L’aula Dostoevskij

L’Aula Dostoevskij dove si incontrano detenuti, vittime e magistrati

Il racconto del cammino di ergastolani, pm e di chi ha perso un affetto
leggendo ‘Delitto e Castigo’ nel carcere di Opera

Manuela D’Alessandro, 30 gennaio 2024

@Andrea Spinelli –  Il pm Alberto Nobili raffigurato insieme ai partecipanti alla lettura

CARCERIGIUSTIZIA RIPARATIVA

AGI – C’è Domenico, da trentuno anni è qui, non è mai uscito da qui perché è un ergastolano ostativo. Juri Aparo, lo psicologo che lo ha chiamato sul palco del teatro del carcere di Opera assieme a una decina di reclusi del ‘Gruppo Trasgressione’, gli da’ la parola: “Comincia tu che sei il più vecchio, non si sa se poi magari muori”. Domenico ride. Ha una stampella e le pieghe sul viso di chi non viene toccato dalla luce da tre decenni. E si mette a raccontare per filo e per segno con la vividezza di un ragazzo innamorato ‘Delitto e Castigo’ di Fëdor Dostoevskij, la storia di uno studente tormentato dalla miseria che uccide una vecchia usuraia e sua sorella. E vicino a Domenico e a quelli del gruppo siedono gli studenti di legge e psicologia dell’età di Raskol’nikov, i familiari di persone che hanno perso un affetto a causa di un reato e l’ospite Paolo Nori, lo scrittore che attorno alla letteratura russa ricama romanzi, traduzioni e altre fantasmagorie. “Hai raccontato benissimo” dice Nori a Domenico.

Poi c’è il pubblico ministero Francesco Cajani che ha partecipato agli incontri in quella che è diventata l’’Aula Dostoevskij’ del carcere di massima sicurezza dove ogni settimana, per un mese, si sono trovati al mercoledì mattina quelli che sono qui a spiegare come sia possibile che pagine scritte nel 1866 possano, prendendo a prestito un titolo di Nori, sanguinare ancora e, dopo essere colate lungo l’anima, trasformarsi in sorgente o restare anche sangue perché qui non c’è niente di semplice. Facile a prima vista per un condannato immedesimarsi nel protagonista che però ha tali e tanti anfratti da suggerire prudenza nel confronto.


@Tommaso Belletti – L’Aula intitolata al romanziere russo

Eletti o pidocchi?” domanda Aparo, da decenni impegnato con passione e provocazioni a far camminare insieme colpevoli, vittime e resto del mondo, ciascuno alla ricerca del suo pezzo di pace. Francesco ha un pensiero che poi in modi diversi esprimeranno in tanti: “Il protagonista si considera un ‘eletto’ perché motiva il duplice omicidio col fatto che l’usuraia rappresentava un danno alla società. Dopo delira, vive l’angoscia e la solitudine. Anche io come Raskol’nikov mi sono sentito un eletto, invece ora so che sono sempre stato un pidocchio, proprio come lui considerava l’usuraia: un essere dannoso e inutile. Leggendo, ho sentito le emozioni e i conflitti che viveva, fino alla confessione e all’accettazione della condanna grazie alla donna che ama, Sonja ”. Marisa Fiorani, madre di Marcella, uccisa dalla Sacra Corona Unita: “A 82 anni ho scoperto la figura di Sonja con la quale penso di avere qualcosa in comune. Quando hanno ammazzato mia figlia, ho combattuto da subito con me stessa per non farmi rinchiudere nel dolore. Ho allungato le braccia, non sono mai stata sola ma in compagnia di questo progetto che era dentro di me. Nel 2016 ho chiesto di entrare in carcere e ho trovato il dolore che c’era dall’altra parte e braccia spalancate come le mie. Sonja non faceva prediche, non voleva convincere Raskol’nikov a tutti in costi ma in silenzio e a braccia aperte l’ha portato a scontare quello che aveva fatto”.

Nori lo sa se è eletto o pidocchio o meglio, nella sua traduzione, Napoleone o insetto: “Quando a 15 anni ho letto ‘Delitto e Castigo’ mi sono sentito Raskol’nikov e da allora non ho mai pensato di essere un eletto. I romanzi di Dostoevskij, quelli che leggiamo ora, sono figli della sua esperienza in carcere per dieci anni. Quelli di prima non li leggiamo”.

@Andrea Spinelli

Alessandro, che da aspirante magistrato sta assaggiando la giustizia negli uffici della Sorveglianza, da dove passano tutti i detenuti, è grato al protagonista: “Mi ha dato la possibilità di percepire l’essere umano dietro il condannato, il suo senso di marginalità. Il carcere viene visto come un punto di fine ma è un inizio. Ora so con certezza che quando avrò davanti un fascicolo penserò che non è solo un nome ma prima di tutto un essere umano”. Alberto Nobili, magistrato che ha da poco tolto la toga dopo aver diretto alcune delle indagini più importanti della storia italiana, lascia una traccia ad Alessandro e per una volta tocca a lui una confessione offerta ai trecento seduti in platea: “Dopo 43 anni da pubblico ministero nell’’Aula Dostoevskij’ mi sono trovato a fianco di persone che avevo fatto condannare e ne è venuta fuori una magnifica armonia in cui ciascuno era uno strumento musicale che portava la sua interpretazione. Solo partecipando a questi incontri mi sono reso conto che una parte importante del mio essere magistrato era stata omessa. Credo che la mia esperienza vada estesa a tutti i magistrati”.

