Delinquo dunque sono

Delinquo dunque sono,
lo faccio per stare sul trono.

Forse non ragiono,
La libertà mi fa paura,
Sarà il motivo della mia chiusura?

In ogni caso
si tratta di tortura

Reparto La Chiamata  – Inverno e Primavera  –  Officina Creativa

Mi manca una guida

Mi manca una guida,
Che mi sgrida
Che mi sorrida.

Da solo dove vai?
Magari dai burattinai,
Dove diventerai
Ciò che non sei stato mai.

Reparto La Chiamata  – Inverno e Primavera  –  Officina Creativa

Gabbie personali

Vivo da una vita
In una gabbia
Fatta di rabbia
Che mi annebbia
Come sabbia

Negli occhi miei.
Il dolore mi assale,
il dolore non è mai banale
è qualcosa che mi suscita
una furia animale.

Ma nessuno mi sente
E nessuno mi vede
E allora mordo, delinquo
E dunque sono.

Ma ora, ora che ho perso,
Rimango solo a parlare con me stesso.
Finalmente me lo sarei concesso.

Ma qui in carcere mi sento oppresso,
Per farmi stare quieto
mi danno tranquillanti,
Ma ho capito che è il Progetto
l’unica terapia di successo

Reparto La Chiamata  – Inverno e Primavera  –  Officina Creativa

La vita è un’altalena

La vita è un’altalena
Che mi culla,
che mi aliena,
aiuto, frena!

Questa maschera che indosso
mi incatena!
È tutta una messinscena
per nascondere la mia vera pena
di sentirmi da sempre inadeguato,
non stimato,
non amato.

Reparto La Chiamata  – Inverno e Primavera  –  Officina Creativa

Il lavoro delle coscienze inquiete

L’ingresso è gratuito, ma per entrare in carcere occorre prenotarsi e trovarsi all’ingresso in tempo utile per le operazioni di controllo (ore 9:30).

Si consiglia di NON portare appresso telefoni, apparecchi elettronici, cuffie, ecc.

Per prenotarsi, scrivere i propri dati (Nome, Cognome, Luogo e Data di nascita) a  Ludovica Pizzetti e per conoscenza a associazione@trasgressione.net.

Infine, le mail per prenotarsi devono pervenire entro il 30 maggio.

Un’arancia, un carciofo e Maria

Le origini del Gruppo della Trasgressione, della Squadra Anti-Degrado e… i risultati delle prime consegne dopo il lock-down

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La Responsabilità dei Burattini

“[…] tra giusto ed equo pur essendo entrambi buoni, è l’equo che ha più valore. 

Ciò che produce l’aporia è il fatto che l’equo è sì giusto, ma non è il giusto secondo la legge, bensì un correttivo del giusto legale. 

Il motivo è che la legge è sempre una norma universale, mentre di alcuni casi singoli non è possibile trattare correttamente in universale. […] l’errore non sta nella legge né nel legislatore, ma nella natura della cosa, giacché la materia delle azioni ha proprio questa intrinseca caratteristica. 

Quando, dunque, la legge parla in universale ed in seguito avviene qualcosa che non rientra nella norma universale, allora è legittimo, laddove il legislatore ha trascurato qualcosa e non ha colto nel segno, per avere parlato in generale, correggere l’omissione, e considerare prescritto ciò che il legislatore stesso direbbe se fosse presente, e che avrebbe incluso nella legge se avesse potuto conoscere il caso in questione. 

Perciò l’equo è giusto, anzi migliore di un certo tipo di giusto, assoluto, bensì del giusto che è approssimativo per il fatto di essere universale. Ed è questa la natura dell’equo: un correttivo della legge, laddove è difettosa a causa della sua universalità. 

Questo, infatti, è il motivo per cui non tutto può essere definito dalla legge […]. Come il regolo di piombo usato nella costruzione di Lesbo: il regolo si adatta alla configurazione della pietra e non rimane rigido, come l’equo si adatta ai fatti […]”. 

