Thanatos, il mio personaggio

Mi chiamo Rinaldi Massimo e voglio raccontare la mia esperienza con il gruppo della trasgressione. Questo progetto non è stato solo il recitare una parte, ma capire il significato dell’arroganza, che nasce dalla mancanza di fiducia nei confronti degli adulti e che gli adolescenti trasformano in rabbia e mancanza di rispetto per le autorità, che può portare il ragazzo a diventare prepotente nei confronti di tutti per essere accettato e rispettato nel gruppo dei coetanei.

Il mio personaggio: THANATOS
Non nascondo che questa parte è stata molto difficile da capire più che recitare, perché Thanatos (il dio della morte) è stato sempre usato dagli dei superiori per ammazzare le persone che davano fastidio o mancavano di rispetto agli dei.

In realtà lo scopo di Thanatos era di far capire ai mortali che loro non sono immortali e che la loro vita un giorno finirà e di vivere la vita nel migliore dei modi senza essere arroganti. E dopo aver capito questa cosa Thanatos cominciò a vivere conflitti interiori per i sensi di colpa e per il fatto di essere stato usato per anni.

Recita al carcere di Opera
La recita  al carcere di Opera è stata un’esperienza molto bella e molto formativa, anche avendo conosciuto i carcerati ed averci recitato insieme.

Conclusione
Questa esperienza per me è stata molto bella e importante e la rifarei con piacere, e sarebbe molto bello che anche le altre classi possano partecipare ed interessarsi a questo progetto. Mi ha fatto crescere, ha arricchito il mio bagaglio personale e mi ha fatto conoscere persone fantastiche.

Massimo Rinaldi

Il mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

 

Sisifo e il Gruppo della Trasgressione

Durante questo progetto Io e i miei compagni abbiamo lavorato sul mito di Sisifo con il Gruppo della Trasgressione. È la storia di un Re condannato a spingere un masso su per una montagna, ma ogni volta che arriva in cima, il masso rotola giù e lui deve ricominciare dall’inizio a spingerlo. All’inizio mi sembrava solo una storia assurda e un po’ triste fatta così, senza motivo. Poi però, parlando con il gruppo, ho capito che parla anche di noi, delle fatiche quotidiane, delle cose che sembrano inutili ma che in realtà hanno un senso se ci mettiamo qualcosa di nostro. Questo mito ci insegna che anche quando la vita sembra ripetitiva o difficile, possiamo trovare significato nelle nostre scelte.

Con il gruppo della trasgressione del Dott. Aparo l’esperienza è stata davvero forte. Non è una cosa che capita tutti i giorni o a tutti: andare in carcere, parlare con persone che hanno commesso reati, ma che ora vogliono cambiare. Lì dentro, ho visto umanità, verità, fatica, ma anche voglia di migliorare. Mi ha colpito quanto fossero sinceri e quanto si mettessero in gioco. Mi ha fatto riflettere molto su cosa vuol dire sbagliare, perdonarsi, e prendere responsabilità per la propria vita.

Recitare insieme è stato bellissimo. All’inizio avevo tanta ansia. Avevo paura di sbagliare, di bloccarmi, di non essere all’altezza. Ma poi mi sono lasciato andare, mi sono sentito ascoltato e parte di qualcosa di più grande. È un’emozione difficile da spiegare, ma mi ha fatto sentire vivo. E poi, finire in TV grazie a questo progetto è stato pazzesco. Mai avrei pensato che una cosa del genere potesse succedere a me.

Cosa ho imparato?
Ho imparato che tutti possiamo cambiare. Che sbagliare è umano, ma non basta pentirsi: bisogna fare qualcosa per riparare. Ho imparato a mettermi in gioco, a non giudicare troppo in fretta, a fidarmi degli altri e anche un po’ di me stesso.

Consiglierei questa esperienza?
Sì, la consiglierei a chiunque abbia voglia di crescere, di uscire dalla propria zona di comfort e di aprire gli occhi su realtà che spesso ignoriamo. Come io prima pensavo detenuto=cattivo, ma in realtà ogni persona è diversa, ha sentimenti, ha motivi e non é sempre nelle nostre mani scegliere come devono andare le cose. È un’esperienza che ti segna, in senso positivo.

Continuerò a partecipare al gruppo?
Sì, assolutamente. Perché mi fa stare bene, mi fa sentire utile, e ogni incontro è un’occasione per imparare qualcosa di nuovo. Non è solo un progetto, è un cammino che voglio continuare a fare.

