L’alba inattesa

Cardedu, 23 agosto 2019

Sono grato.

Stride molto questo sentimento con questo giugno pieno di fatica e disillusione.
Eppure sono grato, non c’è più alcun dubbio.

Durante l’ultimo nostro incontro in carcere, il 10 maggio scorso, seduto – come nel primo nostro ingresso a San Vittore del 12 aprile – tra Luca e Francesco, a un certo punto mi sono ritrovato gli occhi pieni di lacrime ma non riuscivo a capire bene perché.

Mi ero riproposto che dovevo pensarci bene, lasciando che quelle emozioni inattese continuassero a trafiggermi senza però consentire che l’effetto benefico si esaurisse al risveglio, l’indomani mattina.

La fretta di dover cambiare argomento o tonalità, ritornando ai ritmi frenetici appena usciti dal sottosuolo di San Vittore, doveva arrendersi – per una volta – alla necessità di trovare quella risposta: perché?

Ci voleva del tempo, certo. Come tutte le cose.

Ma poi questa ultima settimana, segnata dai riti di passaggio tipici della fine della quinta elementare e della terza media (una congiunzione astrale difficile da gestire all’interno di un’unica famiglia), mi ha regalato il tesoro nascosto.

Sono grato alla maestra di mia figlia che, dopo un anno di relazioni sempre più difficili all’interno della sua classe, è riuscita a trasformare quelle difficoltà in opportunità di crescita. La fine della cerimonia di graduation restituiva plasticamente l’obiettivo educativo (prima che scolastico), io – con la mia rigidità nel rapporto genitore/insegnante – non trovavo le parole adatte neppure per un semplice “grazie” e lei mi ha colto di sorpresa con un “beh, ora possiamo abbracciarci anche noi?”.

Sono grato a quei capi scout che neppure io conoscevo e che hanno custodito mia figlia lo scorso weekend accompagnandola per mano dentro un territorio che lei neppure voleva conoscere. Di ritorno a casa la domenica, ho ritrovato nel suo entusiasmo un tratto che abitava un tempo anche in me, perché a volte la timidezza del carattere non riesce a farti indirizzare lo sguardo verso l’impensabile e l’inimmaginabile.

Sono grato alle insegnanti e agli insegnanti di mio figlio che – dopo essersi presi cura per oltre due anni e mezzo non solo del suo sapere ma anche della sua adolescenza inquieta, con un entusiasmo e una dedizione che più volte mi ha intimamente commosso- lo accoglieranno oggi alle 8.00 per l’esame orale di terza media, nonostante tutto questo non gli abbia fatto prendere sonno questa sera dopo aver preparato uno zaino con 12,5 kg di libri dentro. E io, con lui, a sperare che arrivasse finalmente Morfeo a dare forma ai suoi sogni. E in quella attesa durata due ore, disteso accanto a lui sullo stesso letto, non mi preoccupavo tanto di non avere ricordi nitidi né della fine della quinta elementare né della fine della terza media. Perché a me basta il ricordo della maturità, come se fosse stato ieri, quando sono uscito da quell’aula dopo l’esame orale. Mi sono guardato indietro per rendere indelebile quello che finora così è rimasto in me:  quella sensazione del me-che-chiudo-quella-porta, lentamente. Un misto di rimpianto e soddisfazione.

Un qualcosa che – quando sei giovane – è in parte differente da quello stare, come magnificamente indica Nicolò Fabi, “nella pausa che c’è tra capire e cambiare” tipica dell’età che ci ostiniamo a chiamare adulta.

Capivo (ma forse solo intuivo) che era finito un ciclo della mia vita ma quella mia stessa vita non mi aveva ancora fornito gli strumenti di consapevolezza per comprendere che quella porta, così consapevolmente chiusa, avrebbe aperto realmente ad un cambiamento.

Eppure quel momento è stato forse la mia prima alba, attesa per tanto tempo anche se non sapevo, appunto, quale territorio nuovo avrebbe illuminato.

