La potenza della chiamata divina

La vocazione di Matteo mi suscita molti pensieri ed emozioni. Innanzitutto, ammiro la maestria artistica di Caravaggio nel rappresentare la scena con tanta intensità e realismo. La luce divina che avvolge Gesù e il contrasto tra l’ombra e la luce sul volto di Matteo mi trasmettono una sensazione di meraviglia e mistero. Mi fa riflettere sulla potenza della chiamata divina e sulla possibilità di redenzione per ogni persona, indipendentemente dal proprio passato.

Mi fa anche pensare al coraggio di Matteo (prima esattore delle tasse) nel rispondere a questa chiamata e nel lasciare tutto per seguire Gesù. Mi emoziona pensare alla trasformazione interiore che avviene quando si accoglie la chiamata di Dio (i volti della scena ne sono la dimostrazione) e si decide di percorrere un cammino di fede.

In sintesi, La vocazione di Matteo mi ispira a riflettere sulla spiritualità, sulla possibilità di cambiamento e sulla forza della fede.

Gabriele Maggioni

Gli Scout AGESCI su “LA CHIAMATA”

Un’accusa o un invito?

Senza consultare alcun commento ufficiale riferito a questo quadro, e quindi non sapendo effettivamente cosa stia succedendo e quali siano i personaggi coinvolti, lo descriverei in questo modo: Seduti attorno ad un tavolo posto in una stanza oscura, quasi nascosta, vi sono diversi personaggi, molti uomini ed una sola donna.

Essi sembrano avere un’espressione sbalordita scaturita dall’azione dei due uomini posti alla destra del quadro: questi ultimi, infatti, indicano con tono accusatorio uno degli uomini seduti al tavolo che conseguentemente, con vergogna, china il capo. Probabilmente in seguito a questo gesto, anche uno degli uomini seduto al tavolo ha deciso di puntare il dito contro l’accusato.

Sapendo invece che il quadro rappresenta la vocazione di San Matteo, la descrizione cambia totalmente in quanto l’episodio non rappresenta una catastrofe bensì la chiamata di Gesù a San Matteo per farlo diventare suo discepolo.

Mariesol Verdicchio

Gli Scout AGESCI su “LA CHIAMATA”

Chi riguarda la chiamata?

Nel quadro di Caravaggio “La chiamata” troviamo sette figure all’interno di uno spazio chiuso che fa immaginare una locanda. Cinque figure sono sedute, due sono in piedi. Tra le due figure in piedi si riconosce quella di Gesù, colui che indica verso gli uomini seduti.

Tra le tante Interpretazioni che si possono dare a questo quadro mi colpisce un aspetto correlabile al progetto di cui farò esperienza in carcere: non è possibile sapere chi è la persona indicata. Allo stesso modo anche nella vita non è possibile sapere chi, come e quando viene chiamato. Dunque ognuno di noi, anche chi si è macchiato di reati, merita sempre una possibilità, poiché nessuno può sapere se e quando arriverà la sua chiamata, proprio come Matteo.

Colui che in passato ha peccato viene chiamato per primo a compiere bene. La storia di Matteo ce lo spiega chiaramente: Gesù ha deciso di chiamare lui, in quella locanda perché aveva fino ad allora peccato, lo chiama benché non sia propriamente giusto. Ognuno di noi è chiamato a fare il bene indifferentemente da ciò che ha segnato il suo passato.

Filippo Marchesini

Gli Scout AGESCI su “LA CHIAMATA”

La mia Aurora

E chi l’avrebbe mai detto, io che commento un dipinto di un artista!

Partecipando e guardando le diapositive con il dott. Zuffi, il quadro dove ci siamo più soffermati è “La vocazione di San Matteo” che si trova a Roma, presso la chiesa San Luigi dei Francesi.

Quello che risalta è l’illuminazione, con le luci, le ombre, le facce dei vari personaggi, da Gesù a San Matteo, ai fanciulli.

Accosto il dipinto alla mia vita attuale e anche io in questo periodo rivedo mia madre che mi chiama, oltre a mia moglie e mia figlia. E penso anch’io di essere stato illuminato. Mi spronano e cercano di farmi capire, come hanno sempre fatto, che ero su una strada sbagliata, mi rimarcavano sempre le mie malefatte. Bene o male, mi posso paragonare al personaggio di San Matteo: anche lui non è che era  tanto un buon esempio, fare l’esattore e arricchirsi a spese del popolo!

