Gli altri raccontano di sé e io capisco me stesso

L’impatto che ho avuto la prima volta con il carcere credo di averlo già un po’ scritto, ma sarò più dettagliato. La prima emozione è stata di paura, non sapevo cosa mi sarebbe successo, se essere picchiato dagli agenti stessi o dai detenuti per il reato commesso. Durante il tragitto per arrivare al carcere capii subito che era un posto isolato, ai margini della società.

Credo che il carcere sia il posto peggiore dove stare se si vuole stare soli. Appena arrivati, all’interno del carcere notai subito il cancello chiudersi e la realtà divisa in due pezzi: da una parte la felicità, come una foto di una spiaggia paradisiaca; dalla parte, dove ero io, non era una spiaggia ma una struttura cupa, piena di povertà e tristezza.

Entrato, dopo le pratiche di burocrazia, fui controllato, spogliato e dovetti fare persino dei piegamenti come se avessi qualcosa da nascondere, pur se la mia situazione era nota. In pratica, sin dall’inizio ti tolgono dignità e se chiedi spiegazioni la risposta è sempre la stessa, in primis dicono che è la normativa.

Una volta conclusa questa fase, fui spostato nel reparto di osservazione, furono giorni di desolazione con un logoramento interiore. In quei giorni mi frullava in testa un unico chiodo fisso cioè l’unica via di fuga per il mio pentimento; pur perso nella desolazione, escogitai, se così si può definire, un piano per il raggiungimento del mio scopo, il suicidio. Non sapendo neppure cosa fossero gli psicofarmaci, me li feci prescrivere in modo da averli per poi prenderli tutti; aspettai il giorno decisivo.

Quella sera, aspettai che le guardie facessero il giro e cercai di sfuggire agli sguardi del mio compagno di cella, Quando si spensero le luci mi rifugiai in bagno, iniziai a versare lacrime di disperazione e allo stesso tempo anche di liberazione: finalmente sarebbe finito tutto, tutto il dolore che avevo causato. Presi coraggio mandando giù le pillole e feci una corda, ma si spezzò. Subito dopo giunse l’appuntato che si accorse di tutto, anche delle lettere di addio che avevo scritto prima.

Sfortunatamente per me, il destino, la fortuna o qualcuno dall’alto, aveva deciso che non era il mio momento. Dopo quel fatto, qualche giorno dopo l’isolamento, fui trasferito a San Vittore. Ormai non prendevo in considerazione la possibilità di un riscatto positivo, tanto che anche qui, all’inizio, non pensavo ad altro che a tagliarmi le vene con una lametta da barba. Continuai a passare le notti in lacrime ma stranamente non avevo più il coraggio di suicidarmi.

Nel nuovo carcere trovai una serenità, era strano per me concepire di apparire un “detenuto modello” dopo quello che avevo causato, credo che abbia giocato a mio favore il fatto di essere sincero con me stesso e con gli altri.

A questo punto vengo a contatto con volontari, educatori e psicologi che ogni volta che guardavano i miei documenti, la mia storia, intravvedevo nei loro occhi dello sconcerto, mi guardavano come se si chiedessero “ma davvero ha fatto questo” e, anche se non era verbalizzato dentro di me, scavavo una buca ancora più profonda.

Ma la spinta determinante a intraprendere un percorso è nata dalla mia partecipazione a moltissime attività, con l’ascolto di tante persone diverse e con la voglia di riempire il mio bagaglio, di acquisire termini, concetti, ragionamenti e argomenti su cui poi riflettere. Non solo la mia conoscenza si sarebbe ampliata ma anche le mie relazioni ne avrebbero avuto un giovamento.

È stato il confronto con il gruppo “a farmi capire” che per andare davvero fino in fondo non sarei potuto sfuggire dal fare i conti con me stesso. Ancora non ne ero consapevole, ma quello è stato l‘inizio del percorso di cambiamento di me stesso. Ogni volta che nel gruppo si racconta di qualcosa di Sé, prendo più coraggio e capisco qualcosa in più sul mio passato.

