I Violini del mare contro l’indifferenza

Concerto Trsg.Band – 18/11/2023
Teatro della casa di reclusione di Milano-Opera

Come un’onda che risveglia le coscienze

Dal carcere di Milano-Opera e poi in giro per l’Italia, una serie di concerti che partono dalle parole di Don Luigi Ciotti (l’indifferenza nei confronti del male lo alimenta) e che, attraverso le canzoni di Fabrizio De André e gli interventi dei detenuti del Gruppo della Trasgressione, danno voce alla fragilità negata e all’importanza di riconoscerla come tratto che accomuna tutti gli uomini.

Le canzoni di Fabrizio De André vengono eseguite con gli arrangiamenti della Trsg.band e con alcuni degli strumenti ad arco che la liuteria de La Casa dello Spirito e delle Arti ha ricavato dal legno dei barconi dei migranti.

Ingresso gratuito; prenotazione obbligatoria entro il 10/11/2023.
Per prenotarsi, inviare fotocopia del proprio documento di identità a coord.liberamilano@gmail.com e ad associazione@trasgressione.net

I minorenni possono entrare solo se accompagnati da uno dei genitori o autorizzati  con una dichiarazione firmata da uno dei due.

Presentarsi all’ingresso del carcere di Opera alle 18:45. Per sveltire le operazioni di ingresso è meglio non avere con sé cellulari e oggetti elettronici.

Nei giorni immediatamente precedenti il concerto verrà pubblicata su questa stessa pagina la lista delle persone autorizzate.

Indifferenza e metamorfosi

Il giorno 13 giugno, presso il teatro del carcere di Opera di Milano, il gruppo della Trasgressione con la collaborazione della direzione del carcere, della Fondazione Casa delle Arti e dello Spirito, dell’associazione Libera, della Fondazione Fabrizio De André e del progetto “Lo strappo. Quattro chiacchiere sul crimine” ha tenuto un incontro intitolato “I violini del mare contro l’indifferenza“.

Due sono i concetti che hanno tracciato il filo rosso dell’intera serata: l’indifferenza e la metamorfosi.

L’indifferenza è neutralità, ostentata assenza di partecipazione ed interesse. L’indifferenza è oggi tra gli atteggiamenti preferiti della maggior parte dei consociati, soprattutto nei confronti del male. E così come c’è stata e ancora oggi persiste indifferenza verso migliaia di vittime dei naufragi, verso coloro che hanno perso la vita, ma non la speranza; così anche c’è e continua ad esserci indifferenza nei confronti del carcere, più precisamente, nei confronti dei ristretti, che lo popolano.

Proprio come i migranti, non hanno avuto la possibilità di scegliere dove nascere, così anche, molti detenuti hanno scelto la strada della criminalità, non avendo avuto la possibilità di sviluppare un pensiero e strategie d’azione diverse da quelle che purtroppo hanno tenuto. Eppure, dalle ceneri è sempre possibile risorgere. Anche i fatti irreversibili, come la morte, sia essa derivata da un naufragio o da un assassinio, possono conoscere sviluppi positivi.

Il maestro liutaio Enrico Allorto ci ha infatti insegnato che a volte “l’impossibile è possibile”. Nessuno credeva nella possibilità di recuperare il vecchio e inzuppato legno dei barconi, eppure, grazie alla speranza e dedizione di chi ci ha creduto, la stessa è stata lavorata e trasformata in strumenti musicali.

Questi strumenti oggi, non sono più mezzo di distruzione, ma di creazione. Creazione di unità e sintonia tra tutti coloro, che ascoltano i suoni emessi dal delicato tocco di chi li sa suonare.

In molti negano la possibilità di un cambiamento da parte dell’essere umano: “un uomo che ha ucciso, non potrà mai essere una persona normale”. E invece “l’impossibile è possibile”. Numerose sono le testimonianze di ex criminali, tra cui assassini e affiliati ad organizzazioni criminali a dimostrare che il cambiamento non è un’utopia, bensì realtà. Sono sufficienti gli stimoli, i luoghi, le parole e gli incontri con le persone giuste, affinché tutto ciò si realizzi.

