Marte – Andata e ritorno

L’incontro di oggi, 30 Marzo 2022, presso il Liceo Artistico Statale “di Brera” è stato davvero molto emozionante e diverso rispetto ai precedenti incontri con gli studenti, ai quali avevo partecipato i mesi scorsi.

Il viaggio di andata
Il “discorso di presentazione”, chiamiamolo così, del Prof Aparo mi ha piacevolmente stimolato e stupito. Ha usato una metafora semplice ed efficace: il percorso di un detenuto può essere paragonato un po’ ad un viaggio nello spazio, che comincia sulla Terra ma ha come destinazione il pianeta rosso, Marte. Durante questo viaggio avviene un cambiamento, ossia il singolo inizia ad allontanarsi sempre di più, a causa delle sue scelte/azioni, dalla collettività, fino a diventare irriconoscibile agli occhi dei suoi simili, quasi come un extra-terrestre.

In buona sostanza, una persona nasce e cresce in un certo contesto, dove si presentano, ogni volta in percentuali diverse, opportunità per fare le proprie scelte. Qualcuno, a causa di tutta una serie di condizioni e vissuti, intraprende la strada verso la criminalità. Da lì, inizia il vero e proprio distacco: da adolescente insicuro, incerto, senza una propria identità si passa ad un adulto la cui identità si plasma nell’inseguimento di illusioni e di fantasticherie di potere.

 

Il viaggio di ritorno
Nonostante ciò, arrivati su Marte, avendo goduto per anni di quel famoso delirio di onnipotenza di cui tanto si parla, al quale è inevitabilmente seguito il carcere, ad un certo punto ci si rende conto che forse su quel pianeta rosso come il fuoco e come il potere non si sta poi così tanto bene e che forse è il caso di rientrare sul pianeta Terra.

Ma per tornare a convivere con gli altri bisogna crescere, imparare e fare proprie le conoscenze necessarie affinché si possa costruire qualcosa di buono insieme. Insomma, bisogna tornare riconoscibili come esseri umani, attraverso un impegno personale ma anche e soprattutto della società. Questo perché bisogna necessariamente prevenire che adolescenti di 14, 15 o 16 anni si

rovinino allo stesso modo, il che, a mio parere, rappresenta un onore e un dovere verso la collettività.

 

Le testimonianze
Oggi abbiamo potuto ascoltare le testimonianze di diversi detenuti ed ex detenuti e io, personalmente, mi sono commossa nel vedere delle persone così consapevoli di sé stesse, delle proprie azioni ma soprattutto degli obiettivi futuri. E mi sono spesso guardata intorno per vedere se gli studenti avessero avuto la stessa reazione. Con mia grande, anzi grandissima sorpresa i ragazzi erano tutti attenti ad ascoltare Roberto, Nuccio, Mario, Salvatore, Adriano e tutti gli altri presenti. Non avevano telefoni in mano, non parlavano tra di loro, non alzavano gli occhi al cielo. Erano li, fisicamente e mentalmente. E penso che questo sia il più grande dei traguardi, cioè riuscire a coinvolgere, attraverso la propria storia e la propria esperienza, i più giovani e catturarne l’attenzione e lo sguardo.

Tra qualche mese, spero, diventerò psicologa a tutti gli effetti e mi rendo conto di avere un’emotività che va immensamente oltre la mia professione, sono consapevole che prima o poi dovrò imparare a dosarla. Ma oggi, davanti a uomini, padri che si emozionavano al punto da avere la voce strozzata parlando del rapporto con i propri figli, non ce l’ho fatta e qualche lacrima di commozione mi è scesa. Sono storie toccanti, è straordinario sentire certi racconti uscire dalla bocca di persone che hanno vissuto quel tipo di vita.

Ed è altrettanto straordinario vedere nei loro occhi la consapevolezza, l’accettazione di sé e delle proprie azioni, che non rinnegano, ma sanno di non doversi rinchiudere all’interno delle scelte sbagliate del passato. Sono consapevoli di aver fatto un percorso che ha permesso loro di arrivare oggi ad essere fieri e orgogliosi delle persone che sono diventate e tutto ciò ha permesso anche ai loro familiari, amici, conoscenti di essere altrettanto fieri dei loro traguardi come esseri umani.

 

Come racconteresti la tua storia ai tuoi figli?
Con questa domanda si è concluso l’incontro. Alcuni hanno cercato di rispondere nella maniera più esaustiva possibile, altri, invece, non ci sono riusciti perché non hanno figli.

Penso che questa sia una domanda molto difficile, alla quale solo un genitore possa rispondere. Per questo motivo, ho pensato di girare questa domanda a mia mamma, chiedendole come avrebbe risposto lei se si fosse ritrovata in una situazione analoga, per esempio come è successo alla compagna di Adriano.

