Il processo a Dmitrj

Nel processo a Dmitrj si coglie che l’accusa tenta in tutti i modi di convogliare i sentimenti, le idee e i fatti che hanno portato all’omicidio del padre in un imbuto che cancella l’ambiente e si concentra sulle responsabilità dell’imputato.

Al di là dell’errore di persona sul presunto omicida, in generale, mi sembra che concentrarsi sulle dinamiche dell’imputato scorporandole dal resto comporti il rischio che la pubblica accusa e il giornalista di cronaca nera possano dar luogo a qualcosa di molto simile alla pratica medievale di esiliare sull’eretico di turno la complessità della realtà, delle contraddizioni e dei conflitti sociali.

In altre parole, mi pare che la funzione del Pubblico Ministero e, non di meno, del giornalista siano esposte strutturalmente al rischio di venire asservite al bisogno collettivo di confinare il male dentro il colpevole, il quale diventa in questo modo una specie di buco nero capace di risucchiare su di sé e cancellare tutto quello che gli sta attorno.

Dostoevskij, verso la fine del 19° secolo dimostra chiaramente di sentire questo rischio; noi oggi possiamo chiederci se esistono sistemi per ridurlo?

I Conflitti della famiglia Karamazov

Conversando con i fratelli Karamazov

Giovedì 7 marzo avremo nel carcere di Bollate l’ultimo dei 5 incontri sul Romanzo di Dostoevskij. Stanno partecipando all’iniziativa ex criminali, studenti, persone ferite dalla criminalità organizzata, avvocati, magistrati e un sacerdote

Nella giornata conclusiva di domani, Francesco Cajani e io porremo a noi stessi e a tutte le persone che hanno contribuito all’iniziativa le seguenti domande:

  • Quali erano gli obiettivi dell’iniziativa?
  • Cosa abbiamo messo in tasca in queste 5 giornate?
  • Che uso personale possiamo farne?
  • Se si ritiene che ne valga la pena, in quali ambiti e con quali modalità rilanciare il lavoro su I Fratelli Karamazov

Nel cammino della scienza, è buona norma dichiarare con quali domande si va dentro un laboratorio ed è ancora più importante rendere pubblici i risultati e le risposte che, a seguito della ricerca, si pensa di avere ottenuto.

Credo che lo studio della devianza e gli interventi per prevenirla e curarla debbano essere trattati come una scienza. Se considero la portata dei danni economici e affettivi che la criminalità causa nella nostra società, trovo più che ragionevole assumere nei confronti della materia l’atteggiamento che qualsiasi ricercatore ha nei confronti di ciò di cui si occupa: Materiali, Variabili, Procedure di una ricerca devono essere resi pubblici per permettere a chi non c’era di verificare, criticare, ottimizzare, proporre alternative; in sintesi, contribuire alla evoluzione della conoscenza del problema e dei mezzi per trattarlo.

Pertanto, cari studenti di giurisprudenza e psicologia, cari componenti del gruppo della trasgressione e cari tutti, a conclusione della nostra visita ai Fratelli Karamazov, ai loro diversi modi di riscuotere ciascuno il proprio credito e alle tante domande che i loro conflitti ci hanno suggerito, visto che siamo entrati tutti nel laboratorio, per favore, facciamo ciascuno il resoconto della nostra esperienza, come si addice alle persone che frequentano i laboratori.

I Conflitti della famiglia KaramazovDettagli del Programma

La sedia di Lillà

La fragilità male amministrata dal soggetto e male accudita dal mondo esterno porta a un degrado progressivo che può esitare nel suicidio o nel terrorismo.

L’indifferenza alla fragilità, funzionale al godimento dei privilegi del consumismo, spinge la persona negata o il popolo dimenticato alla rabbia, al rancore, all’odio cieco e totalizzante (il terrorismo, le bande, l’abuso) o all’impotenza schiacciante, alla depressione, al suicidio (Rosario Curcio).