Un qualcosa dunque che, come spiega invece Andrea Parodi, assomiglia forse più all’abacada: “nella lingua sarda …. significa momento di contrapposizione paritetica di forze, caratterizzato dalla serena calma che precede il cambiamento e la svolta esattamente come quei brevi, intensi istanti che non sono ancora giorno e non sono più notte”. E proprio a questo pensavo, ricordo ugualmente indelebile, nell’agosto 2019 quando per la prima volta ho portato mio figlio a fare il bagno in quella precisa scansione temporale, nel mare di Cardedu.

Ed è accaduto nelle vacanze natalizie di quello stesso anno, volendo invece mettere meglio a fuoco il rapporto di padre con mia figlia più piccola, che mi sono ritrovato tra le mani il libro di Alberto Pellai “Da uomo a padre”. Anche di questo sono grato, a lui che lo ha scritto quanto all’insieme di circostanze – che non riesco a ricostruire perché da me neppure lontanamente immaginate – che me lo ha fatto, appunto, trovare e mettere in valigia.

E alla fine quella lettura (che si è fermata a lungo, a pag. 173, sulla “permanenza della <<zona grigia>>”, ovvero “chi è stato mio padre per me? Che ruolo ha giocato nel determinare la persona che sono, ciò che avrei voluto essere? Come mi ha permesso di realizzare ciò che sognavo di fare della mia vita?”) si è trasformata, ugualmente inattesa ed inimmaginabile,  in una preziosa occasione per conoscerlo meglio, io che pensavo di aver compreso ormai tutto di lui e di avergli fino a quel momento sempre manifestato il mio affetto di figlio riconoscente.

Ecco, ora mi è chiaro: erano lacrime di gratitudine le mie, dentro il sottosuolo di San Vittore.

Dopo aver sentito il racconto del mio amico Luca sui padri che ha cercato da giovane con tutte le sue forze e fortunatamente adottato, in uno con il racconto di Francesco sul figlio in affido con tutte le fatiche quotidiane ma anche le gioie connesse, in quel momento ho pronunciato davanti a tutti parole a tratti confuse ma che effettivamente davano il senso anche del mio percorso di figlio, apparentemente cosi diverso da Luca,  e di padre, apparentemente così diverso da quello di Francesco.

Eppure, ripensando anche ora a quel preciso momento, mi sembra davvero che ci siamo tutti abbracciati. Nell’ascolto empatico anche con i padri e i figli detenuti, in quell’abbraccio collettivo credo che ognuno di noi – arrivati fino a quel crocevia, tutti da strade differenti  – sia riuscito a fare un po’ di pace con l’ideale del padre che avremmo voluto avere. E con l’ideale di padre che avremmo voluto essere ma che, ormai è chiaro a tutti, non siamo né riusciremo (mai/più) ad essere.

Di questa esperienza, tra le tante cose che conservo nel mio cuore, una immagine mi si è fatta ugualmente nitida in questa ultima settimana: non è tanto l’attesa dell’alba quello che ci renderà padri migliori, ma un’alba inattesa.

Per tutto questo sono grato ai padri, Juri compreso, che ho incontrato dentro e fuori da San Vittore in questi mesi. Sono sicuro che l’energia che è scaturita dal nostro stare insieme e dal nostro confronto “senza farci sconti” ci aiuterà ad indirizzare sempre più lo sguardo verso qualcosa di inimmaginabile al nostro primo appuntamento, un qualcosa di fronte al quale ciascuno di noi riuscirà – finalmente – a stupirsi di sé stesso.

Grazie ancora, a tutti noi insieme e a ciascuno di voi per quello che siete riusciti a donarmi!

Alla ricerca del padre

Denaro falso ad Opera con skytg24

Grazie a Diletta Giuffrida e alla Direzione di Skytg24 per aver voluto raccontare uno degli incontri del nostro progetto Denaro Falso.

Il servizio integrale è reperibile qui.

