Credo che la vittoria più grande per il gruppo si chiami anche Aldo. Siamo riusciti a instillare nella sua mente delle domande, dei grandi punti interrogativi che sono certa che si porrà anche quando tornerà a casa e tutte le volte che avrà voglia di riflettere su di sé. Spero che nei prossimi incontri cerchi insieme a noi delle risposte a questi interrogativi che adesso abitano la sua mente. Ma qualora questo non avvenisse, credo che il suo sia stato comunque un grandissimo passo.

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Scale e sentieri al Coming Out

Lorenzo Favaro

C’è chi scende e c’è chi sale
c’è chi impara a far le scale

Il masso sale e poi riscende
e chi fatica non si arrende

E c’è chi, per far lieta la sera,
costruisce una mulattiera

 

LE SCALE      C’è chi scende e c’è chi sale, c’è chi impara a far le scale

 

IL MASSO      Prima sale e poi riscende, ma chi fatica non si arrende

 

IL SENTIERO      C’è chi, per far lieta la sera, costruisce una mulattiera

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Dal Gruppo Trsg 2001

Caro Dott. Aparo,

sono Salvatore M., membro del “Gruppo della Trasgressione” 2001/3 a San Vittore. Spero ti ricordi di me, io non posso dimenticare dell’aiuto ricevuto durante la detenzione, dal gruppo della trasgressione e in particolare dal suo coordinatore, un aiuto di cui ho beneficiato anche nella post-detenzione, utilizzandolo per il mio reinserimento nella società.

Sono entrato in carcere convinto che prevaricare la libertà degli altri, sottrarre i beni altrui, fosse un mio diritto, un diritto derivante dal mio vissuto, una storia di povertà e privazioni; ritenevo giusto, quasi doveroso, appropriarmi di ciò che non avevo mai avuto sottraendolo a chi, invece, aveva sempre avuto.

Il gruppo della trasgressione, attraverso gli incontri e i confronti, sviscerando e analizzando punti di vista diversi a riguardo dei comportamenti trasgressivi, mi ha portato a comprendere che il confine della mia libertà non è un limite, bensì è il terreno d’incontro e arricchimento personale, è un luogo per capire come progredire, accogliere, ricevere, donare, conoscere.

Ho capito il senso profondo del rispetto dell’altro chiunque esso sia, di qualsiasi nazione, religione, colore, ceto sociale, senza pregiudizio verso chi mi ha condannato, né verso chi mi ha arrestato. Il rispetto va dato all’uomo e alle regole sociali che appunto regolano i rapporti di un popolo.

Tra un mese compio dieci anni da uomo libero e rispettoso delle regole, nel frattempo mi sono messo a lavorare, mi sono sposato, ho un figlio di dieci anni, non soffro la mia modesta condizione economica, invece sono ricco del piacere della vita dato dalla famiglia, dal lavoro e dalla bellezza della natura; vivo in un posto di mare ed è lì che navigo con la fantasia e mi arricchisco di creatività.

Oggi a Bollate è detenuto mio fratello Giuseppe, impegnato in un percorso di studio universitario, avrei molto piacere se tu lo coinvolgessi nel gruppo della trasgressione, perché, sono certo, farebbe bene anche a lui confrontarsi.

Se la mia esperienza detentiva può essere un contributo al gruppo, sono a tua disposizione.

Possibilmente estendi la mia affettuosa stima alla Dott.ssa Patruno e al Dott. Pagano. Grazie

Con profonda stima Salvatore M.

Relazione di tirocinio

STAGE ESTERNO PRESSO “ASSOCIAZIONE TRASGRESSIONE.NET”

Vittoria Canova
Corso di studio: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
Periodo: 18/11/16 – 22/12/16


Caratteristiche generali dell’attività svolta

L’attività di tirocinio è stata svolta presso l’associazione Trasgressione.net, fondata dal dottor Angelo Aparo e operativa nelle carceri di Opera e Bollate. L’associazione è costituita da detenuti, ex detenuti, liberi cittadini e studenti provenienti da diverse facoltà. Gli incontri settimanali programmati si svolgono il martedì nella sede del ATS (ex ASL) di Milano con sede in Corso Italia 52, il mercoledì nel carcere di Opera e il giovedì presso quello di Bollate. Durante gli incontri tutti i membri partecipano criticamente al dibattito su svariati temi e condividono le proprie esperienze.