L’obiettivo è quello di demistificare le narrazioni diffuse sulla realtà carceraria, narrazioni che provengono da parte degli indifferenti, da parte di chi il piede in carcere probabilmente non lo ha mai messo, lo sguardo verso un detenuto non l’ha mai rivolto, privandosi così della possibilità di scorgere dietro a quel “mostro”, un essere umano che ha sbagliato. Un essere umano che ha scelto il male, ma che è ancora in grado di scegliere il bene.

A tal proposito, è doveroso acquisire la consapevolezza che non esistono persone crudeli in assoluto, bensì persone che sbagliano, e che in quanto tali, non sono uno scarto da buttar via. In quest’ottica il carcere potrà essere l’occasione, che la vita non è stata in grado di dare a queste persone: una seconda possibilità, in cui attraverso lo studio, il dialogo e l’apprendimento di una professione nuova possono crearsi il loro spazio nel mondo.

Il carcere non deve mai rappresentare un parcheggio in cui attendere inermi, la soluzione privilegiata per eliminare dalla società il disagio, che non si vuole vedere e nemmeno risolvere.

Ecco, “i violini del mare contro l’indifferenza”, costituisce uno dei tanti progetti, che si inserisce in un percorso più ampio, necessario ad attuare un grande cambiamento, che richiede uno sforzo da parte dell’intera collettività, la quale non può rimanere neutrale, non può rimanere indifferente. Questo grande cambiamento, a cui si ambisce, potrà dirsi pienamente raggiunto, soltanto quando ciascun cittadino prenderà veramente consapevolezza di ciò che vuol dire vivere in un Paese democratico e si impegnerà nel diffondere e promuovere i valori su cui la democrazia si fonda, senza lasciare ai margini nessuno.

Per concludere con le parole del protagonista virtuale (Fabrizio de André) del progetto, bisognerebbe farsi “carico di interpretare il disagio rendendolo qualcosa di utile e di bello”. E’ questa la missione di ciascun uomo che non vuole essere indifferente.

Giulia Varisco

  • Lucilla Andreucci
Da Andrea Spinelli

I violini del mare contro l’indifferenza

Il teorema di Pitagora

Brera in Opera diventa docufilm
Studenti e detenuti a confronto

“Il Teorema di Pitagora – Esercizi su carcere e cittadinanza“
il progetto che ha già coinvolto 750 liceali. Insieme ai reclusi firmano anche una trilogia su errori, redenzione e perdono, tra poesie e arte.

di Simona Ballatore,
Da Il Giorno 10/05/2023

Storie di errori e violenza. Storie di redenzione e perdono. Studenti e detenuti si raccontano e guardano negli occhi al liceo artistico di Brera. Il progetto “Brera in Opera” è nato nel 2016: ogni anno coinvolge cinque classi, più di cento studenti, dai 15 ai 19 anni, insieme ai docenti e ai ragazzi dell’istituto Benini, che ha una sezione carceraria, all’istituto penitenziario di Opera e al Gruppo della Trasgressione, con al timone lo psicologo Juri Angelo Aparo.

Un progetto che si trasforma ora in un docufilm “Il Teorema di Pitagora – Esercizi su carcere e cittadinanza” e in tre libri, che verranno pubblicati entro la fine dell’anno. Il video è realizzato con immagini girate in gran parte dagli studenti e montate da Sheila Baldoni, ex alunna, con la supervisione dei prof Marco Capovilla e Giovanna Stanganello e il coordinamento del regista Sandro Baldoni. “Qui c’è chi si è sentito libero non quando era ’fuori’ e poteva fare tutto, ma quando ha trovato nel confronto con voi il senso della sua esistenza”: ha detto ai ragazzi il direttore del carcere di Opera, Silvio Di Gregorio, durante la presentazione. “Sia gli studenti che i detenuti hanno raccontato le loro esperienze, anche a livello grafico, hanno scritto brani e poesie – spiega la preside del liceo Brera, Emilia Ametrano –. Hanno raccolto le esperienze di chi, dopo un percorso psicoterapeutico, è riuscito a superare il lutto e il torto subìto. E di chi dopo trent’anni di carcere ha cambiato vita, sta creando una famiglia, ma non dimentica”.