Il 19 marzo al carcere di Opera ci è venuto a trovare anche Andrea Spinelli, che ha saputo – come sempre – raffigurare meravigliosamente le emozioni di tutti i partecipanti:

Denaro falso

Dolori, Percorsi, Orizzonti

immagine di Andrea Spinelli per la diretta SkyTG24 Live In MIlano del 4/5/2025 (per gentile concessione)

Il 3 settembre 1982 Paolo Setti Carraro ha perso sua sorella Emanuela, uccisa dalla mafia a Palermo.

A partire da settembre 2013, una decina di Familiari di vittime della criminalità organizzata che si riconoscono nell’Associazione Libera iniziano a riunirsi presso il Centro per la giustizia riparativa del Comune di Milano. Intraprendono un lungo e faticoso percorso che li ha aiutati a riconoscere il proprio dolore, chiamandolo finalmente per nome. Dopo alcuni anni, Marisa Fiorani è la prima – nel marzo 2017 – a chiedere di “incontrare il dolore dell’altro”, in un nuovo viaggio che l’ha portata dentro il carcere di Opera, il 7 settembre 2016.

Qualche anno dopo Paolo decide, insieme a Marisa, di partecipare in maniera stabile agli incontri del Gruppo della Trasgressione che si tengono ogni mercoledì proprio in quel carcere. Nel giugno del 2013, Paolo ha scritto una lettera aperta – quasi un bilancio interiore dopo i primi  365 giorni così trascorsi – nella quale ogni parola è pesata e ogni forma misurata. Parole come  quelle che gli abbiamo sentito pronunciare mercoledì pomeriggio in diretta nazionale su skytg24, per riaffermare che “è il cambiamento osservato e praticato a soddisfare l’umano bisogno di dare un senso ed un valore al dolore comune”:

Incontri con le vittime

Natàlja Ivànovna

Il sentimento di terrore che aveva provato Natàlja Ivànovna (così si chiamava la vedova di Pjotr Nikolàjevic) alla vista di quell’uccisione era stato così forte che, come sempre succede, aveva soffocato in lei qualunque altro sentimento. Quando poi tutta la folla fu scomparsa dietro alla siepe del giardino, e il rumore delle voci si fu chetato, e Malànja, la ragazza che li serviva, scalza, con gli occhi spiritati, venne di corsa con la notizia, come se fosse stata una cosa allegra, che avevano ucciso Pjotr Nikolàjevic e l’avevano buttato in un burrone, a quel primo sentimento di terrore se ne sostituì un altro: il sentimento di gioia d’esser liberata da un despota, dagli occhi nascosti sotto gli occhiali neri, che per diciannove anni l’aveva tenuta in schiavitù. Ella si sgomentò di questo sentimento che non osava confessare a sé stessa e tanto meno mostrare ad alcuno.

✏️ Lev Tòlstoj, Denaro falso (parte seconda cap. X), negli anni 1904-1905

🎨  IV B istituto tecnico informatico (E. Torricelli, Milano), 30 aprile 2025 – leggi la loro descrizione del personaggio

[9. “Quali caratteristiche dovrebbe avere una istituzione credibile?”]

I personaggi di Denaro Falso

Il sarto del villaggio

Una volta il sarto del villaggio, zoppo e paralitico, venne a lavorare da Màrja Semjònovna. Doveva rivoltare un giubbetto per il vecchio e ricoprire di panno una mezza pelliccia che Màrja Semjònovna metteva l’inverno per andare al mercato.

Questo sarto zoppo era un uomo intelligente e osservatore, per il suo mestiere aveva conosciuto molta gente e a cagione del suo difetto stava sempre seduto e perciò era portato alla meditazione. Essendo stato una settimana in casa di Màrja Semjònova, fu assai edificato della sua vita.