Il gruppo è impegnato in attività finalizzate a costruire un collegamento tra il mondo carcerario e la realtà esterna, favorendo il reinserimento sociale del detenuto (di per sé già la composizione mista del gruppo permette ai detenuti di avere contatti con persone al di fuori dell’ambiente carcerario), ad esempio tramite convegni e rappresentazioni teatrali soprattutto nelle scuole. Un altro obiettivo del gruppo è la prevenzione del bullismo, delle tossicodipendenze e della devianza in generale, che si mette in atto attraverso incontri con i soggetti più a rischio, cioè gli adolescenti. Infine ai detenuti che fanno parte del gruppo viene data la possibilità di svolgere alcuni lavori come le attività di restauro e la vendita di frutta e verdura.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Il tirocinio curriculare prevede che lo studente svolga 100 ore in un periodo di circa due mesi presso l’associazione scelta per ottenere i crediti formativi necessari, inoltre al termine dell’attività è richiesta la stesura di una relazione finale sul lavoro svolto. All’interno del Gruppo della Trasgressione il ruolo che lo studente deve ricoprire è il diventare a tutti gli effetti un membro del gruppo e quindi partecipare con costanza agli incontri previsti, ascoltare gli interventi degli altri componenti, elaborare i contenuti proposti e partecipare attivamente alle discussioni. La richiesta è, dunque, l’essere semplicemente se stessi e offrire un contributo esponendo in modo autentico il proprio punto di vista.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Durante il periodo di tirocinio ho partecipato agli incontri settimanali del gruppo. Come già detto prima, durante questi incontri i componenti del gruppo hanno l’opportunità di confrontarsi su vari argomenti. I temi che di volta in volta emergono vengono proposti dal coordinatore del gruppo, il dottor Aparo, o dai membri stessi a partire da personali riflessioni, da episodi di vita e da vari elaborati scritti (testi, poesie, canzoni). Durante questi dibattiti, grazie alla massima libertà di espressione, ognuno è stimolato a riflettere, a porsi interrogativi e a intraprendere un percorso personale per migliorare la conoscenza di se stessi e per giungere a una maggior comprensione degli altri. Un aspetto importante è il riuscire a mettersi in gioco per giungere a una maggiore chiarezza dei propri limiti e delle proprie debolezze che, se condivisi con il gruppo, possono essere superati.

Ho avuto inoltre l’opportunità di assistere alle prove della rappresentazione teatrale del mito di Sisifo. Nella storia originale Sisifo, re di Corinto, viene condannato da Giove a spingere un masso per l’eternità. Detenuti e studenti hanno rivisitato questo mito attribuendo nuovi significati alle dinamiche della vicenda e alle caratteristiche dei personaggi: Giove diventa così non un personaggio reale ma una proiezione di Sisifo, il masso rappresenta la coscienza con la quale Sisifo dialogherà alla fine della storia, altrove si allude ad una vecchia alleanza tra Sisifo e Giove quando il re di Corinto era una pedina dei giochi del capo dell’Olimpo rappresentato come una sorta di capo mafioso.

Gli attori coinvolti non interpretano sempre gli stessi personaggi e quindi ad ogni spettacolo giocano a ricoprire ruoli diversi e recitano senza un copione vero e proprio rendendo così ogni rappresentazione unica.

Questi spettacoli teatrali sono rivolti in particolar modo alle scuole e al termine della rappresentazione i ragazzi vengono coinvolti offrendo loro la possibilità di fare domande e di riflettere insieme ai membri del gruppo sui significati espressi dal mito.

Durante la mia permanenza il gruppo si è anche impegnato in un nuovo progetto chiamato Coming out. Il Coming out è un terreno nel quale alcuni detenuti stanno già lavorando per ripulirlo, che in futuro ospiterà la bancarella di frutta e verdura e diventerà una sorta di agorà cioè un luogo di incontro che offre la possibilità di esprimersi, di venir fuori come dice appunto il nome. Verranno raccolti in questo luogo tutti i lavori creativi quindi canzoni, poesie, racconti, sculture non solo dei membri del gruppo ma anche degli abitanti del quartiere attorno al terreno e di tutti coloro che lo desiderino.

Come simbolo del Coming out è stata scelta una lumaca e ciò deriva da una canzoncina in siciliano intitolata “Viri chi danno ca fanno i vavaluci”. La canzone racconta di come le lumache, messe a spurgare in una pentola prima di essere cucinate, tentino di scappare dalla pentola, questa fuga diventa metafora del tentativo che ciascun uomo fa per conquistare o riconquistare la propria libertà.