Oggi Vito Cosco può essere utilizzato come esempio di una fragilità accudita, che permette all’uomo di uscire gradualmente dall’indifferenza e dalla marginalità per diventare, passo dopo passo, cittadino.

Il concerto del 18/11/23 non è una celebrazione di Vito Cosco o della sua redenzione, ma del lavoro che viene portato avanti per una città più inclusiva.

La sedia di Lillà, Alberto Fortis I violini del mare contro l’indifferenzaGli occhi grandi color di foglia

Reparto La Chiamata, un’area cogestita

Premessa:

Il progetto LA CHIAMATA parte da due presupposti:

  • Il primo è che ogni bambino cerca di ottenere la propria affermazione, prima appoggiandosi ai genitori per i bisogni primari, poi cercando di ottenere, per le sue “prodezze” e le sue pene, attenzione e riconoscimento dalle proprie figure ideali, le quali, se tutto va bene, continueranno a essere i genitori e, a seguire, gli insegnanti;
  • il secondo è che la vita deviante, con l’abuso, l’eccitazione, i profitti, le mire e le relazioni di potere che la caratterizzano, costituiscono solo il surrogato del riconoscimento che non si è riusciti a ottenere dalle figure ideali.

In linea con quanto sopra, è previsto che le attività, le atmosfere, le modalità di relazione che caratterizzano il reparto LA CHIAMATA ruotino e lavorino attorno a:

  • l’importanza per ognuno di noi di raggiungere il proprio ideale;
  • i compromessi cui gli adolescenti ricorrono quando perdono la fiducia di poterlo raggiungere;
  • le esperienze che permettono di tornare a cercare i propri ideali dentro di sé e nelle figure che vorremmo potere riconoscere come guide.

 

Obiettivi

  • ottenere che tutti gli ospiti del reparto abbiano una funzione, dei compiti e degli obiettivi, così da giungere in tempi definiti a risultati riconoscibili, misurabili, presentabili.

 

Tratti distintivi

  • Nel reparto vivono solo persone che scelgono di farne parte;
  • Tutti i detenuti hanno dei compiti e dei risultati da raggiungere;
  • Ogni settimana viene chiesto agli ospiti del reparto se e quanto sono soddisfatti di quello che hanno realizzato, di quello che hanno acquisito e quali sono i loro prossimi obiettivi;
  • Nel reparto è fortemente sconsigliato l’uso di psicofarmaci, nei casi più difficili si tollera l’uso a scalare, fino alla completa cessazione in tempi concordati e definiti;
  • Nel reparto sono attive numerose iniziative culturali, sportive, lavorative che vengono coordinate dalle associazioni, da professionisti esterni che aderiscono all’iniziativa e, laddove possibile, dagli stessi ospiti del reparto (i detenuti potranno coordinare dei progetti se prima avranno ottenuto dei risultati tangibili e riconosciuti dagli altri);
  • Ogni tre mesi vengono presentati i risultati della o delle squadre che vivono nel reparto a un pubblico costituito da detenuti, da una rappresentazione delle autorità che dirigono il carcere, da familiari dei detenuti, da ospiti esterni (tra cui imprenditori e rappresentanti di enti potenzialmente disponibili a investire sulle iniziative del reparto).

La produzione creativa (testi, disegni, manufatti, dipinti, canzoni, foto, video, ecc.), in linea generale, riguarda i temi e le attività tradizionali del gruppo. Nel reparto verranno proposti con cadenza trimestrale alcuni dei nostri titoli: La sfida; La trasgressione; Il labirinto delle dipendenze; Le micro e macro-scelte; Il divenire dell’identità; Il virus delle gioie corte; Il male, complesso e banale; La nicchia, la crosta e il rosmarino; ecc.

Tra le attività del gruppo, anche alcuni laboratori teatrali cui partecipano detenuti e studenti: Il Mito di Sisifo, La slot machine, Una serata da bulli, La rapina, La ninna nanna e le mazzate.