✏️ Lev Tòlstoj, Denaro falso (parte prima cap. XVI), negli anni 1904-1905

🎨  III liceo socio economico (B. Melzi, Legnano), 16 aprile 2025 – leggi la loro descrizione del personaggio

[8. “Ti è capitato di incontrare una persona che, come Màrja o il sarto, ha rappresentato per te un «giro di boa»?]

I personaggi di Denaro Falso

Màrja Semjònovna

Il giorno dopo andò di nuovo in città, e per la strada udì le parole scambiate fra Màrja Semjònovna e il maestro. Lo sguardo di lei lo spaventò, ma tuttavia decise d’introdursi in casa della donna e di prendere il denaro che ella aveva riscosso. Di notte ruppe la serratura ed entrò in casa. Prima a udire il rumore fu la figlia minore, maritata. Ella si mise a urlare, e Stjepàn subito l’uccise. Il cognato si svegliò e si azzuffò con lui. Afferrò Stjepàn alla gola e lottò a lungo, ma Stjepàn era il più forte. E, avendola finita col cognato, Stjepàn sconvolto, eccitato dalla lotta, passò dietro al tramezzo. Dietro al tramezzo era sdraiata nel letto Màrja Semjònovna e, sollevandosi su, guardò Stjepàn coi suoi dolci occhi spaventati e si segnò. Il suo sguardo di nuovo atterrì Stjepàn. Egli abbassò lo sguardo.

— Dov’è il denaro? — disse, senz’alzar gli occhi.

Ella taceva.

— Dov’è il denaro? — disse Stjepàn, mostrandole il coltello.

— Che fai? Si può fare una cosa simile? — disse lei.

— Certo che si può.

✏️ Lev Tòlstoj, Denaro falso (parte prima cap. XXIII), negli anni 1904-1905

🎨  IV G liceo scientifico (Einstein, Milano), 3 aprile 2025 – leggi la loro descrizione del personaggio

[7. “In che senso e perché è così importante «essere riconosciuti»?” – to be continued]

I personaggi di Denaro Falso

Stjepàn Pelaghèjuskin

Condussero Ivàn Mirònov e si misero a interrogarlo. Stjepàn Pelaghèjuskin, un contadino alto, un po’ curvo, dalle lunghe mani, con un naso aquilino e un’espressione cupa nel viso, cominciò per primo a interrogarlo. Stjepàn era un contadino senza famiglia, che aveva fatto il suo servizio militare. Appena s’era separato dal padre e cominciava a stabilirsi per conto suo, gli avevano rubato il cavallo. Dopo aver lavorato due anni nelle miniere, Stjepàn era riuscito a comprarsi altri due cavalli. Glieli avevano portati via tutti e due.

— Di’, dove sono i miei cavalli? — disse Stjepàn, impallidendo dalla rabbia, e fissando lo sguardo cupo ora in terra, ora nel viso d’Ivàn Mirònov.

Ivàn Mirònov negò. Allora Stjepàn lo colpì in viso e gli schiacciò il naso, da cui si mise a colare il sangue.

— Parla o t’ammazzo!

✏️ Lev Tòlstoj, Denaro falso (parte prima cap. XIV), negli anni 1904-1905

🎨  V istituto professionale per la sanità e l’assistenza sociale (B. Melzi, Legnano), 26 marzo 2025 – leggi la loro descrizione del personaggio

[6. “Nella tua classe ci sono stati episodi o occasioni tali da favorire «uno stile deviante»?” – to be continued]

 

I personaggi di Denaro Falso

Ivàn Mirònov

Difatti, Jevghènij Michàjlovic aveva dato la cedola in pagamento delle legna al contadino Ivàn Mirònov.

Ivàn Mirònov faceva commercio delle legna a questo modo: ne comprava una sàzegn ai depositi, la portava a vendere per la città, facendone cinque parti, e ogni parte la vendeva per il prezzo che a lui costava un quarto di sàzegn preso al deposito. In quel giorno disgraziato per Ivàn Mirònov, la mattina di buon’ora egli aveva trasportato in città un ottavo di sàzegn e, vendutolo prestissimo, era andato a caricare un altro ottavo che sperava pure di vendere, ma andò in giro cercando un compratore e nessuno lo comprò.