La sua risposta, come tutte quelle che mi ha sempre dato nella mia vita, mi è sembrata molto centrata: i bambini, gli adolescenti o più in generale i ragazzi compiono degli errori, ai quali seguono sgridate o punizioni, con annesse spiegazioni del perché l’azione X viene considerata errore; allo stesso modo, anche i grandi di qualunque età possono commetterne. La cosa importante è riconoscere i propri errori e soprattutto essere consapevoli che questi hanno delle conseguenze, perché ogni nostro gesto, che può anche essere fatto con ottime intenzioni, può causare effetti dolorosi per sé stessi e per gli altri.

E il carcere dovrebbe avere questo ruolo, ossia far capire che ciò che si è commesso è stato un errore, ma dovrebbe anche aiutare, dando la possibilità di riabilitare e reinserire i detenuti all’interno di una società, di formarli, di permettere loro di studiare, per poter tornare ad affrontare la vita quotidiana e le responsabilità che ne seguono in maniera più forte e consapevole rispetto a prima.

Micol Sini                                    Marte, andata e ritorno

Uomini che si raccontano

Quando senti alla televisione o ti capita di leggere sul giornale che una persona ha ucciso qualcuno come reagisci?”

… “Mi chiedo il perché, provo paura e rabbia” rispondono alcuni studenti.

Inizia così, la nostra mattinata al liceo artistico di Brera.

Quando andiamo nelle scuole l’obiettivo del Gruppo della Trasgressione consiste nel riportare esperienze devianti vissute da persone che oggi si impegnano e sono lì per raccontarle. L’obiettivo è proprio quello di lasciare un segno per contrastare il rischio che i ragazzi ripetano gli stessi errori dei detenuti. Credo proprio che ciò sia arrivato; gli studenti, con gli occhi fissi su chi parlava, lo hanno dimostrato.

… “Ma tu, saresti mai capace di commettere reati e di uccidere? E secondo te come e perché una persona può arrivare a commettere crimini fino al punto di uccidere? Cosa gli scatta nella testa?”

Ho qui citato alcuni quesiti posti nel corso della mattinata. Il primo è stato posto in particolare ai giovani, i quali sostengono che ciò sarebbe possibile nel caso in cui si dovesse crescere in un contesto di degrado, senza una figura genitoriale credibile e rispettabile e, di conseguenza, privi di strumenti per potersi difendere.

Rabbia mischiata a fragilità, dolore, arroganza e voglia di sentirsi potenti.

Il potere affascina, ne ottieni un po’, ne vuoi di più e non ti sazi mai. Un po’ come i tossicodipendenti cercano la dose; in quel momento non ti interessa guardare in faccia nessuno ed è lì che l’arroganza prende il sopravvento. Così lo descrivono i detenuti.

La maggior parte di coloro che si sono raccontati hanno affrontato questa fase di delirio di onnipotenza nell’adolescenza, quando è loro mancata una figura solida, credibile, rispettabile, insomma una guida che li mettesse sulla giusta via, e che non per forza deve essere un genitore.

Il potere ti dà rispetto, quello che magari fino a quel momento non hai mai avuto, e tutto ciò per un adolescente inizia a diventare la sua realtà. Una realtà in cui cominci ad avere un ruolo, ad essere qualcuno, ma che pian piano ti distrugge. Non avere un ruolo nella vita ti disorienta. Ti domandi quale sia il tuo scopo, ma nel frattempo sei privo di difese che ti possano proteggere e sei facilmente manipolabile da coloro che vogliono approfittare di te.

Tu non hai i mezzi per andare contro corrente, e il fatto che qualcuno comincia a darti un posto, a farti sentire importante e bravo nelle cose che fai, per te diventa un obiettivo allettante, seducente: “… amavo il potere più dei soldi. Non pagavo da nessuna parte perché le persone, sapendo quello che facevo, avevano paura di me”.

Alcuni si chiedono se sia effettivamente possibile un viaggio di ritorno da Marte sulla terra, altri ancora sono conviti che ciò non sia possibile menzionando il famoso detto “il lupo perde il pelo, ma non il vizio”. Ad oggi so per certo che ciò è possibile. Bisogna sicuramente affrontare un lungo e faticoso viaggio, ma d’altronde solo con la fatica e l’impegno si ottengono risultati.

Non si nasce delinquenti, lo si diventa, ma come lo si diventa, così si può smettere di esserlo.

Come hai raccontato il motivo per cui sei in carcere ai tuoi figli?”

Dalle risposte piene di dolore dei detenuti ed ex detenuti è stato possibile distinguere due diversi tipi di reazioni, ossia da una parte un figlio che non ha capito gli errori del padre, non ha preso le distanze dai suoi comportamenti e, anzi, ne è orgoglioso, emula il suo comportamento e usa il nome del padre per vantarsi ed essere rispettato nel suo paese; dall’altra parte sono invece emersi degli atteggiamenti di presa di distanza dalle azioni devianti del padre e dal padre stesso.Emerge qui la vera importanza del ruolo di un padre nell’educare il proprio figlio, in quanto è inevitabile che i figli prendano esempio dai genitori.