In relazione a tali temi e attività vengono sollecitati contributi personali e di piccoli gruppi di lavoro da parte dei detenuti che risiedono nel reparto, dei tirocinanti e dei vari componenti del gruppo della trasgressione, dei giovani di LIBERA, degli educatori scout e di tutte le persone che partecipano al progetto “Lo Strappo, quattro chiacchiere sul crimine”. I contributi, se rispondenti ai requisiti di qualità necessari, potranno poi essere presentati nelle riunioni periodiche con pubblico esterno, pubblicati sui canali web del gruppo (L‘Officina creativa su www.vocidalponte.it) e sui canali di chi collabora all’iniziativa.

In prospettiva, con la diffusione dei contenuti prodotti nel e per il reparto, si punta a moltiplicare i contatti tra detenuti e realtà esterna e a ottenere finanziamenti e investimenti sull’iniziativa.

Le diverse attività creative e, in particolare, le rappresentazioni teatrali rispondono allo scopo di far passare i detenuti che risiedono nel reparto dalla condizione di chi è trascinato dalla corrente (che egli stesso alimenta) a quella di chi riflette sulle dinamiche che la producono e comincia a diventare consapevole dei propri meccanismi.

 

Gli operatori del gruppo
All’interno del reparto, oltre al personale previsto dall’Istituto, sono quotidianamente presenti diversi componenti del gruppo della trasgressione. In particolare, è previsto che tutti i giorni le attività di cui ai paragrafi precedenti siano coordinate dai componenti senior del gruppo e che, nel corso della settimana, gli studenti universitari in tirocinio con la nostra associazione possano fare visite frequenti per confronti con i detenuti e per favorire la realizzazione dei contributi creativi di cui sopra.

Interverranno in occasioni specifiche e su temi ed eventi di giustizia riparativa alcuni familiari di vittime di reato che da tempo fanno parte del gruppo della trasgressione. Lo stesso accadrà per professionisti, sostenitori (Rotary Club Milano Duomo) e vecchi componenti del gruppo.

I componenti senior del gruppo sono tutti laureati in psicologia; i tirocinanti provengono da varie facoltà: Psicologia, Scienze dell’educazione, Filosofia, Giurisprudenza, ecc.

Fanno parte dei Senior del gruppo anche alcuni detenuti ed ex detenuti che, dopo oltre un decennio di presenza al gruppo, ne sono diventati oggi parte integrante e punte di diamante negli incontri che la nostra associazione ha nelle scuole medie primarie e secondarie per la prevenzione al bullismo e alla devianza.

 

La Settimana
La settimana ideale all’interno del reparto, compatibilmente con le esigenze dell’istituto, somiglia a quella di un college, con orari per la sveglia e le attività e con momenti di privacy. Tutti i giorni sarà presente almeno un componente senior del gruppo della trasgressione.

 

La collaborazione con LIBERA e con gli esterni punta a far circolare nel reparto i valori di coetanei dei detenuti del reparto, a favorire il riconoscimento reciproco tra coetanei e a giungere all’identificazione di obiettivi comuni tra detenuti, ragazzi di Libera e studenti universitari. Tra questi obiettivi, il primo in ordine temporale è giungere al 21 marzo 2023, ricorrenza della manifestazione di Libera in memoria delle vittime innocenti della mafia, con una rappresentazione capace di veicolare il percorso comune e i risultati raggiunti.

 

L’ingresso in carcere e la selezione
È desiderabile che i detenuti nuovi giunti con caratteristiche tali da poter diventare ospiti del reparto abbiano un primo contatto, subito dopo il primo impatto col carcere, con qualcuno dei senior del gruppo della trasgressione, così da prendere confidenza da subito con gli obiettivi del reparto e decidere se accettare o meno di prendere parte all’iniziativa.

 

Il monitoraggio della salute mentale e della recidiva
A latere delle attività del reparto e nell’ottica di valutare i reali benefici dell’iniziativa per i detenuti, per l’istituzione e per la società esterna, si auspica di monitorare attraverso confronti periodici e interviste a detenuti interni ed esterni al reparto:

  • la percezione di sé e la descrizione della propria condizione;
  • la frequenza di atti autolesionistici in ristretti di età e provenienza simile;
  • le relazioni dei detenuti con il personale di polizia penitenziaria, con gli operatori interni e con i volontari;
  • la frequenza della recidiva dentro e fuori dal reparto.