Kushal Bagha

Il mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

Dolori, Percorsi, Orizzonti

immagine di Andrea Spinelli per la diretta SkyTG24 Live In MIlano del 4/5/2025 (per gentile concessione)

Il 3 settembre 1982 Paolo Setti Carraro ha perso sua sorella Emanuela, uccisa dalla mafia a Palermo.

A partire da settembre 2013, una decina di Familiari di vittime della criminalità organizzata che si riconoscono nell’Associazione Libera iniziano a riunirsi presso il Centro per la giustizia riparativa del Comune di Milano. Intraprendono un lungo e faticoso percorso che li ha aiutati a riconoscere il proprio dolore, chiamandolo finalmente per nome. Dopo alcuni anni, Marisa Fiorani è la prima – nel marzo 2017 – a chiedere di “incontrare il dolore dell’altro”, in un nuovo viaggio che l’ha portata dentro il carcere di Opera, il 7 settembre 2016.

Qualche anno dopo Paolo decide, insieme a Marisa, di partecipare in maniera stabile agli incontri del Gruppo della Trasgressione che si tengono ogni mercoledì proprio in quel carcere. Nel giugno del 2013, Paolo ha scritto una lettera aperta – quasi un bilancio interiore dopo i primi  365 giorni così trascorsi – nella quale ogni parola è pesata e ogni forma misurata. Parole come  quelle che gli abbiamo sentito pronunciare mercoledì pomeriggio in diretta nazionale su skytg24, per riaffermare che “è il cambiamento osservato e praticato a soddisfare l’umano bisogno di dare un senso ed un valore al dolore comune”:

Incontri con le vittime

L’arroganza

Durante quest’anno scolastico, in cui mi sono trovato in un ambiente nuovo con compagni di classe che non conoscevo, ho vissuto numerose esperienze significative che mi hanno insegnato molto. Tra tutte, quella che mi ha colpito di più è stata senza dubbio il percorso svolto con il Dottor Aparo.

Abbiamo partecipato a circa dodici incontri, ma la loro intensità e profondità li hanno resi molto più di semplici lezioni: sono stati momenti di crescita personale, che mi hanno lasciato qualcosa di prezioso e utile per la vita.

Il Dottor Aparo ci ha introdotto nel complesso mondo della carcerazione e ci ha spiegato il suo lavoro a stretto contatto con i detenuti. Il suo obiettivo è aiutarli a reintegrarsi nella società, partendo da un processo di analisi psicologica dei loro sentimenti. Una missione tutt’altro che scontata, poiché purtroppo non tutte le carceri italiane offrono la possibilità di un dialogo umano e costruttivo con figure come la sua.

Questa esperienza mi ha profondamente colpito, anche perché il mondo della criminalità e della detenzione è sempre stato, fortunatamente, molto lontano dalla mia realtà. Prima di questo percorso avevo dei pregiudizi e una visione piuttosto rigida su queste persone, ma grazie alle parole e agli insegnamenti del Dottor Aparo ho cominciato a capire meglio le radici di certe scelte sbagliate e le difficoltà che molte persone affrontano.

Uno dei temi centrali del corso è stato l’arroganza, un concetto che conoscevo in modo superficiale, ma che ho scoperto avere conseguenze molto più profonde di quanto pensassi. Attraverso il mito di Sisifo, il Dottor Aparo ci ha fatto riflettere sul peso delle scelte, sull’orgoglio e sull’importanza del cambiamento. Abbiamo anche avuto l’occasione di mettere in scena la storia di Sisifo, interpretando i personaggi e coinvolgendoci attivamente: è stato un momento intenso ma anche molto divertente.

Uno dei momenti più forti ed emozionanti è stata la visita al carcere di Opera, in provincia di Milano. Lì abbiamo recitato davanti ai detenuti, ed è stata un’esperienza toccante, che porterò sempre con me.

Mi ritengo fortunato ad aver conosciuto una persona come il Dottor Aparo: ha una personalità incredibile, è capace di trasmettere concetti profondi in modo semplice e diretto, e soprattutto è una persona autentica.

Sono anche molto grato al professor Tallarico, che ci ha dato questa opportunità unica. Senza il suo impegno e la sua fiducia, probabilmente non avremmo mai potuto vivere qualcosa di così speciale.

Matteo Oprandi

Il Mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

 

Il masso a testa alta

Mi chiamo Mourad e voglio raccontare un’esperienza che per me è stata molto importante: recitare il mito di Sisifo con il Dottor Aparo e il Gruppo della Trasgressione.