Aristotele, Etica a Nicomaco, cap V,14 – 1137b

L’Istituto IIS Spinelli di Sesto San Giovanni ha ospitato gli autori dello Strappo: quattro chiacchiere sul crimine, per condividere con gli studenti al quinto anno, una delle tante riflessioni possibili sul tema Cittadinanza e Costituzione, che sarà oggetto di colloquio in sede d’esame di maturità a partire da quest’anno.

Tra gli altri, sono intervenuti alcuni detenuti che fanno parte del Gruppo della Trasgressione, una realtà che opera da 22 anni nelle carceri milanesi con l’obiettivo di promuovere l’evoluzione dei condannati e il loro possibile reinserimento sociale dopo il fine pena.

Dalle parole dei detenuti del Gruppo della Trasgressione è emerso che all’epoca in cui commettevano reati la vittima per loro non esisteva, non esisteva il suo dolore, non esistevano le conseguenze dell’azione che stavano compiendo così come non esisteva la possibilità di scegliere di agire altrimenti.

A dire di chi ha commesso reati, nel momento in cui il fatto avviene il suo esecutore ha in mente solo l’azione da compiere e tutto il resto non esiste, nel senso che non viene neanche preso in considerazione. 

Oggi i detenuti che negli anni si sono allenati a riflettere dicono che in passato sono stati come burattini che eseguivano ordini di qualcun altro o di una parte di se stessi con la quale non erano capaci di dialogare per proporre alternative alle azioni che erano determinati a compiere.

Da qui è stata sollevata la domanda: “Se i responsabili del reato oggi considerano che ai tempi in cui lo hanno commesso erano burattini, come si può giudicare la loro responsabilità nel momento in cui bisogna decidere di comminare loro una pena?”.

Hanno provato a rispondere studenti, docenti, magistrati e psicologi.

Uno studente ha detto: “Prima che le persone commettessero reato non era possibile aiutarle, quindi bisognerebbe provare a farlo dopo”.

Il magistrato seduto al tavolo della discussione ha chiarito che per la legge esiste il soggetto e la sua responsabilità che è sempre individuale: lo dichiara la Costituzione al primo comma dell’art 27, quello stesso articolo che poco più sotto dice che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.

Lo psicologo che coordina le attività del Gruppo della Trasgressione ha fatto presente che prima del reato esiste l’ambiente in cui il reato si produce e che, quasi sempre, commette reato chi vive nel degrado. Pertanto la società che vuole tener conto della Costituzione deve interrogarsi sul rapporto che c’è tra il degrado in cui si cresce e il degrado che si appropria della mente delle persone che commettono reato. Questo non per sollevarle dalla responsabiltà delle loro azioni ma per non rinunciare alla complessità che la domanda sulla responsabilità dischiude.

Nel tentativo di mettere in ordine le suggestioni raccolte per cercare di dare il mio contributo alla costruzione del pensiero, mi chiedo: 

Ammesso che le persone che hanno commesso i reati fossero responsabili al momento dell’azione, quanto di fatto erano libere? Ovvero quanto erano libere di avere sentimenti diversi da quelli che le hanno indotte a scegliere di fare quello che hanno fatto? 

Se è vero che la responsabilità dell’atto criminale non può che essere imputata all’individuo che lo ha compiuto, chi è responsabile dei condizionamenti che hanno contribuito a costruire il degrado nella mente di chi all’epoca dei reati non era capace di fare una scelta diversa da quella criminosa?”. 

A partire da queste domande propongo due considerazioni.

Prima considerazione:

Personalmente credo che la responsabilità delle condizioni di scarsa libertà in cui gli esecutori dei crimini hanno agito sia in parte di ciò che la Costituzione all’art. 3, comma 2, chiama la Repubblica:

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Mi piace pensare che nella mente dei padri costituenti, quando hanno scritto il terzo comma dell’art. 27 che dice che la “la pena deve tendere alla rieducazione del condannato”, ci fosse la consapevolezza che la Repubblica può fallire il compito che le affida il terzo articolo della stessa Costituzione ovvero “eliminare gli ostacoli che limitano la libertà delle persone e l’uguaglianza dei cittadini”. 