Infine, nell’ultimo periodo, è stato avviato il gruppo femminile per le detenute del carcere di Bollate. È stato dunque interessante riflettere sulle differenze oggettive emerse ma soprattutto sul come noi studenti abbiamo vissuto soggettivamente queste diversità fra i gruppi.

Per concludere tra i progetti in corso del gruppo ci sono il corso di Croce Rossa, al quale stanno partecipando alcuni detenuti, e la progettazione di un prossimo convegno incentrato sul rancore e sulla gratitudine.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore del gruppo, nonché tutor del mio tirocinio, è il dottor Angelo Aparo. Con i suoi metodi un po’ fuori dagli schemi e ironici è riuscito a spronarmi e a mettermi in gioco. Inizialmente ero abbastanza intimorita ma poi mi sono abituata ai suo modi di comportarsi ed esprimersi ed è proprio grazie a questi ed alle sue prese in giro che mi sono sforzata di, come sostiene lui, “uscire dalla gabbia”. L’esempio più rappresentativo che mi viene in mente è quando, poco tempo fa, durante il gruppo femminile ha fatto interpretare a studenti e detenute diversi tipi di camminate che rappresentassero diversi stati d’animo. Ovviamente è toccato anche a me, ma nonostante mi sentissi alquanto imbarazzata e nonostante le mie prestazioni non proprio eccellenti, mi sono messa alla prova riuscendo anche a divertirmi.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Per me questa è stata la prima esperienza al di fuori del mondo prettamente accademico. È stata un’occasione importante per iniziare a toccare con mano e a vivere una realtà lontana dai concetti teorici e astratti dei libri, una realtà costituita da persone vere, con un nome e una storia da raccontare e con le quali interagire. Mi sono avvicinata al mondo carcerario del quale non conoscevo assolutamente nulla e ho potuto iniziare a farmi un’idea del suo funzionamento a livello burocratico/legislativo e umano.

 

Abilita acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Durante questo tirocinio ho imparato che cosa vuol dire essere parte di un gruppo e quindi l’importanza di ascoltare attentamente gli altri, dare un contributo, ragionare insieme, confrontarsi. Ho compreso come ogni membro avesse un ruolo e come a ognuno fosse concesso uno spazio per esprimersi, rendendo quindi indispensabile rispettare i turni di parola, i pensieri e le opinioni altrui. Inoltre è stato molto utile per apprendere a organizzare meglio il mio tempo dovendo riuscire a conciliare le ore di tirocinio con le lezioni e la preparazione degli esami.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Oltre a queste capacità e abilità tecniche e organizzative, credo che questo tirocinio abbia contribuito soprattutto allo sviluppo di alcune mie caratteristiche personali. Infatti durante questo percorso sono riuscita a superare un po’ la mia timidezza cercando di esprimere in modo comprensibile il mio pensiero di fronte ad altre persone inizialmente sconosciute. Inoltre, grazie alle tematiche affrontate dal gruppo, ho avuto l’occasione di riflettere su alcuni aspetti di me stessa ai quali non avevo dato importanza imparando così a conoscermi meglio.

 

Altre eventuali considerazioni personali

All’inizio di questo tirocinio le sensazioni provate prevalentemente sono state l’inadeguatezza e l’imbarazzo. Mi sono ritrovata infatti con persone totalmente estranee che si conoscevano fra loro da tempo e appartenevano ad un gruppo coeso. Non è stato per nulla semplice riuscire a farsi conoscere, accettare e trovare un mio posto in un contesto con dinamiche personali consolidate da tempo. Complice di questa iniziale difficoltà è stata sicuramente la mia timidezza, che mi causa disagio a esprimere emozioni e pensieri di fronte a molte persone, forse dovuto anche ad un po’ di timore del giudizio altrui. Oggi però mi ritengo abbastanza soddisfatta perché mi sento a tutti gli effetti un membro del gruppo e soprattutto perché ho meno difficoltà a interagire nelle discussioni. Ho iniziato questo tirocinio spinta dalla curiosità che, però, non è da intendersi come voglia di scoprire il reato commesso da una persona ma piuttosto come la volontà di cercare di capire il perché una persona giunga a commettere il reato. Mi sono quindi avvicinata a un mondo molto distante dal mio e ho avuto modo di ascoltare le storie di alcuni detenuti, riuscendo così a sentire e condividere il loro dolore, la loro tristezza ma anche la loro gioia.