 

La selezione e la formazione degli agenti del reparto
Laddove ce ne siano le condizioni, è auspicabile che gli agenti di polizia che operano all’interno del reparto possano:

  • seguire dei corsi di formazione mirati;
  • avere un ruolo attivo nella progettazione delle iniziative;
  • partecipare a riunioni periodiche di verifica dei risultati e dei problemi in essere.

Reparto La Chiamata

Conversando con Raskol’nikov

Domani, 30 novembre 2022, avremo nel carcere di Opera l’ultimo dei 5 incontri su Delitto e Castigo. Stanno partecipando all’iniziativa ex criminali, studenti, docenti, magistrati, persone ferite dalla criminalità organizzata.

Servizio di Maria Chiara Grandis

Nella giornata conclusiva di domani, Francesco Cajani e io porremo a noi stessi e a tutte le persone che hanno contribuito all’iniziativa le seguenti domande:

  • Quali erano gli obiettivi dell’iniziativa?
  • Cosa abbiamo messo in tasca in queste 5 giornate?
  • Che uso personale possiamo farne?
  • Se si ritiene che ne valga la pena, cosa, in quali ambiti e con quali modalità rilanciare il lavoro su  Delitto e Castigo?

Nel cammino della scienza, è buona norma dichiarare con quali domande si va dentro un laboratorio ed è ancora più importante rendere pubblici i risultati e le risposte che, a seguito della ricerca, si pensa di avere ottenuto.

Credo che lo studio della devianza e gli interventi per prevenirla e curarla debbano essere trattati come una scienza. Se considero la portata dei danni economici e affettivi che la criminalità causa nella nostra società, trovo più che ragionevole assumere nei confronti della materia l’atteggiamento che qualsiasi ricercatore ha nei confronti di ciò di cui si occupa: Materiali, Variabili, Procedure di una ricerca devono essere resi pubblici per permettere a chi non c’era di verificare, criticare, ottimizzare, proporre alternative; in sintesi, contribuire alla evoluzione della conoscenza del problema e dei mezzi per trattarlo.

Pertanto, cari studenti di giurisprudenza, cari componenti del gruppo della trasgressione e cari professori, a conclusione del nostro viaggio tra eletti e pidocchi (io ondeggio fra le due categorie da sempre e cerco ancora oggi la mia alternativa al delirio di Raskol’nikov), visto che siamo entrati tutti nel laboratorio, per favore, facciamo ciascuno il resoconto della nostra esperienza, come si addice alle persone che frequentano i laboratori.


Da LPT Studio

Delitto e Castigo

Raskol’nikov

Spesso si parla della distinzione operata da Raskol’nikov fra eletti e pidocchi come se in questa categorizzazione e nel delirio di onnipotenza ad essa collegato potessero essere riconosciute le principali cause dell’omicidio dell’usuraia.

Mi sembra si trascuri che lo schema suddetto e lo stesso delirio di onnipotenza che l’accompagna costituiscono solo una maschera per coprire la sensazione di mediocrità che vive Raskol’nikov nell’afa e nella sporcizia soffocante di Pietroburgo, mentre si dibatte fra le sue fantasie, le paure, le incertezze, i conflitti, il malessere che lo pervade mentre si trascina per le strade.

Tra l’altro, mi sembra che il malessere del protagonista venga  descritto anche quando Dostoevskij entra nella miseria di Marmeladov o nella mediocrità di altri personaggi come Svidrigajlov o lo stesso Luzin, personaggi che credo possano corrispondere a frammenti sparsi del personaggio principale.

E cosa conosce il giudice della miseria che di certo costituisce il terreno di coltura dell’omicidio? Porfirij cerca di stanare l’assassino, ma non sembra essere interessato alla sua angoscia, alla paura di Raskol’nikov di entrare in contatto con il suo stesso dolore. Porfirij è interessato al delirio con cui Raskol’nikov autorizza se stesso all’omicidio, ma non al delirio in quanto strumento per porre argine al dilagare della sua colpevole impotenza.