Il progetto di scambio non si è fermato neppure in epoca Covid. “È stato organizzato anche un Cineforum online – ricorda Ametrano – detenuti e studenti si connettevano e partecipavano a un momento di critica sui film”. Da Rocco e i suoi fratelli a Ladri di biciclette. Per gli studenti sono state ore preziose: “Hanno affrontato un percorso sulla banalità del male, sul dare sempre la colpa agli altri, sull’idea di farsi giustizia e sul bullismo – continua la preside -, hanno riflettuto sul salto di qualità dell’adolescente attraverso la consapevolezza delle proprie azioni e le assunzioni di responsabilità: è educazione alla cittadinanza”. Ieri l’aula era stracolma, non si vedeva un cellulare tra le mani. “Mi ha colpito il religioso silenzio”, confessa la preside, mentre Adriano, ex camorrista, racconta che è entrato in carcere a 25 anni, è uscito a 51, una manciata di giorni fa: “Ora sto costruendo una famiglia, sono un papà, non vedo l’ora di cambiare pannolini, di ricevere la carezza di mia mamma, anche a 50 anni. Non pensavo esistessero certe emozioni. Il carcere può cambiare anche se non dimentico di essere stato un assassino”.

Incontri e prevenzione nelle scuole

Andare a rapinare era normale

«Per me andare a rapinare era normale, l’ho fatto per 30 anni», la storia di un detenuto raccontata agli studenti

di Giovanna Maria Fagnani – Dal Corriere della Sera 10/05/2023

Per sette anni, gli studenti del liceo Brera e gli alunni-detenuti del carcere di Opera hanno lavorato insieme al progetto «Brera in Opera»: «Confrontarmi con ragazzi delle superiori mi ha fatto crescere, non mi sento più escluso»

Il 41 bis, il «carcere duro» voluto da Falcone contro i mafiosi: come è cambiato e quali sono le limitazioni

Il carcere di Opera

«Per me andare a rapinare era normale. Io dicevo “vado a lavorare”, l’ho fatto per 30 anni. Una volta ho stretto forte il collo a una ragazza. E mi dicevo: sono diventato così perché a 8 anni ho subito un atto di bullismo. Mi hanno buttato giù dalle scale e ho passato tre mesi ospedale. La verità è che a un certo punto io ho messo da parte chi mi doveva aiutare a crescere, e ho dato potere alla mia rabbia. E quello che mi fa più male non è il fatto che mi hanno sparato e accoltellato. Non sono i 27 anni di galera, ma il fatto che in quella vita fin da piccolo ho perso la voglia di crescere. E ho perso 10 dei compleanni di mio figlio. Oggi sto vivendo un periodo tanto bello che mi sembra di sognare e ho paura di svegliarmi. Confrontarmi con studenti delle superiori mi ha fatto crescere, oggi non mi sento più escluso, oggi mi sento parte di questo mondo».

Il crimine e la devianza, la sfida, le ferite, la trasgressione, l’adolescenza. Il doloroso cammino che porta alla coscienza di sé e la giustizia riparativa. Per sette anni, gli studenti del liceo Brera e gli alunni-detenuti del carcere di Opera hanno lavorato insieme su questi e altri temi, grazie al progetto «Brera in Opera». Ne sono nate poesie e contributi, condensati in tre libri, nonché opere artistiche e nel docufilm «Il Teorema di Pitagora- Esercizi su carcere e cittadinanza», diretto dal regista Sandro Baldoni, presentato martedì nella sede del liceo in via Papa San Gregorio XIV. I ragazzi di seconda hanno partecipato, in particolare, a un progetto di espressione poetica. I maturandi hanno lavorato coi detenuti nell’ambito del Gruppo «Trasgressione.it», presieduto dallo psicologo Juri Angelo Aparo.

Un programma durato sette anni e che ha coinvolto quasi 700 studenti. A raccontare le tante emozioni condivise, martedì mattina, sono stati studenti, insegnanti, operatori e alcuni ex detenuti, come Antonio, ex rapinatore e Adriano, ex camorrista, libero da 20 giorni. «Sono entrato in carcere a 25 anni e sono uscito a 51. Ma, come ho detto ai ragazzi non è il carcere che ti chiude, è la mente. Oggi sono libero mentalmente, ho una famiglia, vado a casa e cambio il pannolino della mia bimba e voglio farlo io. E mi godo il fatto che mia madre, mi fa una carezza, ancora oggi, a 51 anni. Non pensavo esistessero certe emozioni. Fra tanto marciume che c’era in me, il dottor Aparo ha cercato cose positive e le ha fatte uscire».