Capitò sempre a trattare con gente esperta, la quale conosceva le solite gherminelle dei contadini che vendono legna e non credeva ch’egli avesse portato le legna dalla campagna, come affermava. Gli era venuta fame e aveva preso freddo nella sua mezza pelliccia logora e nel suo gabbano lacero: il freddo verso sera era arrivato a venti gradi sotto zero; il cavalluccio, del quale egli non aveva pietà perché aveva divisato di venderlo allo scorticatore, si fermò addirittura. Sicché Ivàn Mirònov era pronto a vendere le sue legna con perdita, quando incontrò Jevghènij Michàjlovic che era andato a comperar del tabacco in una bottega e tornava a casa

✏️ Lev Tòlstoj, Denaro falso (parte prima cap. VI), negli anni 1904-1905

🎨  III liceo delle scienze umane (B. Melzi, Legnano), 19 marzo 2025 – leggi la loro descrizione del personaggio

[5. “I crimini vengono commessi per un tornaconto o per vendetta?” – to be continued]

I personaggi di Denaro Falso

 

Jevghènij Michàjlovic

Un’ora dopo che i due studenti erano andati via, il padrone del negozio Jevghènij Michàjlovic venne e si mise a fare il conto di cassa.

— Ah, stupida creatura! Ecco una stupida per davvero! — gridò alla moglie vedendo la cedola e accorgendosi subito della falsificazione. — E perché prendere delle cedole?

— Ma tu stesso, Zènja, ne hai prese davanti a me e proprio di dodici rubli, — disse la moglie confusa, addolorata e pronta a piangere. — Io stessa non so come abbiano potuto ingannarmi quegli studenti. Un bel giovanotto, che aveva l’aspetto così per bene!…

— Una stupida per bene sei tu!… — seguitò a brontolare il marito, facendo i conti di cassa. — Quando io prendo una cedola, guardo quel che c’è scritto su. Ma tu, son certo, guardavi soltanto il muso degli studenti, all’età tua!

La moglie non sopportò queste parole e s’adirò anche lei.

✏️ Lev Tòlstoj, Denaro falso (parte prima cap. IV), negli anni 1904-1905

🎨  IV A liceo delle scienze applicate (E. Torricelli, Milano), 12 marzo 2025 – leggi la loro descrizione del personaggio

[4. “E’ l’individuo che sceglie? Oppure nelle sue scelte incide l’ambiente che lo circonda?” – to be continued]

I personaggi di Denaro Falso

 

Màchin

Màchin era uno studente di ginnasio e aveva i baffi. Giocava a carte, conosceva delle donne e aveva sempre denari. Viveva con una zia. Mìtja sapeva che Màchin era un ragazzaccio, ma, quando era con lui, senza volere, soggiaceva al suo influsso. Màchin era in casa e si preparava ad andare al teatro. Nella sua sudicia cameretta c’era odore di sapone profumato e di acqua di Colonia.

— Questo, fratello mio, è l’ultima cosa, — disse Màchin, quando Mìtja gli ebbe raccontato il suo dispiacere e mostrato la cedola e le cinquanta copeche, dicendogli che gli occorrevano nove rubli.

— Si può impegnar l’orologio e si può fare anche di meglio, — disse Màchin strizzando un occhio.

— Come di meglio?

— È molto semplice.

Màchin prese la cedola.

✏️ Lev Tòlstoj, Denaro falso (parte prima cap. II), negli anni 1904-1905

🎨  IV A liceo scientifico sportivo (Leone XIII, Milano), 26 febbraio 2025 – leggi la loro descrizione del personaggio

[3. “Quanto sono importanti le relazioni e quanto incide l’atteggiamento, anche di sconosciuti, nel diffondersi del contagio?” – to be continued]

I personaggi di Denaro Falso