È pur vero che questo non è compito del pubblico ministero (per usare termini utili alla nostra ricerca attuale)! E però, l’alleanza tra chi indaga e l’indagato (ammesso che sia possibile… e se oggi non lo è, nulla vieta di chiedersi quali altre figure possano risultare utili allo scopo), deve passare attraverso il riconoscimento dei meccanismi con i quali il reo cerca di difendersi dalla sensazione di mediocrità nella quale egli vive e dal dolore originario che egli cerca confusamente di coprire.

Questa è l’alleanza che Raskol’nikov svilupperà con Sonja e quella di cui ogni detenuto avrebbe bisogno per non rimanere imprigionato nell’artificiosa divisa dell’eletto.

Raskol’nikov               Il giudice, un padre mutilato

 Delitto e Castigo

Aula Dostoevskij

Vedo crescere il coinvolgimento e i contributi e vorrei tanto che questo tipo di iniziative avessero uno spazio stabile all’università e in carcere. Il gruppo della trasgressione è nato 25 anni fa proprio con questi obiettivi.

Anche se siamo ancora lontani dalla meta, l’intesa con Francesco Cajani ha prodotto i frutti che stiamo vedendo. Per me e per il gruppo della trasgressione leggere contributi come quelli di Angelica Falciglia o di Sebastiano Venturi è un vero piacere e un incentivo a continuare.

Certo, sarei molto più contento se vedessi partecipare in modo attivo ai nostri incontri le figure istituzionali che hanno facoltà di decidere e di finanziare le iniziative ritenute utili all’evoluzione della materia. Per il momento mi limito a rallegrarmi per il vivace confronto con cui scaldiamo la smart room dove si svolgono i nostri incontri.

Adesso aggiungo un paio di considerazioni legate a quanto ho ascoltato in “Aula Dostoevskij” mercoledì scorso:

  1. I detenuti con i quali vi confrontate non sono rappresentativi della popolazione carceraria e, tanto meno, dei delinquenti in attività. Il senso di equilibrio e di responsabilità che voi leggete nelle loro parole vengono fuori dopo anni di frequentazione del gruppo della trasgressione o di attività equiparabili. Per arrivare a questo livello di sensibilità il delinquente in attività deve prima essere arrestato e poi costretto a pensare e a sentire, guidato da qualcuno che sia credibile ai suoi occhi e che abbia le competenze per orientarne l’evoluzione.
  2. La civiltà, per quello che intendo io, non è garantita dalla presenza di norme ben codificate e di sanzioni ben commisurate alla violazione delle norme. La civiltà è l’attitudine a riconoscersi nell’altro e a voler costruire con gli altri. Ma chi nasce e cresce nella emarginazione, nella miseria economica e/o affettiva, ha grande difficoltà a concorrere agli obiettivi comuni.
    Non credo che la civiltà progredisca in proporzione alla garanzia che giudici e poliziotti vengano puniti con lo stesso rigore usato per rapinatori e spacciatori (pur se condivido il principio); credo invece che la civiltà progredisca ogni volta che ci si chiede cosa induce le persone (povere e ricche, guardie e ladri) a sentirsi distanti dall’altro tanto da poterlo ferire come se fosse un estraneo e ogni volta che vengono identificate le condizioni per ridurre tale distanza e per motivare le persone alla costruzione di uno spazio comune.

Mi sembra che nella smart room offertaci dal dott. Di Gregorio, direttore del carcere di Opera e alleato del progetto, stiamo facendo proprio questo, servendoci di Raskol’nikov, Fausto Malcovati, Alberto Nobili, Marisa Fiorani, Paolo Setti Carraro e i tanti studenti e detenuti che stanno attivamente partecipando all’iniziativa.