Tanti gli ospiti, tra cui il direttore del Carcere di Opera Silvio Di Gregorio e Paolo Setti Carraro e poi il regista Sandro Baldoni, lo psicologo Juri Angelo Aparo. Il carcere di Opera permette ai detenuti di frequentare l’istituto tecnico commerciale o l’istituto professionale. «Spesso il fenomeno malavitoso è conseguenza di quell’idea dell’onnipotenza in cui è facile credere se non si ha una conoscenza completa della realtà, che invece una formazione culturale può offrire – ha sottolineato Claudio A. D’Antoni, dirigente dell’Iis Benini di Melegnano, a cui fanno capo le sezioni scolastiche di Opera -. Questo percorso insieme ai detenuti per gli studenti del liceo può essere non dico un deterrente, ma almeno una presa di visione realistica, che deve motivare ulteriormente al rispetto delle regole». «C’è una tenenza a banalizzare, a minimizzare il male, anche i primi accenni di comportamenti che vanno verso la delinquenza – aggiunge la preside di Brera, Emilia Ametrano -. Un giorno un genitore di uno studente mi disse: “non è mio figlio che spaccia, sono gli altri che glielo chiedono”. Ci vuole uno scatto di responsabilità da parte di tutti. Questo progetto, che sicuramente continuerà, ha avuto efficacia nel far incontrare mondi diversi, come scuola e carcere».

Incontri e prevenzione nelle scuole

Gli studenti e i carcerati a Opera il dialogo oltre i muri

di Sara Bernacchia,
da Repubblica 10/05/2023

«Siamo un gruppo che invita a trasgredire per costruire spazi più ampi in cui sentirsi a casa. Facciamo in modo che gli studenti crescano, che i detenuti diventino cittadini e che le vittime elaborino il loro dolore». Angelo Aparo, psicologo che da anni opera nelle carceri milanesi descrive così il Gruppo della Trasgressione (composto da detenuti, universitari e parenti delle vittime), che idealmente si allarga a una quarta componente: gli allievi del liceo artistico di Brera. Lo “sconfinamento” avviene grazie al progetto Brera in Opera, che dal 2015 ha visto circa 750 ragazzi dell’istituto confrontarsi con i detenuti del Gruppo e con gli studenti della sezione carceraria dell’istituto Benini a Opera.

Un progetto nato dall’idea di Pierluigi Cassinari, ormai ex docente del Brera, e della moglie Antonella De Luca, all’epoca responsabile del corso carcerario. L’obiettivo? «Dare attuazione concreta agli articoli 34 e 27 della Costituzione, ovvero ai principi di scuola aperta a tutti e di rieducazione dei condannati, con la consapevolezza dell’importanza del mettersi nei panni degli altri».

I benefici sono evidenti, per tutti. «Sono entrata in contatto con un mondo completamente diverso dal mio, credo sia utile farlo presto – racconta Beatrice Ajani, 17 anni, allieva di quarta -. È stimolante vedere persone che lavorano su se stesse e che riescono a maturare consapevolezza degli errori commessi». E Antonio Tango, che ha trascorso in carcere 27 anni, lo sa benissimo. «Ero un rapinatore e facevo uso di droga perché mi mancava qualcosa, sentivo un malessere che non sapevo definire». Poi, con il lavoro fatto in carcere, ha capito: «Mi mancava uno scopo. L’ho trovato anche stando con loro, sentendomi utile e sviluppando senso di responsabilità».

Il progetto è raccontato in tre libri e in un corto, realizzato con il regista Sandro Baldoni: “Il teorema di Pitagora”. Il titolo deriva dalla sfida di Tango (vinta, oggi è libero): quando si è avvicinato al Gruppo Aparo gli chiedeva di fermarsi a ragionare sulle cose di cui non comprendeva l’importanza, come il teorema, perché il passo decisivo è sforzarsi per apprendere e rispettare le regole.

I1 senso del progetto lo sottolineano la preside Emilia Ametrano e il direttore del carcere di Opera, Silvio di Gregorio: «La convivenza pacifica si fonda sul rispetto delle regole. Voi ragazzi sarete la classe dirigente. Dalla vostra attenzione a questi temi dipenderà il benessere del Paese di domani».