Nelle mie riflessioni interiori, spesso mi capita di parlare tra me e me del passato; e mia mamma, anche adesso che non c’è più, mi ricorda ancora che facevo male agli altri, a chi mi sta vicino, ma anche a me stesso. Ho buttato via più della metà della vita per ora vissuta.

Pensando all’artista, ho fatto delle ricerche ed ho appreso che anche lui non è che sia stato un modello di persona, penso anche perché in tenera età ha perso il padre. Un punto di riferimento è fondamentale, specialmente in fase di crescita.

Poi, detto tra noi, ha anche avuto le sue avventure carcerarie a causa del suo carattere collerico. Fortuna sua che la natura l’ha dotato della capacità di dipingere, anche se molti quadri sono stati rimandati al mittente perché, da quanto ho capito, offendevano il ceto superiore.

Ha però avuto un’altra fortuna: il Cardinale del Monte ha sfruttato le sue qualità per suo tornaconto, ma lo ha anche protetto. Accostando questa sua vita a quello che capita al Gruppo, possiamo anche noi immaginarci nella stanza delle riunioni del Gruppo, dove c’è quella luce che arriva dalla finestra e noi che guardiamo il dottor Aparo che marca e ci rimarca sugli errori commessi in passato, stimolandoci con i suoi metodi apareschi, per farci apprendere i veri valori della vita.

In più il dipinto, più lo guardi, e più puoi avere altre interpretazioni, come lo sguardo su ogni faccia dei vari personaggi. Io mi posso immedesimare in ognuno di loro, tranne nel ruolo di Gesù Cristo. Ora interiormente mi sento più riflessivo, accetto volentieri consigli, in più mi piace molto ascoltare e scoprire cose nuove, come ora.

Scusatemi se torno indietro di qualche settimana, attorno a me sento fiducia, perché sto notando anche che sono più padrone di me stesso e in più certi miei pensieri corrispondono e camminano paralleli ai miei progetti.

Ringrazio tutti i componenti del Gruppo, quando parlo con voi sento segnali di affetto, non come quelli di mia moglie Cinzia e di Aurora, ma quasi.

Concludo, ringraziando il dottor Aparo per aver accolto la parte migliore di me e Aurora, che è mia figlia e che è la luce della chiamata, questa volta non di Caravaggio ma di Nunzio Galeotta.

Nunzio Galeotta

Caravaggio in città

La vocazione di San Matteo

Mi colpisce la differenza d’abbigliamento fra le figure di Cristo e di San Pietro, entrambi in piedi, e di quelle sedute al tavolo. Da una parte, abiti senza tempo o riconducibili al tempo di Cristo; dall’altra abiti dell’epoca del dipinto.

Questo, probabilmente per mie esigenze affettive del momento, mi porta a fantasticare che il quadro parli di una comunicazione e di un uomo in altalena fra due dimensioni, quella che prescinde dal tempo e quella storica.

A noi tocca vivere nella dimensione del divenire, dove si nasce, si cresce e si muore, ma sembra che, per quanto ci si sforzi, sia per noi tutti troppo difficile rinunciare all’idea di una nostra parentela con…  l’Infinito.

A mia volta, pur consapevole del fatto che nulla di ciò che sento prescinde dalla storia, vado sempre sognando un ascensore che mi permetta di andare, almeno con lo sguardo, oltre l’ultimo piano del mondo finito.

Mi rendo conto che il rischio dell’arroganza è forte, anche se, per fortuna, le costruzioni e il divertimento che derivano dai tentativi di addomesticarla non sono da meno.

Ecco, nel dipinto c’è una luce che arriva da un punto fuori dallo spazio visibile (direi fuori dalla storia) e che, passando sopra la testa di Cristo, giunge fino al tavolo degli uomini che vivono dentro i confini dello spazio e del tempo: lo spazio della locanda, il tempo dei loro abiti.

Dunque, uomini che vivono, scelgono e divengono in un tempo e in uno spazio finiti, in risposta a una luce e a una vocazione che sembrano provenire dalla dimensione dell’infinito, dopo essere state mediate da Cristo, figura a cavallo tra le due dimensioni.

E, per concludere, mi chiedo se la mediazione tra finito e infinito, che nel dipinto viene affidata a Cristo, non sia una delle rappresentazioni possibili di quel che ci serve: ora per non smarrirci fra i mille sentieri e le responsabilità di una storia ancora da costruire; ora per prevenire l’allucinazione di volare oltre l’ultimo piano.

Caravaggio in città