Per concludere è stata un’esperienza estremamente positiva alternando con il giusto equilibro momenti di riflessione profonda, commozione e divertimento.

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La nostra attività con le scuole

Il Gruppo della Trasgressione comprende un’associazione e una cooperativa, costituite da detenuti, studenti universitari e comuni cittadini. Il gruppo agisce nelle carceri di Bollate e Opera e all’esterno; l’obiettivo principale è rendere riconoscibili i sentimenti e gli stati d’animo che caratterizzano i percorsi della devianza e lavorarli nel tentativo di renderli compatibili con il riconoscimento dell’altro.

La nostra filosofia s’incentra su poche linee guida:

  • studiare, progettare e lavorare con chi ha commesso reati giova all’equilibrio sociale e protegge la salute e il bene pubblico più della separazione garantita dalle mura del carcere;
  • è importante che imprenditori e liberi professionisti supportino, insieme alle istituzioni, l’acquisizione e l’esercizio di funzioni e ruoli sociali di chi ha bisogno di evolversi; questo vale per gli adolescenti, per le persone in difficoltà e per chi, lungo i percorsi della devianza, ha perso il piacere di esercitare le responsabilità del cittadino;
  • il recupero, una reale inclusione, un effettivo superamento della sensazione di marginalità e di estraneità alle regole possono prendere corpo solo se ci si sente co-protagonisti di esperienze concrete, di attività lavorative, eventi, interazioni utili alla comunità, al suo rinnovamento, alla sua crescita.

All’interno della nostra attività di sensibilizzazione e di mediazione fra carcere e società, gli incontri tra il Gruppo della Trasgressione e le scuole offrono agli studenti di scuole medie inferiori e superiori un’esperienza utile alla prevenzione del bullismo e delle dipendenze, ma anche e soprattutto a vivere in modo tangibile il piacere della responsabilità.

In sintesi, l’obiettivo della prevenzione viene combinato con la rieducazione del condannato; tali incontri, infatti, favoriscono il percorso evolutivo dell’adolescente permettendogli di svolgere una positiva funzione sociale nei confronti del detenuto e, allo stesso tempo, aiutano i detenuti a riappropriarsi della loro identità di adulti, intanto che forniscono un servizio alla collettività.

 

Attività culturali nelle scuole e nei teatri
con gli adolescenti e con un pubblico adulto

Una serata per bulli

Un gruppo di ragazzi annoiati, il solito posto e la solita monotonia. Così ha inizio la rappresentazione di “una serata per bulli”. Un’atmosfera costellata di noia e vuoto che porta prima all’uso di droga, poi al furto di un’auto e infine alla violenza su un disabile. Un’escalation di atrocità alla ricerca di uno sballo sempre più difficile da raggiungere.

Subito dopo la rappresentazione, studenti e insegnanti dialogano con i componenti del gruppo su cosa cerca chi si comporta da bullo.


Una slot machine per chiedere chi sono

La rappresentazione ricostruisce quello che accade in una delle tante sale giochi: i passaggi di un amore malato tra un giocatore incallito e la sua bella: la slot machine. Un uomo che, per coprire le proprie angosce, affida se stesso allo sballo e all’eccitazione del gioco d’azzardo. Non riuscendo a coltivare relazioni stabili e costruttive con l’altro, si perde nel gioco illusorio e autodistruttivo di fingersi capace di controllare gli impulsi e gli oggetti di cui si rende schiavo.

Su questa mappa di conflitti, mancanze, smarrimenti, seduzioni delle diverse forme di dipendenza, si sviluppa lo scambio tra gli studenti e i detenuti dopo la recita.

 

Il mito di Sisifo

Avviato nel 2009, il lavoro sul mito di Sisifo è diventato in poco tempo uno strumento per riflettere sul presente e per recuperare passaggi centrali di chi ha perso la fiducia nelle istituzioni e nel proprio futuro. La tragedia di Sisifo ha dato luogo a un racconto nel quale specchiarsi, motivando comuni cittadini, studenti e detenuti del gruppo a indossare i panni dei diversi personaggi e a interrogarsi sul problema della siccità a Corinto, sui conflitti di Sisifo con Giove, degli adolescenti con il limite e l’autorità, dell’uomo con i suoi bisogni terreni e le sue ambizioni di eternità.