L’Aula si trasferirà presto nel carcere di Bollate per la lettura dei ‘Fratelli Karamazov’.

Delitto e Castigo

San Vittore, Reparto La Chiamata

A San Vittore  nasce il ‘Reparto La Chiamata’ per i ragazzi reclusi, mai così tanti

Giovani tra i 18 e i 25 anni hanno presentato nel carcere milanese i frutti del primo mese di un progetto nato nel momento in cui registra “il record assoluto” di presenze dei giovani adulti 

di Manuela D’Alessandro – Da AGI > AGENZIA ITALIA

AGI – Hamadi ha poco più di 20 anni, è alto, indossa una felpa nera e i pantaloni bianchi. E’ qui perché ha ucciso una persona. Ma è qui anche perché è il “capostipite” del reparto ‘La Chiamata’ di San Vittore, un luogo che non c’è ancora fisicamente e non si sa se un giorno sarà davvero ritagliato nei raggi del carcere ma esiste da 10 settimane, ogni giovedì mattina, quando una decina ragazzi tra i 18 e i 25 anni si ritrova per immaginarlo e, di fatto, a costruirlo.

“Il record assoluto di ragazzi detenuti”

A consegnare ad Hamadi il ruolo di ‘primo’ è Juri Aparo, lo psicologo inventore del ‘Gruppo della Trasgressione’, un ‘sarto’ visionario che da decenni prova a cucire strappi: quelli tra chi commette reati e chi li subisce e tra i colpevoli per la giustizia e il mondo fuori, a cominciare dalle scuole. I primi frutti della ‘Chiamata’ ancora acerbi ma promettenti sono stati mostrati sul palco della ‘Rotonda’ di San Vittore, la ‘piazza’ da cui si dipanano i raggi della prigione, dove sono arrivati dalle celle Hamadi e i compagni.  Il direttore Giacinto Siciliano spiega: “Ci sono tantissimi giovani adulti a San Vittore, siamo al record assoluto e molti sono alla loro prima esperienza in carcere. Ci siamo chiesti: come possiamo esserci?”.

“Un fiore al posto del dolore”

Ed ecco Francesco Cajani, magistrato che con un sorriso dice di essersi “un po’ stufato di mandare in carcere le persone” che estrae da una borsa gli ‘strumenti’ del giovedì mattina per raccontare cosa succede a metà di ogni settimana di pene lunghe o brevi da scontare. Ci sono un leggio di cartone, “per valorizzare i lavori”, uno “specchio magico” “per guardarsi dentro scavando sempre più in profondità la propria buca” e una candela “per fare luce” in tutta quell’oscurità.

E i ragazzi uno a uno, affiancati dai volontari di ‘Libera’ e degli scout di Milano e dintorni, hanno portato in dote il loro raccolto poetico. Versi come schegge che tagliano l’aria claustrofobica riempiendola di scintille  mentre li declamano. “Me ne fotto del calmante/ e di una vita barcollante/. Non mi basta un’altalena/mano buona sulla schiena. /Vorrei l’alba chiara e un fiore/al posto del dolore/. “Delinquo e quindi sono, non mi servono/catene/. Ho ammesso i miei reati e il carcere non mi appartiene”.

Aparo ha scelto Hamadi come ‘primo’ perché in lui scorge “la mostruosa polarità tra l’intensità della sua intelligenza e quello che ha fatto”. E lui non si tira indietro: “Attraverso un percorso psicologico ho acquisito la conoscenza di me stesso e preso le mie responsabilità. Nel reparto della ‘Chiamata’ il mio compito sarebbe quello di aiutare i giovani detenuti”.

La moneta dei talenti

Ai ragazzi spetta mettere in fila le richieste per il Reparto al direttore Siciliano, al magistrato Cajani, alla comandante della polizia penitenziaria Michela Morello, alla presidente della Sorveglianza Giovanna Di Rosa, al cappello del carcere minorile ‘Beccaria’, don Burgio, che ha vissuto la rivolta di qualche mese fa. Sono tutti in ascolto nella ‘Rotonda. Hamadi lo sa: “Io vorrei che l’offerta culturale non fosse un optional e che si potesse dialogare per conoscersi e farsi conoscere”.

Di Rosa osserva che “il denominatore comune” nei primi incontri “è la ricerca di una guida e poi anche il bisogno di dare un ‘senso’ al reato’”.

Nella borsa dei giovedì c’è anche una moneta: “la moneta dei talenti”, se la gira tra le mani con cura Cajani perché è la carta che può cambiare il destino. Oggi si sono visti brillare tanto da ricevere il ringraziamento dei familiari di tre vittime della mafia che, il giorno prima della giornata in memoria dei caduti, hanno sentito nelle loro giovani voci la speranza, semplice ma enorme, “di un mondo migliore”.

AGI -Agenzia ItaliaL’evento nella registrazione di Radio Radicale

Reparto La Chiamata  – Inverno e PrimaveraLo StrappoLibera