Una stella anche per noi

L‘evento del 13 giugno 2023 al teatro di Opera

Sono Schirripa Rocco, detenuto in questo istituto da 8 anni e mi piacerebbe fare una riflessione sulla serata trascorsa al teatro il 13 giugno 2023 organizzato dalla direzione, dall’associazione libera, dal gruppo della trasgressione e da Mondadori.

Mi ha fatto piacere che a sorpresa hanno fatto scendere anche chi non è inserito nel Gruppo della Trasgressione; è stata autorizzata a partecipare tutta la sezione (cosiddetta a trattamento avanzato). lo sono uno di quelli che non fa parte del gruppo della trasgressione.

Devo dire con molta franchezza che sono rimasto piacevolmente sorpreso che si è parlato dell’indifferenza. Quello che mi ha colpito di più è stato sentire suonare quel violoncello, ricavato dal legno di quelle barche naufragate nel nostro bellissimo mare Mediterraneo, dove da parecchi anni stanno morendo troppe persone per l’indifferenza di tutti noi.

Sentire il suono del violoncello è come sentire un grido di aiuto di chi in quel momento stava annegando. Ecco! Qui, sì che c’è indifferenza… in questo caso, non tanto la nostra personale, ma di chi è al potere e ha il dovere di fare qualcosa per far sì che questo non accada; fino ad adesso abbiamo sentito solo belle parole quando succede l’irreparabile, (ci indigniamo quando vediamo i morti sulle nostre spiagge) e poi non si fa niente! E questi poveretti tutti i giorni continuano a morire.

Mi è piaciuto sentire le canzoni di Fabrizio De André, ma ancora di più mi è piaciuta l’interpretazione e la gradazione che ha dato il coordinatore del Gruppo della Trasgressione.

Devo dire che ho apprezzato molto il discorso di Don Ciotti, ammetto che io avevo qualche pregiudizio, percepivo che “ce l’avesse” con il mondo intero e in particolare con noi detenuti, ma, mi sono ricreduto quando l’ho sentito dire delle belle parole su di noi e sulle nostre famiglie.

E quando senti una persona come Don Ciotti che invita a non mollare e che c’è una stella che luccica pure per noi… Sembrerà strano, ma dopo quella sua affermazione, persino uno come me, che ha un fine pena mai, quella stella la sente più vicina.

Schirippa Rocco

I violini del mare contro l’indifferenzaL’infinito senza stelle

Gli altri raccontano di sé e io capisco me stesso

L’impatto che ho avuto la prima volta con il carcere credo di averlo già un po’ scritto, ma sarò più dettagliato. La prima emozione è stata di paura, non sapevo cosa mi sarebbe successo, se essere picchiato dagli agenti stessi o dai detenuti per il reato commesso. Durante il tragitto per arrivare al carcere capii subito che era un posto isolato, ai margini della società.

Credo che il carcere sia il posto peggiore dove stare se si vuole stare soli. Appena arrivati, all’interno del carcere notai subito il cancello chiudersi e la realtà divisa in due pezzi: da una parte la felicità, come una foto di una spiaggia paradisiaca; dalla parte, dove ero io, non era una spiaggia ma una struttura cupa, piena di povertà e tristezza.

Entrato, dopo le pratiche di burocrazia, fui controllato, spogliato e dovetti fare persino dei piegamenti come se avessi qualcosa da nascondere, pur se la mia situazione era nota. In pratica, sin dall’inizio ti tolgono dignità e se chiedi spiegazioni la risposta è sempre la stessa, in primis dicono che è la normativa.

Una volta conclusa questa fase, fui spostato nel reparto di osservazione, furono giorni di desolazione con un logoramento interiore. In quei giorni mi frullava in testa un unico chiodo fisso cioè l’unica via di fuga per il mio pentimento; pur perso nella desolazione, escogitai, se così si può definire, un piano per il raggiungimento del mio scopo, il suicidio. Non sapendo neppure cosa fossero gli psicofarmaci, me li feci prescrivere in modo da averli per poi prenderli tutti; aspettai il giorno decisivo.