Non si è trattato solo di teatro o di dire qualche battuta a memoria. È stato qualcosa di più profondo. Entrare nel ruolo di Sisifo mi ha fatto pensare a me stesso, alla mia vita e agli errori che ho commesso. Sisifo era un uomo arrogante, furbo, che pensava di poter prendere in giro gli dèi. Ma alla fine ha pagato caro il suo atteggiamento: è stato condannato a spingere un masso su per una montagna, per tutta l’eternità. E ogni volta che arrivava quasi in cima, il masso ricadeva giù, e lui doveva ricominciare da capo.

Vederlo recitare mi ha colpito, perché mi sono riconosciuto in lui. Anch’io sono stato arrogante. Pensavo di essere più furbo degli altri, di poter fare quello che volevo, senza preoccuparmi delle conseguenze. Ma poi le conseguenze sono arrivate, e sono finito in carcere.

All’inizio non capivo. Davo la colpa agli altri. Ma con il tempo, grazie anche al lavoro fatto col Gruppo della Trasgressione, ho iniziato a guardarmi dentro. Ho capito che le mie scelte sbagliate non erano solo errori: erano ferite per gli altri e per me stesso.

Il mito di Sisifo mi ha fatto capire che la vera punizione non è solo il carcere. La vera fatica è ricostruire sé stessi, giorno dopo giorno. È come spingere quel masso. Ma oggi non lo vedo più come una condanna. Oggi lo vedo come un’occasione. So che non posso cambiare il passato, ma posso scegliere cosa fare adesso.

Il Dottor Aparo e il gruppo mi hanno aiutato a dare un senso a questa fatica. Non sono più quello che ero. E anche se la strada è lunga, voglio continuare a spingere quel masso, ma con la testa alta e la voglia di diventare una persona migliore.

Mourrad Toubba

Il Mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

 

Sisifo e l’autorità

Quando ci hanno parlato del mito di Sisifo, all’inizio pensavo fosse una delle solite storie antiche. Una di quelle che si leggono e poi si dimenticano. Non capivo che senso potesse avere per noi oggi. Anche perché io non sono nato in Italia e molte cose della cultura, della lingua italiana ancora le sto imparando. All’inizio, quindi, non ero molto coinvolto.

Il vero significato del mito di Sisifo

Poi, grazie al laboratorio con il dott. Aparo e il “Gruppo della Trasgressione”, ho iniziato a vedere questa storia in un altro modo. Non era più solo un racconto mitologico, ma un esempio di quello che può succedere a tanti ragazzi oggi. Sisifo, infatti, è un re che vuole aiutare la sua città, ma nel farlo si sente superiore agli dèi, rompe le regole e viene punito. La sua condanna è quella di spingere un masso su e giù una montagna per sempre, senza mai arrivare in cima.

Durante il laboratorio abbiamo riflettuto sul significato di questa storia. Il dott. Aparo ci ha fatto capire che Sisifo rappresenta anche quei giovani che, dopo aver perso fiducia negli adulti, iniziano a comportarsi come se potessero fare tutto da soli. Pensano di avere sempre ragione, diventano arroganti e non ascoltano nessuno. Ma proprio come Sisifo, prima o poi si trovano a fare i conti con le conseguenze delle loro scelte.

Questo progetto mi ha colpito molto, anche perché mi ha fatto pensare a come a volte anche io, o altri ragazzi che conosco, possiamo sentirci incompresi o arrabbiati con il mondo degli adulti. Quando succede, è facile chiudersi, smettere di ascoltare, e credere che le regole non servono. Ma con il tempo ci si accorge che senza confronto e senza una guida, si rischia di finire in un percorso difficile da uscire.

Con questo laboratorio ho imparato che l’autorità, se è giusta e presente, non è un limite, ma un aiuto. Gli adulti, anche se a volte sembrano distanti, possono insegnarci molto. E ascoltare non vuol dire essere deboli, ma avere il coraggio di mettersi in discussione.

Questa esperienza non è stata solo una lezione scolastica, ma un momento importante di crescita personale. Mi ha fatto riflettere su me stesso, su come reagisco alle difficoltà, su come posso diventare una persona migliore. Ringrazio il dott. Aparo per il tempo che ci ha dedicato e per averci fatto vedere il mito di Sisifo con occhi diversi. Grazie a lui, ho capito che anche una vecchia storia può parlare del presente e aiutare a cambiare qualcosa dentro di noi.