Hamadi El Makkaui

Reparto La CHIAMATA

Relazione finale di tirocinio

Leonardo Esposti, matricola 953451
Tirocinio curricolare presso l’associazione: “Trasgressione.net
Corso di Laurea: Scienze dei Servizi Giuridici
Periodo : 08.03.2022 – 13.06.2022

Caratteristiche generali del tirocinio: l’istituzione, l’organizzazione o l’unità operativa in cui si è svolta l’attività, l’ambito operativo, l’approccio teorico e pratico di riferimento
Trasgressione.net è un’associazione ONLUS costituita da detenuti ed ex-detenuti, familiari di vittime, studenti, professionisti e liberi cittadini, il cui obiettivo è contribuire a un percorso di maturazione, riabilitazione e responsabilizzazione personale del detenuto, finalizzato al suo reintegro nella società civile.

Tale associazione si occupa delle iniziative culturali e sociali del Gruppo della Trasgressione che opera a diretto contatto con i detenuti, sia all’interno delle tre carceri milanesi per adulti, sia esternamente nella sede di Via Sant’Abbondio 53A, sempre a Milano.

Il Gruppo, oltre che dell’associazione, si avvale anche del sostegno di una Cooperativa Sociale il cui obiettivo è quello di coltivare e rafforzare il rapporto di progettualità tra i detenuti, gli altri componenti del gruppo e, più in generale, il mondo esterno.

Descrizione dettagliata del ruolo e delle mansioni svolte:
Durante il periodo di tirocinio ho partecipato regolarmente agli incontri del Gruppo esterno, a quelli all’interno delle carceri di Opera, San Vittore e Bollate, nonché ai numerosi eventi organizzati dall’associazione.

Gli incontri esterni, con cadenza settimanale, mi hanno consentito di approfondire numerosi temi quali:

  • Il reato e l’abuso;
  • Alcune diverse letture del concetto di libertà;
  • La banalità del male e la mediocrità dell’uomo;
  • L’arroganza del deviante;
  • La responsabilità del detenuto e delle istituzioni;
  • Il significato della punizione, la riabilitazione e il reinserimento del detenuto nella società civile;
  • Il rapporto tra genitori-detenuti e figli;
  • La prevenzione della devianza giovanile;
  • Le micro-scelte quotidiane che portano alla devianza e alla macro-scelta dell’attuazione di un reato;

Nel corso degli incontri all’interno delle carceri ho avuto una collaborazione diretta con i detenuti. Con essi ho instaurato un dialogo utile alla comprensione di storie di vita difficili e di percorsi di devianza dolorosi.

Durante tali incontri è stato molto importante il ruolo del coordinatore del gruppo che coinvolgeva tutti noi tirocinanti a partecipare attivamente al dialogo con i detenuti e a collaborare in attività concrete.

Attività concrete, metodi e strumenti adottati:
Il Gruppo della Trasgressione, estroso e poliedrico, ha organizzato numerose attività culturali a cui ho avuto l’occasione di partecipare.

Il 9 Marzo 2022 nel carcere di Opera, in collaborazione con il gruppo ForMattArt, è stata organizzata una mostra-incontro con gli studenti di una Scuola secondaria di Milano che hanno interagito con alcuni detenuti dei reparti di media e alta sicurezza. Nella prima parte dell’incontro sono stati visionati e discussi molti lavori artistici audiovisivi di diversa natura (immagini astratte, foto, dipinti, video, tracce audio) che rimandavano all’idea di sofferenza, ai sogni dei detenuti, all’idea di giustizia e al valore dell’articolo 27 della Costituzione. Si è trattato di un percorso guidato che invitava alla visione di quadri raffiguranti immagini di sbarre, visi di persone o persone rannicchiate, il tutto accompagnato da un sottofondo audio che proponeva domande come: “Ti senti responsabile per quello che hai fatto?” “Infrangi spesso le regole?” “Segui i principi della tua morale oppure quelli del Diritto Costituzionale?”. Continuando il percorso, si arrivava a un tavolo dove potevamo sfogliare gli scritti di bambini su quadernini che riportavano i loro sogni, le loro speranze, i loro sentimenti, le loro preoccupazioni. Infine, su una costruzione di legno a forma di sfera si poteva leggere l’incisione dell’articolo 27 della Costituzione: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Nella seconda parte dell’incontro è stato organizzato un laboratorio didattico in cui gruppi misti di studenti, detenuti e tirocinanti come me, hanno composto delle frasi di senso compiuto estrapolando parole da vari ritagli di giornale. Le frasi riflettevano, per esempio, il sentimento del detenuto tradito dall’ambiente di provenienza, dai suoi amici, dai modelli di riferimento; la sua tristezza, il dispiacere e il rimorso per quello che ha fatto; la speranza nelle prospettive future di riabilitazione e di crescita personale. Questo incontro, avvenuto il giorno del mio primo ingresso nel carcere di Opera, è stato particolarmente emozionante e mi ha fatto comprendere il modus operandi del Gruppo nella pratica reale.