Dai racconti mi è stato possibile percepire anche quella forza e quell’amore di una donna nell’aspettare il proprio uomo anche se condannato all’ergastolo; la sensibilità e l’intelligenza di una donna nell’andare oltre ciò che il suo uomo era ed amarlo per ciò che è oggi; l’innocenza di un bambino di dodici anni che apprezza suo nonno e riesce a sentire la sua anima pentita; la felicità di un uomo di cinquant’anni che prova ad essere per la prima volta un “padre” e che si sente al sicuro nelle braccia di una bambina di cinque anni…

… ma anche l’anima distrutta di un uomo che oggi non ha più la possibilità di dimostrare al proprio figlio che oggi guarda il mondo con altri occhi.

Ho ucciso il bambino che era in me

Questa frase detta da un detenuto mi ha particolarmente colpito. Ma io credo che il bambino che è in lui non è mai stato ucciso, ma è sempre stato soffocato, privato di parola, così come la sua coscienza, che non veniva ascoltata.

Ad oggi vedo degli uomini che si raccontano, a cui è stata strappata l’infanzia, l’adolescenza, la vita, ma hanno gli stessi occhi dei bambini, il primo giorno di scuola, felici di imparare a leggere e a scrivere, così come loro stanno imparato a vivere.

Grazie dell’immensa opportunità,

Ilaria Pinto

Marte, andata e ritorno

Al liceo artistico di Brera

Incontro studenti e detenuti Liceo Artistico di Brera (Via Camillo Hajech, Milano, MI) di Mercoledì 30.03.2022

Durante l’incontro di Mercoledì 30 Marzo è stato affrontato il delicato tema della prevenzione della devianza giovanile. A tale scopo è stato organizzato un incontro tra detenuti (in gran parte provenienti dal carcere di Opera) e due classi di studenti liceali.

L’incontro è partito con una metafora: il detenuto come un astronauta, per il quale il viaggio verso Marte rappresenta la via della delinquenza, mentre il ritorno sul pianeta Terra la riabilitazione e la reintegrazione all’interno della società civile.

Tra le diverse testimonianze di vita dei detenuti, un elemento è stato più volte identificato come una delle principali cause che portano sulla strada della devianza: il contesto familiare e socioculturale.

Il progetto genitoriale, così come l’ambiente culturale, sono, infatti, fondamentali per lo sviluppo emotivo, sociale e affettivo del giovane e, in presenza di relazioni sociali problematiche e traballanti, aumentano di molto le probabilità di diventare un delinquente.

Tutto ciò porta il giovane ad assumere modelli di riferimento non rispettabili, che, attraverso la seducente promessa di una vita facile (senza necessità di lavorare e faticare), piena di denaro, macchine e altri beni di consumo, lo conducono alla pratica delinquenziale.

Queste esperienze di vita, a loro volta, si riverberano anche nei rapporti tra i detenuti e i loro figli. Questo è sicuramente uno degli aspetti più complessi e pregnanti dell’incontro di mercoledì, poiché il padre, che si trova in carcere, da un lato ha paura che il figlio ripercorra le sue stesse orme (ad esempio spendendo il suo nome per ottenere rispetto e indebiti vantaggi) e dall’altro prova imbarazzo e pudore a raccontare al figlio cosa ha fatto, il perché della sua condanna e il carcere.

Per interrompere questo circolo vizioso e per scongiurare la possibilità che il figlio segua lo stesso percorso del padre-detenuto, è necessario che quest’ultimo si assuma le sue responsabilità e cerchi di dare al figlio ciò che lui, in molti casi, non ha mai avuto: un modello rispettabile.

Durante l’incontro è emersa la riflessione che, per diventare un modello rispettabile, il padre, in primo luogo, deve comprendere cosa ha fatto, poi deve spiegarlo al figlio e, infine, chiedere scusa (del fatto che la sua condotta lo ha portato alla reclusione e quindi all’interruzione del rapporto).

Fra le tante, la testimonianza più struggente è stata quella di Nuccio, che ci ha raccontato dell’improvvisa decisione di sua figlia di interrompere il rapporto con lui, cosa che poi lo ha spinto a diventare un poeta. Questo elemento emerge chiaramente nella lettura della sua splendida poesia intitolata “Perché scrivo poesie” e in particolar modo nelle ultime due terzine: “Perché voglio diventare poeta? Forse perché solo l’animo di un poeta è degno di riconquistare il tuo cuore”.

L’incontro al liceo Brera è stato molto istruttivo anche se si è volto con tempi molto stretti. Spero che quello del prossimo 7 aprile, anche per il tempo più ampio di cui disporremo, possa avere una partecipazione più attiva e corale da parte degli studenti.

Leonardo Esposti

Marte, andata e ritorno