Quell’essere un po’ ribelli

All’inizio non era tossicodipendenza, ma quell’essere un po’ ribelli
Maurizio Chianese

Con questo scritto vorrei ricercare la mia vita partendo dall’infanzia. Ho due ragioni per farlo: la prima è ricostruire e poi condividere la mia storia; la seconda è trovare delle situazioni comuni, azioni e comportamenti che ci hanno portato qui in carcere, e non oltre. Inizio partendo dall’infanzia perché, sono d’accordo con Ivan, è proprio da qui che tutto inizia: non la mia tossicodipendenza ma semplicemente quell’essere un po’ ribelli. Sono nato nel 1975, da padre italiano e da madre africana, quello che mi appresto a narrare non è un ricordo ma il racconto che mi fece mio padre un po’ di anni fa.

Quando sono nato mio padre non mi riconobbe subito, infatti da piccolo portavo il cognome di mia madre. Lei lavorava come domestica presso una famiglia benestante e la mia nascita causò dei problemi perché non poteva lavorare e contemporaneamente seguirmi. Così, s’intromisero gli assistenti sociali che, senza giri di parole, dissero a mia madre che, essendo lei straniera e ragazza madre, non poteva da sola prendersi cura di me… ma c’era la possibilità di darmi in adozione essendoci già una famiglia disposta ad adottarmi…

Fu allora che mio padre mi riconobbe come suo figlio, presi il suo cognome e con qualche difficoltà venni affidato ai nonni paterni. Avevo un paio d’anni, andai con i nonni e stetti con loro fino a 5, in questo tempo mia madre e mio padre si trasferirono a Sesto San Giovanni, dove presero in gestione un bar. Assieme agli assistenti sociali del comune riuscirono ad ottenere il mio affidamento, però non tornai a vivere con loro ma venni spedito in collegio, dove trascorsi 5 anni: uno di asilo e 4 di elementari.

Nel periodo scolastico, da settembre a giugno, stavo in collegio a Rota d’Imagna in provincia di Bergamo e l’estate a Marina di Bibbona in Toscana. Mia madre e mio padre li vedevo una volta al mese, inoltre, finito l’anno scolastico, trascorrevo una decina di giorni con loro e altrettanti quando tornavo dalla colonia estiva.

Fu in collegio il mio primo campanello d’allarme, vi erano bambini della mia età e bambini più grandi. lo trovavo più piacere a stare con i più grandi che si divertivano e facevano scherzi alle suore. Un giorno feci la mia prima marachella, il collegio si trovava in cima ad una montagna e al confine del campo di calcio c’era una vallata con una piccola fattoria. Un giorno, mentre si giocava, il pallone finì nella vallata; con la scusa di andare a prendere il pallone, raggiungemmo la fattoria dove io presi una gallina, la portai in collegio e la liberai dentro al camerone. Feci impazzire le suore che sudarono sette camicie per poterla acchiappare. Ora, in quel momento non pensai minimamente di aver commesso un reato, ma oggi mi rendo conto che ero già propenso a non rispettare le regole.

Un giorno decisi con alcuni compagni della colonia di fuggire per raggiungere il luna-park, dopo cena io e altri 4 compagni prendemmo la strada verso la spiaggia per raggiungere il luna-park. Quella sera non la dimenticherò mai, mentre noi ci divertivamo, dalla colonia era stata avvisata la polizia che aveva iniziato le nostre ricerche. Ci trovarono parecchie ore dopo, capii subito che ci avrebbero messo in punizione, difatti il direttore ci proibì di svolgere ogni attività per una settimana e ci impose di pulire la colonia sotto la guida di un educatore.

Mentre mi trovavo in collegio, i miei genitori avevano ottenuto una casa dal comune e così furono in grado di far venire i miei fratelli, figli di mia madre, in Italia. Il fatto di incontrarli fu una gioia ma, nonostante i miei lavorassero, i soldi bastavano a malapena per vestirci e mangiare. I pochi giochi che avevamo erano doni di famiglie che non li utilizzavano più. Di regali in casa, non parliamone nemmeno.

Mi ricordo che un Natale chiesi una bicicletta, mio padre mi disse che l’avrebbero portata non appena finito di costruirla. A ogni compleanno o Natale che passava io chiedevo della bicicletta e lui ogni volta rispondeva che la stavano costruendo. Un giorno l’occasione mi fece ladro, vidi una bella bici da cross fuori da un panificio, era slegata, così la presi e scappai.

Avevo fatto un furto, ne ero consapevole, ma avevo la bicicletta tanto sognata, avevo circa 12 anni ed ero contento perché finalmente avevo la bici che avevano tutti. E così iniziò la mia escalation di reati, non avendo i soldi per comprarmi le cose, iniziai a rubare e nel giro di qualche anno in compagnia ebbi il primo incontro con la droga. Era hashish, iniziai con una canna e una birra nei giardinetti sotto casa, ne fui sedotto e conquistato subito, mi piaceva e così è stato facile per me sperimentare altre droghe, arrivando alla cocaina, che all’inizio quando ancora non era un abuso, mi faceva stare bene, riuscivo più facilmente a non essere timido, a conoscere ragazze, avevo più coraggio ad affrontare dei rischi e la consumavo solo il fine settimana quando si andava per locali e discoteche.