Nei successivi incontri, sempre nel carcere di Opera, ho assistito alla rappresentazione teatrale del mito di Sisifo. Una rappresentazione rivisitata, frutto dell’ingegno del coordinatore del gruppo della Trasgressione il dottor Angelo Aparo. Il mito di Sisifo in questa versione è stato scelto e sfruttato per trattare diverse tematiche quali: il rapporto tra il detenuto e l’autorità, l’arroganza del detenuto e il rapporto tra detenuto e figlio.

Sisifo è il re di Corinto, città che attraversa un periodo di gravissima siccità. Gli abitanti pregano gli dei e, in particolare, fanno sacrifici in favore di Giove e di Asopo, dio delle acque, affinché questi concedano a Corinto una sorgente per coltivare i campi. Ma gli dei si dedicano ai loro festini mentre il popolo di Corinto muore di sete. Sisifo, senza andare troppo per il sottile, riesce a procurare l’acqua al suo popolo, ma incorre nelle ire del re dell’Olimpo, che si vendicherà con la famosa pena del masso”.

Nella simbologia teatrale, Sisifo, che vive in un mondo in cui la violenza è alimentata e innaffiata continuamente, rappresenta l’arroganza dello stile deviante, che si manifesta con un costante disdegno verso le regole e un’irritante altezzosità verso il prossimo.

Asopo, il dio dell’acqua, dileggiato da sua figlia a causa delle compagnie poco raccomandabili che egli frequenta e per la totale assenza di credibilità come genitore, rappresenta un’autorità che conosce la violenza come unico mezzo per farsi rispettare.

Il 30 Marzo e il 7 Aprile sono stati organizzati due incontri al Liceo Artistico di Brera (con sede in Via Camillo Hajech) in cui detenuti e studenti hanno potuto riflettere sulle ragioni della devianza. Durante questi incontri ci si è interrogati sulle variabili che incidono sulla tipo di risposta che viene data alla frustrazione. Tra i vari interventi dei detenuti sono emersi i numerosi fattori scatenanti la devianza, tra cui l’ambiente sociale e il contesto in cui ognuno di noi nasce, cresce e vive; la sensazione di impotenza e le fragilità interne che conducono sovente anche all’uso e all’abuso di sostanze stupefacenti; il desiderio di accumulare denaro e beni voluttuari e infine la seduzione che la vita da criminale e i soggetti di riferimento esercitano sul futuro deviante.

Tra le varie iniziative proposte dal Gruppo, la più importante è sicuramente il convegno tenutosi il 30 Maggio 2022 al Senato di Roma nella Sala Zuccari del Palazzo Giustiniani, che ha visto la partecipazione di importanti cariche istituzionali come il Ministro della Giustizia Marta Cartabia, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Carlo Renoldi e i due Senatori della Repubblica Franco Mirabelli e Monica Cirinnà, nonché di alcuni ex-detenuti e detenuti in permesso speciale. Il convegno è stato un’importante occasione per presentare alle cariche istituzionali la filosofia del Gruppo e il suo modo di operare, allo scopo di stringere una proficua collaborazione con le istituzioni stesse.

Presenza di un coordinatore o di un supervisore e modalità di verifica e di valutazione delle attività svolte:
Il Gruppo della Trasgressione è coordinato dal Professor Aparo, terapeuta ed ex-Docente universitario, il quale propone, ad ogni incontro, nuovi temi e spunti di riflessione da cui nascono ricche discussioni e occasioni di confronto. Il prof. Aparo ha prestato particolare attenzione al percorso di maturazione personale di noi tirocinanti, coinvolgendoci sempre nelle attività proposte e invitandoci a redigerne costantemente relazioni e verbali.