Brera in Opera prevede due filoni: il laboratorio di poesia e quello con il Gruppo Trasgressione. «Gli studenti del liceo e i detenuti hanno lavorato in parallelo su temi come la ferita e la cura, la sfida e la rabbia per poi confrontarsi in due incontri, uno a scuola e uno in carcere», spiega Giovanna Stanganello, che ha coordinato il progetto fino a settembre e ricorda con emozione gli incontri in Dad durante il lockdown: «Era come se vivessero una doppia esclusione: non potevano uscire, i detenuti non avevano visite e i ragazzi hanno visto emergere problematiche importanti».

È proprio durante un incontro sul tema “la ferita e la cura” che Angelica Maffi, 18 anni, ha voluto parlare di sé. «Per la prima volta ho parlato del mio problema con l’autolesionismo, che combatto ancora – racconta la ragazza, che appare anche nel corto -. Mi sono sentita incoraggiata e capita. Tanti mi hanno scritto dicendo che le mie parole li hanno aiutati». La chiave è sempre il confronto. Lo ribadisce anche Paolo Setti Carraro, fratello di Emanuela, uccisa con il marito, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: «In carcere la libertà si conquista uscendo dagli schemi che ti hanno portato a delinquere. È questo il passaggio determinante e per compierlo la contaminazione tra chi è dentro e chi è fuori è fondamentale». Lo testimonia l’esperienza di Adriano Sannino, libero da due settimane dopo 30 anni di reclusione per omicidio. «Moralmente non potrò mai pagare per quello che ho fatto – esordisce -. Confrontandomi con voi, però, ho potuto configurare i miei disvalori. Oggi sono libero fisicamente, mentalmente lo sono da quando ho conosciuto Aparo».

Incontri e prevenzione nelle scuole

Il lavoro delle coscienze inquiete

L’ingresso è gratuito, ma per entrare in carcere occorre prenotarsi e trovarsi all’ingresso in tempo utile per le operazioni di controllo (ore 9:30).

Si consiglia di NON portare appresso telefoni, apparecchi elettronici, cuffie, ecc.

Per prenotarsi, scrivere i propri dati (Nome, Cognome, Luogo e Data di nascita) a  Ludovica Pizzetti e per conoscenza a associazione@trasgressione.net.

Infine, le mail per prenotarsi devono pervenire entro il 30 maggio.

Silvio Di Gregorio

Silvio Di Gregorio – Intervista sulla creatività

Silvio Di Gregorio è il direttore della Casa di Reclusione di Milano Opera e, come previsto dal ruolo che ricopre, si occupa di esecuzione della pena e di reinserimento sociale dei condannati. Quest’ultimo aspetto, quello relativo al reinserimento sociale, gli è molto caro. Secondo il suo punto di vista, il carcere non deve essere concepito come un mero luogo di contenimento di chi ha sbagliato. Al contrario, deve essere uno spazio di crescita e di evoluzione costante in cui cercare e creare le possibilità per far sì che le persone decidano consapevolmente di cambiare il proprio modo di vivere.

Su Wikipedia si può leggere che all’interno del Carcere di Opera esistono molteplici attività creative messe a disposizione dei condannati: Leggere libera-mente, progetto di lettura e di poesia; Opera Liquida, compagnia teatrale che lavora all’interno del carcere; Il Gruppo della Trasgressione, composto da detenuti, ex detenuti, studenti e liberi cittadini che svolgono svariati progetti, tra cui il Progetto Scuole, in cui i detenuti diventano agenti di prevenzione del bullismo e della tossicodipendenza nelle scuole milanesi, la rappresentazione del Mito di Sisifo, i concerti della Trsg.band e la bancarella di Frutta & Cultura.

 

Anita: che cos’è per lei la creatività?

Silvio Di Gregorio: la creatività si sviluppa nel momento in cui si mette in campo tutto ciò che può essere utile per il raggiungimento di un obiettivo attraverso strade non consuete e prestabilite a priori. È importante notare come nella creatività non si debbano necessariamente rispettare schemi rigidi, altrimenti si parlerebbe di adattamento alla realtà che ci circonda. Se ci si riferisce alla creatività, invece, si deve mettere in conto che tutto ciò che appartiene al mondo circostante può essere utilizzato per raggiungere un obiettivo.