Quella sera, aspettai che le guardie facessero il giro e cercai di sfuggire agli sguardi del mio compagno di cella, Quando si spensero le luci mi rifugiai in bagno, iniziai a versare lacrime di disperazione e allo stesso tempo anche di liberazione: finalmente sarebbe finito tutto, tutto il dolore che avevo causato. Presi coraggio mandando giù le pillole e feci una corda, ma si spezzò. Subito dopo giunse l’appuntato che si accorse di tutto, anche delle lettere di addio che avevo scritto prima.

Sfortunatamente per me, il destino, la fortuna o qualcuno dall’alto, aveva deciso che non era il mio momento. Dopo quel fatto, qualche giorno dopo l’isolamento, fui trasferito a San Vittore. Ormai non prendevo in considerazione la possibilità di un riscatto positivo, tanto che anche qui, all’inizio, non pensavo ad altro che a tagliarmi le vene con una lametta da barba. Continuai a passare le notti in lacrime ma stranamente non avevo più il coraggio di suicidarmi.

Nel nuovo carcere trovai una serenità, era strano per me concepire di apparire un “detenuto modello” dopo quello che avevo causato, credo che abbia giocato a mio favore il fatto di essere sincero con me stesso e con gli altri.

A questo punto vengo a contatto con volontari, educatori e psicologi che ogni volta che guardavano i miei documenti, la mia storia, intravvedevo nei loro occhi dello sconcerto, mi guardavano come se si chiedessero “ma davvero ha fatto questo” e, anche se non era verbalizzato dentro di me, scavavo una buca ancora più profonda.

Ma la spinta determinante a intraprendere un percorso è nata dalla mia partecipazione a moltissime attività, con l’ascolto di tante persone diverse e con la voglia di riempire il mio bagaglio, di acquisire termini, concetti, ragionamenti e argomenti su cui poi riflettere. Non solo la mia conoscenza si sarebbe ampliata ma anche le mie relazioni ne avrebbero avuto un giovamento.

È stato il confronto con il gruppo “a farmi capire” che per andare davvero fino in fondo non sarei potuto sfuggire dal fare i conti con me stesso. Ancora non ne ero consapevole, ma quello è stato l‘inizio del percorso di cambiamento di me stesso. Ogni volta che nel gruppo si racconta di qualcosa di Sé, prendo più coraggio e capisco qualcosa in più sul mio passato.

Hamadi El Makkaui

Reparto La CHIAMATA

Caro Don Luigi

Caro Don Luigi Ciotti,

quando ti ho sentito parlare guardavo intensamente il tuo viso e i tuoi occhi da vicino.

Parlavi di quei migranti disperati che scappano dalla guerra, dalle violenze o dalla dittatura e attraversano il mare con dei barconi vecchi, cercando una vita migliore. Parlavi della gente che guadagna soldi su questo, non capendo, o facendo finta di non capire, che quei barconi sono pericolosi, che affondano e che ci sono tanti bambini, donne incinte, ragazzi giovani e padri di famiglia che perdono la vita.

Il tuo discorso mi ha fatto tornare al mio passato, perché non si può dimenticare, nessuno può.

Io ho avuto la fortuna di conoscere Paolo Setti Carraro e Marisa Fiorani, che fanno parte del Gruppo della Trasgressione. Paolo ha perso sua sorella Emanuela e suo cognato, il Generale Carlo Alberto della Chiesa e Marisa Fiorani ha perso sua figlia Marcella. Quando ho sentito le loro storie sono rimasto senza parole per il male che ho causato.

Marisa Fiorani una volta mi disse: “Vito, vai sempre avanti, quando sento parlare di Lea, vedo un pezzo di mia figlia Marcella”. Marisa Fiorani mi è stata vicina nei momenti tristi.

Il giorno 13 giugno 2023, dopo lo spettacolo del Gruppo della Trasgressione e di Libera, al Teatro di Opera, sono andato a salutare Marisa e lei, quando mi ha visto, mi ha detto: “Vito, ma non ti vedevo!”, io le ho risposto che l’avevo vista quando era salita sul palco. Era contenta, mi ha preso per la mano come un bambino e mi ha fatto conoscere Don Ciotti.