Il bisogno di soldi aumentava e di conseguenza i furti divennero rapine. A casa dei miei tornavo di rado, li chiamavo al telefono e inventavo scuse per rimanere fuori… fino a quando ci fu il mio primo arresto. Avevo rapinato un ragazzo, ma in pochi minuti mi sono trovato circondato dai poliziotti. Arrivato in questura, avvisarono subito mio padre, avevo 16 anni quindi ormai grande abbastanza per essere processato e condannato, feci 15 giorni al centro di prima accoglienza del carcere minorile “Beccaria” e poi venni mandato a casa con la condizionale di 1 anno e 8 mesi. Oramai avevo la fedina penale sporca, il consumo della cocaina diventò abuso e la mia vita prese la strada della delinquenza.

A 17 anni conobbi Rosy, anche lei consumava la sostanza, ma il fratello era un gran lavoratore, faceva l’artigiano e montava stand nelle fiere oltre a controsoffitti e pareti in cartongesso. Mi chiese di lavorare con lui ed io accettai. Era bello girare per le fiere di tutta Italia. Nonostante fosse pesante, ci andavo volentieri e in più il consumo di droga era molto meno. Andò così per qualche anno anche se nei periodi morti qualche rapina la facevo e il consumo aumentava.

A 21 anni sono diventato padre, non per scelta, ma Rosy, a differenza di me, si è assunta le sue responsabilità. lo non ero pronto a questo. Nonostante tutto, ci sposammo qualche mese prima che nascesse Antonio e occupammo un appartamento, dopo un anno ottenemmo un contratto. La nascita di Tony doveva essere una motivazione importante per cambiare, invece si sviluppò una situazione ingestibile. Avevo tutto, lavoro, casa, ma non riuscivo a mettere la testa a posto e dopo 3 anni me ne andai. Ho lasciato Rosy e Tony, sapendo che non erano soli grazie alla sua famiglia e ho iniziato a fare danni.

Ero uomo di merda e non avevo interesse per nulla. Mio padre un giorno mi prese per strada, mi portò a casa e mi fece riprendere, dopo di che mi mise in testa che dovevo allontanarmi da Milano, mi consigliò di prendere i soldi che avevo e di raggiungere mia madre a Londra, li sarei stato lontano dalla droga e poi, con l’aiuto di mio cognato, marito di mia sorella, avrei potuto continuare il mio lavoro.

lo partii, ma il giorno dopo essere arrivato mi recai in centro, a Piccadilly Circus, un’enorme zona pedonale piena di negozi, locali, e soprattutto piena di ragazzi Italiani che bivaccano lì giorno e notte, drogandosi e spacciando soprattutto crack. Tossico sei a Milano e tossico sei a Londra, quindi mi ritrovai a fumare crack e i soldi finirono subito, così iniziai a chiederli a mia madre, che dopo un po’ si stancò e mi disse di tornare in Italia, e così feci.

Era il 2001. Dopo un anno ero di nuovo da mio padre, molto più tranquillo, avevo mollato l’alcol ma non la cocaina. Durante il giorno stavo al parco Sempione, lì faccio amicizia con Thomas un ragazzo dell’Eritrea molto intelligente ma col mio stesso vizio. Insieme ci procuravamo i soldi per la cocaina facendo furti e rapine e in qualche occasione spacciando.

Un giorno dopo una nottata di droga e alcol andammo a mangiare al McDonald, eravamo ben messi, il locale era semivuoto, solo per scherzare facemmo finta di voler portare via un contenitore di monete, ma le persone che stavano lavorando si spaventarono e senza che noi ce ne accorgessimo chiamarono la polizia. Noi eravamo seduti a mangiare, si avvicinarono 3 persone che senza identificarsi ci chiesero i documenti. Ci fu una violenta discussione, ci portarono in questura e ci riempirono di botte per poi denunciarci per aggressione a pubblico ufficiale, ci rilasciarono il giorno seguente con la notifica del processo che si tenne 15 giorni dopo, io non mi presentai e venni condannato a 9 mesi e 15 giorni in contumacia.

Per qualche anno la vita continuò così senza essere mai fermato o arrestato, e nel 2004 durante una festa in Giambellino conobbi Alessia, una bella ragazza che lavorava in un ristorante. Sapendo che da lì a poco sarebbero venuti a prendermi, non volevo assolutamente avere legami affettivi. Lo feci presente anche a lei, che nonostante tutto volle rimanermi vicina.

Arrivò il giorno fatidico e mi portarono a San Vittore. Era ottobre 2004 e con grande stupore una settimana dopo a colloquio vidi arrivare mio padre e Alessia. Con molta gioia le chiesi come aveva fatto ad avere il permesso e lei mi rispose di aver fatto l’atto di convivenza, mi è stata vicina per tutta la carcerazione.