All’interno del ruolo che ricopro, credo che la creatività trovi ampio respiro poiché devo sempre reinventare un modo nuovo per permettere a chi ha sbagliato di evolversi. Se infatti partiamo dal presupposto che ogni persona è a sé stante ed ha personalità, potenzialità e vissuti diversi dagli altri, comprendiamo che le possibilità di cambiamento che il carcere offre devono essere diverse per ogni detenuto. Ogni giorno vanno inventati modi diversi per toccare le corde giuste del detenuto e per permettergli di trovare la volontà di riscatto personale e la voglia di produrre pensieri e comportamenti che siano in linea con il vivere civile.

 

Elisabetta: cosa fa scattare, come si sviluppa la creatività e in quali condizioni?

Silvio Di Gregorio: credo che la creatività nasca dalla volontà di stupire gli altri e di stupirsi. Prende avvio da un desiderio di ricerca di una strada nuova, non ancora esplorata e che consente di realizzarsi in maniera più gratificante rispetto alla soddisfazione che deriva dal rispetto di stereotipi. La condizione da cui prende avvio la creatività probabilmente è la volontà di superamento di un limite, il quale però viene inserito all’interno di un orizzonte molto più ampio a cui il soggetto aspira.

 

Anita: quali immagini possono ben rappresentare l’atto creativo?

Silvio Di Gregorio: questa domanda mi permette di parlare di un progetto che abbiamo svolto di recente qui nel carcere di Opera. Da più di un anno e mezzo, tutto il pianeta subisce le conseguenze negative dovute alla pandemia e il mondo carcerario, esattamente come ogni altra organizzazione ed istituzione della nostra società, è stato messo a dura prova. In questi ultimi mesi io, i miei collaboratori e i detenuti abbiamo visto crollare tutte le nostre poche certezze. È mutato il modo di vivere e di sperimentare le relazioni, ancor di più all’interno di un carcere in cui, per un lungo periodo, non è stato più possibile far entrare nessuna figura educativa né tantomeno i famigliari dei reclusi.

Il progetto nasce dal bisogno di trovare un nuovo punto di riferimento che ci potesse guidare, una specie di faro nella notte, il quale ci potesse dare la forza per non abbatterci e perseguire per la realizzazione della nostra missione. In linea con questa idea, abbiamo cercato un’opera d’arte che potesse sostenerci nel raggiungimento dei nostri obiettivi e questo prodotto creativo è l’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci, appesa all’ingresso della direzione.

L’ultima cena, Leonardo da Vinci

Ecco credo che quest’opera possa essere ben rappresentativa anche del concetto d creatività. Il quadro raffigura un tavolo intorno al quale ci sono già dei commensali. Le persone sedute al tavolo non rispondono agli stereotipi della collettività dell’epoca a cui il quadro si riferisce, ovvero 2000 anni fa. Ci si aspetterebbe di vedere personaggi prestigiosi; al contrario, qui sono rappresentate persone comuni, che per di più stanno programmando e realizzando un progetto religioso e di vita veramente inusuale, basato su una visione nuova del mondo che, a distanza di 2000 anni, risulta essere ancora ben radicata nel pensiero collettivo.

Oltre che su questo aspetto rivoluzionario, ci siamo concentrati anche sul fatto che solo i posti al di là del tavolo sono occupati, ma potenzialmente si potrebbero aggiungere altre sedie per fare sedere più persone. Io, i miei collaboratori e i detenuti ci sentiamo tutti rappresentati dai commensali già seduti, ma siamo ben felici di accogliere la collettività esterna e di farla sedere con noi al tavolo della creatività.

Sedersi ad un tavolo e cibarsi è una delle azioni più naturali dell’essere umano, durante la quale egli, spinto dal clima di convivialità, gratificazione e piacere, è libero di esprimere la sua personalità e di comportarsi in maniera spontanea. Quindi, far sedere allo stesso tavolo collaboratori, detenuti e collettività esterna, implica la creazione di uno spazio in cui ognuno, proprio in funzione del fatto che si comporta in maniera naturale, crea un legame profondo con gli altri commensali.