Se questo avviene, se la Repubblica fallisce il dettato dell’art 3, la ri-educazione di cui parla l’art. 27 non è altro che la seconda possibilità che la Costituzione si dà, e dà a tutta la società civile, per non rinunciare a perseguire il suo obiettivo: ovvero promuovere la formazione di cittadini come persone libere e quindi individui pienamente responsabili delle proprie azioni.

Perché per la Costituzione l’obiettivo collettivo da perseguire è più importante dell’errore individuale da stigmatizzare.

Seconda considerazione:

Se i giudici che in Tribunale comminano le pene devono per forza fare riferimento al valore della Giustizia intesa come fedele applicazione della legge e quindi devono considerare responsabile delle sue azioni chi ne è di fatto l’esecutore; la Repubblica di cui parla la Costituzione e che mi piace considerare nel senso alto della Politeia platonica che letteralmente significa “cittadinanza” ovvero “insieme di tutti i cittadini”, ha bisogno di fare riferimento al valore dell’Equità così come è descritta da Aristotele nel libro V della sua Etica a Nicomaco.

Per Aristotele la Giustizia è la più alta delle virtù etiche, tuttavia non è un concetto assoluto e monolitico. Il filosofo distingue tra Giustizia ed Equità, sostenendo che la seconda sia un correttivo della prima, che ha per sua natura la necessità di fare riferimento a principi universali, intatti e perfetti incapaci di tenere conto di realtà individuali imperfette e multiformi.

Aristotele sostiene che chi in ogni occasione pretenda di decidere appellandosi a un principio di giustizia considerato saldo e inflessibile si comporta come l’architetto che tenti di usare una riga dritta per misurare le complesse curve di una colonna scanalata. 

La Repubblica/Cittadinanza di cui parla la Costituzione non sta solo nei Tribunali, pertanto dopo che la pena è stata comminata dal giudice sulla base del principio legale della Giustizia, la Repubblica depone il metro rigido e si sforza di costruirne uno sufficientemente equo per compensare lo scarto tra il principio universale a cui si deve fare riferimento e la realtà, troppo complessa, fuggevole e imperfetta per poter essere ricercata, compresa e misurata col metro della perfetta giustizia.

[l’immagine è stata presa dal sito karatedomagazine.com]

 

Gli occhi grandi color di foglia

Prenotazioni:
Elisabetta Cipollone, 370.3070608
Antonia Razzetti 349.8725950

In alternativa, un’offerta sul conto corrente dell’associazione equivale alla prenotazione per la serata al teatro De Sica. Sul bonifico riportare come causale: Nome e Cognome degli interessati all’ingresso  e  “Offerta concerto Peschiera Borromeo 26-11-18”.