Come ci siamo incontrati, ci siamo guardati e di istinto ci siamo abbracciati. È stato come se mi stesse abbracciando mio papà.

Mi ha chiesto come stavo, come mi trovavo e gli ho risposto che stavo bene, che mi aveva dato tanta forza e tante emozioni forti; gli ho detto che sono padre di tre figli e nonno di quattro nipotini e che vorrei dargli un abbraccio e un bacio e invece gli ho dato solo sofferenza e dolore.

Oggi penso che anche mia nipote Denise avrebbe potuto dare un abbraccio a sua madre, così come Lea avrebbe potuto abbracciare i suoi familiari. Penso al dolore e al male che ho creato togliendo a una figlia sua mamma.

Quando si fece il mio processo, vedevo l’Associazione Libera a tutte le udienze e mi chiedevo: “Ma questi cosa vogliono? Perché sono qui al mio processo?”. Li guardavo male. Poi ho saputo che era di parte civile ed io ero molto arrabbiato, gli dicevo di andare via. La vedevo come un’avversaria.

Quando c’è stata la prima sentenza e sono stato condannato, in aula c’era pure Don Ciotti. Lo guardavo con occhi diversi e gli dicevo: “Tu che sei un prete, cosa ci fai qua?”. C’era anche Marisa Fiorani, la prendevo a parole: “Ma perché non te ne vai?”, lei mi guardava, io mi mangiavo le caramelle e ridevo.

Dopo tutti questi anni di carcere, di sofferenza e di solitudine, ho riflettuto molto sul male e sul dolore che ho causato a Lea e alla sua famiglia, oggi ne sono consapevole e mi prendo la mia responsabilità.

Oggi sento sentimenti forti e prendo coscienza; oggi capisco perché Libera e Don Ciotti vennero al mio processo e fecero le manifestazioni e le fiaccolate contro la mafia e la violenza sulle donne e capisco perché aiutano i migranti che vengono nel nostro paese.

Oggi vedo Libera e Don Ciotti come una grande risorsa e li voglio ringraziare per il lavoro che fanno e per essere venuti al Carcere di Opera.

Ringrazio anche il Gruppo della Trasgressione, coordinato dal Dott. Aparo, che in questi anni mi sta aiutando molto, Marisa Fiorani e Paolo Setti Carraro che nel mio percorso mi sono stati vicino e sono due grandi stelle e infine l’Istituto di Opera che mi ha dato questa opportunità.

Chiedo scusa alla famiglia di Lea, a mia nipote Denise, alla mia famiglia e a tutta la società civile.

Vito Cosco

I violini del mare contro l’indifferenzaIncontri tra vittime e autori di reato

 

Sotto il testo originale di Vito Cosco

Il mio infinito senza stelle

L’infinito mi inquieta. Pensare a un’entità in continua espansione che non ha limiti temporali  e spaziali mi fa vacillare.

Anche l’infinito interiore che ogni uomo ospita dentro di sé mi dà un senso di vertigine: un gorgo di emozioni, sensazioni, sentimenti, pensieri, ragionamenti, desideri e pulsioni che si mescolano in un turbinio frenetico e spesso inestricabile.

Dunque che cos’è per me l’infinito senza stelle?

È l’interminabile catena di ingiustizie gratuite cui assisto ogni giorno.
È l’africano senza tetto massacrato senza ragione ma con grande gusto da due adolescenti nostrani.
Sono le vittime di Cutro che avrebbero potuto essere vive e, magari, anche felici.
Sono gli annegati di Pilos, morti per niente. Più di cento bambini i cui occhi non si spalancheranno più per la meraviglia, non brilleranno più di desiderio.
Sono gli operai pagati due euro l’ora.