Questo incontro profondo di anime e di pensieri permette di conoscere, laddove ci fossero, le reali intenzioni di cambiamento del detenuto, e crea la condizione necessaria per fare in modo che gli vengano offerte delle possibilità di evoluzione concrete. È necessario far sedere a questo tavolo anche la collettività esterna in quanto, la volontà del detenuto di intraprendere un percorso di introspezione e di rielaborazione di tutti i suoi vissuti, è sicuramente una condizione necessaria, ma non sufficiente nel caso in cui la società non sia grado di accettare un cittadino nuovo.

Quindi, dal nostro punto di vista, quest’opera d’arte rappresenta bene la creatività poiché tutti, detenuti, amministrazione e comunità esterna si siedono al tavolo, portano il loro contributo e, dall’incontro delle nostre idee e competenze, nasce un progetto nuovo, talvolta rivoluzionario ed inevitabilmente creativo.

 

Elisabetta: che conseguenze ha l’atto creativo nel rapporto con se stessi e con gli altri?

Silvio Di Gregorio: l’atto creativo stravolge l’immagine della propria persona, sia nel rapporto con se stessi sia con gli altri. Nel rapporto con se stessi permette un arricchimento di carattere personale, consolida la propria autostima, fornisce una percezione di utilità della propria vita e afferma l’immagine di sé. Anche nel rapporto con gli altri la creatività costituisce una possibilità di evoluzione e di crescita personale. Questo perché, quando noi entriamo in relazione con un altro essere umano che è creativo, innovativo e portatore di una ricchezza, veniamo messi nella condizione di potere arricchire anche la nostra persona e lo stesso rapporto con l’Altro.

 

Anita: quanto è importante il riconoscimento degli altri per l’artista?

Silvio Di Gregorio: l’artista ha una responsabilità molto importante in quanto, proprio perché opera ed agisce nell’area di tutto ciò che viene considerato esteticamente bello, è destinato a toccare le corde più delicate dell’essere umano, gli anfratti più profondi che fanno vibrare l’anima delle persone. Quindi l’artista non deve solamente realizzare un prodotto accettabile e comprensibile, ma ha anche la responsabilità di dare vita a qualcosa che sia in grado di colpire nel profondo lo spettatore. Quando il creativo riesce a portare a termine questo compito e a suscitare nel pubblico una reazione di stupore, vive egli stesso una sensazione di appagamento che nutre la sua creatività e gli permette di iniziare un altro progetto creativo.

 

Elisabetta: Esiste un modo ideale di fruire del prodotto creativo e chi sono i suoi principali fruitori?

Silvio Di Gregorio: Io non penso che ci sia un modo ideale da seguire per interpretare un atto creativo. Se un prodotto è creativo e deve stimolare la fantasia delle persone non è possibile spiegare le funzioni della creatività come se fossero istruzioni per l’uso. La creatività è destinata a toccare ogni singola persona in modo diverso, un po’ come un trattamento: l’artista ci mette il suo ma anche chi si accosta all’opera d’arte deve metterci la volontà di lasciarsi stupire e coinvolgere. Di conseguenza credo che chiunque possa essere destinatario dell’atto creativo.

 

Anita: La creatività ha o può avere una funzione sociale e, se sì, quale?

Silvio Di Gregorio: Certamente, la creatività ha il compito di ispirare le azioni umane e di spronare le persone ad emulare ciò che è stato visto. La creatività, soprattutto nel campo dell’arte, stimola le persone a spingersi oltre i limiti di quelle che sono le proprie conoscenze ed è un modo per spostare l’asticella sempre più lontano, sia nell’arte che nella cultura generale.

 

Elisabetta: Parliamo dell’atto creativo nelle diverse età. Cosa è per il bambino, per l’adolescente, per la persona adulta?

Silvio Di Gregorio: Io credo che l’elemento che accomuna tutte e tre le fasi sia lo stupore, che è molto evidente nel bambino e meno nell’adulto. Probabilmente se anche l’adulto riuscisse a mantenere vivo il bambino che è in lui e quindi a utilizzare la voglia di scoperta del bambino durante le sue fasi di crescita, potrebbe riuscire a mantenere alta la capacità di stupirsi e di inventare.

 

Anita: e in che modo può incidere nelle relazioni sociali del soggetto?

Silvio Di Gregorio: Approcciarsi a ogni relazione con lo stupore e con la voglia di conoscere, di apprendere è un atteggiamento molto positivo e denota apertura nella relazione con l’altro. Sottolineerei che lo stupore e la voglia di apertura permettono un approccio migliore nel relazionarsi con gli altri e l’arricchimento della relazione stessa.