Singh Gurneel

Il Mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

Il mito di Sisifo a SeilaTV

Il mito di Sisifo al Pesenti di Bergamo

Padre e figlia al telefono

Non posso credere di essere di nuovo qui. Ma ci sono. Guardo il telefono e aspetto che sia il mio turno per chiamare a casa. Intanto fisso la parete. La fisso così tanto che potrei farci un buco. Ma il buco devo avercelo io nel cervello per essere di nuovo qui. Ero stato così male la prima volta. Parlare al telefono con mia figlia era un misero surrogato per il desiderio che mi divorava di stare con lei. Ma parlarle era meglio che niente. 

Quando sentii la sua voce cominciai a piangere in modo irrefrenabile, ma cercavo di parlare lo stesso. Le dicevo “Ti voglio bene, tanto tanto” E poi arrivò la domanda “Se mi vuoi così tanto bene, perché non torni a casa? Mi manchi”.

Realizzai in un attimo che la prontezza mentale e la freddezza che mi avevano permesso di diventare uno spacciatore all’altezza, lì non mi sarebbero servite. Era altro che dovevo mettere in campo per non perdere l’amore di mia figlia. Lì di nuovo non seppi far altro che mentire, trovando ragioni per la mia assenza da casa, ragioni abbastanza solide da resistere alle indagini di una bimba di cinque anni. In qualche modo ci riuscii. E in qualche modo finì la telefonata, ma non finì il mio rovello interiore. Era giusto mentire? Mentivo per proteggerla o per proteggere me?

Poi sono uscito. In carcere avevo frequentato il Gruppo della Trasgressione, che mi aveva aiutato a riflettere. Avevo maturato la decisione che una volta uscito non mi sarei più messo in una  situazione a rischio. Ricordo ancora l’angoscia con cui chiedevo ai membri del Gruppo “Io voglio smettere, ma ci riuscirò? Io so fare solo questo. Come trovo altro?”

Mi ricordo anche che un detenuto del gruppo mi disse che avevo la stoffa del venditore. Di provarci.

Il telefono è sempre lì. La parete pure. Io anche. Sto aspetando il mio turno per telefonare. Sono divorato dall’ansia. Che cosa dirò a mia figlia? La volta scorsa le ho raccontato una storia. Lei l’ha ascoltata, silenziosa. Poi mi ha detto “Bella la storia. L’hai raccontata bene, ma, papà, io ho sette anni, non è più tempo di storie”.

Nuccia Pessina

Genitori e figli

Natàlja Ivànovna

Il sentimento di terrore che aveva provato Natàlja Ivànovna (così si chiamava la vedova di Pjotr Nikolàjevic) alla vista di quell’uccisione era stato così forte che, come sempre succede, aveva soffocato in lei qualunque altro sentimento. Quando poi tutta la folla fu scomparsa dietro alla siepe del giardino, e il rumore delle voci si fu chetato, e Malànja, la ragazza che li serviva, scalza, con gli occhi spiritati, venne di corsa con la notizia, come se fosse stata una cosa allegra, che avevano ucciso Pjotr Nikolàjevic e l’avevano buttato in un burrone, a quel primo sentimento di terrore se ne sostituì un altro: il sentimento di gioia d’esser liberata da un despota, dagli occhi nascosti sotto gli occhiali neri, che per diciannove anni l’aveva tenuta in schiavitù. Ella si sgomentò di questo sentimento che non osava confessare a sé stessa e tanto meno mostrare ad alcuno.

✏️ Lev Tòlstoj, Denaro falso (parte seconda cap. X), negli anni 1904-1905

🎨  IV B istituto tecnico informatico (E. Torricelli, Milano), 30 aprile 2025 – leggi la loro descrizione del personaggio

[9. “Quali caratteristiche dovrebbe avere una istituzione credibile?”]

I personaggi di Denaro Falso

Il sarto del villaggio

Una volta il sarto del villaggio, zoppo e paralitico, venne a lavorare da Màrja Semjònovna. Doveva rivoltare un giubbetto per il vecchio e ricoprire di panno una mezza pelliccia che Màrja Semjònovna metteva l’inverno per andare al mercato.

Questo sarto zoppo era un uomo intelligente e osservatore, per il suo mestiere aveva conosciuto molta gente e a cagione del suo difetto stava sempre seduto e perciò era portato alla meditazione. Essendo stato una settimana in casa di Màrja Semjònova, fu assai edificato della sua vita.

✏️ Lev Tòlstoj, Denaro falso (parte prima cap. XVI), negli anni 1904-1905

🎨  III liceo socio economico (B. Melzi, Legnano), 16 aprile 2025 – leggi la loro descrizione del personaggio

[8. “Ti è capitato di incontrare una persona che, come Màrja o il sarto, ha rappresentato per te un «giro di boa»?]

I personaggi di Denaro Falso