Sono gli arbìtri commessi sui loghi di lavoro, dove padroni senza decenza esercitano i loro poteri di vita e di morte sugli schiavi contemporanei.
È una corruzione estesa e profonda e apparentemente inarrestabile che ostacola l’andamento lineare della vita delle persone.
Sono i mutamenti di linguaggio che facendo mostra di modernità oscurano l’indecenza delle situazioni lavorative che li generano e così il quiet quitting e il quiet firing sembrano accettabili.

Sono i richiedenti asilo che vengono respinti o ignorati.
È l’ipocrisia della UE che con convinzione sostiene che i richiedenti asilo vanno aiutati a casa loro e pagano cifre miliardarie perché a casa loro venga impedito loro di partire.
È l’ipocrisia con cui fingiamo che i campi profughi in Libia non sono l’inferno che sono, avallando così stupri, sevizie, torture di ogni genere.
È ancora l’ipocrisia per cui se i richiedenti asilo sono biondi e con gli occhi azzurri si accolgono, mentre per gli altri sono indispensabili dei distinguo.
È ancora l’ipocrisia con cui distinguiamo tra migranti economici e migranti politici come non sapessimo che in alcuni luoghi partire è l’unica possibilità per sopravvivere.

Sono i tagli alla sanità pubblica che hanno decurtato la possibilità di essere curati a coloro che sono socialmente deboli.
Sono gli inquinamenti tollerati che hanno causato e causano decessi evitabili a Casale Monferrato e a Taranto, per citare i casi più noti.
Sono i guadagni faraonici della Società Autostrade  macchiati del sangue di chi è perito per il crollo del ponte Morandi.
Sono i carcerati picchiati e umiliati senza ragione.

Sono le migliaia di permessi di costruzione concessi illegittimamente che hanno contribuito alla devastazione dell’ambiente.
È l’incessante consumo di suolo che in Italia divora ogni giorno un’area equivalente a un campo di calcio.

Sono le classi pollaio dove professori sempre più inermi tentano di insegnare, educare, includere, riuscendoci sempre meno.
Sono tutti i fragili violentati fisicamente o moralmente per come sono, per il loro orientamento religioso, politico, sessuale o a volte solo perché ci sono.

Sono i crimini e le uccisioni perpetrati a qualunque titolo.
Sono gli abusi esercitati su qualunque soggetto.
Sono i fiumi di droga che scorrono e che obnubilano le menti di chi ne fa uso.

Ogni volta che uno di questi fatti accade si spegne una stella e il mio infinito è un po’ più buio.

E poi vengo a sapere che quattro bambini sudamericani sono sopravvissuti 40 giorni in una delle foreste più impenetrabili del pianeta e sono stati ritrovati in buona salute.
E poi mi dicono che con il legno dei barconi dei naufraghi sono stati costruiti violini.

E allora accantono il pessimismo della ragione e accolgo l’ottimismo della volontà e riprendo a sperare. A sperare che l’armonia dei violini superi lo stridore degli schianti. A sperare che il mare torni a profumare di salsedine e non più a odorare di morte.

In fondo dipende da noi, da ognuno di noi fare in modo che l’infinito torni ad avere le stelle.

Nuccia Pessina

L’infinito senza stelleI violini del mare contro l’indifferenza

Rinascita e trasformazione

Egregio Dottore Aparo, frequento da poco il suo gruppo e il 13 giugno scorso ho potuto assistere allo spettacolo “I violini del mare contro l’indifferenza”.

Credo che il progetto che lei chiama “Gruppo della Trasgressione” sia qualcosa di eccezionale e penso che nemmeno lei si rende veramente conto di cosa ha creato, facendo sedere allo stesso tavolo vittime e carnefici. Quando vengo al corso e stringo la mano a una persona come il Dottor Paolo Setti Carraro avviene qualcosa che mai avrei creduto possibile nella mia vita.

 Il gruppo della trasgressione è una realtà che vive solo negli istituti di Milano e aggiungo che, se mentre ero detenuto in altri istituti mi fosse stato raccontato da altri l’esistenza di questo corso, non ci avrei creduto. E’ una realtà troppo difficile da immaginare per chi è detenuto altrove.