Conoscenze e abilità acquisite:
L’esperienza con il Gruppo della Trasgressione, attraverso un approccio pratico e moderno, mi ha permesso di approfondire la conoscenza del mondo carcerario e della giustizia penale, soggetti da me analizzati parzialmente e solo da un punto di vista teorico durante il percorso di studi. In particolare ho imparato a instaurare un dialogo autentico con l’autore del reato e ad avere una maggiore comprensione delle motivazioni, dei sentimenti e delle fragilità che sono alla base della devianza.

Il contatto diretto con i detenuti e il mondo carcerario in generale mi hanno fatto capire che per riabilitare e riforgiare un uomo in detenzione l’istituzione dovrebbe assegnargli una funzione e responsabilizzarlo nei confronti della cittadinanza libera. Da studioso del Diritto, questa visione aperta del Gruppo mi pare rappresenti un punto di partenza per rivoluzionare la ratio classica della pena da scontare.

Caratteristiche personali sviluppate:
Far parte del Gruppo della Trasgressione ha migliorato le mie capacità interpersonali e relazionali attraverso l’ascolto delle esperienze dei detenuti, e mi ha aiutato a espormi in prima persona e a mettere a nudo con me stesso, prima che con gli altri, alcune fragilità e insicurezze.

Il Gruppo, inoltre, è stato fondamentale per spingermi a mettere in discussione certi stereotipi e pregiudizi sul mondo carcerario e per apprezzare il valore della cooperazione tra membri che desiderano farsi promotori di un cambiamento nell’istituzione.

Altre eventuali considerazioni personali:
In Italia, ogni giorno, più di cinquantacinquemila persone vivono una costante situazione di crudeltà e sofferenza psico-fisica, completamente inconciliabile e contrastante con la nostra Costituzione e con i Trattati Internazionali che la Repubblica si è impegnata a osservare.

Il primo passo per riabilitare il detenuto è quello di riconoscerne la dignità in qualità di essere umano, malgrado l’efferatezza del crimine da lui commesso. Privare un detenuto dei diritti fondamentali, infliggendogli una pena inutilmente dolorosa, significa negargli ab origine la sua dignità. Ritengo infatti che una logica punitiva squisitamente retributiva, secondo cui il dolore sarebbe l’unica moneta con cui il detenuto ripaga il danno che ha causato alla società, porti alla patologia del sistema e ad un alto tasso di recidiva.

Concludendo, a mio avviso, il detenuto dovrebbe essere messo nelle condizioni di esercitare delle funzioni di responsabilità, attraverso l’assegnazione di un lavoro e l’approfondimento della propria cultura. Questa seconda visione meglio si concilierebbe con i valori enucleati in larga parte nei Principi Fondamentali della Carta Costituzionale, ma non solo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale […]. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine […] sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. E ancora: La responsabilità penale è personale. […] (art. 3 Cost.). Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27 Cost.). Il “recupero sociale del condannato” è “fine ultimo e risolutivo della pena”, da attuare attraverso un vero e proprio riconoscimento di un “diritto all’educazione” (Sent. Corte Cost. n. 204/1974).

La rieducazione del condannato passa attraverso una serie di strumenti che lo Stato e i liberi cittadini decidono di mettere a disposizione. E in tal senso si innesta l’operato del Gruppo della Trasgressione.

Indice dei Tirocini

A cosa serve il confitto?

I conflitti sono presenti nella quotidianità di tutte le persone e non di rado accade che molti di noi cerchino di superarli inventando giustificazioni e classificazioni improbabili. A questo proposito, mi sembra interessante analizzare il conflitto che si presenta nel famoso romanzo “Delitto e Castigo” di Dostoevskij, per poi metterlo a confronto con le esperienze personali raccontate da alcuni componenti del gruppo della trasgressione del carcere di Opera.

Il protagonista del romanzo “Delitto e Castigo”, Raskòl’nikov, un giovane e indigente studente di Giurisprudenza di San Pietroburgo, uccide un’avida usuraia al fine di incamerarne le ricchezze e risolvere così i propri problemi economici. L’omicidio vero e proprio è qui preceduto da una sorta di tormentata preparazione psicologica del protagonista, nella quale egli fantastica più volte di uccidere la donna, mentre monta dentro di sé una perversa morale finalizzata a giustificare l’efferatezza del proprio atto.