Al termine della rappresentazione, viene avviata una discussione in sala su temi quali: il rapporto genitori-figli, le dinamiche di potere e la possibilità dell’uomo di abbandonarsi all’arroganza o di ascoltare e assecondare le proprie istanze costruttive.

 

Concerti musicali – Trsg Band

Il Gruppo della Trasgressione tiene concerti in diversi teatri di Milano e provincia. Le storie dei personaggi imperfetti di Fabrizio De André vengono incrociate con le riflessioni dei detenuti del gruppo sui loro sentimenti, sulle scelte passate più o meno consapevoli e su ciò che ne è derivato nelle loro vite.

Sulla traccia delle canzoni di De André, arrangiate ed eseguite dalla Trsg.band, braccio musicale del Gruppo della Trasgressione, i concerti vedono la collaborazione fra discipline e soggetti eterogenei: docenti universitari, giovani studenti, detenuti e artisti.

Con questi eventi il Gruppo della Trasgressione punta a rendere prassi comune la contaminazione creativa e la cooperazione con adolescenti e giovani adulti. L’idea di fondo è che l’impiego delle proprie risorse in un clima di gioco e di collaborazione possa aiutare al riconoscimento reciproco e far sì che l’altro possa essere sentito come partner invece che straniero o, peggio, ostacolo alla propria realizzazione.

La scala maledetta

Pasquale Fraietta

Era un tardo pomeriggio d’estate del 1976. I ricordi sfocati mi riconducono ai momenti di spensieratezza di quando ero bambino, a quei giochi assurdi e apparentemente senza senso che appartengono ai bambini. Incuranti dei pericoli, i bambini si rincorrono ovunque… e nell’aria suonano la gioia e le risate di un bambino di sei anni e della sua sorellina di cinque anni appena.

Come quasi ogni giorno, al margine di una scalinata sotto casa, eravamo io e la mia amata sorellina Carmela, di un anno più piccola di me. Non ricordo esattamente che tipo di gioco, ricordo solo le urla assordanti di mia madre nel precipitarsi a prendere fra le braccia la mia sorellina, che era caduta e aveva battuto la testa violentemente, mentre rincorreva il suo fratellino sulla rampa delle scale fuori casa. Sono bastati tre soli gradini di una scala maledetta per mettere fine alla vitalità raggiante di quella bambina, all’esistenza della mia sorellina.

La concitazione con cui mia madre prima e mio padre dopo cercavano di rianimare quel corpicino esanime mi lasciava senza fiato. Non mi rendevo conto di cosa era successo. Probabilmente ero troppo piccolo per realizzare il dramma che aveva colpito la mia famiglia. Fatto sta che col passare degli anni mi sono sentito in colpa per non aver sofferto abbastanza in quei momenti e nei giorni successivi e per avere assistito in modo passivo a quanto soffrivano i miei genitori, mia madre in particolare.

Non so. So solo che da quel giorno mia madre non è più stata la stessa, non ho avuto più la mamma che mi coccolava e mi riempiva di attenzioni. La sua mente, pervasa di dolore lancinante, l’ha fatta precipitare lentamente nella depressione, sino a compromettere in modo irreversibile il suo equilibrio mentale. Dopo qualche anno mia madre si ammalò di una forma di schizofrenia. Mio padre spesso abusava con l’alcol, forse per mascherare il suo dolore, o forse perché abusare con l’alcol in determinate culture era del tutto normale.

Questa è la storia di una grande e dolorosa ferita che, a distanza di tanti anni, ancora mi stringe il cuore. Oggi qui in questa sala ci sono le mie adorate 3 figlie, Maria Carmela Soledad, Marianna Stella e Giusy Serena. A voi vorrei raccontare qualcosa circa il vostro arrivo nella vita della nostra famiglia. Dovete sapere che, quando la mamma ed io decidemmo di avere un figlio, io ero fortemente desideroso e convinto di volere un maschio. Qualcuno, vista la mia insistenza, mi diceva che, maschio o femmina, era uguale. Ma io rispondevo testardamente  che… no! Volevo un maschio. Per farla breve… nacque Mari Carmela e poi Marianna e infine Serena. Insomma di quel maschietto neanche l’ombra.