 L’evento del giorno 13 giugno è stato bellissimo, con vittime e carnefici allo stesso tavolo. Tutti gli interventi sono stati gradevoli e sentiti, ma quello che mi ha colpito di più è stato quello di Padre Ciotti, forse anche perché da lui non mi sarei aspettato (essendo padre Ciotti coordinatore dell’associazione Libera) parole cosi profonde e incoraggianti verso noi carnefici.

 Inoltre il nostro progetto punta sulla rinascita, sulla trasformazione e, proprio per questo, la presenza di uno strumento come il violoncello costruito con il legno proveniente dai barconi affondati è stata la ciliegina sulla torta.

Vedere con i propri occhi che il legno che in un primo momento ha dato morte alle persone è stato trasformato in strumenti musicali che regalano invece momenti di gioia, è meraviglioso e dimostra oggettivamente che il cambiamento è possibile.

Tra un intervento e l’altro, tra una canzone e l’altra, guardavo il violoncello e più di una volta ho pensato che, se c’è l’ha fatta il legno della barca a passare da strumento di morte a strumento di piacere, può farcela anche l’essere umano.

Oscar Pecorelli

  • Don Luigi Ciotti e Dori Ghezzi
Da Andrea Spinelli

I violini del mare contro l’indifferenza

La bambina con gomma e matita

Una mattina una bambina andò a comperare una gomma. Quando uscì dalla cartoleria provò a cancellare una scritta sul muro. Cancella e cancella, cancellò anche la casa e così gli abitanti caddero e si sentì: “patapunfete!”

La bambina rimase di stucco, era molto dispiaciuta per quello che aveva fatto e corse via piangendo, arrivò a casa e raccontò il fatto alla mamma. La mamma le diede un semplice consiglio, quello di ridisegnare una nuova casa per gli abitanti che erano caduti.

Allora la bambina ritornò alla cartoleria, comperò una grossa matita, tornò davanti al muro e iniziò a disegnare un grande castello con tante finestre, torri e un grande portone.

Quando ebbe finito chiamò gli abitanti della casa e disse loro che adesso avevano una casa più grande e bella e chiese se erano felici, ma con suo grande stupore loro risposero che non volevano un castello ma la loro vecchia casetta in cui avevano tutti i loro ricordi.

La bambina riprese la gomma e dispiaciuta cancellò d nuovo quello che aveva disegnato. Ma c’era un piccolo problema: lei non si ricordava com’era la vecchia casetta così chiese agli abitanti se avessero una foto o si ricordassero com’era fatta, allora si fece avanti il vecchio nonno della famiglia e le disse: “Bambina, chiudi gli occhi e disegna la tua casetta, vedrai che andrà benissimo”.

La bambina disegnò una casetta deliziosa dal tetto rosso e una piccola porta con un piccolo giardino. Tutto era bello e donava dolcezza, aprì gli occhi e vide gli abitanti contenti che si abbracciavano, finalmente avevano riavuto la loro casetta, aprirono la porticina e sorridendo entrarono.

La bambina era felicissima e mentre tornava a casa passò davanti alla cartoleria così entrò e scambiò la gomma con una matita con cui disegnò tante casette sui muri della città.

Giuseppe Di Matteo

Le fiabe di Nonno GiuseppeLa nicchia, la crosta e il rosmarino

Indifferenza e metamorfosi

Il giorno 13 giugno, presso il teatro del carcere di Opera di Milano, il gruppo della Trasgressione con la collaborazione della direzione del carcere, della Fondazione Casa delle Arti e dello Spirito, dell’associazione Libera, della Fondazione Fabrizio De André e del progetto “Lo strappo. Quattro chiacchiere sul crimine” ha tenuto un incontro intitolato “I violini del mare contro l’indifferenza“.

Due sono i concetti che hanno tracciato il filo rosso dell’intera serata: l’indifferenza e la metamorfosi.

L’indifferenza è neutralità, ostentata assenza di partecipazione ed interesse. L’indifferenza è oggi tra gli atteggiamenti preferiti della maggior parte dei consociati, soprattutto nei confronti del male. E così come c’è stata e ancora oggi persiste indifferenza verso migliaia di vittime dei naufragi, verso coloro che hanno perso la vita, ma non la speranza; così anche c’è e continua ad esserci indifferenza nei confronti del carcere, più precisamente, nei confronti dei ristretti, che lo popolano.