 

Elisabetta: La creatività è un dono naturale privilegio di pochi o si tratta di una competenza accessibile a tutti e che può essere allenata?

Silvio Di Gregorio: Credo che la creatività sia qualcosa che appartiene a tutti, ma necessita di essere allenata come tutte le altre doti e virtù umane. Nell’adulto forse questo senso innato deve essere riscoperto perché molto spesso lascia il posto ad altri tipi di filtro che possono essere la ragione, l’esperienza, la delusione e via discorrendo. La creatività è una dote che ognuno di noi ha e che può essere coltivata e accresciuta attraverso l’allenamento.

 

Anita: A scuola che ruolo e quali effetti potrebbero avere delle ore dedicate alla creatività?

Silvio Di Gregorio: La scuola offre momenti di creatività, soprattutto nei confronti dei più giovani, arricchendo la cultura generale e permettendo di ampliare i propri orizzonti. Non penso che debbano essere dati periodi di tempo aggiuntivi, piuttosto la scuola dev’essere in grado di far percepire agli allievi che attraverso i processi di apprendimento è possibile aumentare la propria creatività. Lo studio deve essere un momento che arricchisce perché offre degli spunti di riflessione che ognuno ha poi il compito di rielaborare.

 

Elisabetta: Pensa che la creatività possa avere un ruolo utile nelle attività di recupero del condannato?

Silvio Di Gregorio: Sicuramente, senza creatività non si va da nessuna parte. Sarebbe riduttivo pensare di poter catalogare una persona attraverso caratteristiche fisiche o comportamentali. Attraverso la creatività, infatti, l’uomo si scopre continuamente e ha la possibilità di interrogarsi su se stesso. Non si può definire un’attività più creativa di un’altra, ogni cosa che si fa è creativa. La vita offre in ogni occasione opportunità di crescita e di miglioramento personale continuo: se una persona affrontasse la propria esistenza nell’ottica di migliorarsi probabilmente si arricchirebbe ogni giorno.

 

Intervista ed elaborazione di
Anita Saccani ed Elisabetta Vanzini

 Silvio Di GregorioInterviste sulla creatività

Percorsi e derive del potere

Mercoledì 21/11/18
Casa di Reclusione di Milano Opera

Una riflessione fra persone con ruoli molto diversi, ma tutte legate dall’idea che uno dei pochi argini al delirio di onnipotenza cui il potere espone è quello della responsabilità verso i destinatari della nostra funzione.

A tutte le persone che intendono partecipare chiediamo di contribuire al buon esito dell’iniziativa osservando le seguenti indicazioni:

  • Le richieste di prenotazione (obbligatoria) all’evento vanno inoltrate a associazione@trasgressione.net fino a un tempo massimo di 10 giorni prima dell’evento
    • specificando chiaramente: Nome e Cognome, Luogo e Data di nascita e N° Carta d’identità,
    • allegando la fotocopia del proprio documento di identità.
  • Ingresso gratuito.
  • Le prenotazioni possono essere inoltrate individualmente, ma per snellire il nostro lavoro chiediamo la cortesia, quando è possibile, di cumulare più richieste in un’unica mail.
  •  E’ indispensabile essere presenti all’ingresso entro le 13:30. Via Camporgnago 40, Milano.
  • Allo scopo di facilitare i controlli all’ingresso e per evitare ritardi è necessario presentarsi senza cellulari, senza oggetti elettronici, chiavette USB, ecc.

  • Associazione Trasgressione.net: interventi di prevenzione al bullismo nelle scuole medie superiori e inferiori, il teatro sul mito di Sisifo, convegni su i temi del gruppo, concerti della Trsg.band;
  • Cooperativa Trasgressione.net: consegne di frutta e verdura freschi a bar e ristoranti e a gruppi di consumatori associati, le bancarelle nei mercati rionali con gli stessi prodotti, il restauro di beni artistici, lavori di manutenzione e di piccola ristrutturazione.

Progettare e lavorare con chi ha commesso reati giova al bene collettivo e alla conoscenza dei percorsi devianti più della pena che il condannato sconta in carcere

La squadra anti-degrado