Oggi, mie adorate, a distanza di tanti anni, forse ho capito  perché volevo un maschio e soprattutto solo maschi! Mi ritenevo in parte responsabile di quanto era accaduto alla mia sorellina, e questo mi aveva creato quella paura, e quella convinzione sbagliata, che avere figlie femmine fosse quasi un’offesa alla sua memoria.

Ma credo che da lassù… qualcuno… anzi, proprio la zia, abbia voluto farmi capire quanto fossi sciocco a sentirmi responsabile e per farmelo capire per bene, e soprattutto in modo inequivocabile, ha inviato voi tre per illuminarmi della gioia e dell’amore più grande.

It’s coming out

Il masso di Sisifo

Lorenzo Favaro: “Abbiamo sgretolato il masso di Sisifo e l’abbiamo usato per l’aiuola che verrà al Coming out

 

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Il mito di Sisifo a Buccinasco

Genitori e figli, insegnanti e allievi, cittadini e istituzioni
al teatro Fagnana per un’alternativa alla fatica di Sisifo

Il lavoro del Gruppo della Trasgressione sul mito di Sisifo, avviato nell’intento di intercettare fantasie antiche, è diventato nel tempo uno strumento formidabile per riflettere sul presente e per recuperare passaggi centrali di chi ha perso la fiducia nelle istituzioni e nel proprio futuro. 

Le vicende di Sisifo sono diventate un racconto nel quale specchiarsi, motivando studenti e detenuti del gruppo a indossare i panni dei diversi personaggi e a interrogarsi sul problema della siccità a Corinto, sui conflitti di Sisifo con Giove, degli adolescenti con il limite e l’autorità, del cittadino con le istituzioni, dell’uomo con i suoi bisogni terreni e le sue ambizioni di eternità.

Sul mito di Sisifo

Il tempo mi guarda

Francesco (Cisky) Capizzi

Seduto sulla panchina di un parco senza tempo, studio foglie ingiallite sospese dal vento, facendo i conti con ciò che c’è di più profondo, nella pazienza di un pensiero in scacchi d’ombra sogno. Non sono fante, né alfiere, né re, ma torre, rinchiuso e prigioniero dove il sole non sorge. Ostaggio di me stesso dal momento in cui ho sigillato dietro porte le paure per dimenticarle.

Il tempo si ferma e mi guarda, sono perso nella danza coi pensieri nel silenzio di una stanza, sulla mia branda disegno i tratti sulla carta, della coscienza che grida e mi graffia.

Ho sacrificato anche la fiducia, l’equilibrio, non sapevo che il sonno della ragione genera mostri, e io lo sono visto il tempo dormiente del mio essere pensiero. Sotto il tendone della rabbia, non mi sono accorto del circo ipocrita che avevo intorno. E accecato da illusioni, oggetto delle mie fantasie, mi privai d’amor proprio e privo divenni mostro.

Il tempo si ferma e mi guarda, sono perso nella danza coi pensieri nel silenzio di una stanza, sulla mia branda disegno i tratti sulla carta, per non abbandonarmi alla notte bastarda.

Si dice che la notte porti consiglio, ma mentre osservo la sezione oltre il blindo, mentre parlano i pensieri col silenzio, io cerco solo conforto. Avvolto in nuvole di fumo mi trasporto in ampi spazi, dove la mente crea i suoi arazzi e sono padrone della mia confusione, dove trasformo rimpianti in vittorie, dove posso cancellare o correggere storie…

Il video

Il viaggio della mia lumaca

Antonietta Ferrigno

Ora che il mio tempo passa senza di me, la mia lumaca lentamente tutto il suo mondo porta con sé. Lungo il tragitto ogni ostacolo diventa una pausa per orientarsi e ripartire alla ricerca di nuovi spazi, senza timore dell’ignoto e del futuro.

Non desiste, ragiona e sempre lavora, fiduciosa, quasi caparbia nel proseguire a ogni costo il suo cammino. Dolce e lieve, la mia lumaca  ermafrodita è sola nel suo lento viaggio, supera le colline, scende per i pendii e basta a se stessa.

Si ferma per un po’ dove l’acqua è più blu, ma non si appaga e si dirige verso la sofferenza e le fragilità. Sempre curiosa, la lumaca laboriosa vive ogni istante del suo tempo senza raccontarlo e, con poche gocce di memoria di quello che porta dentro di sé, si rinnova serena nella tempesta.

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