Delitto e Castigo

Nostalgia dell’Infinito

Guardo ancora il quadro di Caravaggio e fantastico che l’idea del peccato originale possa corrispondere al senso di colpa dell’uomo per avere estromesso se stesso, attraverso la parola, dalla dimensione dell’Infinito.

Con la parola, l’uomo distingue, misura e identifica le cose e se stesso. Senza, saremmo dentro un Tutto senza separazioni e senza alcuno che possa averne nostalgia.

Con la parola l’uomo smette di essere parte inerte del Tutto da cui egli prende origine, ferisce l’Infinito e lo costringe a partorirlo. Da questo, io credo, il peccato originale, ovvero, la nostalgia dell’Infinito dal quale ci siamo staccati e il senso di colpa per averlo fatto.

Nell’immagine dell’Eden mi pare di intravedere il mito di una lotta e, allo stesso tempo, di una collaborazione fra Dio e il seme dell’uomo che non è ancora tale perché non ha e non può ancora avere esperienza del Divenire.

La Ubris, l’arroganza con cui l’uomo si sottrae al volere divino, comporta la sua espulsione dall’Eden (il Mondo che non muta) e gli permette di accedere alla condizione del Divenire, nella quale egli potrà dare nome alle cose e a se stesso, accedere al mondo della misura, alla dimensione del Finito, portandosi dentro la nostalgia del mondo senza misura e senza confini.

In un certo senso, il peccato originale è il segno di un parto impossibile! Da un Infinito, senza soluzione di continuità e senza ferite che gli permettano di sapere di esistere, nasce la dimensione del Finito, l’unica nella quale può aver luogo la Coscienza: una Coscienza di sé, dolorosa e felicemente “intenzionata“, ricordo confuso di un’offesa alla dimensione dell’Infinito e nostalgia di quella dimensione, perduta per sempre a causa della nobile arroganza di tentare la scalata alla coscienza.

Tale nostalgia, a me sembra, è all’origine della brama di potere e dell’arte, di Hitler e di Messner, della superstizione e della scienza, del delirio di avere raggiunto la meta e del lavoro per ampliare i confini della coscienza di noi stessi e della nostra relazione col mondo.

Il Sarto Ardito di questa cucitura paradossale è stato identificato come il portatore del peggiore oltraggio all’ordine costituito e crocifisso per questo.

Per certi versi (tre, in particolare), è  come dire che il nostro seme contiene una indicazione (la missione a effettuare la cucitura impossibile tra Finito e Infinito, tra la dimensione del Divenire e quella dell’Immutabile) e la condanna per chi prova a farlo.

Considerate la vostra semenza
Fatti non foste a viver come bruti
Ma per seguir verture e canoscenza

L’infinito

Caravaggio in città

Mia madre, un’imbrogliona

Penso ingannasse anche mia sorella. Con me ha cominciato a farlo che ero ancora piccolissimo. Non mi piacevano le uova o mi sembrava non mi piacessero. Lei ogni mattina metteva un tuorlo d’uovo nel latte, miscelava il tutto per bene e me lo dava da bere. Di fronte alle mie perplessità sul nuovo colore del latte, mi diceva che, apposta per me, il lattaio aveva portato il latte della vacca giovane. A quel punto io riconoscevo che era proprio buono e mi sentivo un privilegiato.

Ma l’inganno più perfido e praticato per anni è partito quando, all’età di otto anni e arrabbiatissimo, volevo picchiare mia sorella Lina, che all’epoca ne aveva due. In quella occasione, mia madre, senza scomporsi, mi ha detto che avrei potuto farlo, ma che avrei dovuto aspettare che Lina avesse almeno una decina d’anni. E tutte le volte che io chiedevo se potevo picchiarla lei rispondeva “aspetta, a piccirida è ancora truoppu nica”.

E così siamo andati avanti fino a che io mi sono trovato a guardare “a piccirida” come facevano lei, mio padre, i nonni e le zie e, a quel punto, ho perso per sempre la possibilità di picchiarla.

Tra l’altro, sarebbe anche difficile, visto chi la difenderebbe.

Genitori e figli