Ed è qui che il giovane Raskòl’nikov cerca di superare il conflitto dividendo le persone in due categorie. La prima è quella degli esseri insignificanti, categoria di cui anche l’usuraia farebbe parte, composta da persone in grado di guardare solo al presente. Questi, essendo persone comuni e incapaci di realizzare grandi progetti, hanno l’obbligo di attenersi rigidamente alle regole della morale umana. La seconda categoria di persone, quella a cui Raskòl’nikov si ascrive, è quella degli uomini eccezionali, esseri superiori che guardano al futuro e che, per questo, risulterebbero abilitati a orientare il pianeta. Per questa categoria umana vale il principio del “versare il sangue con coscienza”, che autorizza i suoi appartenenti a derogare dagli obblighi morali e dalle leggi, se con tali deroghe si arriva a migliorare la condizione dell’umanità nel suo complesso.

Nel romanzo si susseguono i rimandi a persone realmente esistite considerate dal protagonista dei “superuomini”: se Newton o Keplero avessero dovuto uccidere centinaia di uomini per portare l’umanità a godere delle loro innovazioni ne sarebbe valsa la pena; il sangue versato da Napoleone sarebbe giustificato dal suo monumentale progetto per la conquista dell’Europa, ecc.

Raskòl’nikov, ritenendo di appartenere a questa categoria, si sente legittimato a liberare la società da un essere ritenuto parassitario, l’usuraia, per poi mettere a disposizione di tutta l’umanità il denaro da lei accumulato.

Tuttavia, i sensi di colpa, corollario del conflitto, accompagnati da una febbre cerebrale, demoliscono progressivamente la visione auto-giustificatrice di Raskòl’nikov, facendolo sprofondare in un abisso di tormenti, di angoscia, di sogni inquieti in cui il giovane ripercorre mentalmente il delitto senza però riuscire a commetterlo di nuovo. Lo studente di Giurisprudenza, grazie al contesto culturale in cui è stato educato, porta con sé, ab origine, una coscienza e una morale che lo portano a sviluppare un potente conflitto ancor prima di commettere l’atto.

Durante l’incontro su “Delitto e Castigo” del 09.11.2022 a Opera, il secondo dell’iniziativa, molti dei detenuti del gruppo hanno invece riferito che non provavano alcun conflitto né durante né subito dopo il compimento di un omicidio, di una violenza o di un qualsivoglia reato. La loro cecità rispetto al conflitto, come emerso numerose volte durante gli incontri passati, potrebbe essere spiegata dal fatto che, quando si è indotti sin da bambini a ridurre la gravità di un furto, una rapina, un’estorsione, un omicidio, il reato diviene pratica quotidiana, parte integrante dell’identità criminale, e la sua percezione si attenua nel tempo fino a diventare un sottofondo quasi impercettibile.

Il conflitto che avrebbero potuto e dovuto provare prima di passare all’atto criminale, dalle parole di chi oggi fa parte del gruppo da molti anni, è maturato durante la reclusione, una condizione che comporta una cesura netta tra la vita da “liberi”, vissuta nello stile deviante, e la vita “da condannato”, confinata dentro le mura del carcere, una condizione che, quando permette al detenuto di confrontarsi con stimoli appropriati, lo induce all’introspezione e all’allargamento della propria coscienza.

Direi pertanto che il  conflitto costituisce il terreno fertile per edificare e coltivare una nuova identità, con una immagine di sé che non sia quella conculcata da un ambiente degenerato, ma che sia il frutto di un processo introspettivo di responsabilizzazione, sia pure doloroso, ma percepito, a detta dei detenuti che lo vivono, anche utile e piacevole.

Le conseguenze di questo percorso sono chiare. Se in assenza di conflitto una persona è in grado di uccidere con disinvoltura, la percezione del conflitto, al contrario, sviluppa nell’uomo una coscienza morale e un’identità, che solo all’idea di commettere un crimine prova dolore.

A questo punto ci si può chiedere se il conflitto sia un ostacolo alla propria libertà di agire o possa essere considerato un attivatore dei processi decisionali e un facilitatore morale. A me sembra che il conflitto allarghi i margini di libertà del soggetto, in quanto permette, come una sorta di filtro, di scegliere in prima persona cosa fare e cosa no. Detto in altri termini, se prima il detenuto eseguiva inconsapevolmente gli ordini di altri, con l’acquisizione di una nuova identità egli diventa in grado di vivere e scegliere per se stesso.