Proprio come i migranti, non hanno avuto la possibilità di scegliere dove nascere, così anche, molti detenuti hanno scelto la strada della criminalità, non avendo avuto la possibilità di sviluppare un pensiero e strategie d’azione diverse da quelle che purtroppo hanno tenuto. Eppure, dalle ceneri è sempre possibile risorgere. Anche i fatti irreversibili, come la morte, sia essa derivata da un naufragio o da un assassinio, possono conoscere sviluppi positivi.

Il maestro liutaio Enrico Allorto ci ha infatti insegnato che a volte “l’impossibile è possibile”. Nessuno credeva nella possibilità di recuperare il vecchio e inzuppato legno dei barconi, eppure, grazie alla speranza e dedizione di chi ci ha creduto, la stessa è stata lavorata e trasformata in strumenti musicali.

Questi strumenti oggi, non sono più mezzo di distruzione, ma di creazione. Creazione di unità e sintonia tra tutti coloro, che ascoltano i suoni emessi dal delicato tocco di chi li sa suonare.

In molti negano la possibilità di un cambiamento da parte dell’essere umano: “un uomo che ha ucciso, non potrà mai essere una persona normale”. E invece “l’impossibile è possibile”. Numerose sono le testimonianze di ex criminali, tra cui assassini e affiliati ad organizzazioni criminali a dimostrare che il cambiamento non è un’utopia, bensì realtà. Sono sufficienti gli stimoli, i luoghi, le parole e gli incontri con le persone giuste, affinché tutto ciò si realizzi.

L’obiettivo è quello di demistificare le narrazioni diffuse sulla realtà carceraria, narrazioni che provengono da parte degli indifferenti, da parte di chi il piede in carcere probabilmente non lo ha mai messo, lo sguardo verso un detenuto non l’ha mai rivolto, privandosi così della possibilità di scorgere dietro a quel “mostro”, un essere umano che ha sbagliato. Un essere umano che ha scelto il male, ma che è ancora in grado di scegliere il bene.

A tal proposito, è doveroso acquisire la consapevolezza che non esistono persone crudeli in assoluto, bensì persone che sbagliano, e che in quanto tali, non sono uno scarto da buttar via. In quest’ottica il carcere potrà essere l’occasione, che la vita non è stata in grado di dare a queste persone: una seconda possibilità, in cui attraverso lo studio, il dialogo e l’apprendimento di una professione nuova possono crearsi il loro spazio nel mondo.

Il carcere non deve mai rappresentare un parcheggio in cui attendere inermi, la soluzione privilegiata per eliminare dalla società il disagio, che non si vuole vedere e nemmeno risolvere.

Ecco, “i violini del mare contro l’indifferenza”, costituisce uno dei tanti progetti, che si inserisce in un percorso più ampio, necessario ad attuare un grande cambiamento, che richiede uno sforzo da parte dell’intera collettività, la quale non può rimanere neutrale, non può rimanere indifferente. Questo grande cambiamento, a cui si ambisce, potrà dirsi pienamente raggiunto, soltanto quando ciascun cittadino prenderà veramente consapevolezza di ciò che vuol dire vivere in un Paese democratico e si impegnerà nel diffondere e promuovere i valori su cui la democrazia si fonda, senza lasciare ai margini nessuno.

Per concludere con le parole del protagonista virtuale (Fabrizio de André) del progetto, bisognerebbe farsi “carico di interpretare il disagio rendendolo qualcosa di utile e di bello”. E’ questa la missione di ciascun uomo che non vuole essere indifferente.

Giulia Varisco

  • Lucilla Andreucci
Da Andrea Spinelli

I violini del mare contro l’indifferenza

Gradini

Gradino dopo gradino, che fine ha fatto quel bambino che si divertiva a far rotolare il copertone di un’automobile?

Gradino dopo gradino, non sento più l’affetto di mio padre, forse non è stato contento della famiglia che si era creata.