Associazione Trasgressione.net Onlus
IBAN: IT 18D 05696 01600 0000 22932X73

Contributo minimo a persona € 12

A San Vittore per un viaggio nel futuro

Il detenuto che spiega ai giovani reclusi come non fare la sua fine

di Manuela D’Alessandro

C’è un detenuto da quasi 30 anni nel carcere di Opera che ogni venerdì mattina, da otto venerdì, entra in quello di San Vittore per spiegare ai giovani reclusi come non fare la sua stessa fine. La prima volta, dice, è stata “un’emozione strepitosa”. Adriano Sannino, un’era fa killer della camorra,  oggi ha 46 anni ed è tra gli ‘storici’ componenti del ‘Gruppo della Trasgressione’ animato dallo psicologo Juri Aparo. Uno che gira da 40 anni nelle prigioni e a un certo punto si è messo in testa , tra le altre mille cose, di portare nelle scuole chi viene percepito come reietto per evitare ai ragazzi scelte sbagliate. “La prima volta, ho pensato a quando sono entrato in carcere, buttato lì, con la mia busta, senza che nessuno mi spiegasse nulla. Ora entro dal portone principale, da cittadino. Gli agenti della polizia penitenziaria mi chiedono increduli: ‘Ma tu sei detenuto a Opera?’ e io mi sento uno di loro, un uomo delle istituzioni”. I ‘suoi’ ragazzi Aparo li porta dappertutto, spesso a confrontarsi coi familiari delle vittime, e adesso prova a farli uscire dal carcere ‘di campagna’ di Opera, destinato a chi deve scontare fardelli molto pesanti, per entrare nella galera di Milano centro a seminare libertà.

Sannino può farlo, come presto sarà possibile anche per altri due ergastolani a Opera coinvolti nel progetto, perché è stato ammesso al lavoro esterno. Attraverso la cooperativa fondata da Aparo, scarica frutta e verdura, svegliandosi all’alba e fatica con leggerezza (“Non c’è un giorno che mi pesi”) fino al pomeriggio.  Al venerdì, dalle 12 e 30 e per tre ore, diventa lui stesso un ‘educatore’ nel reparto giovani adulti dove lo attendono una ventina di ragazzi, età media sui 20 anni. ” All’inizio mi guardano un po’ così. Ma poi quando vedono che parlo col cuore, quando gli spiego che sono stato uno stronzo e come sono cambiato, mi ascoltano e fanno un sacco di domande. Sulla mia storia, sul punto in cui è cambiata. Non ho verità in tasca, ma con loro mi metto un gioco, cerco di essere all’altezza di una grande responsabilità. Ad agosto per due venerdì, il ‘prof.’ (Aparo, ndr) era in vacanza e ha lasciato da soli me e una studentessa che fa parte del Gruppo, è stato molto emozionante”. Non è sempre facile fare breccia in chi lo ascolta. “Un ragazzo albanese, in particolare, provava a contraddire tutto quello che dicevo, sostenendo di dovere spacciare per aiutare la famiglia e che chi compra la droga è consenziente. Gli ho risposto che chi la compra è malato, non consenziente, che lui alimenta un sistema malavitoso che genera anche morte. Allora lui mi ha chiesto: ‘Preferisci essere tu quella con la pistola o avercela puntata contro?’. Gli ho detto che mi farei ammazzare per la vita e i valori in cui credo. Alla fine mi ha abbracciato e mi ha chiesto quando sarei tornato”.

“Questo è un progetto rivoluzionario – spiega Aparo – nato in collaborazione con l’ex direttore di Opera e ora di San Vittore Giacinto Siciliano che ha l’obbiettivo di far provare ai giovani detenuti un viaggio nel futuro. Attraverso Sannino e gli altri entrano in contatto frontale con quello che potranno diventare se non cambieranno rotta, persone che a 50 anni ne hanno passati 30 in carcere. Tante volte, quando porto i detenuti fuori dal carcere, chi li sente parlare si emoziona e pensa che siano dei santi, che non debbano stare dentro. Ma io dico: se sono in carcere è perché sono stati dei coglioni. Le persone però cambiano e io sono convinto che non basti reinserire i detenuti nel lavoro e fargli guadagnare 1200 euro al mese. Bisogna metterli al centro di una progettualità, attraverso le relazioni umane e la maturazione di un senso di responsabilità”. Da ‘grande’ Sannino, a cui manca ancora qualche anno da scontare, ha un sogno per quando sarà libero: “Creare all’interno della cooperativa una piccola comunità per ragazzi disagiati e trasmettere a loro la mia esperienza”.