Come ho sentito dire a Sergio, uno dei componenti del gruppo, “vivere il conflitto mi permette di chiedermi oggi se all’epoca dei miei reati ho fatto quello che volevo o se sono stato soltanto uno strumento di cui altri si servivano per ottenere quello che volevano loro“.

Infine, il conflitto, oltre alla dimensione individuale legata ai principi costituzionali di pieno sviluppo della persona umana, contempla anche una visione sociale, legata al “dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” di cui all’art. 4 della Costituzione.

Il conflitto, infatti, permette di riscattarsi dal male che si è commesso, restituendo qualcosa alla società. Quel qualcosa è appunto la preziosa esperienza che i detenuti del gruppo, e non solo, comunicano a beneficio degli studenti universitari, degli adolescenti nelle scuole e della società civile in generale.

Leonardo Esposti

Delitto e Castigo

Al liceo artistico di Brera

Incontro studenti e detenuti Liceo Artistico di Brera (Via Camillo Hajech, Milano, MI) di Mercoledì 30.03.2022

Durante l’incontro di Mercoledì 30 Marzo è stato affrontato il delicato tema della prevenzione della devianza giovanile. A tale scopo è stato organizzato un incontro tra detenuti (in gran parte provenienti dal carcere di Opera) e due classi di studenti liceali.

L’incontro è partito con una metafora: il detenuto come un astronauta, per il quale il viaggio verso Marte rappresenta la via della delinquenza, mentre il ritorno sul pianeta Terra la riabilitazione e la reintegrazione all’interno della società civile.

Tra le diverse testimonianze di vita dei detenuti, un elemento è stato più volte identificato come una delle principali cause che portano sulla strada della devianza: il contesto familiare e socioculturale.

Il progetto genitoriale, così come l’ambiente culturale, sono, infatti, fondamentali per lo sviluppo emotivo, sociale e affettivo del giovane e, in presenza di relazioni sociali problematiche e traballanti, aumentano di molto le probabilità di diventare un delinquente.

Tutto ciò porta il giovane ad assumere modelli di riferimento non rispettabili, che, attraverso la seducente promessa di una vita facile (senza necessità di lavorare e faticare), piena di denaro, macchine e altri beni di consumo, lo conducono alla pratica delinquenziale.

Queste esperienze di vita, a loro volta, si riverberano anche nei rapporti tra i detenuti e i loro figli. Questo è sicuramente uno degli aspetti più complessi e pregnanti dell’incontro di mercoledì, poiché il padre, che si trova in carcere, da un lato ha paura che il figlio ripercorra le sue stesse orme (ad esempio spendendo il suo nome per ottenere rispetto e indebiti vantaggi) e dall’altro prova imbarazzo e pudore a raccontare al figlio cosa ha fatto, il perché della sua condanna e il carcere.

Per interrompere questo circolo vizioso e per scongiurare la possibilità che il figlio segua lo stesso percorso del padre-detenuto, è necessario che quest’ultimo si assuma le sue responsabilità e cerchi di dare al figlio ciò che lui, in molti casi, non ha mai avuto: un modello rispettabile.

Durante l’incontro è emersa la riflessione che, per diventare un modello rispettabile, il padre, in primo luogo, deve comprendere cosa ha fatto, poi deve spiegarlo al figlio e, infine, chiedere scusa (del fatto che la sua condotta lo ha portato alla reclusione e quindi all’interruzione del rapporto).

Fra le tante, la testimonianza più struggente è stata quella di Nuccio, che ci ha raccontato dell’improvvisa decisione di sua figlia di interrompere il rapporto con lui, cosa che poi lo ha spinto a diventare un poeta. Questo elemento emerge chiaramente nella lettura della sua splendida poesia intitolata “Perché scrivo poesie” e in particolar modo nelle ultime due terzine: “Perché voglio diventare poeta? Forse perché solo l’animo di un poeta è degno di riconquistare il tuo cuore”.

L’incontro al liceo Brera è stato molto istruttivo anche se si è volto con tempi molto stretti. Spero che quello del prossimo 7 aprile, anche per il tempo più ampio di cui disporremo, possa avere una partecipazione più attiva e corale da parte degli studenti.

Leonardo Esposti

Marte, andata e ritorno