Il cuscino dove dormiva mia madre era sempre bagnato. Vedendola soffrire, nel mio piccolo, cercavo di sostenerla ed alla fine piangevo con Lei non facendomi vedere dai miei fratelli più piccoli di me.

Gradino dopo gradino, spunta il sole, una nuova vita, la gioia di essere diventato padre.

Gradino dopo gradino, mi si apre davanti una voragine tetra, dal dolore arrivo a falciare come Thanatos, sentendo i figli della mia vittima piangere.

Gradino dopo gradino, una luce in lontananza mi tira su da quella voragine, mentre mi vergogno di non aver rispettato il patto fatto con l’acqua e cercando un perdono che non arriverà mai.

Salvatore Luci

Percorsi della devianza

Da costo a risorsa

Come si può cambiare il carcere se noi stessi detenuti non siamo in grado di metterci d’accordo su delle piccolezze! Ho visto tante persone che aspettano che uno sbagli per poter prendere il loro posto di lavoro invece che fargli capire che quello che sta facendo è sbagliato; lo si incita ancora di più a commettere l’errore. In questi anni di detenzione non ho sentito parlare d’altro che di processi, di educatori, di relazioni non chiuse, di chi è dentro per rapine, spaccio, omicidi, mai una volta che si parlasse di come potremmo cambiare in meglio le condizioni carcerarie.

Grazie ad un altro detenuto ho conosciuto il Gruppo della Trasgressione, in questi pochi mesi ho continuato ad arricchire sempre più il mio bagaglio culturale, ascoltando con attenzione il parere di tutti.

Grazie al dottor Aparo ed ai suoi collaboratori ho imparato a guardare con occhi diversi un dipinto del Caravaggio, cercando di capire il messaggio che il pittore ci ha voluto lasciare. Prima di partecipare al gruppo un dipinto per me era o bello o brutto, non andavo ad analizzarne il contenuto con le sue sfumature.

Il Gruppo della Trasgressione è l’inizio del progetto di come possiamo cambiare il carcere. Il Comune o l’istituzione dove risiede l’istituto penitenziario dovrebbe prendere come esempio le grandi aziende che fanno investimenti con guadagni a lungo termine. Si dovrebbe investire di più sui detenuti, stanziando finanziamenti per corsi di formazione professionale, in modo che il detenuto che abbia scontato la pena abbia più possibilità di entrare nel circuito lavorativo normale.

Si dovrebbe poi informare la popolazione che tenere per lungo tempo le persone chiuse in carcere ha un costo economico pesante per lo stato e quindi per la popolazione.

A mio parere, insomma, se, mentre sono detenuto, vengo aiutato ad istruirmi, diventerò un guadagno sia per la società sia per me stesso, non gravando più come un costo ma divenendo una risorsa. Un vecchio proverbio insegna che se prendi una persona che non ha nulla da mangiare e le dai un pesce si sazierà per un solo giorno, se gli insegni a pescare potrà mangiare sempre.

Salvatore Luci

Reparto LA CHIAMATA

 

Libertà mia

Da bambino ne avevo in quantità
Eri mia libertà, tutta mia
Mi facevi compagnia
Mi davi allegria

Quant’eri bella libertà mia
Ero sicuro che nessuno ti avrebbe mai portato via
Se non la superficialità e l’incoscienza mia

E quanto bene ti ho voluto libertà mia
Siamo stati proprio bene insieme
Ne abbiam passate di crude e di cotte
Ne abbiam prese di botte

E ad ogni caduta seguiva sempre,
Un bel “chi se ne fotte”.

Ora sono cresciuto, libertà mia
E sì, son quasi cinquanta
Ora entra il sole a quadri nella mia stanza
E non sento più la tua voce che canta

Solo ora so apprezzarti
E pensa un po’, saprei anche amarti
Ma ti ho deluso amica mia
E te ne sei andata via.

Ed ora col cuore in mano
Vorrei dirti solo una cosa
A presto libertà mia,
ti amo

Massimo Saponaro

Poesie