(L’articolo originale è su www.giustiziami.it, che ringraziamo per l’attenzione e la gentile concessione)

 

Invito alla commissione antimafia lombarda

Il 24 maggio scorso il Gruppo della Trasgressione, in occasione della ricorrenza della strage di Capaci, aveva partecipato a Milano a un incontro al Galdus, istituto scolastico col quale collaboriamo da tempo e con il quale siamo partner in una iniziativa per la prevenzione del bullismo. Il programma prevede, tra i suoi punti forti, che il Gruppo della Trasgressione porti nelle scuole che aderiscono al progetto i risultati della riflessione avviata da quando il gruppo è nato e che negli anni si è arricchita anche dei contributi di centinaia di studenti universitari, professionisti, artisti, operatori penitenziari, familiari di vittime della criminalità organizzata, che sono stati nostri ospiti in questi ultimi 20 anni.

Erano presenti all’incontro il direttore del Carcere di Opera, dott. Silvio Di Gregorio; l’assessore all’istruzione della regione Lombardia Dott.ssa Melania Rizzoli; il vice presidente della commissione antimafia Lombardia, dott. Alex Galizzi; un nutrito numero di insegnanti del Galdus; circa 200 alunni con il dirigente scolastico dell’istituto e moltissime altre persone.

A seguito dell’incontro, il presidente della commissione antimafia, dott.ssa Monica Forte, ha osservato che… non è opportuno che detenuti con trascorsi di mafia e di criminalità organizzata si pongano come insegnanti di fronte a studenti che potrebbero subire il fascino del male e una certa confusione fra buoni e cattivi:  “… reputo inopportuno un progetto che ha portato detenuti per mafia in una scuola per un corso alla legalità. Il confronto diretto con gli ergastolani rischia di far passare un messaggio sbagliato fra i giovani che hanno poca se non nessuna conoscenza del problema delle mafie. La mitizzazione televisiva del crimine, da questo punto di vista, non aiuta”.

Essendo io il coordinatore del Gruppo della Trasgressione, conoscendone la natura, gli obiettivi e il metodo, avendo incontrato con il gruppo Trsg da quando è nato (San Vittore 1997) decine di migliaia di studenti di medie inferiori e superiori, ho piacere di esprimere la mia opinione.

Sono d’accordo che la mitizzazione del male su televisione e giornali genera confusione e ritengo a mia volta inopportuno che i detenuti abbiano il ruolo di insegnanti abilitati a spiegare agli studenti il bene e il male. Puntualizzo però che gli incontri fra Gruppo della Trasgressione e studenti di scuole medie inferiori e superiori sono così caratterizzati:

  • tutti i detenuti da me autorizzati a parlare durante gli incontri nelle scuole frequentano il Gruppo della Trasgressione da almeno 4/5 anni e, prima di arrivare a parlare con gli studenti, hanno partecipato attivamente a centinaia di incontri del gruppo all’interno del carcere;
  • durante gli incontri nelle scuole, i detenuti parlano agli studenti in una situazione in cui sono sempre io a coordinare la direzione degli interventi; pertanto, nella sostanza e nella forma e per tutta la durata degli incontri, io sono il docente e loro i testimoni di come un lavoro svolto in profondità e con un continuo confronto con l’istituzione (la direzione del carcere, la magistratura di sorveglianza) possa portare uomini provenienti dal degrado, e che del degrado sociale erano divenuti servi e veicolo, a essere oggi la prova vivente di come il degrado possa essere contrastato e di come un adolescente che stia scivolando in quella direzione possa trovare gli stimoli e gli strumenti per invertire rotta.

Sarei particolarmente contento se una commissione di esperti decidesse di verificare gli effetti che il Gruppo della Trasgressione produce sugli studenti quando andiamo nelle scuole per la prevenzione al bullismo. Questo ci darebbe utili indicazioni su come procedere nella formazione dei detenuti e su come impostare gli incontri con gli studenti delle medie contro il bullismo e la tossicodipendenza.

Concludo, invitando la presidenza della commissione antimafia agli incontri del Gruppo della Trasgressione che si tengono tutte le settimane nelle carceri di San Vittore, Bollate e Opera.