Dopo un mese a San Vittore venni trasferito qui a Bollate e uscii in affidamento dopo 6 mesi. Andai subito a convivere con Alessia decidendo di fare il regolare, dovendoglielo dopo tutto quello che mi aveva dimostrato. Mi misi a lavorare con serietà e il fine settimana uscivamo per locali. Io mi permettevo la seratina con la sostanza, che era molto più contenuta, ma il mio grammo o 2 non me lo facevo mancare. Devo dire che, se anche la sostanza non l’avevo mai lasciata, le cose andavano bene, avevo preso la strada giusta e lei si sentiva molto appagata e sicura di me, tanto da volere un figlio. All’inizio dissi subito no, lei conosceva la storia di Tony, ma non si lasciò scoraggiare e con insistenza mi mise di fronte a come stava andando la mia vita, convincendomi che ero pronto a fare una vera famiglia.

Dopo un paio d’anni rimase incinta, durante la gravidanza passammo momenti indimenticabili e di seratine non ce n’erano più. A ottobre 2008 nasce la mia principessa, Sofia. lo lavoravo per una ditta di mozzarelle di bufala, avevo il furgoncino per le consegne, iniziavo alle 5 del mattino fino alle 13.00 e il resto della giornata la passavo con lei e la piccola.

Ogni tanto però mi concedevo una serata e fu così che una sera usai il furgone per andare a prendere un grammo. Stesi la coca sul libretto di circolazione e mi dimenticai di pulirlo. Dopo un paio di giorni venne il principale da Napoli e come sempre si mise a controllare il furgoncino, arrivato al libretto mi diede un’occhiata e mi chiese “cos’è questa polvere?” BECCATO! Disse che se avessi presentato subito le dimissioni, per come mi ero comportato fino a quel momento, avrei avuto subito la liquidazione e nessuna segnalazione, e così feci.

Mi crollò il mondo addosso, come potevo dirlo ad Alessia? Allora faccio finta di nulla, alle 5 del mattino andavo via in macchina dicendogli che il furgoncino era all’ortomercato e tornavo alle 15. Ma arriva la fine del mese e quindi devo portare lo stipendio, così pensai di fare qualche rapina. La prima andò bene, la seconda no, mi presero in flagranza di reato e patteggiai 30 mesi di condanna.

Alessia e i suoi erano neri, mio padre molto deluso e Sofia aveva appena compiuto un anno. Da qui, San Vittore e poi Saluzzo. Alessia, mio padre e i miei suoceri mi rimasero vicino, restai in carcere 2 anni, uscii gli ultimi 6 mesi in affidamento che finì a Novembre 2011.

Ero convinto che dopo tanto tempo e avendo portato a termine un percorso con il Sert, sarei stato in grado di gestire tutto, ma dopo nemmeno 6 mesi arriva la ricaduta e, senza rendermi conto, nuovamente in galera. Luglio 2012, condanna a 9 anni e tutto perso, non ho più nulla. Per 10 mesi non vedo mia figlia, sentendola solo al telefono, Alessia di me non vuole più sapere, mio padre peggiora con la sua malattia ed io sono psicologicamente distrutto.

Non mi abbatto, alzo le mani e chiedo aiuto. Inizio il percorso di cura, espongo i miei problemi e le mie paure agli psicologi del carcere dove vengo trasferito: San Vittore 10 mesi, poi arriva Opera dove, per la prima volta dopo l’arresto, vedo Sofia. Inizio a essere più tranquillo, dopo arriva il trasferimento a Pavia, dove ho la possibilità di lavorare fisso come inserviente in cucina. Mentalmente sempre più sereno e molto disposto a intraprendere il percorso di cura, ma essendo un padiglione nuovo, c’era carenza di attività come gruppi e i colloqui con gli psicologi sono molto rari.

Finalmente giungo a Bollate e qui da subito con la dott.ssa Mastrapasqua intraprendo con serietà il mio ultimo percorso, stimolato ancora di più dal fatto di vedere la mia principessa più frequentemente. Partecipo a vari gruppi del Sert compreso il gruppo della trasgressione, a questi gruppi devo molto soprattutto alle persone che li gestiscono e le persone che li frequentano. E’ grazie a loro se oggi sono qui con questo scritto.

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4 pensieri riguardo “Quell’essere un po’ ribelli”

  1. Tu lavora su te stesso, con l’aiuto di tutti. Chiuso a doppia mandata col passato e, se ti viene lo svilimento, guarda tua figlia e guarda me… che siamo ancora qua per te, per la nostra famiglia
    È rinascita questa… Non voltarti.

  2. Ascolta bellino, è dal 2004 che corro qua e là con Sofia.
    Non manca molto, ma nemmeno poco. Voglio solo andare al mare per la prima volta tutti e tre insieme, e vedere tua figlia che ti guarda con gli occhi dell’amore. Sempre avanti, sempre!

    1. Sempre avanti Amo, guardaci, ti abbiamo seguito ovunque, anche se a volte ti sarei zompata in testa. La famiglia viene prima di tutti quei momenti di fasullo “star bene”.
      Ti aspettiamo papone

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